Pensare Maimonide/Maimonide e Shekhinah

Indice del libro
Guida dei perplessi (in ebraico: מורה נבוכים, traslitt. in ebraico: Moreh Nevukhim, arabo traslitt. delāla elḥā'irīn דלאל̈ה אלחאירין in arabo: دلالة الحائرين‎) – manoscritto yemenita, ca. XIII-XIV secolo

Maimonide e la Shekhinah nella Guida dei perplessi

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Passando ora alla Shekhinah, troviamo il termine menzionato per la prima volta nella Guida (i.10; pp. 35-7)[1] in connessione con una discussione del termine yarod (discesa), termine che può significare "uno stato inferiore di speculazione; quando un uomo dirige i suoi pensieri verso un oggetto molto inferiore". Ma, Dato la bassa condizione degli esseri umani, discesa può significare anche

« un traboccamento di ispirazione profetica, la discesa dell'ispirazione profetica sul profeta o la discesa della shekhinah[2] in un certo luogo era definito con discesa; mentre la rimozione di questa condizione profetica da un particolare individuo or la cessazione della shekhinah era definita ascesa. In ogni caso dove trovi i termini discesa e ascesa attribuiti al Creatore, che Egli sia lodato, viene inteso quest'ultimo significato. »

In ogni caso, cioè, in cui si dice che la shekhinah sia discesa, il vero significato è che un incontro profetico ha avuto luogo.[3] L'analisi di Maimonide sulla profezia si concentra interamente sull’"ascesa" del profeta. Pertanto, dire che la shekhinah riposa su un profeta, o discende su un profeta, non dice nulla sul "movimento" da parte di Dio o della shekhinah e molto invece sul movimento morale e spirituale/intellettuale da parte del profeta.

Tanto per la discesa, quanto per l'ascesa:

« Quando, d'altra parte, la Scrittura dice "E Mosè salì verso Dio" (Esodo 19:3), s'intende il terzo significato del termine [ascendere];[4] ciò in aggiunta al fatto che [Mosè] ascese verso la cima della montagna[5] su cui era discesa la luce creata. Il versetto non significa che Dio, che Egli sia glorificato, ha un posto su cui si possa ascendere o da cui si possa discendere; Egli è esaltato molto in alto oltre l'immaginazione degli ignoranti. »

Proprio come Dio (e la shekhinah e la luce creata di Dio) non discende realmente, così nessuno ascende realmente a Dio.

In Guida i.21 (pp. 47-51), come abbiamo visto supra, Maimonide discute l'interpretazione di Onkelos, alla quale concede la sua approvazione. In quel capitolo presenta anche una quantità di punti che sono importanti per i nostri scopi correnti. Scrive che il termine "passare" (avor) "venne usato figurativamente a significare la discesa della luce e della shekhinah viste dai profeti nella visione di profezia". Un modo ragionevole di interpretare questa asserzione è che, perlomeno in un dato contesto, i termini shekhinah e luce puntano alla stessa cosa. Questa è un'asserzione per la quale prova sufficiente verrà fornita da altri passi; più importante, apprendiamo qui che la shekhinah e la luce, quando vengono "viste" dai profeti, sono viste in una "visione di profezia". Esamineremo di seguito ciò che Maimonide intende con "visione di profezia".

Il termine "venire" (bo) è discusso in Guida i.22 (pp. 51-2). Di questo termine, Maimonide dice che

« è usato anche figurativamente a denotare la venuta di qualcosa che non è per nulla corporeo... Poiché il termine è stato quindi attribuito figurativamente a ciò che non è affatto un corpo, venne attribuito figurativamente anche al Creatore, che Egli sia onorato e magnificato, sia per la discesa del Suo decreto sia per quella della Sua shekhinah. È in considerazione di questo uso figurativo che è detto: "Ecco, io sto per venire verso di te in una densa nube" (Esodo 19:9); "poiché per essa è entrato il Signore, Dio di Israele" (Ezechiele 44:2). Tutti i passi simili a questi significano la discesa della shekhinah»

La shekhinah, come Dio, discende, ma solo figurativamente. Proprio come Dio non viene veramente in una densa nube, così anche la shekhinah di Dio non discende veramente, o ascende, o si muove. Tutte queste espressioni devono essere comprese come termini figurativi, esempi della Torah che adotta un linguaggio umano.[6]

Proprio come il venire di Dio è figurativo, così è anche il Suo andare, come apprendiamo in Guida i.23 (pp. 52-3): "Dice conseguentemente, «Io me ne andrò e tornerò al mio luogo» (Osea 5:15), il cui significato è che la shekhinah che era stata tra noi se n'è andata. Questa rimozione viene seguita dalla privazione di provvidenza, per quanto ci riguarda." Dire che la shekhinah di Dio è stata rimossa è un altro modo di dire, perlomeno in certi contesti, che la cura provvidenziale di Dio è stata ritirata. Ma la provvidenza, come Maimonide ci tiene ad osservare, dipende dalla perfezione intellettuale.[7] La rimozione della provvidenza (= rimozione della shekhinah) significa che il vincolo intellettuale con Dio si è indebolito. In altre parole, la rimozione della shekhinah è il nome dato in conseguenza del concentrare la propria mente su ciò che non è Dio. È interamente una conseguenza di ciò che fanno gli esseri umani e non implica assolutamente nulla riguardo a Dio o a presunti "movimenti" divini".

Non sorprende che la discussione più estesa della shekhinah da parte di Maimonide sia nel capitolo dedicato al termine shakhon (Guida i.25; p. 55):

« È noto che il significato di questo verbo è dimorare... Questo verbo viene applicato anche figurativamente a cose che non sono esseri viventi e invero a tutto ciò che è permanente e attaccato ad un altro essere... È in merito a quest'ultimo senso figurativo che il verbo viene attribuito figurativamente a Dio, che Egli sia glorificato — intendo alla permanenza della Sua Shekhinah o la Sua provvidenza in qualsiasi luogo posso sussistere in maniera permanente o verso qualsiasi materia la provvidenza possa essere diretta permanentemente.[8] Pertanto è detto: "E il kavod del Signore venne a dimorare" (Esodo 24:16); "E dimorerò in mezzo ai figli d'Israele" (Esodo 29:45); "E il favore di Colui che dimorava nel roveto" (Deut. 33:16)). In ciascun caso in cui ciò ricorre con riferimento a Dio, viene usato nel senso della permanenza della Sua Shekhinah – intendo la Sua luce creata – in un luogo, o la permanenza della provvidenza rispetto ad una data faccenda. Ciascun passo deve essere compreso secondo il suo contesto. »

Una quantità di punti estremamente indicativi vengono presentati in questo paragrafo. Una delle connotazioni importanti del termine shakhon è permanenza. Collegare tale aspetto del termine alla nozione di provvidenza (e qui, di nuovo e più chiaramente dell'ultimo passo, Maimonide rende shekhinah un termine figurativo che sta per provvidenza divina) dà l'impressione che Maimonide stia alludendo qui alla nozione aristotelica di provvidenza, secondo cui provvidenza è un altro modo di dire che la natura è permanente e le forme naturali non sono soggette a ciò che oggi chiameremmo cambiamento evolutivo, per non dire estinzione.[9] Maimonide rende inoltre chiaro qui che i tre termini, shekhinah, kavod e luce creata sono sinonimi, o possono comunque essere usati intercambiabilmente, se il contesto lo permette.

Secondo Maimonide, Dio è trscendente, interamente e totalmente diverso da qualsiasi cosa nel cosmo creato. Ma in linea di principio, Egli è accessibile in certi sensi a quegli esseri umani che fanno lo sforzo eroico di ascendere, per così dire, verso la Sua direzione. La Torah esprime la possibilità di questa ascesa parlando figurativamente della shekhinah, kavod e luce creata di Dio. Questi termini sono meglio compresi come modi di dire, rendendo nota la possibilità che gli esseri umani possono avvicinarsi a Dio. Dicono molto degli esseri umani, ma dicono quasi nulla di Dio. Questo è il messaggio dei testi che abbiamo studiato fin qui, specialmente qui in Guida i.25.

Quasi a confermarlo, Maimonide scrive proprio nel successivo capitolo (i.26; pp. 56-7):

« Tu conosci il loro dictum che si riferisce in maniera inclusiva a tutti i tipi di interpretazione collegati a questa materia, cioè il loro detto: "La Torah parla nel linguaggio dei figli dell'uomo". Il significato di questo è che tutto ciò che tutti gli uomini sono capaci di comprendere e rappresentare a se stessi di primo acchito è stato attribuito a Lui come appartenesse a Dio, che Egli sia lodato... In modo simile Gli si attribuisce tutto ciò che in nostra opinione è una perfezione onde poter indicare che Egli è perfetto in ciascuna maniera di perfezione e che non Lo guasta nessuna carenza... Tutti questi termini indicativi di vari tipi di movimento di esseri viventi sono attribuiti a Dio, che Egli sia glorificato, nel modo di cui abbiamo parlato... Non c'è dubbio che quando viene abolita la corporeità, tutti questi predicati vengono aboliti di conseguenza. Intendo tali termini come discendere, ascendere, star dritto, stare in piedi, andare intorno, dimorare, andar fuori, venire, passare e termini tangibile. simili a questi.[10] »

Quando attribuito a Dio, o al kavod di Dio, o alla shekhinah di Dio, o alla lucea creata di Dio, tutti i termini che si riferiscono a movimento o posizione devono essere aboliti, per quanto riguarda il loro senso letterale. In effetti, questi termini non dicono nulla di Dio, ma molto del modo in cui noi, quali esseri umani, parliamo in connessione con Dio. Questo paragrafo, dobbiamo notare ulteriormente, conferma le mie succitate affermazioni riguardo alla posizione di Maimonide riguardo all'interpretazione di questi termini da parte di Onkelos. Quando interpretati correttamente, questi termini non denotano (nonostante Onkelos) entità veramente percepite nel "mondo reale"; sono modi di dire, usati per trasmettere un'idea in maniera tangibile.

Tuttavia l'interpretazione di Onkelos, sebbene non giusta, non è da biasimare, come indica Maimonide nel seguente capitolo (i.27; pp. 579):

« Onqelos il Proselita era molto perfetto nelle lingue ebraica e siriana e diresse i suoi sforzi verso l'abolizione della credenza nella corporeità di Dio. Pertanto egli interpreta secondo il suo significato ogni attributo che la Scrittura attribuisce a Dio e che possa portare verso la credenza nella corporeità. Quindi, ogniqualvolta egli incontra uno dei termini indicativi di uno dei tipi di moto, egli rende il moto a significare la manifestazione e apparizione di una luce creata, intendo la shekhinah o l'azione della provvidenza. »

Piuttosto che attribuire movimento a Dio, Onkelos crea espressioni che sembrano indicare che tale movimento significhi "la manifestazione e apparizione di una luce creata, intendo la shekhinah o l'azione della provvidenza". Per Onkelos,se non per Maimonide, le luci create sono veramente viste dall'occhio umano, la presenza della shekhinah è percepita in qualche modo. Ma Dio non viene visto, né è Egli presente in una qualsiasi maniera. In questo passo Maimonide inoltre fa un'importante equivalenza: luce creata = shekhinah = provvidenza.

In Guida i.28 (pp. 59-60), come abbiamo visto sopra, Maimonide fa un'altra equivalenza: kavod = shekhinah = luce creata. Combinando queste due equivalenze, otteniamo: kavod = shekhinah = luce creata = provvidenza. Vengono usati quattro termini differenti, a seconda del contesto, per indicare un unico concetto: il modo in cui noi comprendiamo l'interazione di Dio con il cosmo.


  Per approfondire, vedi Essenza trascendente della santità, Guida maimonidea e Torah per sempre.
  1. In Guida i.5 (p. 30), Maimonide fa riferimento alla "santa presenza divina" di Dio come qualcosa che può essere appresa (cioè compresa) dopo molte preparazioni. Ma in questo passo egli non usa né Shekhinah in ebraico né sakinah in arabo. Piuttosto, dice: al-ḥaḍrah al-qadisiyah al-ilahiyah. I traduttori non sono affatto unanimi su come interpretare questa espressione. Friedlaender segue Ibn Tibbon, che riporta hamaḥaneh hakadosh ha’elohi. Al-Harizi, seguito da Kafih, ha hama’amad hakadosh ha’elohi. Schwartz è d'accordo con Pines e traduce: lehabit banokheḥut hakedoshah ha’elohit.
  2. Arabo sakinah; Pines lo traduce con "permanenza".
  3. Si confronti Guida ii.42 (pp. 389-90) su shekhinah come termine di profezia.
  4. Pines spiega in una nota che questo terzo significato denota "la direzione del pensiero verso un oggetto eccelso".
  5. Giosuè 15:8; Maimonide sembra qui fare semplice uso dell'espressione, senza voler interpretare il versetto in Giosuè o finanche farci riferimento.
  6. In Guida i.26 (citato appresso) Maimonide menzione il dictum rabbinico "la Torah parla nel linguaggio dei figli dell'uomo". Su questa espressione di Maimonide, si veda Nuriel, "Torah Speaks in the Language of Man", 93-9. Sulla nozione dell'adattamento alla debolezza umana che vi si implica, si veda Funkenstein, "Scripture Speaks the Language of Man" e Benin, Footprints of God. Per l'uso di questa espressione nel Talmud, si veda Harris, How Do We Know This?, 33-43.
  7. Guida iii.17 ((pp. 471-2).
  8. Corsivo aggiunto; il significato di questo commento verrà spiegato in seguito.
  9. Ciò verrà speigato in seguito nel capitolo.
  10. Corsivo aggiunto.