La religione greca/Le teologie dei filosofi/L'Intelligenza divina di Anassagora

Con Anassagora, originario di Clazomene in Asia Minore, si avvia nel V secolo a.C. la filosofia ateniese, infatti il filosofo si trasferì intorno alla prima metà del secolo nella capitale dell'Attica dove trascorse buona parte della sua vita conservando l'amicizia di Pericle, fino a quando, nel 437 con l'adozione di un decreto predisposto dal mantís Diopite[1], fu condotto a giudizio e condannato all'esilio. Anassagora si trasferì quindi a Lampsaco, in Ellesponto, dove si spense nel 426 a.C.

Per Anassagora il mondo non nasce né muore ma si compone e si divide[2] laddove gli elementi che si compongono e si dividono (spermata) sono infiniti e non modificabili ma a loro volta infinitamente divisibili: "Tutto è in tutto"[3] Ma come viene ad essere il mondo formato dalle "cose"? Qui Anassagora fa intervenire la nozione di νοῦς, l'Intelligenza, che seppur separata dagli elementi, ne imprime il movimento rotatorio (περιχώρησις) di ampiezza inizialmente limitata ma crescente[4] di modo che da un'originaria mescolanza vengono ad essere le cose che sono.

Con Anassagora il termine νοῦς, già presente in Omero, Talete, Pitagora, Eraclito e Parmenide[5] emerge in tutto il suo significato metafisico[6]. Questo fatto era noto a Cicerone, che nel De natura deorum (I, 11, 26) così si esprime:

(IT)
« Poi Anassagora,, che fu continuatore di Anassimene, per primo sostenne che l'ordinata struttura dell'universo è progettata e realizzata dalla potenza e dalla razionalità di una mente infinita. »

(LA)
« Inde Anaxagoras, qui accepit ab Anaximene disciplinam, primus omnium rerum discriptionem et modum mentis infinitae vi ac ratione dissignari et confici voluit. »
(Cicerone, La natura divina I, 11, 26. Traduzione di Cesare Marco Calcante, Milano, Rizzoli, 2007, p.64)

Il quale probabilmente lo riprendeva da Platone che nel Fedone (97 B) riporta:

« Ma, un giorno, io udii un tale leggere un libro, che affermava essere di Anassagora, il quale diceva che è l'Intelligenza che ordina e che causa tutte le cose. »
(Platone, Fedone 97 b; traduzione di Giovanni Reale, in Platone Tutti gli scritti, Milano, Bompiani,2008, p.105)

Tale "Intelligenza" viene indicata da Giovanni Reale come "divina"[7] anche se nei frammenti del filosofo che possediamo tale qualifica "divina" non viene mai assegnata al νοῦς[8], ma Werner Jaeger nota in merito:

« Recentemente si è fatto notare che le affermazioni di Anassagora sul nus ricordano per la forma linguistica lo stile dell'inno e imitano volutamente questo modello. [...] in nessuno dei frammenti che possediamo è detto esplicitamente che egli abbia attribuito allo spirito qualità divine. Ciò nonostante questo deve essere stato il suo insegnamento, e lo conferma la forma dell'inno con la quale egli riveste gli attributi del nus. Un'altra conferma è data anche dal contenuto di queste sue affermazioni. Gli attributi: illimitato, sovrano, non-misto e autonomo giustificano pienamente il tono elevato in cui il filosofo parla di questo principio supremo. »
(Werner Jaeger, La teologia dei primi pensatori greci, Firenze, La Nuova Italia, 1982, p.249)

In Anassagora tale "Intelligenza divina", il νοῦς, in qualità di potenza attiva e ordinatrice organizza il caos (ἄπειρον, apeírōn) creando così il mondo[9]

« Per primo pose l'Intelligenza al di sopra della materia. L'inizio del suo scritto - che è composto in stile piacevole- è il seguente "Tutte le cose erano insieme; poi venne l'Intelligenza, le distinse e le pose in ordine". »
(Diogene Laerzio, Vite e dottrine dei più celebri filosofi, II, 6. Edizione a cura di Giovanni Reale. Milano, Bompiani, 2006, p.151)

Così l'Intelligenza, il νοῦς, separa le cose che prima erano mescolate[10]. L'Intelligenza[11] è "eterna", "autonoma" e separata dalle cose.

Aristotele[12] ricorda che se per Anassagora il νοῦς ha messo in moto l'universo dando origine alle cose, risultando anche di essere la causa del bello e dell'ordine, non distingue chiaramente (a differenza di Democrito che invece li intende eguali) il νοῦς (l'Intelligenza) dalla ψυχή (l'anima) degli esseri animati.

(IT)
« Tutte le altre cose hanno parte di tutto, l'Intelligenza invece è infinita, indipendente, e non mescolata ad alcuna cosa, ma è sola, lei in se stessa. Infatti, se non fosse in sé, ma fosse mescolata ad altro, parteciperebbe di tutte le cose, anche se mescolata a una qualunque. In tutto infatti si trova parte di tutto »

(GRC)
« τὰ μὲν ἄλλα παντὸς μοῖραν μετέχει, νοῦς δέ ἐστιν ἄπειρον καὶ αὐτοκρατὲς καὶ μέμεικται οὐδενὶ χρήματι, ἀλλὰ μόνος αὐτὸς ἐπ' ἐωυτοῦ ἐστιν. εἰ μὴ γὰρ ἐφ' ἑαυτοῦ ἦν, ἀλλά τεωι ἐμέμεικτο ἄλλωι, μετεῖχεν ἂν ἁπάντων χρημάτων, εἰ ἐμέμεικτό τεωι˙ ἐν παντὶ γὰρ παντὸς μοῖρα ἔνεστιν, ὥσπερ ἐν τοῖς πρόσθεν »
(Anassagora, D-K 59 B 12, traduzione di Salvatore Obinu, in I Presocratici a cura di Giovanni Reale, Bompiani, Milano 2006-2012, pp. 1076-1077)

Per quanto attiene alla "natura" del Νoûs, l'Intelligenza divina, concepito da Anassagora, Eduard Zeller[13] considerandolo come essere incorporeo lo traduce con il termine tedesco Geist (Spirito) anche se poi aggiunge «ed anche se di fatto il concetto di incorporeo non appaia molto chiaro nella sua esposizione non si può far carico alla sola inadeguatezza del suo linguaggio, anche se forse egli ha realmente concepito lo spirito come una più fine materia che muovendosi nello spazio penetra in tutte le cose, tutto ciò non fa velo alla sua intenzione», di fatto consegnandogli una "fine" materialità. Di tutt'altro avviso Giovanni Reale[14] per il quale il Νoûs va certamente considerato "materia": « il fatto che il "Nous" non sia composto non implica eo ipso la sua "immaterialità": è semplicemente una materia che, per la sua privilegiata natura, può mescolarsi alle altre cose senza che queste si mescolino con essa.», questo alla luce del fatto che, secondo Reale, l'orizzonte dei presocratici «ignora le due categorie di materia e spirito».

Note modifica

  1. Plutarco, Vita di Pericle, 32)
  2. Anassagora D-K 59 B 17
  3. Giovanni Reale, Storia della filosofia.... vol.1 p.230.
  4. André Laks, Anassagora in Il sapere greco - dizionario critico, vol.2 p.12.
  5. Noûs (νοῦς) è il termine greco antico, contrazione dell'analogo ionico νόος (nóos), con cui si indica sia una "sostanza", sia la "facoltà mentale" (cfr. Vocabolario greco della filosofia, a cura di Ivan Gobry, Milano, Bruno Mondadori, 2004, p.144). Il termine νόος lo si riscontra per la prima volta in Omero, dove indica l'organo sede della rappresentazione delle idee chiare (In Omero νόος «è lo spirito [...] sede di rappresentazioni chiare» (Bruno Snell citato da Linda Napolitano, Op.cit. p. 7956 che più avanti lo indica come "organo che le suscita e intendimento"), quindi la "comprensione" (Iliade IX, 104), posseduta in misura maggiore dagli dèi (Iliade XVI, 688-690 e XVII 176-178); quindi l'intendimento che le provoca (Odissea V, 23). «Esso ha sede nel petto, e come risulta da almeno due passi (cfr. Odissea III, 60-64; IX, 553 sg., 646. N.B. Rendiamo qui come Odissea e non come Iliade, così erroneamente riportato invece in nota n.5 p.106 dell'edizione italiana dell'opera di Richard Broxton Onians), sembra venisse identificato con il cuore.» (cfr. Richard Broxton Onians, Le origini del pensiero europeo, Milano, Adelphi, 2006, p.106),, anche se Posidone apostrofa Apollo come colui che ha un "cuore privo νόος" (cfr. «ἄνοον κραδίην» Iliade, XXI, 441); inoltre in Odissea sembra piuttosto esprimere un obiettivo o un risultato di un'azione della coscienza (cfr. «οὐ γὰρ δὴ τοῦτον μὲν ἐβούλευσας νόον αὐτή/questo νόος non l'hai progettato tu stessa?» Odissea V, 23). Il νόος esprime, quindi, nei poemi omerici, «sia un movimento specifico, un proposito, sia un'entità in certo modo stabile, ciò che mette in movimento, la coscienza funzionale allo scopo» (cfr. Richard Broxton Onians, op.cit., p.107).
    « Il νοῦς vede, il νοῦς sente: tutto il resto è sordo e cieco. »
    (Epicarmo, fr. 249 Kaibel)

    Nell'ambito della storia della filosofia il termine νοῦς lo incontriamo per la prima volta con una sentenza di Talete, almeno per quanto attiene a ciò che riferisce Diogene Laerzio (I,35):

    (IT)
    « [Di tutti gli esseri...] il più veloce è l'intelletto (νοῦς), perché corre ovunque. »

    (GRC)
    « [...] τί τάχιστον; Νοῦς. Διὰ παντὸς γὰρ τρέχει. »
    (Diogene Laerzio, I, 35; D-K 11, A, 1)

    Pitagora, almeno per quanto afferma Aezio (cfr. I, 3, 8; D-K 58 B 15), avrebbe sostenuto che la nostra anima (ψυχή) sarebbe composta dalla tetrade (τετράδος): intelletto (νοῦς), conoscenza (ἐπιστήμη), opinione (δόξα), percezione (αἴσθησις). Eraclito (cfr. D-K 22 B 2) individua nel termine una sapienza originaria che dovrebbe risultare comune a tutti gli uomini («ciò che dovrebbe essere comune (κοινός) a tutti è ξυνον = σὺν νᾠ "unito a intelletto" (fr.2) forma originaria di sapienza.» Linda Napolitano, Enciclopedia filosofica vol.8, Milano, Bompiani, 2006, p.7956). Così ci sono coloro che parlano con νοῦς (fr. 114) e l'erudizione non è segno di νοῦς (fr. 40). Parmenide quando divide la conoscenza tra opinioni non vere e verità, utilizza il verbo νοεῖν ("l'atto del pensare") e i termini νόημα (termine arcaico utilizzato da Parmenide: il "pensiero", cfr. fr.16) e νοητόn ("ciò che è pensato") per indicare l'attività noetica che sola realizza la vera conoscenza (cfr. Linda Napolitano, Enciclopedia filosofica vol.8, Milano, Bompiani, 2006, p.7956.).

  6. Vocabolario greco della filosofia, a cura di Ivan Gobry, Milano, Bruno Mondadori, 2004, p.146
  7. Cfr. Giovanni Reale, Storia della filosofia greca e romana, vol.1 Milano, Bompiani, 2004, p.232; ma anche Giovanni Reale, Il pensiero antico, Milano, Vita e Pensiero, 2001, p.49.
  8. Cfr. Werner Jaeger, La teologia dei primi pensatori greci, Firenze, La Nuova Italia, 1982, p.249
  9. Vocabolario greco della filosofia, a cura di Ivan Gobry, Milano, Bruno Mondadori, 2004, p.146.
  10. Anassimandro D-K 59 B 13
  11. Anassimandro D-K 59 B 12 e D-K 59 B 14
  12. Aristotele, Dell'anima, I (Α) 2.
  13. Cfr. Eduard Zeller, La filosofia dei greci nel suo sviluppo storico, Parte I, Volume V, Firenze, La Nuova Italia, 1966, pp. 378 e sgg.
  14. Giovanni Reale, Storia della filosofia greca e romana, vol.1, Milano, Bompiani, 2004, p. 233 e sgg.