Alla ricerca di Marcel Proust/Capitolo 30

Ingrandisci
Marcel Proust (au 2e rang, 1er à gauche) en 1888, sur une photographie de classe. Au dessus de lui : Raoul Versini ; au 1er rang, 3ème à gauche : David David-Weill ; professeur : Alphonse Darlu. Classe de rhétorique au lycée Condorcet à Paris. Photographie attribuée à Pierre Petit, photographe attitré du lycée Condorcet à cette époque.
Indice del libro

Traduzioni

modifica
  Per approfondire su Wikipedia, vedi le voci Luoghi di Marcel Proust, Personaggi di Alla ricerca del tempo perduto, Del piacere di leggere e Marcel Proust e i segni.

Nel 1929 E. M. Forster espresse una debole riserva sulla "monumentale traduzione" fatta da C. K. Scott Moncrieff dei primi cinque volumi di À la recherche du temps perdu in questi termini: "I was hoping to find Proust easier in English than in French, and do not. All the difficulties of the original are here faithfully reproduced".[1] Nel 1981, anno della pubblicazione della sua revisione dell'opera di Scott Moncrieff, Terence Kilmartin citò "the story that discerning Frenchmen preferred to read Marcel Proust in English on the grounds that the prose of À la recherche du temps perdu was deeply un-French and heavily influenced by writers such as Ruskin".[2]

 
E. M. Forster nel 1917

Le aspettative mitiche si incontrano per oltre cinquant'anni. Forster sperava, o fingeva di sperare, esattamente ciò che i francesi perspicaci sostenevano di trovare, ed entrambe le parti non solo sposavano una teoria della traduzione come chiarimento, ma rafforzavano involontariamente l'affermazione di Proust secondo cui "ogni artista sembra... essere nativo di un paese sconosciuto" (5: 290; iii, 761).[3] Nella visione e nella pratica proustiana, l'artista incontra il lettore su questo terreno, dove entrambi possono essere estranei a se stessi ("l’ouvrage de l'écrivain n’est qu'une espèce d’instrument optique qu’il offre au lecteur afin de lui permettre de discerner ce que sans ce livre il n’eût peut-être pas vu en soi-même", iv, 489–90);[4] i miti sostituiscono il paese sconosciuto con il desiderio di un paese conosciuto, certamente straniero ma almeno in contatto con uno spirito nazionale in un modo che il testo vero e proprio non lo è.

Molte domande sulla scrittura e sulla traduzione si affollano qui; su cosa costituisca fallimento e successo in entrambi i reami. Scott Moncrieff aggiunge le sue proprie parole e frasi alle sue versioni delle frasi di Proust, cambia metafore, inserisce allusioni e si abbandona a molte variazioni eleganti, così che per disait, ad esempio, scriverà ‘remarked’, ‘began’, ‘murmured’, ‘assured them’ ecc.[5] È per questo che i francesi perspicaci sono contenti di quest'opera in traduzione? Allora come potrebbe Forster trovarla fedele "to all the difficulties of the original"? Entrambe le percezioni potrebbero essere giuste in qualche modo? Potrebbero facilmente essere entrambe sbagliate, ma il mio suggerimento è che i francesi hanno ragione per metà e che Forster, se gli concediamo un po' di margine di esagerazione, ha quasi del tutto ragione. Scott Moncrieff fece suoi i testi di Proust e, per molti versi, come hanno detto i critici, tese “to the purple and the precious”, laddove lo stile di Proust è “quite free of preciosity, archaism or self-conscious elegance”.[6] Ma non rese Proust più semplice o meno straniero, lo spostò in un secondo paese sconosciuto, nell’artificioso e decadente mondo di lingua inglese che scoprì quando guardò così a lungo e con tanto affetto attraverso lo strumento ottico di Proust.

Le traduzioni di Scott Moncrieff iniziarono con Swann’s Way, che apparve nel 1922, l’anno della morte di Proust, quando tre volumi dell’intero romanzo dovevano ancora essere pubblicati in francese. Within a Budding Grove (1924), The Guermantes Way (1925), Cities of the Plain (1927), The Captive (1929) e The Sweet Cheat Gone (1930) seguirono in ordine regolare. Il traduttore morì nel 1930 e l’ultimo volume di À la recherche fu tradotto in Inghilterra (come Time Regained, 1931) da Sydney Schiff, che scrisse sotto lo pseudonimo di Stephen Hudson, e in America (come The Past Recaptured, 1932) da Frederick A. Blossom. Una versione successiva (1970) di Andreas Mayor finì per essere considerata il completamento dell’opera di Scott Moncrieff.

Quest'opera, in varie edizioni, fu molto letta e ammirata "almost as a masterpiece in it own right", come disse cautamente Kilmartin.[7] Ancora nel 1958 Pamela Hansford Johnson, autrice di una serie di brillanti "reconstructions" di Proust, la chiamava ancora un "miracolo".[8] Ha i suoi accaniti difensori anche oggi, ma l'attrattiva di una nuova traduzione è cresciuta nel tempo, in gran parte perché l'affermazione che Scott Moncrieff appartenesse all'epoca di Proust e scrivesse nel suo idioma è diventata un peso piuttosto che una fonte di autorità. La lingua del traduttore, a quanto pare, era invecchiata in un modo in cui quella di Proust non lo era; o Scott Moncrieff apparteneva a un'epoca appena precedente a quella di Proust, come spesso i traduttori precedono stilisticamente le loro fonti, o Proust apparteneva a un'epoca sconosciuta, proprio come era nativo di un paese sconosciuto. Shirley Hazzard offre un ottimo resoconto di questa situazione e di questo stato d'animo mutevole.[9]

La prima grande risposta all'idea di una nuova traduzione fu la "rielaborazione" di Kilmartin, come la definì lui, della versione di Scott Moncrieff (e di Mayor). C'era "the need to revise the existing translation" perché si basava su un'edizione francese "notoriously imperfect". I lettori anglofoni avrebbero dovuto avere un testo che corrispondesse al primo testo accademico della Pléiade di À la recherche (1954). Questa necessità "also provided an opportunity of correcting mistakes and misinterpretations in Scott Moncrieff’s version".[10] La stessa necessità, e un'opportunità simile, sorsero con la pubblicazione della seconda edizione della Pléiade del romanzo in francese (1987-9), e D. J. Enright, che aveva lavorato con Kilmartin alla sua rielaborazione, ora revisionò la revisione per una traduzione chiamata infine In Search of Lost Time (1992). Kilmartin era morto nel 1991.

L'ultimo cambio di titolo era stato voluto da Kilmartin nel 1981, ma aveva ceduto al desiderio dell'editore di mantenere quello vecchio. Le due opzioni in sé definiscono in miniatura molti aspetti del dibattito sulla traduzione di Proust. Remembrance of Things Past è allusivo, letterario, evocativo. Pone Proust nella migliore compagnia (shakespeariana) — il riferimento è all'inizio del Sonetto 30:

« When to the sessions of sweet silent thought
I summon up remembrance of things past. »

Tuttavia, il titolo eloquente contraddice in realtà una delle principali affermazioni del romanzo di Proust: che ciò che evochiamo consapevolmente come ricordo non è memoria, solo una sorta di sostituzione mummificata di ciò che è andato. In Search of Lost Time è letterale e funzionale, ma non può fare nulla riguardo al doppio significato di perdu, e perde l'aspetto leggermente tecnico della ricerca in recherche. "Search" a suo modo è romantico quanto il ricordo, e non sono sicuro che lost time significhi qualcosa se non è anche percepito come sprecato, bisognoso di redenzione.

Kilmartin è meno cortese nei confronti della versione di Scott Moncrieff nel suo saggio su Grand Street che nella sua "Note on the Translation". Elenca una serie di errori nell'opera di Scott Moncrieff e ci ricorda che il francese del traduttore era "far from perfect", come possiamo vedere dalla meravigliosa interpretazione da scolaretto di "Il y a combien de temps" ("how long ago"), come "how many times". Tuttavia, afferma ancora che "it is extraordinary how successful Scott Moncrieff was". "It is when one considers the alternatives that one warms to Scott Moncrieff’s inventions".[11] Come osserva giustamente Kilmartin, "it is only too easy for the latecomer to assume the beau rôle"[12] — in effetti, alla luce di molti casi molto diversi, traduzioni di Rilke ad esempio, può sembrare che il tardivo beau rôle sia quasi irresistibile per la maggior parte delle persone.

Non è il ruolo assunto da Christopher Prendergast e dal suo team di traduttori per la nuova versione del 2002, ed è interessante vedere quanto Prendergast sia vicino a Kilmartin. Se lo stile di Proust per Kilmartin è "‘essentially natural and unaffected", per Prendergast è una "robustly hewn form of writing".[13] Il bersaglio in entrambe queste frasi è il Proust decadente che emerge nella versione fiorita e non rivista di Scott Moncrieff, "a purveyor of high-grade cultural narcotics", nelle parole di Prendergast.[14] C'è più della traduzione in gioco qui. L'obiezione è all'immagine del vecchio Proust dell'immaginazione inglese (e francese), devoto della religione dell'arte e un fermo seppur disperato credente nella redenzione, nel ritrovamento sicuro, per quanto tardivo, di ciò che è stato perduto. Questo quadro ha ricevuto un po' di botte nel corso degli anni, da Leo Bersani, Malcolm Bowie e dallo stesso Prendergast, e naturalmente tralascia e confonde troppo il risultato di Proust. Bisogna dire, però, come effettivamente affermano questi critici, che Proust stesso ha inventato il vecchio Proust, ed è stato il suo primo accolito per così dire; la bellezza della situazione critica è che ha anche inventato, e lo ha fatto fin dall'inizio, il nuovo, scettico Proust, l'ironico dubitante che ci permette di dare filo da torcere all'altro. Se persino lo scettico Proust possa essere esattamente definito "natural and unaffected" o se si attiene "robustly" alla sua scrittura è una questione per un'altra volta.[15]

Anche la traduzione di cui Prendergast è il curatore generale si chiama In Search of Lost Time, e i suoi singoli volumi hanno i seguenti nomi e traduttori: The Way by Swann’s (Lydia Davis); In the Shadow of Young Girls in Flower (James Grieve); The Guermantes Way (Mark Traherne); Sodom and Gomorrah (John Sturrock); The Prisoner (Carol Clark); The Fugitive (Peter Collier); Finding Time Again (Ian Patterson). Chiaramente queste versioni dialogano con (e talvolta sono identiche a) il testo di Scott Moncrieff/Kilmartin, ma sono un nuovo lavoro, non una sorta di revisione; e i diversi traduttori hanno preso diversi tipi di decisioni. L'intero set è stato attentamente modificato, cioè, ma non è standardizzato. È divertente immaginare le liti, che potrebbero forse essere un piccolo romanzo, che si celano dietro questa frase che ci dice che "if there are issues on which, in the interests of consistency, editorial intervention has been necessary to cut the Gordian knot of passionately held differences of philosophical outlook, there are other areas in which the intrinsically heterogeneous nature of a team-translation has been allowed to express itself more freely".[16]

Il suggerimento non è che questi diversi Proust inglesi si sommino a un quadro perfetto dello scrittore; piuttosto che il metodo in realtà moltiplica Proust in un modo interessante, riflette la sua molteplicità e la aggrava, "heightens the chances of bringing into focus the stylistic variety we encounter as we move from one volume to the next".[17]

"No one has monopoly powers over the ‘correct’", dice Prendergast, e il ricordarlo è utile in più di un modo.[18] In un primo senso significa che tutti possono commettere errori, e anche la nuova traduzione ha qualche errore suo proprio. C'è la traduzione di "laque" come lago anziché lacca; l'apparizione di un occultista al posto di un oculista (questo è probabilmente il contributo non corretto di un programma di controllo ortografico piuttosto che di un agente umano).[19] C'è un salutare promemoria che è sempre possibile non solo perdere il significato di Proust ma invertirlo: "the death which is said in French to take up early residence with a dying person arrives late in English".[20]

Il secondo senso della proposizione di Prendergast assume tuttavia la sua piena forza se diamo per scontata un'accuratezza basilare, o almeno siamo felici di continuare a trattarla caso per caso. La nozione di fedeltà ha perseguitato la traduzione fin dall'antichità, e certamente significa più della correttezza: è difficile invocare l'infedeltà come virtù (Umberto Eco e il suo "traduttori traditori"). Ma ha l'immenso svantaggio di presumere l'esistenza di un testo originale stazionario, sempre fedele a se stesso. Versioni diverse, in questa visione, si avvicinerebbero o meno al modello, il sogno della perfezione è una traduzione proprio come la sua fonte, nello spirito della mappa dell'universo di Borges che ha le stesse dimensioni dell'universo. Ma il testo originale di qualsiasi opera che conta cambia nel tempo. Crea nuove letture, che a loro volta alterano il testo stesso, rendono non disponibili vecchie semplificazioni, chiudono strade di interpretazione che sono diventate corte o strette o troppo ospitali per il traffico poco raccomandabile, e ne aprono di più lunghe, ampie e gentili. Anche i lettori cambiano nel tempo, portano la loro storia nel testo, che risponde a quella nuova storia, a quel nuovo contesto. Le parole di Proust rimangono, immutabili ora anche se lui ha continuato a cambiarle fino alla morte; la sceneggiatura è inalterabile, come dice il prete a Josef K in Il processo; ma i significati, entro certi limiti grammaticali e lessicali, sono vivi e variabili, la differenza di interpretazione è infinita in un certo senso perché le parole sono le stesse.

Pertanto, nel confrontare le traduzioni, non stiamo pensando – o non dovremmo pensare – al miglioramento o a chi sta vincendo una qualche competizione. L'altrimenti impeccabile Shirley Hazzard si sbagliava di grosso quando diceva che la traduzione di Proust fatta da Scott Moncrieff poteva essere contestata solo se fosse "conspicuously bettered".[21] Ogni traduzione ha il suo modo di accordatura e una volta che siamo oltre gli errori grossolani, possiamo giungere alle nostre conclusioni sulla relativa musica. Potremmo preferire la schiettezza della nuova versione, come io preferisco, ma tale preferenza può essere a sua volta interpretata. E persino all'interno di tale preferenza potremmo pensare che "till the cows come home" di Patterson[22] sia un po' troppo gergale per à perte de vue (iv, 461), anche se "until the crack of doom" di Kilmartin/Enright (6: 237) (o in effetti "till doomsday" di Scott Moncrieff) sembra piuttosto violento.[23] Potremmo pensare che i termini letterali "abdication" e "renunciation" (6: 244; iv, 465) abbiano associazioni più lunghe e ricche di "surrendering of authority" e "withdrawal".[24] Potremmo persino apprezzare "You're as strong as the Pont Neuf" di Scott Moncrieff,[25] che senza dubbio si basa su un malinteso di una locuzione familiare (ii, 884), più dell'idiomatico "You're as sound as a bell" di Kilmartin (3: 691), o del cordiale "You're in strapping shape" di Mark Traherne.[26] C'è molto altro da dire in questa direzione, ma tutto ciò confermerà l'affermazione di Prendergast. I traduttori, in quanto lettori e come lettori, fanno scelte interpretative, che possono essere attaccate e difese su molti fronti, letterari, storici e filosofici; ma difficilmente saremo in grado di risolvere la contesa facendo semplicemente appello all'idea di fare le cose per bene.

Le lingue nazionali svolgono un ruolo in queste scelte e nei loro effetti, poiché le diverse strutture linguistiche creano e tolgono possibilità particolari per tutti gli scrittori, non solo per Proust. Ecco una frase semplice: "Chez le prêtre comme chez l'aliéniste, il y a toujours quelque chose du juge d'instruction" (ii, 635). Se volessimo rendere aliéniste in spagnolo, ad esempio, come fece Pedro Salinas, il primo traduttore di À la recherche, che arrivò al compito persino prima di Scott Moncrieff, pubblicando Por el Camino de Swann nel 1920, non dobbiamo guardare lontano: alienista andrà molto bene.[27] Scott Moncrieff[28] (e Kilmartin e Enright, 3: 391) si accontentano di "alienist", ma non sono sicuro che i lettori di lingua inglese sappiano subito di cosa si tratta, e Traherne ha "specialist in mental disorders".[29] La persona che fu davvero fortunata in questo periodo, tuttavia, fu Walter Benjamin, che con l'amico Franz Hessel tradusse À l'ombre des jeunes filles e Le Côté de Guermantes. La parola tedesca è la magnifica Irrenarzt, dottore dei pazzi, o molto letteralmente dottore di coloro che si smarriscono.[30] Nemmeno Proust ebbe il beneficio di questa vivida immagine verbale.

Considerazioni simili sorgono con la sintassi. Proust scrive "Comme la souffrance va plus loin en psychologie que la psychologie!" (iv, 3). Scott Moncrieff e Kilmartin hanno "How much further does anguish penetrate in psychology than psychology itself" (5: 477). Collier ha "How much more sharply suffering probes the psyche than does psychology".[31] Possiamo tralasciare per il momento il rifiuto di entrambi i traduttori di lasciare che il doppio uso della stessa parola da parte di Proust svolga il suo compito da solo e concentrarci sulla forma dell'esclamazione. Non c'è modo di evitare la qualificazione del "how" in inglese (molto più in profondità, molto più acutamente), ma il francese, precisamente ed elegantemente, ha solo il "comme".

Ciò significa in parte che ciò che ci manca o che dobbiamo aggiungere in inglese è lo stesso di quasi tutte le traduzioni in cui l'originale è pieno di giochi con la propria lingua — non riusciamo a raggiungere il nostro senso de "the detailed pleasures" della scrittura, nelle parole di Patterson, "its poetic features, alliterations, anagrams and paragrams".[32] In senso molto ampio, tuttavia, il francese di Proust accoglie la traduzione, perché si basa molto su elementi riproducibili, come argomentazioni elaborate, sorprese logiche, paragoni improbabili, una grammatica impeccabile seppur elastica. Le ironie di Proust, ad esempio, sono concettuali o narrative, non tonali, mentre in molti scrittori inglesi e tedeschi l'ironia è "all" (tutta) una questione di tono. Ciò non significa che il compito di tradurre Proust sia facile, solo che potrebbe essere difficile per una ragione che non ci aspettiamo: ci sono, il più delle volte, troppe buone possibilità piuttosto che troppo poche.

Nonostante la bella battuta di Forster sulle frasi di Proust – il verbo principale, diceva, era come una “wounded partridge” che non sembrava valere tutta la fatica della caccia – è possibile mantenere la loro struttura e la loro tempistica in un’altra lingua, e quando avremo mantenuto questi elementi, ci troveremo già a preoccuparci meno di ciò che abbiamo perso o sprecato.

Uno sguardo comparativo a un famoso passaggio può essere utile qui. A un certo punto del romanzo il Narratore intravede la nonna senza che lei lo veda, così che per un momento lei non è sua parente e lui non è nessuno, solo l'equivalente di un fotografo venuto a scattare una foto. Capiamo subito perché la tempistica è essenziale, perché l'oggetto della frase deve arrivare proprio alla fine e perché gli epiteti dilatori sono quasi ma non proprio troppi o di troppo.

« Et, comme un malade qui ne s’était pas regardé depuis longtemps, et composant à tout moment le visage qu’il ne voit pas d’après l’image idéale qu’il porte de soi-même dans sa pensée, recule en apercevant dans une glace, au milieu d’une figure aride et déserte, l’exhaussement oblique et rose d’un nez gigantesque comme une pyramide d’Égypte, moi pour qui ma grand’– mère c’était encore moi-même, moi qui ne l’avais jamais vue que dans mon âme, toujours à la même place du passé, à travers la transparence des souvenirs contigus et superposés, tout d’un coup, dans notre salon qui faisait partie d’un monde nouveau, celui du temps, celui où vivent les étrangers dont on dit ‘il vieillit bien’, pour la première fois et seulement pour un instant, car elle disparut bien vite, j’aperçus sur le canapé, sous la lampe, rouge, lourde et vulgaire, malade, rêvassant, promenant au-dessus d’un livre des yeux un peu fous, une vieille femme accablée que je ne connaissais pas. »
(ii, 439–40)

Ecco di seguito le rispettive versioni (ENDE) :

« And, as a sick man who for long has not looked at his own reflexion, and has kept his memory of the face that he never sees refreshed from the ideal image of himself that he carries in his mind, recoils on catching sight in the glass, in the middle of an arid waste of cheek, of the sloping red structure of a nose as huge as one of the pyramids of Egypt, I, for whom my grandmother was still myself, I who had never seen her save in my own soul, always in the same place in the past, through the transparent sheets of contiguous, overlapping memories, suddenly in our drawing-room which formed part of a new world, that of time, that in which dwell the strangers of whom we say ‘He’s begun to age a good deal’, for the first time and for a moment only, since she vanished at once, I saw, sitting on the sofa, beneath the lamp, red-faced, heavy and common, sick, lost in thought, following the lines of a book with eyes that seemed hardly sane, a dejected old woman whom I did not know. »
(Scott Moncrieff, Remembrance of Things Past, i, p. 815)
« And – like a sick man who, not having looked at his own reflexion for a long time, and regularly composing the features which he never sees in accordance with the ideal image of himself that he carries in his mind, recoils on catching sight in the glass, in the middle of an arid desert of a face, of the sloping pink protuberance of a nose as huge as one of the pyramids of Egypt – I, for whom my grandmother was still myself, I who had never seen her save in my own soul, always in the same place in the past, through the transparency of contiguous and overlapping memories, suddenly, in our drawing-room which formed part of a new world, that of time, that which is inhabited by the strangers of whom we say “He’s begun to age a good deal”, for the first time and for a moment only, since she vanished very quickly, I saw, sitting on the sofa beneath the lamp, redfaced, heavy and vulgar, sick, vacant, letting her slightly crazed eyes wander over a book, a dejected old woman whom I did not know. »
(Scott Moncrieff/Kilmartin, Remembrance of Things Past, ii, pp. 142–3)
« And – like a sick man who, not having looked at his own reflexion for a long time, and regularly composing the features which he never sees in accordance with the ideal image of himself that he carries in his mind, recoils on catching sight in the glass, in the middle of an arid desert of a face, of the sloping pink protuberance of a nose as huge as one of the pyramids of Egypt – I, for whom my grandmother was still myself, I who had never seen her save in my own soul, always in the same place in the past, through the transparency of contiguous and overlapping memories, suddenly, in our drawing-room which formed part of a new world, that of Time, that which is inhabited by the strangers of whom we say ‘He’s begun to age a good deal’, for the first time and for a moment only, since she vanished very quickly, I saw, sitting on the sofa beneath the lamp, red-faced, heavy and vulgar, sick, day-dreaming, letting her slightly crazed eyes wander over a book, an overburdened old woman whom I did not know. »
(Scott Moncrieff/Kilmartin/Enright, In Search of Lost Time, 3: 156–7)
« And, like a sick man who has not looked in a mirror for a long time and who constantly composes the set of features he never sees in accordance with the ideal image of the face he carries in his mind, then recoils when he catches sight in a mirror of a monumental red nose, slanting out of the arid desert of his face like an Egyptian pyramid, I, for whom my grandmother was still myself, I who had only ever seen her with my soul, always at the same point in the past, through the transparency of contiguous and overlapping memories, suddenly, in our drawing-room which had now become part of a new world, the world of Time, inhabited by strangers we describe as ‘ageing well’, for the first time and for a mere second, since she vanished almost immediately, I saw, sitting there on the sofa beneath the lamp, redfaced, heavy and vulgar, ill, her mind in a daze, the slightly crazed eyes wandering over a book, a crushed old woman whom I did not know. »
(The Guermantes Way (Traherne), p. 138)
« So erging es mir denn wie einem Kranken, der sich lange nicht mehr gesehn und jederzeit das Gesicht, das er nicht sah, nach dem Idealbilde, das er vom eigenen Ich in sich trägt, gestaltet hat: er schreckt zurück, wenn er im Spiegel mitten aus einem dürren öden Antlitz schräg und rosa wie eine ägyptische Pyramide eine gigantische Nase steigen sieht. Für mich war meine Großmutter noch – ich selbst, ich, der sie immer nur in meiner Seele gesehn, immer an derselben Stelle der Vergangenheit, durch die Transparenz angrenzender und übergellagerter Erinnerungen, und nun sah ich plötzlich in unserm Salon, der ein Teil der neuen Welt bildete, der Welt der Zeit, der Welt, in der die Fremden leben, von denen man sagt ‘Er wird recht alt’, nun sah ich zum ersten Male und nur für einen Augenblick, denn ganz schnell verschwand sie wieder, auf dem Kanapee unter der Lampe rot, schlaff, gewöhnlich, krank, dösend, mit etwas irren Augen über ein Buch gleitend, eine gedrückte Frau, die ich nicht kannte. »
(Walter Benjamin, Schriften, pp. 135–6)

Benjamin e Hessel dividono la frase in due dopo la similitudine del naso e della piramide, e ripetono il soggetto e il verbo principali della frase originale (‘nun sah ich . . .’ ‘nun sah ich . . .’) per chiarezza. Il significato della frase diventa più immediatamente disponibile, ma il senso di continuità tra similitudine e proposizione – l’uomo malato e il Narratore entrambi sorpresi da stranianti scorci del familiare – si perde. Questa traduzione, come le altre, mantiene attentamente il ritmo della chiusura del brano, il paziente ritardo dell’arrivo dell’oggetto del verbo.

Tutte le versioni inglesi mantengono la frase singola come unica. Tutti i traduttori si divertono con la similitudine sul naso e il deserto. C'è un autentico disaccordo sulla frase "il vieillit bien": significa invecchiare bene o invecchiare molto? E due parole in particolare provocano una vasta gamma di scelte. "Rêvassant" e "accablé" producono "lost in thought" e "dejected"; "vacant and dejected"; "day-dreaming" e "overburdened"; "her mind in a daze" e "crushed"; "dösend" e "gedrückte". Benjamin e Hessel, per una cavalleria che Proust avrebbe apprezzato ma non approvato, non riescono a convincersi a chiamare la nonna vecchia. È semplicemente una Frau che il Narratore non conosce.

Le differenze tra le traduzioni sono interessanti, ma le loro convergenze sono forse ancora più interessanti, poiché ci ricordano che in ogni caso stiamo leggendo Proust. Ognuna riesce in misura considerevole a cogliere i complessi cambiamenti di registro e l'inconfondibile pathos di un passaggio notevole.

Traduzioni e versioni curate italiane

modifica
 
Il saggista e critico letterario italiano Giacomo Debenedetti, che fu tra i primi a cogliere tutta la portata del genio di Marcel Proust

La Recherche

modifica

Alla ricerca del tempo perduto (À la recherche du temps perdu) è un romanzo scritto tra il 1909 e il 1922 e pubblicato nell'arco di quattordici anni, tra il 1913 e il 1927, gli ultimi tre volumi postumi.

L'opera è suddivisa per motivi editoriali in sette volumi:

In Dalla parte di Swann Proust ha inserito un vero e proprio "romanzo nel romanzo" con il titolo Un amore di Swann.

Iniziato nel 1909, il romanzo Alla ricerca del tempo perduto venne elaborato durante anni di volontaria reclusione nella casa di Boulevard Haussmann, nei quali Proust, la cui salute già cagionevole era peggiorata, lavorava di notte, scrivendo a letto nella stanza foderata di sughero per isolamento acustico. Questa è ora riprodotta nel Museo Carnavalet di Parigi.

Il primo volume, Du côté de chez Swann (Dalla parte di Swann) fu respinto dall'editore Gallimard su consiglio di André Gide, e venne edito a spese dell'autore da Grasset (1913). Il 30 maggio 1914, in un incidente aereo, Proust perse il segretario e compagno, Alfred Agostinelli. Il dolore per questa perdita si riflette in alcune pagine della Ricerca.

Le edizioni Gallimard accettarono il secondo volume, À l'ombre des jeunes filles en fleurs (All'ombra delle fanciulle in fiore), che valse a Proust nel 1919 il Premio Goncourt. Ricevette moltissime lettere di congratulazioni e si decise ad uscire di casa per frequentare le personalità presenti nella Parigi del dopoguerra. Nell'agosto del 1920 uscì il terzo volume, la prima parte di Le côté de Guermantes (I Guermantes), e nel 1921 la seconda parte insieme alla prima parte del quarto volume, Sodome et Gomorrhe (Sodoma e Gomorra). La sua salute peggiorava rapidamente, ma Proust non cessò di lavorare ai volumi successivi. Nell'aprile 1922 fu pubblicata la seconda parte di Sodome et Gomorrhe.

Il 18 novembre 1922, per una bronchite mal curata, Marcel Proust morì. Venne sepolto nel cimitero parigino di Père-Lachaise.

Gli ultimi tre volumi, alle cui bozze si era dedicato instancabilmente senza però completarne la revisione, furono pubblicati postumi a cura del fratello Robert.

Il famoso ritratto di Marcel Proust eseguito da Jacques-Émile Blanche nel 1892 è conservato nel Musée d'Orsay di Parigi. Tutti i manoscritti delle opere letterarie di Marcel Proust sono conservati presso la Biblioteca nazionale di Francia.

Altre opere

modifica
  • I piaceri e i giorni (Les Plaisirs et les Jours, 1896), Prefazione di Anatole France, tradotta da Marise Ferro (1946), Claudio Rendina (1972), e Mariolina Bongiovanni Bertini (1988). [prosimetro: poemi in prosa e novelle]
  • L'indifferente (L'indifférent, novella del 1893, pubblicata nel 1896, dimenticata e ritrovata nel 1978), tradotta da Mariolina Bongiovanni Bertini (1978) e Fabio Carosi (1996).
  • Precauzione inutile (Précaution inutile, 1922, versione ridotta della Prisonnière), a cura di Maurizio Ferrara, Firenze, Passigli, 2009, ISBN 978-88-368-1146-5.
  • L978-88-368-1146-5.
  • La confessione di una ragazza. Tutti i racconti, a cura di Maurizio Ferrara, Firenze, Passigli, 2022, ISBN 9788836819409.
  • Jean Santeuil, romanzo incompiuto al quale lavorò dal 1895 al 1900, sorta di stesura primordiale della Recherche, inedito fino al 1952. [pubblicato in italiano nelle traduzioni di Franco Fortini del 1953, uscita anche per Mondadori, e quella recente di Salvatore Santorelli, per Theoria, nel 2018]
  • nel 1982 verranno raccolte le Poèmes (in italiano Poesie tradotte da Franco Fortini per Einaudi (Torino, 1983), da Luciana Frezza per Feltrinelli (Milano, 1993) ISBN 88-07-82080-3 e da Roberto Bertoldo per Mimesis (Milano 2018) ISBN 978-88-5754-666-7
  • Scritti giovanili: 1887-1895 (Ecrits de jeunesse 1887-1895, 1991), edizione francese a cura di Anne Borrel, trad. e cura di Barbara Piqué, Introduzione di Alberto Beretta Anguissola, Collana Saggi di letteratura, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1992, ISBN 88-04-35733-9.
  • Le Mensuel retrouvé, précédé de «Marcel avant Proust» de Jérôme Prieur (sous-titré Inédits), éditions des Busclats, novembre 2012, ISBN 978-2361660130.
  • Mort de ma grand-mère, suivie d'une conclusion de Bernard Frank, Grenoble, Éditions Cent Pages, 2013, ISBN 978-2-9163-9041-3.
  • 978-88-118-1863-2, Il corrispondente misterioso (Le Mystérieux Correspondant et autres nouvelles retrouvées, 2019), traduzione di Margherita Botto, a cura di Luc Fraisse, Collezione I Libri della Spiga, Milano, Garzanti, 2021. [9 novelle inedite]
  • 978-88-346-0961-3, I 75 fogli (Les Soixante-Quinze Feuillets et autres manuscrits inédits, 2021), Edizione stabilita da Nathalie Mauriac Dyer, Prefazione di Jean-Yves Tadié, traduzione di Anna Isabella Squarzina con la collaborazione e l'introduzione di Daria Galateria, Collana Oceani, Milano, La nave di Teseo, 2022.

Prefazioni

modifica

Le prefazioni alle due opere (tradotte in francese da Proust stesso) dello scrittore inglese John Ruskin:

  • La Bible d'Amiens (1904); a sua volta tradotta in italiano da Salvatore Quasimodo (La Bibbia di Amiens, Milano: Bompiani, 1946);
  • Sésame et les lys (1906); in italiano Sesamo e i gigli, tradotta da Dora Prunetti (1907) e da Silvio Spaventa Filippi (1917 e 1939), ma il commento di Proust, con prefazione di Giovanni Macchia è stato pubblicato da solo a cura di Barbara Piqué nel 1982 presso l'Editoriale nuova di Milano.

Altre sue due prefazioni furono a:

Articoli e Saggi

modifica
  • Mélancolique villégiature de Madame de Breyves (1893), tradotta da Beniamino Dal Fabbro col titolo Malinconica villeggiatura, 1945.
  • Portraits de peintres (1896), col titolo Pittori, tradotto da Paolo Serini, Abscondita, 2006.
  • Sur la lecture (1905), in italiano Del piacere di leggere tradotto da Paolo Serini, Il Melangolo, Genova, 1989, ISBN 88-7018-102-2; a cura di Anna Luisa Zazo, Mondadori, 1995; a cura di Cesare Salmaggi e Luisa Cortese, Milano, Net, 2002, ISBN 88-515-2026-7.
  • Pastiches et mélanges (1919) e Croniques (1927), entrambi in Scritti mondani e letterari, a cura di Mariolina Bongiovanni Bertini, Collana Millenni, Torino, Einaudi, 1984.
  • Il caso Lemoine, a cura di Maurizio Ferrara, Firenze, Passigli, 2022, ISBN 9788836819805.
  • Contre Sainte-Beuve, saggio iniziato nel 1908 e lasciato incompiuto che verrà pubblicato postumo nel 1954 assieme a Nouveaux mélanges e poi nel 1971 con gli Essais et articles (in italiano esiste una parte di questi saggi, tradotti da Paolo Serini e Mariolina Bongiovanni Bertini con introduzioni di Francesco Orlando e Mariolina Bongiovanni Bertini, presso Einaudi (1974).
  • "Jalousie" del 1921, traduzione italiana a cura di Cristiana Fanelli col titolo Gelosia, introduzione di Daria Galateria, Editori Riuniti, 2010; nuova ed. riveduta, Roma, Castelvecchi, 2021, ISBN 978-88-329-0526-7.
  • altri Textes retrouvé uscirono nel 1968 e Les Pastiches nel 1970.
  • nel 1976 uscì il quaderno inedito Le Carnet de 1908.
  • Giornate di lettura (scritti critici e letterari), a cura di Paolo Serini, Collana Saggi, Torino, Einaudi, 1958.
  • Il fantasma del bello. Scritti sulle arti, a cura di L. Salvarani, Milano, Medusa Edizioni, 2008. ISBN 978-88-76-98167-8
  • Saggi, a cura di Mariolina Bongiovanni Bertini e Marco Piazza, Collana La Cultura, Milano, Il Saggiatore, 2015. ISBN 978-88-42-82095-6 [ristampa degli Scritti mondani e letterari, usciti nei Millenni Einaudi nel 1984, con l'aggiunta di alcuni frammenti narrativi recuperati dai «Cahiers Sainte-Beuve» , ossia quaderni redatti attorno al 1909]
  • I salotti di Parigi, a cura di Maurizio Ferrara, Firenze, Passigli, 2022, ISBN 9788836819256.

Le lettere

modifica

Sono usciti 6 volumi di Correspondance générale:

  • I (con Robert de Montesquiou 1893-1921), nel 1930
  • II (con Anna de Noailles 1901-1919), nel 1931
  • III (con Sydney Schiff, Paul Souday, J.-E. Blanche, Camille Vetard, Jacques Boulenger, Louis-Martin Chauffier, Ernst Robert Curtius, Louis Gautier-Vignal), nel 1932
  • IV (con Pierre Lavallée, Jean-Louis Vaudoyer, Robert de Flers, Armand de Caillavet, Bertrand de Salignac-Fénélon, René Boylesve, Élémir Bourges, Henri Duvernois, Robert Dreyfus), nel 1933
  • V (con Walter Berry, Clément de Maugny, il conte V. d'Oncien de la Batie, Pierre de Chevilly, Philip Sassoon, Antoine Bibesco, Madame de Mornard, Laure Hayman, Marie Scheikévitch), nel 1935
  • VI (con Émile Straus e quelques dédicaces), nel 1936

Altre raccolte di lettere:

  • Lettres à une amie (a Marie Nordlinger), uscito nel 1942
  • A un ami (Correspondance inédite 1903-22), nel 1948
  • Lettres à André Gide, nel 1949, in italiano tradotte a cura di Lucia Corradini (Milano: SE, 1987) ISBN 88-7710-074-5 ISBN 88-7710-466-X
  • Correspondance avec sa mère (1887-1905), nel 1953, e di nuovo nel 1992, in italiano parzialmente tradotta da Umberto Pasti (Milano: La tartaruga, 1986) ISBN 88-7738-007-1
  • Correspondance Marcel Proust-Jacques Rivière 1914-22, nel 1955 e in nuova ed. nel 1976
  • Lettres à Reynaldo Hahn, nel 1956
  • Lettres retrouvées, nel 1966
  • Correspondance Marcel Proust-Gaston Gallimard 1912-1922, nel 1989, in italiano tradotte da Daniella Selvatico Estense, con prefazione di Carlo Bo (Milano: Mursia, 1993) ISBN 88-425-1545-0
  • Mon cher petit: Lettres à Lucien Daudet, nel 1991, tradotte da Francesco Bruno come Mio piccolo caro: lettere a Lucien Daudet, 1895-1897, 1904, 1907, 1908 (Milano: Archinto, 1994) ISBN 88-7768-119-5
  • Correspondance avec Daniel Halévy, nel 1992

Philip Kolb ha curato la pubblicazione di 21 volumi di Correspondance, (Plon, 1970-1993).

Lo stesso Kolb ha pubblicato un'antologia in quattro volumi di Selected Letters, (HarperCollins, 1983-2000)

  • vol. 1: 1880-1903 (1983);
  • vol. 2: 1904-1909 (1989);
  • vol. 3: 1910-1917 (1992);
  • vol. 4: 1918-1922 (2000).

Una scelta di lettere d'argomento poetico-letterario è stata pubblicata a cura di Françoise Leriche, (Plon 2004).

In italiano sono state pubblicate due antologie: Lettere a cura di Luciano Anselmi (Firenze: La Nuova Italia, 1972) e Le lettere e i giorni: dall'epistolario 1880-1922, a cura di Giancarlo Buzzi, introduzione di Giovanni Raboni, nella collana "I Meridiani" (Milano: Mondadori, 1996).

  Per approfondire su Wikipedia, vedi la voce Marcel Proust#Proust e la critica letteraria.
  1. E. M. Forster, ‘Proust’, rist. in Abinger Harvest and England’s Pleasant Land (Londra: Andre Deutsch, 1996), p. 92.
  2. Terence Kilmartin, ‘Translating Proust’, Grand Street, 1:1 (1981), 134.
  3. Christopher Prendergast cita questa frase nella sua "General Editor’s Preface" alla recente traduzione Penguin: cfr. The Way by Swann’s (Londra: Allen Lane, 2002, p. xx). Con un'ironia per nulla irrilevante sulle questioni di traduzione, la versione citata è la stessa di Scott Moncrieff e piuttosto diversa da quella offerta da Carol Clark nell'edizione di cui Prendergast è curatore. Clark fa dell'artista un "great artist" e "a citizen of a unknown homeland". Cfr. The Prisoner and the Fugitive (Londra: Allen Lane, 2002), p. 235.
  4. Le traduzioni in inglese disponibili sono qui molto simili tra loro: "The writer’s work is merely a kind of optical instrument, which he offers to the reader to enable him to discern what, without this book, he would perhaps never have perceived in himself ’, Remembrance of Things Past, iii, trad. (EN) Andreas Mayor e Terence Kilmartin (Londra: Penguin, 1983) p. 949; lo stesso viene riportato nell'edizione Vintage di Time Regained, trad. (EN) Andreas Mayor e Terence Kilmartin, rev. da D. J. Enright (6: 273); l'edizione USA è Time Regained (New York: Modern Library, 1999), p. 322. Cfr. il Penguin recente: "The writer’s work is only a kind of optical instrument which he offers the reader to enable him to discern what without this book he might not perhaps have seen in himself", Finding Time Again, trad. (EN) Ian Patterson (Londra: Allen Lane, 2002), p. 220.
  5. Questi esempi compaiono nell’introduzione di Lydia Davis a The Way by Swann’s, p. xxxiii.
  6. Terence Kilmartin, ‘Note on the Translation’, in Marcel Proust, Remembrance of Things Past I (Londra: Penguin, 1983), p. xi.
  7. Kilmartin, ‘Note on the Translation’, p. ix.
  8. Pamela Hansford Johnson, Six Proust Reconstructions (Londra: Macmillan, 1958), p. ix.
  9. Cfr. The Proust Project, cur. André Aciman (New York: Farrar, Straus and Giroux, 2004), pp. 174–81.
  10. Kilmartin, ‘Note on the Translation’, p. xi.
  11. Kilmartin, ‘Translating Proust’, pp. 137, 140, 145.
  12. Kilmartin, ‘Note on the Translation’, p. xi.
  13. Kilmartin, ‘Note on the Translation’, p. xi. Prendergast, ‘General Editor’s Preface’, p. viii.
  14. Prendergast, ‘General Editor’s Preface’, pp. vii–viii.
  15. E affrontata nella monografia di Prendergast, Mirages and Mad Beliefs: Proust the Skeptic (Princeton University Press, 2013).
  16. Prendergast, ‘General Editor’s Preface’, p. xvii.
  17. Prendergast, ‘General Editor’s Preface’, p. xvii.
  18. Prendergast, ‘General Editor’s Preface’, p. xi.
  19. Du côté de chez Swann (i, 170); The Way by Swann’s, p. 173. Le Côté de Guermantes (ii, 623); The Guermantes Way, trad. Mark Traherne, (Londra: Allen Lane, 2002), p. 325.
  20. ‘Mais il est rare que ces grandes maladies... n’élisent pas pendant longtemps domicile chez le malade avant de le tuer’ (ii, 612); ‘But these serious illnesses... seldom take up residence in a sick person for long before they kill him’. The Guermantes Way, trad. Traherne, p. 314.
  21. The Proust Project, p. 176.
  22. Finding Time Again, p. 191.
  23. Remembrance of Things Past, ii, p. 1003.
  24. Finding Time Again, p. 195. Scott Moncrieff ha ‘abdication’ e ‘habit of postponing’, Remembrance of Things Past, ii, pp. 1006–7.
  25. Remembrance of Things Past, i, p. 1141.
  26. The Guermantes Way, p. 597.
  27. Marcel Proust, En Busca del Tiempo Perdido, i, trad. Pedro Salinas e José María Quiroga Plá (Barcelona: Janes, 1952), p. 1306.
  28. Remembrance of Things Past, i, p. 959.
  29. The Guermantes Way, p. 338.
  30. Walter Benjamin, Schriften, Supplement iii (Frankfurt: Suhrkamp, 1987), p. 335.
  31. The Prisoner and the Fugitive (Londra: Allen Lane, 2002), p. 387. Per essere del tutto precisi, Scott Moncrieff ha ‘farther’ piuttosto che ‘further’.
  32. Finding Time Again, p. xii.