Pensare Maimonide/Angeli Piyutim

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Angeli nei "Piyutim" (San Miniato al Monte, Firenze)
Angeli nei "Piyutim" (San Miniato al Monte, Firenze)

Angeli nei Piyutim modifica

Possiamo star certi che, se Maimonide avesse conosciuto Shalom aleikhem,[1] avrebbe rifiutato di recitare la terza strofa. Nel quinto dei suoi Tredici Principi, scrive:

« Il quinto fondamento è che Egli, che sia glorificato, è Colui che è giusto adorare e lodare; e che è inoltre giusto promulgare lodi di Lui e obbedienza a Lui. Ciò non può esser fatto per qualsiasi altro essere al di fuori di Lui nella realtà, tra gli angeli, le sfere, gli elementi e ciò che li compone, poiché tutti questi hanno le loro attività impresse su di loro. Essi non hanno altro destino [loro proprio] né radicamento [della loro propria realtà] oltre al Suo amore, che Egli possa essere glorificato, [per loro]. Inoltre non usare intermediari per raggiungerLo ma dirigi i tuoi pensieri verso di Lui, che Egli sia lodato, ed evita ciò che non Lo riguarda. Questo quinto fondamento è la proibizione contro l'idolatria e ci sono molti versetti nella Torah che la proibisce.[2] »

Gli studiosi moderni evidenziano una contraddizione apparente tra il quinto principio di fede maimonideo e la pratica generale di rivolgersi agli angeli in preghiera e la terza strofa di Shalom aleikhem in particolare.[3] In verità, data la prominenza degli angeli nella Torah e specialmente nella letteratura rabbinica, è sorprendente quanto poco sia criticato Maimonide per la sua dichiarazione nel quinto principio.

Tuttavia, rivolgersi agli angeli in preghiera (o finanche menzionarli in preghiera)[4] non è qui il vero problema. Uno può considerare gli angeli come oggetto di preghiera se uno crede che esistano come entità volitive con poteri indipendenti. Vedremo in seguito come Maimonide disputi fortemente questo concetto di angeli.[5]

  Per approfondire, vedi Guida maimonidea e La dimensione artistica e cosmologica della Mishneh Torah.

Note modifica

  1. L'inno, già discusso nel precedente capitolo, fa parte dei piyutim, al singolare piyut o piyyut (plur. appunto piyutim o piyyutim, ebr. פּיּוּטִים / פיוטים ,פּיּוּטִ / פיוט - piˈjut, pijuˈtim - dal greco ποιητής poiétḗs "poeta") è una poesia liturgica ebraica, usualmente scritta per esser cantata, cantilenata o recitata durante funzioni religiose ebraiche. I piyyutim sono stati scritti sin dall'epoca del Tempio di Gerusalemme. La maggior parte dei piyyutim sono in ebraico o aramaico e quasi tutti seguono un qualche tipo di schema poetico, come un acrostico secondo l'alfabeto ebraico o con le iniziali del nome dell'autore.Cfr. D. Goldschmidt, "Machzor for Rosh Hashana", p.xxxi, Leo Baeck Institute, 1970.
  2. Dalla traduzione di Blumenthal, Commentary, 107. La "versione breve" del quinto principio: "Credo con fede assoluta che il Creatore, sia benedetto il Suo Nome, è il solo a cui è giusto pregare, e che non è giusto pregare ad altri che a Lui" (Pirush Hamishnayot, Cap. 10).
  3. Si veda, int. al., Shapiro, "Last Word", 195-6 e id., Limits of Orthodox Theology, 78-86.
  4. Come nella prima benedizione prima di recitare lo Shema.
  5. Ulteriormente sugli angeli nei piyutim, si veda Dana, "Reference to Angels"; a p. 76 Dan discute sulle descrizioni antropomorfiche degli angeli nella poesia sinagogale di Moses ibn Ezra. Sugli angeli nella liturgia in generale, cfr. Elbogin, Jewish Liturgy, 19, 55-60 e 287-91.