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Il caso vocativo (dal verbo vocare: «chiamare, rivolgersi a») indica la persona o la cosa cui si rivolge un discorso diretto.

Morfologicamente è identico al nominativo, eccezion fatta per il singolare dei nomi in -us della 2^ declinazione che al vocativo presentano la desinenza -e; di conseguenza, il nominativo, accusativo e vocativo dei nomi neutri sono omografi.

In genere il vocativo è isolato dal resto della frase con l'apposizione di una o più virgole; può essere introdotto da interiezioni come o, heu, heus, eheu, pro, io, etc., che non raramente possono introdurre un accusativo esclamativo (O me miserum!: «Oh me infelice!»).

Gli attributi e le apposizioni, riferite al nome in caso vocativo, generalmente concordano in numero, genere e caso. Così, ad esempio:

Ave, Maxime, prime meorum propinquorum.: «Salute, o Massimo, primo dei miei parenti».

Osservazioni

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  • Il sostantivo populus (singolare collettivo) difetta di vocativo; al suo posto si utilizzano vocativi plurali come cives, homines, Quirites, etc.
  • In poesia e in latino arcaico non sono rari i nominativi utilizzati al posto di vocativi.
[...] Equitem Messapus in armis, / et cum fratre, Coras, latis diffundite campis. (Virgilio, Eneide XI, vv. 464–65)