Pensare Maimonide/Shekhinah

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Shekhinah, Kavod e Luce Creata nei testi rabbinici
Shekhinah, Kavod e Luce Creata nei testi rabbinici

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Il termine shekhinah viene usato ampiamente nei testi rabbinici e anche il più breve degli studi ci porterebbe troppo lontano. Ephraim Urbach scrive: "Possiamo riassumere come segue: Nella letteratura tannaitica il termine shekhinah è usato quando la manifestazione del Signore e la Sua vicinanza all'uomo vengono descritte".[1] Sulla letteratura rabbinica nel suo complesso, Urbach scrive: "Un esame di tutti i passi che si riferiscono alla shekhinah non lascia dubbi che la shekhinah non è "ipostasi" e non ha un'esistenza separata insieme alla Divinità" e "Il concetto di shekhinah non mira a risolvere la questione della quiddità di Dio, ma di dar espressione alla Sua presenza nel mondo e la Sua vicinanza all'uomo, senza, allo stesso tempo, distruggere il senso di distanza."[2]

Nel modo in cui veniva usata nella letteratura rabbinica, shekhinah potrebbe non essere un'ipostasi nel senso neoplatonico del termine, ma non c'è ragione di dubitare che molte fonti rabbiniche attestino un'interpretazione di shekhinah come fenomeno che può essere collocato in luoghi specifici in tempi specifici.[3]

Mentre il termine kavod, in contrapposizione a shekhinah, non figura prominentemente in halakhah e aggadah rabbiniche, viene riscontrato però in passi cruciali di un altro tipo di letteratura creata dai rabbini, cioè la preghiera. Ciò non dovrebbe sorprenderci — dopo tutto, innumerevoli preghiere sono prese da testi biblici. Ciononostante, l'uso di kavod (nel senso discusso in questo capitolo, e non semplicemente nel senso di "onore") in così tanti punti che furono destinati a diventare centrali nella liturgia, indica l'importanza del concetto nella visione universale dell'ebraismo rabbinico.[4]

I succitati passi da Isaia e da Ezechiele si presentano insieme in uno dei testi centrali della liturgia ebraica, la Qedushah.[5] Qui appresso riporto una semplice traduzione (libera) di parte della Qedushah come si trova nell'ordine di preghiera di Maimonide:[6]

« Noi santifichiamo e veneriamo e moltiplichiamo la Tua santità per tre volte, secondo le parole pronunciate dal Tuo profeta: "Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena del Suo kavod" (Isaia 6:3). Il Suo kavod e la sua grandezza riempiono tutta la terra ed i Suoi ministri chiedono, "Dov'è il luogo del Suo kavod?" onde poter venerarLo. Lodando si dicono l'un l'altro: "Benedetto il kavod del Signore dal luogo della sua dimora!" (Ezechiele 3:12) »

Abbiamo quindi una preghiera, le cui versioni vengono recitate tre volte durante ogni servizio mattutino, una preghiera che è servita da base per innumerevoli inni sinagogali (piyutim),[7] preghiera alla quale viene data un'importanza speciale nel modo in cui è recitata durante la ripetizione dell'Amidah. La preghiera è enfatica per il suo concentrarsi su kavod.

La Qedushah potrebbe o meno essere stata composta da rabbini talmudici, ma venne certamente apprezzata dagli autori dei testi Heikhalot e trovò il suo collocamento prominente nella liturgia del periodo geonico. Maimonide attribuì la sua origine ai rabbini del Talmud.[8]

Ovviamente, è possibile leggere ciascun riferimento rabbinico alla shekhinah in termini metaforici, cosa invece più difficile da fare per l'uso del termine kavod nei testi Heikhalot. Rachel Elior riassume la questione come segue:

« Il termine kavod ha vari significati nella letteratura heikhalot; in merito alle caratteristiche del Divino, kavod è il nome generico dei mondi celesti senza paralleli nel reame terreno, per la relazione fissa tra Dio e le corti celesti, tra incoronato e trono. Come per il suo significato biblico, kavod nel misticismo hekhalot è un aspetto di Dio con una dimensione visiva, la gerarchia figurativa dei cieli accessibile ad essere osservata dai mistici hekhalot.[9] »

Kavod è quindi qualcosa di visibile; come tale, il termine deve riferirsi a qualcosa di collocabile nello spazio e nel tempo, qualcosa che può essere percepito dai sensi umani.

  Per approfondire, vedi Essenza trascendente della santità, Guida maimonidea e Torah per sempre.

Note modifica

  1. E. Urbach, Sages, i., 43. Ulteriormente su kavod e shekhinah nella letteratura rabbinica, si veda Abelson, The Immanence of God (molto criticato da Urbach); Fishbane, "The Measures of God's Glory"; E.R. Wolfson, Through a Speculum that Shines, 43-9; infine Schwarzschild, "Shekinah and Eschatology". Schwarzschild fornisce un riassunto molto utile (e una critica) della letteratura precedente in materia.
  2. Sages, cit., 63, 65. Gershom Scholem tuttavia vede la nozione di shekhinah come si avvicinasse all'ipostatizzazione. Cfr. Scholem, On the Mystical Shape of the Godhead, 147-8. Per una critica del tentativo di Scholem di fare una netta distinzione tra interpretazioni rabbiniche della shekhinah e quelle cabalistiche successive, cfgr. Idel, "Rabbinism versus Kabbalism".
  3. Si veda per es. Gen. Rabbah 19:7. Infatti, Alan Unterman inizia il suo articolo su Encyclopaedia Judaica Shekhinah con la seguente definizione del termine usato nella letteratura rabbinica: "Dio visto in termini spazio-temporali come presenza".
  4. Riconosco che non esiste veramente una "visione universale dell'ebraismo rabbinico". Ma ci scommetterei che Maimonide pensava invece che tale visione esistesse, e poiché questo breve studio dei testi rabbinici è inteso a servire da contesto a Maimonide, e non da esame dell'ebraismo rabbinico, lasciamo che il termine sussista.
  5. Le origini della preghiera Qedushah ("dossologia"), centro della recitazione pubblica nell'Amidah, si perdono nella notte dei tempi. La preghiera era certamente ben nota durante il periodo geonico e viene inclusa senza commento nell'ordine di preghiera di Maimonide alla fine del secondo volume della Mishneh Torah. Per un esame recente, si veda l'edizione di Raymond Scheindlin di Elbogin, Jewish Liturgy, 54-62. Per studi dettagliati della storia e cristallizzazione della preghiera, cfr. Bar-Ilan, "Major Trends" e Fleischer, "Kedushah of the Amidah". Fleischer conclude che l'inclusione della Qedushah nella liturgia fu una sistemazione dei rabbini a seguito delle richieste delle masse, che richiedevano tale inclusione. Sulla storia e significato della versione "keter" della Qedushah (ignorata comunque da Maimonide) si veda Bar-Ilan, "Idea of Crowning God". Per l'analisi di uno dei due versetti biblici che forma il nucleo della Qedesuhah (Isaia 6:3) e la sua importanza successiva, cfr. Weinfeld, "We Will Sanctify Your Name". Weinfeld conclude che "La liturgia kedushah è quindi basata sulla concezione che i membri della congregazione terrena possono unirsi agli angeli negli inni di lode e cantare «insieme» in un coro di lodi a Dio" (p. 76).
  6. Secondo il MS Oxford Huntington e non le versioni stampate.
  7. Sui tipi di piyutim kedushta e yotser, si veda Weinberger, Jewish Hymnography, 50-8.
  8. Esiste un'altra frase ben nota nella liturgia che bisogna citare qui: è la lode barukh shem kevod malkhuto le’olam va’ed ("che sia benedetto il nome della Sua gloriosa Sovranità ora e sempre"), inserita nella recitazione dello Shema dopo il primo versetto (Deut. 6:4), La parola kavod qui tuttavia è nella condizione di costrutto e chiaramente modifica la parola successiva; per cui la rispettiva traduzione. Questo fatto linguistico prosaico non impedì a molti ebrei di leggere tale passo in modi creativi (e fantasiosi). Tra gli studi di questa frase si vedano Fleischer, "Towards a Clarification"; M. Kasher, "Meaning of the Phrase"; Y. Urbach, "Concerning the Secret" (studio idiosincratico, ma che cita molte fonti utili); Elbogin, Jewsh Liturgy, 21-4, 80, 376-7; Kimelman, "Shema Liturgy", 97-103. La nostra frase giocò un ruolo estremamente non-maimonideo in certi testi Heikhalot; cfr. Groezinger, "Names of God", 57: "La distinzione e autonomia del concetto onomatologico diventa particolarmente chiaro dove i nomi stessi appaiono nei testi come esseri viventi, potenti, magnifici e venerabili, a cui viene data venerazione e lode come ad un dio personale, particolarmente mediante la rinomata formula: Narukh shem kevod malkhuto". Secondo questa opinione, la frase significa: "Sia benedetto il nome Kavod" — non è più Dio che viene benedetto dopo la recitazione del primo versetto dello Shema (Deut. 6:4), ma il nome di Dio. Attribuire uno status indipendente al nome di Dio viola una quantità di restrizioni maimonidee.
  9. Elior, "Concept of God", 110. Altri studi in merito all'uso di kavod nei testi Heikhalot includono Abrams, "Secret of Secrets"; Altmann, "Saadya's Theory of Revelation"; Dan, Esoteric Theology; E. R. Wolfson, "Theosophy of Shabbetai Donnolo". Sull'uso di kavod nella letteratura piyut, si veda E. Urbach (cur.), Sefer arugat habosem, i, 197-203.