Alla ricerca di Marcel Proust/Capitolo 9
La tradizione narrativa
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La pubblicazione di À la recherche du temps perdu tra il 1913 e il 1927 costituisce sia una summa che una nuova partenza per la letteratura occidentale. Con il suo tema guida di una vocazione artistica, la sua sensibile rappresentazione di un'educazione sentimentale dall'infanzia alla maturità e la sua ricerca di verità metafisiche più profonde oltre i confini del mondo materiale, il romanzo si allinea a una tradizione di testi fondativi che hanno plasmato la letteratura europea per quasi mille anni. La Divina Commedia di Dante Alighieri con la sua allegoria di una peregrinazione spirituale; il romanzo analitico nella tradizione di Madame de Lafayette; il romanzo di formazione nello stile del Wilhelm Meister di Goethe – per non dimenticare il grande romanzo russo con la sua complessa costruzione narrativa e i ritratti epici della società – sono solo alcuni dei modelli che risuonano nel romanzo di Proust. L'uso da parte dell'autore di una narrazione in prima persona, una caratterizzazione acuta e descrizioni satiriche della società dell'alta borghesia richiamano le Mémoires di Saint-Simon, una delle principali influenze della Recherche, mentre la sua analisi approfondita della natura e delle relazioni umane evoca il romanzo personale francese del diciannovesimo secolo di autori come Benjamin Constant, Nerval e Chateaubriand. Il fatto che il romanzo si trasformi in un trattato filosofico e in un manifesto estetico, infine, lo colloca nella linea di opere saggistiche come Essais di Montaigne e Pensées di Pascal, annunciando al contempo l'accresciuta autoriflessività che caratterizza la narrativa modernista e postmoderna. Quanto la Recherche sia debitrice dei suoi predecessori letterari e quanto facilmente il suo autore si impegni in giochi e pastiches intertestuali può essere dedotto dagli ampi riferimenti letterari nel testo, che spaziano da Omero, Saint-Simon e Racine a George Eliot, Balzac e Dostoevskij. La conoscenza quasi enciclopedica da parte di Proust della letteratura occidentale attraverso le epoche e la sua finezza e il suo talento come critico letterario hanno arricchito e nutrito il suo romanzo, dotandolo di una complessità intertestuale e generica eguagliata forse solo dal suo collega modernista James Joyce. Come commenta Jean-Yves Tadié, "À la recherche ricapitola l'intera tradizione letteraria, dalla Bibbia a Flaubert e Tolstoj, e tutti i generi letterari".[1]
E tuttavia, forse paradossalmente, il romanzo come genere in cui Proust avrebbe eccelso e che l'avrebbe spinto in territori inesplorati non gli venne facile. Con il senno di poi, ci si potrebbe sorprendere che i suoi primi tentativi creativi siano stati in versi e poesia in prosa, come anche in forme letterarie più brevi come novelle, pastiches e saggi filosofici. Il suo primo libro pubblicato, l'eteroclito Les Plaisirs et les jours (1896), dà un'idea della frammentazione che caratterizza – e in una certa misura compromette – la gioventù di Proust. Un "bouquet di molti fiori diversi", il volume, pur mostrando una certa coerenza tematica, appare sbilanciato e disperso.[2] Lo stesso vale per il suo romanzo Jean Santeuil, iniziato nel 1895, ma abbandonato circa quattro anni dopo per mancanza di una struttura. Il manoscritto contiene molte scene riciclate nella Recherche, ma la narrazione in terza persona del romanzo, combinata con la trama lineare di un Bildungsroman del diciannovesimo secolo, alla fine si rivelò troppo restrittiva rispetto all'opera strutturalmente e filosoficamente più ambiziosa che Proust aveva in mente.[3] In Jean Santeuil, come nella Recherche, la memoria involontaria innesca la creazione letteraria, ma il suo ricco potenziale rimase inutilizzato senza la tecnica della doppia focalizzazione interna, ovvero la scissione della prima persona in un sé narrato e un sé narrante, infine adottata nella Recherche. Inoltre, la riflessione estetica non era ancora subordinata al tema più ampio di una vocazione e, cosa più importante per lo stesso Proust, i frammenti mancavano di originalità stilistica e visione.[4]
Dopo il fallimento di Jean Santeuil, Proust abbandonò ogni ulteriore progetto romanzesco fino al 1908, dedicandosi invece alle sue traduzioni di Ruskin e ad articoli e recensioni. Un nuovo inizio arrivò all'inizio dell'anno, quando si imbarcò di nuovo con decisione in un nuovo romanzo che annunciava la Recherche, ma di cui è conservato poco più di uno schema. Tuttavia, anche questo progetto vacillò rapidamente, venendo sostituito da un saggio contro Sainte-Beuve in autunno. Proust all'inizio esitò tra un saggio tradizionale e un dialogo tra un Narratore in prima persona e sua madre che avrebbe incorporato la critica letteraria in una narrazione di fantasia. Sviluppò sia la parte narrativa che quella teorica simultaneamente, nel suo modo abituale di comporre unità testuali da assemblare in una fase successiva, anticipando la tecnica del montage del cinema moderno resa popolare da Sergej Ėjzenštejn e altri registi sovietici circa vent'anni dopo. Alla fine le parti fittizie superarono quelle teoriche e oscurarono il progetto Sainte-Beuve, dopo che una soluzione per collegare frammenti fino ad allora disparati si presentò sotto forma di una narrazione retrospettiva, che aiutò a conciliare diverse cornici temporali.[5]
La genesi della Recherche, quindi, è plasmata da una tensione produttiva tra frammento e intero, così come tra saggio e romanzo, che riecheggia nel testo pubblicato e permea il pensiero di Proust riguardo alla forma romanzesca. Anche in un periodo in cui la nuova estetica del collage stava cambiando le forme tradizionali di composizione, Proust rimase preoccupato dal conflitto tra forma romantica (aperta) e classica (chiusa) – o, in termini fin-de-siècle, tra Decadentismo (frammentazione) e vitalismo (organicità) – che aveva informato i discorsi estetici del diciannovesimo secolo.[6] In modo rivelatore, nella Recherche, il Narratore si allinea a due artisti del diciannovesimo secolo, Balzac e Wagner, che entrambi, in virtù di un'“illuminazione”, intuirono un principio unificante per le loro opere après coup. Le loro creazioni sono tanto più autentiche, sostiene, poiché la loro unità non era pianificata: "Non fittizia, forse anzi tanto più reale perché è ulteriore, perché nasce da un momento di entusiasmo... un'unità che non era consapevole di sé, quindi vitale e non logica, che non proibiva la varietà, non smorzava l'invenzione" (5: 177; iii, 667). Il romanzo proprio di Proust, allo stesso modo, cerca di accogliere la pluralità all'interno di un'unità sovrastante, di svelare le leggi generali dietro le molteplici esperienze della condizione umana. Niente, ribadisce l'autore nella sua corrispondenza, gli è più estraneo del dettaglio gratuito, del puro ornamento e del realismo documentario. Se c'è una cosa nuova nel suo romanzo, afferma in una lettera a Robert Dreyfus, è l'assenza di significanti denotativi: "Non una volta uno dei miei personaggi chiude una finestra, si lava le mani, indossa un cappotto o presenta le persone l'una all'altra" (Corr, xii, 394). Infatti, secondo i suoi principi compositivi di integrazione e fusione armoniosa, "bisogna innanzitutto subordinare, non lasciarsi trasportare da un aneddoto divertente e dedicare a un dettaglio una riga in più di quanto non dovrebbe nell'equilibrio del testo complessivo" (Corr, xix, 118).
La tensione tra frammento e intero che informa il pensiero di Proust sulla forma romanzesca deve anche essere collocata nel turbine di dibattiti estetici lanciati da nuovi romanzieri che gareggiavano tra loro per rivendicare il primo posto, lasciato vacante da Zola solo pochi anni prima. Proust era uno dei contendenti in questa corsa alla preminenza, in cui gli autori si avventuravano oltre le sabbie mobili del simbolismo, del naturalismo e dello psicologismo, ma in realtà, a parte poche eccezioni, finivano per riciclare vecchi principi. La maggior parte di questi scrittori di inizio secolo (Anatole France, Henri Bordeaux, Paul Bourget, Octave Mirbeau, Rémy de Gourmont, Maurice Barrès, Jules Renard) sono ormai caduti nel dimenticatoio della storia letteraria; Proust, dopo l'incompiuto Jean Santeuil, era consapevole di queste false partenze, in grado di discernere che sentieri inesplorati erano aperti davanti a lui, in particolare dopo la sua stessa "illuminazione" del 1908/9. Il vicolo cieco in cui si trovò il romanzo francese intorno al 1910 (che, per inciso, Proust, Jacques Rivière e André Gide furono gli unici a riconoscere), spinse Proust a delineare i principi estetici che avrebbero liberato il suo romanzo imminente dagli editti positivisti che regnavano negli stretti circoli letterari, per lo più parigini, dell'inizio del ventesimo secolo. Da nessuna parte ciò è più evidente che nella lettera di Proust (6 febbraio 1914) a Rivière, dove espone la sua teoria del romanzo e sfoga la sua paura di essere frainteso:
Proust era intenzionato a descrivere il suo romanzo come "dogmatique" e una "construction" per prendere le distanze dall'immagine che gli avevano attribuito Gide e i redattori della Nouvelle Revue française, che avevano rifiutato il suo manoscritto, scambiandolo per un baluardo antiquato della scrittura decadente e un semplice beniamino dei salotti aristocratici. Era anche desideroso di distinguersi dai suoi rivali più pressanti. Il suo rigetto di Romain Rolland – autore dell'acclamato Jean-Christophe (1904-12) e inventore del termine "roman fleuve" – ne è un esempio. Secondo Luc Fraisse,[7] Proust aveva letto Jean-Christophe con grande attenzione e aveva persino utilizzato alcuni scritti di Rolland per alimentare le riflessioni del Narratore sulla musica tedesca nella Recherche, ma nonostante ciò scrisse alcune osservazioni taglienti in un articolo pubblicato in seguito in Contre Sainte-Beuve: "Purtroppo, quando Jean-Christophe... smette di parlare, M. Romain Rolland continua ad accumulare banalità su banalità, e quando cerca un'immagine più precisa, lo sforzo è di ricerca, non di scoperta" (ASB, 97; CSB, 208).
L'occhio critico di Proust individuò il difetto estetico di Jean-Christophe: l'approccio rivoluzionario di Rolland alla musica era ricoperto da uno stile didascalico che rovinava il romanzo nel suo complesso, trasformandolo in un "roman à thèse". Basti dire che Proust aveva ragione e Jean-Christophe, nonostante passaggi preziosi, alla fine delude a causa dello stile ottocentesco della narrazione, che è sovrapposto a un tradizionale Bildungsroman. Jean-Christophe illustra perfettamente il tipo di romanzo che Jean Santeuil avrebbe potuto essere e che Proust rifiuta in Le Temps retrouvé. La sua contemporaneità con la genesi della Recherche e, quindi, la sua inevitabile minaccia di rivalità artistica (Proust stava scrivendo il romanzo mentre leggeva i volumi di Rolland in successione) probabilmente rafforzarono l'autore nella sua decisione di tagliare tutti i legami con la tradizione romanzesca francese e di rafforzare i principi estetici della sua opera. Forse non è una coincidenza che il “manifesto” estetico di Le Temps retrouvé sia stato scritto in forma di bozza già nel 1911, e viene da chiedersi se Proust non fosse intenzionato a delineare idee che sapeva essere rivoluzionarie nella portata e nel contenuto, allo scopo di rafforzare le basi teoriche di un’opera ancora gravida di futuro.
Anche dopo aver intrapreso con successo la scrittura della Recherche e aver respinto i rivali immediati, Proust si rese conto di quanto sarebbe stato difficile orientarsi nei campi letterari parigini degli anni ’10 e di influenzare il modo in cui la sua opera sarebbe stata accolta, non solo durante la sua vita, ma soprattutto dopo la sua morte. Un aspetto meno visibile della creazione è quello che Hans Robert Jauss chiama "orizzonte di ricezione", ovvero la parte integrante che la ricezione del libro svolge nella sua esistenza come romanzo, dato che il suo significato deriva da un dialogo tra il suo effetto estetico e il modo in cui i lettori contemporanei e futuri lo decodificheranno.[8] L'introduzione di una novità radicale si diffonde nei campi letterari in modi imprevedibili e Proust era acutamente consapevole dell'incertezza che circondava la ricezione del suo romanzo, un'incertezza che nemmeno l'assegnazione del Premio Goncourt nel 1919 riuscì a dissipare. Questa ansia è evidenziata nell'episodio del "nuovo scrittore" di Le Côté de Guermantes, dove Proust drammatizza come la tradizione venga spezzata da una novità illusoria e come l'innovazione genuina venga spesso spezzata dai cambiamenti superficiali nel gusto del pubblico. L'autore prefigura la ricezione della Recherche e mette in scena retrospettivamente la pressione esercitata dalla moda letteraria su se stesso attraverso un'ironica mise en abyme, per cui il Narratore cade preda di una nuova forma di idolatria, quella del "nuovo", abbandonando la sua precedente adorazione di Bergotte, che si ritrova soppiantato dal "nuovo scrittore":
L'episodio è intriso di una profonda ambiguità. Da un lato, il Narratore giunge alla conclusione che la vera innovazione nell'arte non viene mai compresa correttamente all'inizio, poiché la visione stilistica dell'artista rivoluzionario è percepita come troppo distorta e in una divergenza troppo grande con le aspettative e le abitudini del pubblico. Proust ricorre alla sua ripetuta analogia dell'ottico per ampliare questa idea: "‘Ora guarda’. Ed ecco che il mondo intorno a noi (che non è stato creato una volta per tutte, ma viene creato di nuovo ogni volta che nasce un artista originale) ci appare completamente diverso dal vecchio mondo, ma perfettamente chiaro" (3: 376; ii, 623). Ma questa correzione ottica indotta dall'artista-come-ottico ha bisogno di tempo per consentire al processo di adattamento di verificarsi nel pubblico. Finché un altro "ottico" non si presenterà qualche anno dopo e fornirà un altro modo di guardare il mondo, ancora una volta "correggendo" la vista pubblica dopo un inevitabile periodo di abbandono: "Tale è il nuovo e deperibile universo che è appena stato creato. Durerà finché la prossima catastrofe geologica non sarà precipitata da un nuovo pittore o scrittore di talento originale" (3: 377; ii, 623). D'altro canto, le molteplici digressioni ironiche, l'analogia umoristica tra ginnastica e abilità artistica e l'enfasi tautologica sull'originalità ("nuovo scrittore originale") smentiscono la tesi del Narratore su come gli artisti plasmano il gusto pubblico. Data la sincronicità asincrona tra autore, Narratore e protagonista, che è una delle innovazioni più audaci di Proust, non si può non notare quanto linguaggio positivista (l'intelletto è in primo piano come unico strumento di interpretazione e valutazione estetica) il Narratore-protagonista utilizzi in tutto questo brano sull'innovazione artistica, concludendosi con un paragone tra arte e scienza e una riflessione sul concetto di progresso in letteratura ("ogni nuovo scrittore originale mi sembrava aver superato lo stadio del suo immediato predecessore" - 3: 377; ii, 623). Attraverso questa ironica mise en abyme del Narratore come un ‘nuovo scrittore’ a venire, e dell'autore della Recherche come un ‘nuovo scrittore’ in realtà, Proust solleva lo spettro dell'effimero e della contingenza dell'innovazione artistica, per quanto genuina, poiché non solo deve fare i conti con l'accoglienza del pubblico (e la conseguente interpretazione errata), ma anche con l'inevitabile superamento. Proust sa che questo spettro potrebbe trasformarsi in una "legge artistica" e che anche lui sarà spazzato via da nuovi artisti. Allo stesso tempo, spera che scrivendo la Recherche, stia covando un'innovazione più fondamentale che resisterà non solo alla prova dell'accoglienza del pubblico, ma anche a quella del tempo.
Nel 1919, T. S. Eliot pubblicò "Tradition and the Individual Talent",[9] in cui sussunse la questione dell’originalità e dell’innovazione in una problematica più profonda, quella della ‘ricezione’ retrospettiva di nuove opere d’arte; non come esse sconvolgono il gusto del pubblico o si arrogano un ruolo di primo piano per un breve periodo, ma i modi in cui rimodellano la tradizione nel suo insieme:
Proust giungeva a conclusioni simili in Le Temps retrouvé nel suo rifiuto delle riviste letterarie e di avant-garde che si concentrano su ciò che è superficiale ed effimero ("moltiplicazione di recensioni e riviste letterarie... e con esse di vocazioni fittizie come scrittore o artista" - 6: 250; iv, 199), invece di, come diceva Eliot, ambientare il loro lavoro nel temporale e nell'atemporale simultaneamente. L'ansia di ricezione che gioca una parte integrante nella corrispondenza di Proust e nei primi volumi della Recherche lascia gradualmente il posto alla riflessione su come il suo stesso lavoro si relazioni con la letteratura che lo ha preceduto: l'opera veramente innovativa getta uno sguardo al passato a una tradizione che non solo declina ma "corregge", come l'ottico di Combray, e, quindi, salva (come fece la Recherche con molti scrittori del passato, da Racine a Nerval e Baudelaire). Concretizzando e attualizzando la ricezione della sua opera tra le tradizioni letterarie francesi passate e presenti – nel suo romanzo, ma anche attraverso le sue lettere – Proust eliminava i suoi potenziali critici e la sua stessa ansia. Come il Narratore capisce in Le Temps retrouvé, la vera innovazione è un principio universale – e quindi senza tempo – mentre il pubblico e i critici sono interessati solo alla sua particolarità di breve durata: "mentre la realtà del talento è qualcosa di universale, che si tratti di un dono o di un'acquisizione, e la prima cosa che un lettore deve fare è scoprire se questa realtà è presente sotto i manierismi superficiali di pensiero e stile di uno scrittore — è proprio su questi manierismi superficiali che la critica si aggrappa quando si propone di classificare gli autori: perché ha un tono perentorio, perché ostenta il suo disprezzo per la scuola che lo ha preceduto, la critica saluta come un profeta uno scrittore che in realtà non ha alcun messaggio che sia nuovo" (6: 251; iv, 200). Proust, come il suo collega modernista Eliot, sapeva che l’unica accoglienza e giudizio che contano sono quelli conferiti dalla tradizione stessa, “the timeless as well as the temporal”,[10] e che il posto e i “premi” accordati alle loro opere saranno proporzionali all’alterazione che creano nel suo insieme armonioso.
Note
modifica- ↑ Jean-Yves Tadié, ‘Introduction’, in Marcel Proust, À la recherche du temps perdu, 4 voll. (Parigi: Gallimard, 1987–9), vol. i, x.
- ↑ Pierre Daum, ‘Les Plaisirs et les jours’ de Marcel Proust: étude d’un recueil (Parigi: Nizet, 1993), p. 184.
- ↑ Cfr. Jean-Yves Tadié, Proust (Parigi: Belfond, 1983), p. 147.
- ↑ Tadié, Proust, p. 147.
- ↑ Per una discussione dettagliata della genesi della Recherche, cfr. il Capitolo 5 supra e Marion Schmidt, ‘The Birth and Development of À la recherche du temps perdu’, in Richard Bales, cur., The Cambridge Companion to Proust (Cambridge University Press, 2001), pp. 58–73.
- ↑ Cfr. Antoine Compagnon, Proust entre deux siècles (Parigi: Seuil, 1989), p. 42.
- ↑ Fraisse, La Petite Musique du style: Proust et ses sources littéraires (Parigi: Garnier, 2011), p. 334.
- ↑ Cfr. Fraisse, La Petite Musique, p. 643.
- ↑ T. S. Eliot, "Tradition and the Individual Talent", in Selected Prose, cur. John Hayward (Harmondsworth: Penguin, 1963), pp. 21–9.
- ↑ Eliot, "Tradition", p. 23.