Piemontese/Si dice anche

Indice del libro

Si dice anche

modifica

Quelle che vengono riportate qui non possono essere considerate frasi idiomatiche in quanto sono di uso meno generalizzato, e spesso hanno un senso ironico. Infatti riportiamo anche qualche comparativo del tipo di quelli visti, ma che esprimono il concetto opposto a quello dell'aggettivo usato. Ci scusiamo per il disordine con cui vengono riportate e per la loro piccola quantità, rispetto ad una antologia enorme.

  • esse an sël tòch letteralmente: essere sul pezzo. Indica l'essere in servizio, essere al lavoro. It ses-to già 'n sël tòch? = sei già sul pezzo? ovvero: sei già al lavoro? stai già lavorando?. Deriva dal linguaggio di officina.
  • ël color dj'aso cit letteralmente: il colore degli asini piccoli. Indica un colore indefinibile, "insipido", sempre detto con ironia (non un bel colore). A l'avìa un caplin color dj'aso cit, che a fasìa un pòch ësgiaj = Aveva un cappellino color degli asini piccoli che faceva un po' paura
  • bianch coma la coa d'un merlo letteralmente: bianco come la coda di un merlo. Indica una cosa evidentemente nera, o comunque, tutto meno che bianca. Fa parte dei paragoni di uso corrente, ma con tono ironico. L'aggettivo è paragonato al suo inverso.
  • vate a caté 'n casul letteralmente: vai a comperarti un mestolo. È un modo "abbastanza" gentile per mandare qualcuno a quel paese.
  • a l'é l'ùltima roa dël cher letteralmente: è l'ultima ruota del carro, ovvero è l'ultima cosa di cui ti devi preoccupare, c'è altro di più importante.
  • grassios com na ronza letteralmente: grazioso (aggraziato) come un (ramo di) rovo, ovvero molto sgraziato e/o scostante. Ancora parte dei comparativi ironici visti, ma non così comunemente usato.
  • segret coma 'l tron letteralmente: segreto come il tuono, ovvero sicuramente conosciuto da tutti. Comparativo ironico.
  • ël rije dl'artajor cand che j'anciove a-j van a mal letteralmente: il ridere del salumiere quando le acciughe gli si guastano, ovvero si dice di quando occorre fare buon viso a cattivo gioco. simulare allegria in situazioni tragiche.
  • a l'é méj cariélo che ampinìlo letteralmente: è meglio caricarlo che riempirlo, ovvero è uno che mangia come un lupo, più di quello che potrebbe caricarsi e trasportare.
  • mostré ai gat a rampié letteralmente: insegnare ai gatti ad arrampicarsi, ovvero voler dare consigli a chi ne sa molto di più.
  • esse nen bon a trové d'aqua an Pò letteralmente: non essere capaci a trovare acqua in Po, ovvero non saper fare cose semplicissime.
  • fé 'l lun-es letteralmente: fare il lunedì, ovvero essere "in mutua" a causa della bisboccia. Deriva da quando gli operai lavoravano sei giorni pieni alla settimana e venivano pagati al sabato. Spesso lo svago della domenica era l'osteria, finanziata dalla paga settimanale, e la cosa si concludeva a volte con una solenne sbornia. Il lunedì mattina, non tutti erano in grado di tornare a lavorare. L'uomo serio e responsabile era quello che poteva vantare: I l'hai giumai fàit ël lun-es.
  • da vende e da pende letteralmente: da vendere e da appendere, ovvero in abbondanza, fin che se ne vuole, e ne avanza ancora.
  • a-i son le pùles ch'a l'han la toss letteralmente: ci sono le pulci che hanno la tosse, ovvero viene detto a proposito di piccole cose a cui si dà importanza esagerata.
  • avèj la blëssa 'd l'aso letteralmente: avere la bellezza dell'asino, ovvero quando si è giovani, bene o male si è belli tutti. Compresi quelli che presto saranno irrimediabilmente brutti.
  • jë smens ëd curios letteralmente: i semi (sementi) di curioso, ovvero ...non ti riguarda.... Risposta di quando non si vuole o non si sa rispondere ai tanti perché dei bambini, ma anche, in genere, quando non si vuole rispondere alla domanda "che cosa è?. Es.: - Cos it ses butate an sacòcia? - Jë smens ëd curios! (coma dì: fate ij tò afé!)
  • andé coma na barca ant un bòsch letteralmente: andare come una barca in un bosco, ovvero non andare un granché bene. Risposta negativa alla domanda coma a và-lo? = come va?.
  • ò ch'as arleva ò ch'as arlava letteralmente: o si rialza o si rilava, ovvero chissà cosa farà?. Relativo a tempo meteorologico. Quando tende a schiarire, si dice che le nuvole si alzano o rialzano (arlevé), ma potrebbe riprender a piovere (arlavé = rilavare).
  • pisté l'aqua ant ël morté letteralmente: pestare l'acqua nel mortaio, ovvero fare una cosa inutile, fare un buco nell'acqua
  • pitòst che la ròba a vansa, ch'a chërpa la pansa letteralmente: piuttosto che la roba avanzi, che crepi la pancia, ovvero non lasciare che nulla vada sprecato, a qualunque costo. Altro detto che viene dal periodo di vita grama, quando avanzare qualcosa che domani non ci sarebbe più stato pareva un'enormità.
  • avansé mach ij pé fòra dal lét letteralmente: avanzare solo i piedi fuori dal letto, ovvero non avanzare nulla, consumare tutto.
  • roa dëscàussa letteralmente: ruota scalza (senza cerchio di ferro), ovvero persona sprovveduta, senza mezzi adatti.
  • ant la guardaròba dij can letteralmente: nell'armadio dei cani, ovvero abbandonato per terra.
  • s-cianca frità letteralmente: strappa frittate, ovvero discolo.
  • ai temp dël mila doi e més letteralmente: ai tempi del mille due e mezzo, ovvero tanto tempo fa, roba passata.
  • cand ij giari a l'avìo ij sòco letteralmente: quando i topi avevano gli zoccoli, ovvero un tempo molto lontano, nelle leggende del passato.
  • a Turin a l'han rangià fin-a cola dël bur letteralmente: a Torino hanno risolto persino quella del burro, ovvero tutto si aggiusta. Segue da un aneddoto raccontato come vero, da un episodio clamoroso di mancanza di burro a Torino (storicamente il burro, in Piemonte, è sempre stato condimento e mezzo per cucinare essenziale, al posto dell'olio).
  • nen savèj quanti pé a intro ant n' ëstival letteralmente: non sapere quanti piedi entrano in uno stivale, ovvero essere decisamente ignorante, essere poco sveglio.
  • l'armanach a marca patele letteralmente: il calendario indica botte, ovvero ... se continui così te le prendi.
  • avèj j'euj fodrà 'd sautissa letteralmente: avere gli occhi foderati di salsiccia, ovvero non vedere quello che si ha davanti oppure non capire situazioni facili, essere facilmente ingannabile.
  • buté 'n papin s'na gamba 'd bòsch letteralmente: mettere un impacco su una gamba di legno, ovvero fare una cosa inutile oppure usare un rimedio assolutamente insufficiente al bisogno.
  • resté an sël pavé letteralmente: rimanere sul selciato, ovvero perdere il lavoro oppure rimanere sul lastrico.
  • buté 'l cher anans ai beu letteralmente: mettere il carro davanti ai buoi, ovvero fare cose intempestive.
  • pende la saraca letteralmente: appendere l'acciuga, ovvero fare economia fino all'osso. Per non mangiare solo pane, si appende al soffitto con un filo un'acciuga e gli si batte contro con un pezzo di pane, che prende qualche microscopico frammento di acciuga. Finché questa dura non se ne mette un'altra.
  • dé 'd patele ant la saraca letteralmente: dare botte nell'acciuga, ovvero, come sopra, fare economia fino all'osso. Altro modo di dire analogo a sopra. Per non mangiare solo pane, si appende al soffitto con un filo un'acciuga e gli si batte contro con un pezzo di pane, che prende qualche microscopico frammento di acciuga. Finché questa dura non se ne mette un'altra.
  • guasté la porà letteralmente: rovinare la minestra di porri, ovvero rompere le uova nel paniere, far fallire un progetto Questo è uno dei tanti modi di esprimere il concetto.
  • plé na pules për vend-ne la pél letteralmente: pelare una pulce per venderne la pelle, ovvero approfittare di ogni inezia per averne un vantaggio, essere "pidocchioso" all'inverosimile.
  • dé la pignata an goerna al gat letteralmente: dare la pentola da sorvegliare (in sorveglianza) al gatto, ovvero andare nella bocca del lupo, fidarsi di chi è inaffidabile.
  • fé set pass an 's na pianela letteralmente: fare sette passi su di una mattonella (per ogni mattonella del pavimento), ovvero procedere con lentezza esasperante, non sbrigarsi a fare qualcosa. Ha un senso di disapprovazione, sottolinea una lentezza esagerata.
  • butésse j'òss a baron letteralmente: mettersi le ossa a mucchio, ovvero ammazzarsi di lavoro. Da notare che "a baron" vuole anche dire "in malora".
  • conté dla rava e dla fava letteralmente: raccontare della rapa e della fava, ovvero chiacchierare del più e del meno, fare chiacchiere senza venire al dunque.
  • fésse brusé j'euj con le siole dj'àotri letteralmente: farsi bruciare gli occhi con le cipolle degli altri, ovvero prendersi impicci non dovuti, andarci di mezzo in grane altrui.
  • avèj trovà la smens dij gratacuj letteralmente: aver trovato i semi della rosa canina (gratta-culo in piemontese), resa in italiano con aver scoperto l'acqua calda.
  • avèj batù (la testa) (da cit) an s'na pera bleuva letteralmente: aver battuto (la testa (da piccolo) su una pietra blu. (in piemontese il blu ha un femminile), ovvero essere fuori di testa, essere scemo.
  • capon che a veul canté da gal letteralmente: cappone che vuole cantare da gallo, ovvero presuntuoso.
  • arsèive un servissial letteralmente: ricevere un clistere, ovvero essere ingannato.
  • avej tranta dolor e na sfita letteralmente: avere trenta dolori e una fitta, ovvero essere pieno di malanni. Detto in tono canzonatorio di chi si lamenta sempre per i suoi acciacchi.
  • tiré dë sfris letteralmente: tirare di sfregio, ovvero satireggiare.