Le invasioni dei cosiddetti "Popoli del Mare", occorse tra il XIII e l'VIII secolo a.C., faranno precipitare la penisola greca in un periodo privo di scrittura. Di questo periodo oscuro disponiamo di scarso materiale archeologico. Walter Burkert[1] opera tuttavia delle distinzioni: secondo lo studioso tedesco è evidente che la crisi del XII secolo riguarda il Peloponneso e la Grecia centrale essendone risparmiate, almeno in un primo tempo, l'Attica e le isole. Addirittura nell'Acaia, a Nord del Pelopponeso, sopravvive il nome degli "Achei" micenei, e tale territorio sembra essere luogo di rifugio per queste popolazioni. Seguendo lo studio dei dialetti, sembrerebbe che i Micenei (gli Achei) si ritirino in Arcadia o emigrino a Cipro[2], quest'ultima emigrazione si vale anche di testimonianze archeologiche che mostrano influenze vicino-orientali[2]. Nello stesso periodo si avviano le migrazioni dei Dori che, a detta di Burkert, appaiono progressive con alleanze di piccole tribù in guerra piuttosto che una invasione generalizzata. Franz Kiechle[3] ha dimostrato la permanenza, per generazioni, di un regno quasi miceneo ad Amicle, poco distante da Sparta. E comunque:

Statua di donna rinvenuta nel santuario di Artemide a Delo, probabilmente raffigurante la dea Artemide. Risalente al VII secolo a.C. è una delle più antiche statue monumentali in pietra giunte a noi. Da un'incisione riportata sulla parte inferiore sinistra, la statua fu dedicata ad Apollo da Naxian Nikandre. E' oggi conservata al Museo archeologico nazionale di Atene.
« In campo religioso i nomi degli dei testimoniano in modo inequivocabile la sopravvivenza non già di vaghi ricordi, ma di un culto ancora diffuso. Ad ogni modo sopravvive solo circa la metà degli dei micenei, l'altra metà è scomparsa. »
(Walter Burkert. Op.cit. p. 135)

Per il resto i calendari religiosi ateniesi mostrano una comunanza con quelli ionici, altrettanto numerosi calendari eloici con quelli dorici[4]. Stessa condizione per gli strumenti cultuali come i tubetti serpentiformi ora impiegati per il culto dei morti. Le città doriche che si vanno sviluppando sui siti già minoici, come quella di Dreros, mostrano santuari simili a quelli minoici con la differenza della presenza di un fuoco sacrificale al centro della sala che non aveva posto invece nel culto minoico[5].

  1. Walter Burkert. Op.cit., p. 133.
  2. 2,0 2,1 Walter Burkert. Op.cit., p. 133
  3. Cfr. Franz Kiechle. Lakonien und Sparta Monaco, Beck, 1963.
  4. Walter Burkert. Op.cit. p. 137
  5. Walter Burkert. Op.cit. p. 137