Shoah e identità ebraica/Preludio ai campi

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Mappa anacronistica coi confini del Ghetto di Varsavia nel novembre 1940 (cfr. mappa interattiva) con indicazione della Umschlagplatz da cui partivano i treni della morte

I ghetti come preludio al costrutto morale dei campi

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Ebrei polacchi caricati sui treni al Ghetto di Varsavia
 
Ebrei polacchi del Ghetto di Varsavia alla Umschlagplatz in attesa di essere deportati
 
Gli ebrei catturati durante la rivolta del ghetto di Varsavia vengono condotti alla Umschlagplatz attraversando via Zamenhof.

I nazisti avevano sviluppato uno specifico costrutto sociale e morale tramite il quale potevano disumanizzare le loro vittime ebree. I normali modi di comportamento, giustizia e moralità furono distrutti e sostituiti con un sistema che nel migliore dei casi promuoveva la disarmonia sociale e, nel peggiore dei casi, la collaborazione, il tradimento e l'abbandono di umanità. Il processo di disgregazione fisica e mentale degli ebrei si evolse attraverso le condizioni di deterioramento dei ghetti e agì come precursore dello stesso costrutto nei campi di concentramento e sterminio. Costretti a sopportare la fame, la povertà e le malattie che proliferavano nei ghetti, gli ebrei furono spinti all'esaurimento. Anche esser testimoni del bilancio quotidiano delle vittime di fame, di malattie e anche di sporadici atti di violenza e brutalità da parte dei nazisti, fu determinante per logorare l'energia e la forza del corpo e della mente e l'umanità degli ebrei. Le "scelte senza scelta" che gli ebrei furono costretti a fare, sacrificando amici e familiari per salvarsi, per un minimo di cibo e assistenza sanitaria e per le carte di lavoro rilasciate nei ghetti, fornendo una fuga temporanea dalla desolante monotonia della vita del ghetto, stavano già fratturando l'unità ebraica nei ghetti mentre i nazisti spogliavano e progressivamente decostruivano l'identità sociale, culturale e morale ebraica (Brown 2008:128-29).

Levi non provò i ghetti nazisti, venendo confinato invece in un campo di detenzione nel 1944. Wiesel, tuttavia, fu costretto a sperimentare il sistema del ghetto. Sebbene Wiesel fosse fortunato rispetto agli ebrei dei vasti ghetti delle città, vivendo in una piccola città e avendo la propria casa all'interno dei confini del ghetto in modo da non doversi spostare inizialmente, tuttavia non sfuggì alla paura, al caos e alla fatica che pervadeva l'ambiente del ghetto stesso. "I see images of exodus and uprooting, reminiscent of a past buried in memory; ravaged, dazed, disoriented faces" (Wiesel All Rivers:64). Con energia e spirito esauriti all'estremo, per i prigionieri ebrei del ghetto la resistenza attiva contro i nazisti era un evento raro. Casi come la rivolta del ghetto di Varsavia del 1943 dipingono un quadro coraggioso e valoroso dello spirito combattivo ebraico, ma esempi come questi sono pochi, a causa della mancanza di risorse e di forza fisica, con la preoccupazione di sopravvivere un giorno alla volta, che spesso portava a un'esistenza da automa. Levi medita su una situazione simile all'interno dei campi, quando i prigionieri, spogliati di ogni senso di identità e spirito, sprofondano in un'esistenza senza pensieri e senza emozioni, gestibile da un programma di routine insensata e monotonia fino alla loro morte quasi inevitabile.

« Their life is short, but their number is endless; they, the Muselmänner, the drowned, form the backbone of the camp, an anonymous mass, continually renewed and always identical, of non-men who march and labour in silence, the divine spark dead within them, already too empty to really suffer. »
(Levi Man:96)

Spirito nei ghetti significava conservare a tutti i costi un senso di identità ebraica, religiosa, culturale o rituale; per mantenere un senso di sé, di umanità, o solo per qualche speranza ed evasione dalla triste realtà della vita e della morte nel ghetto. Per molti prigionieri nel ghetto, rimanere ebrei era sufficiente vittoria e spirito combattivo contro i tentativi dei nazisti di distruggere l'ebraismo. James Glass osserva:

« It is true that in the ghettos religious practice declined, given the demands of basic day-to-day survival and German proscription of religious practice. But religious identity never disappeared. The Jews remained acutely aware of their identity as Jews, not as a negative projection, but as a culture singled out for terrible punishment. »
(2004:107)

La decostruzione dell'identità degli ebrei nei ghetti, rimuovendoli dai loro lavori, dalle loro case, dai loro possedimenti e riducendo la loro vita quotidiana alla povertà, mendicando e rubando, logorò gli spiriti di questi prigionieri e confermò il loro status di "altro". Abbattendo ulteriormente il loro già fragile senso di sé e di umanità e sottoponendoli alla vista quotidiana della morte e della violenza, gli ebrei dei ghetti furono smantellati in preparazione di un'esistenza di conformità e obbedienza all'interno dei campi.

Quando esiste questo sistema, dove un grande gruppo di persone è soggiogato e fratturato, nella disperata lotta per la sopravvivenza, c'è anche la possibilità di una collaborazione con il nemico e di un'ulteriore divisione tra il gruppo delle vittime. Come esistette anche in seguito nei campi, i ghetti erano pieni di collaborazionisti e di un offuscamento dei confini tra vittima e nemico. I nazisti progettarono e gestirono i ghetti in modo tale da promuovere la collaborazione tra i prigionieri più ambiziosi e quindi coinvolgere gli ebrei nella loro stessa sofferenza e distruzione. Questo crollo dell'opposizione binaria di bene e male ha portato ad alcune delle questioni di giudizio più controverse sull'Olocausto e qualcosa che Levi in particolare discute nella sua testimonianza, in particolare per quanto riguarda i ghetti e il caso del "presidente" del ghetto di Łódź, Chaim Rumkowski.

 
Chaim Rumkowski (a sinistra) e il comandante nazista Hans Biebow (a destra) nel ghetto di Łódź

Levi dedica gran parte del suo saggio su "The Grey Zone (La zona grigia)" a Chaim Rumkowski, un industriale ambizioso, che si lasciò lusingare per la sua posizione nel ghetto, e gli fu poi affidata la responsabilità di selezionare gli ebrei da deportare ad Auschwitz fino alla loro morte.

« How he happened to obtain the investiture is not known: perhaps it was simply a hoax in the sinister Nazi style (Rumkowski was, or seemed to be, a fool with an air of respectability - in short, the ideal dupe); perhaps he himself had intrigued to be chosen, so strong in him must have been the will to power. »
(Levi Drowned:4)

Rumkowski fu assecondato dai nazisti ad una posizione di rispetto ed importanza all'interno del ghetto e riuscì a proteggere se stesso e la sua famiglia fino all'ultima deportazione, assicurandosi una lettera che consentiva loro di lasciare il ghetto con la propria carrozza "privata" sul treno, ma lì finirono i privilegi (Levi Drowned:48). Rumkowski potè sì entrare ad Auschwitz in carrozza privata, ma la sua destinazione fu la stessa degli altri ebrei di Lodz, la camera a gas immediata. "There was only one fate for Jews in German hands, whether they were cowards or heroes, humble or proud. Neither the letter nor the special carriage were able to save Chaim Rumkowski, the king of the Jews, from the gas chamber" (Levi Drowned:48). Lasciandosi corrompere dai nazisti e collaborando con loro alla morte di migliaia di suoi vicini, Rumkowski negò a se stesso e gli fu negato il cameratismo degli ebrei che avevano vissuto, combattuto e morirono insieme sotto il dominio nazista.

Levi non esonera il comportamento egoistico e collaborativo di Rumkowski a Łódź, ma si sforza di comprenderlo. Levi considera l'idea che Rumkowski fosse un cretino e come tale sia stato usato dai nazisti. Vede anche in Rumkowski un desiderio di potere e il bisogno di essere visto come autorevole. Nelle circostanze estreme del ghetto, la spinta al potere di Rumkowski fu esacerbata mentre lottava per la sua vita e si aggrappava disperatamente all'identità che si era costruito, quella di un leader potente e rispettato. Mentre sospende cautamente il giudizio sugli ebrei privilegiati, Levi è critico nei confronti di Rumkowski, ma sembra dire che il comportamento di Rumkowski è fallacemente umano e non mostruoso. Wiesel sembra condividere la stessa ambiguità di Levi, riguardo al giudizio di Rumkowski e degli altri ebrei anziani del ghetto. Da un lato Wiesel afferma di non essere in grado di difendere il comportamento egoistico di Rumkowski: "Is he, too, defensible? No, he lived too comfortably, too 'luxuriously', for me to speak on his behalf" (Wiesel All Rivers:65). D'altra parte, Wiesel riconosce che personaggi come Rumkowski erano capi fantoccio, controllati dai nazisti e con pochissimo potere (Wiesel All Rivers:66). Gli ebrei disperati e assetati di potere come Rumkowski erano strumenti della metodologia nazista, i loro privilegi erano in definitiva illusori quanto il loro potere e affrontavano lo stesso destino degli ebrei contro i quali agivano. Sebbene il comportamento di questi ebrei possa essere riprovevole, è anche umano e mentre la questione del giudizio è un'area grigia sia per Levi che per Wiesel, ciò che è chiaro è come queste persone siano state manipolate con successo dal sistema nazista, per fratturare le comunità ebraiche del campi e ghetti. Levi e Wiesel, che ebbero esperienze diverse sia fino ad Auschwitz che all'interno di Auschwitz, scelgono Rumkowski come caso di studio per l'interrogatorio morale e giungono a conclusioni simili. La discussione di Levi su Rumkowski sembra caratteristica dei suoi interessi umanistici, ma l'opinione condivisa di Wiesel è più insolita, in quanto entrambi gli uomini sembrano concentrarsi sull'approccio umanista alla discussione del comportamento e Wiesel sceglie di non discutere di Rumkowski all'interno di una struttura morale religiosa.

Famosa fotografia tratta dal rapporto stilato da Jürgen Stroop nel maggio 1943 inviato ad Heinrich Himmler. La didascalia originale in tedesco indica: "Fatti uscire forzatamente dai nascondigli". A destra con il mitra è Josef Blösche
  Per approfondire, vedi Interpretazione e scrittura dell'Olocausto e Serie letteratura moderna.