La religione greca/La religione greca nel periodo arcaico e classico/La ''Teogonia'' di Esiodo

Approfondimento

Le altre Teogonie:
Acusilao, Epimenide e Ferecide

Acusilao di Argo visse prima delle guerre persiane, compose la Γενεαλογίαι in cui riportò, modificandola, la Teogonia di Esiodo. [1]
La teogonia di Epimenide (Χρησμοί)[2] possiede delle analogie sia con quella esiodea che con quella orfica, individuando le potenze prime nell'Aria e nella Notte, genitrici del Tartaro e quindi del restante cosmo. Taumaturgo, fu anche estatico vivendo al pari di Aristea esperienze di viaggio fuori dal corpo [3]. Il dio principale di Epimenide era tuttavia lo Zeus cretese; Plutarco sostiene che lo stesso Epimenide veniva indicato come Κούρης νεός (nuovo Curete).
Ferecide[4], autore del poema cosmogonico Επτάμυχος (Le sette caverne, indicato anche come Θεοκρασία o Πεντάμυχος), individua invece come divinità primordiali ed eterne: Zas (Ζὰς, analogo a Zeus), Chthonie (Χθονίη, poi dopo aver avuto in dono la Terra diviene Gaia) e Chronos (Χρόνος). Dal seme di Chronos, defluirono gli elementi di terra, acqua e fuoco che allocati in sette (o cinque) antri dell'universo furono all'origine della restante generazione degli dèi e quindi del cosmo. La teogonia di Ferecide influì, o fu influenzata, sulle teogonie orfiche e quindi su quelle pitagoriche. [5]

Intorno all' VIII-VII secolo a.C. è databile il testo Teogonia (Θεογονία) opera attribuibile al cantore Esiodo. Tale opera ci è stata consegnata dalla tradizione medievale bizantina[13] unitamente ad altre due opere "esiodee", Opere e giorni (Ἔργα καὶ Ἡμέραι) e Scudo di Eracle (Ἀσπὶς Ἡρακλέους)[14][15].

Eros che incorda l'arco - Copia romana in marmo dall'originale di Lisippo conservata nei Musei Capitolini di Roma.
La prima menzione del dio Eros armato di arco e frecce la si riscontra nell'opera di Euripide Ifigenia in Aulide[6]:
« Avventurato chi prova fa
della dea dell'amore con
temperanza e misura,
e con grande placidità
lungi dagli estri folli, perché
duplice è l'arco della beltà
che l'Amore (Eros) tende su di noi:
l'uno ci porta felicità,
l'altro la vita torbida fa. »
(Euripide Ifigenia in Aulide 542-50. Traduzione di Filippo Maria Pontani in Euripide Le tragedie. Milano, Mondadori, 2007)
Afrodite Sosandra ("salvatrice degli uomini"), copia romana (II secolo d.C.) dall'originale di Calamide (V secolo a.C.) conservata presso il Museo archeologico nazionale di Napoli. Luciano di Samosata la descrive come una statua velata che conserva un sorriso "puro e venerando":
« Calamide l'adornerà della verecondia della sua Sosandra e di quello stesso sorriso dignitoso e lieve »
(Luciano di Samosata. Le immagini. Traduzione di Luigi Settembrini)
.
Eris (Ἔρις) la dea della discordia e della competizione, in un kylix a figure nere risalente al VI secolo a.C., oggi conservato presso l'Altes Museum di Berlino. Eris non possiede solo un aspetto negativo, ma governa anche la sana emulazione tra compagni di lavoro (Esiodo Opere e giorni 11 e sgg.). Figlia della Notte (Nύξ, Nyx) è madre, tra gli altri, dei Dolori, delle Menzogne e degli Assassinii. I Canti Ciprii (VII secolo a.C.) riportano l'evento in cui Zeus, volendo alleggerire la Terra (Γαῖα, Gaia) dal peso dei troppi mortali decide la presenza di Eris al matrimonio di Peleo e Teti, facendo così suscitare la competizione tra le dee che condurrà al giudizio di Paride e quindi alla rovinosa guerra di Troia.
Statua di Iupiter alta circa 3 metri, risalente alla fine del I secolo d.C., ma restaurata nel XIX secolo. Proveniente dalla villa di Domiziano a Castel Gandolfo questa statua è oggi conservata presso il Museo statale Ermitage di San Pietroburgo.
La statua di Iupiter è probabilmente ispirata alla statua di Zeus, quest'ultima opera di Fidia (cfr. Pausania V, 10,2) e ospitata nell'omonimo tempio a Olimpia, ma andata poi perduta, probabilmente a seguito dell'incendio dello stesso provocato in base a un editto di Teodosio II[7].
Considerata una delle "Sette meraviglie"[8] ne resta la seguente descrizione di Pausania:
« Il dio, fatto d'oro[9] e d'avorio[10], è seduto in trono. Gli sta sulla testa una corona lavorata in forma di ramoscelli d'ulivo. Nella mano destra regge una Nike, anch'essa criselefantina, con una benda e, sulla testa, una corona. Nella mano sinistra del dio è uno scettro ornato di ogni tipo di metallo, e l'uccello che sta posato sullo scettro è l'aquila[11]. D'oro sono anche i calzari del dio e così pure il manto. Nel manto sono ricamate figurine di animali e fiori di giglio. »
(Pausania, Viaggio in Grecia (Libri V e VI), V, 11, 1-2. Traduzione di Salvatore Rizzo, Milano, Rizzoli, 2001, p.161.)
Statua in bronzo di Posidone (o Poseidone), risalente al V secolo a.C., conservata nel Museo archeologico nazionale di Atene. Questa statua fu recuperata nel 1928 al largo del mare di Artemisio, era parte del carico di una nave affondata a cavallo della nostra Era. Posidone era originariamente il dio dell'acqua (da cui il suo epiteto di Υαιήοχος, Gaiéokos, "Possessore della terra" inteso come marito della Terra ovvero l'acqua che la feconda) e del terremoto (Ennosigeo, Ἐννοσίγαιον, Scuotitore della terra), solo successivamente fu associato al mare. Questo perché l'ambiente originario dei Greci fu dapprima continentale, fatto dimostrato dalla rarità di nomi greci dei pesci[12].La distinzione iconografica tra Zeus e Posidone è piuttosto difficile essendo rappresentati spesso in modo molto simile. In questo caso, tuttavia, la disposizione della mano che lancia propende più per il tridente piuttosto che per il fulmine, questo solitamente impugnato con tutte le dita a differenza del primo impugnato con sole tre dita atte a calibrare il lancio (cfr. Stefania Ratto. Grecia. Milano, Electa, 2006, p.95).

La lingua utilizzata nella Teogonia è convenzionale almeno quanto quella "omerica", ripetendone alcune caratteristiche con qualche innovazione[16], è quindi un dialetto ionico "composito"[17]. L'opera si compone di 1.022 esametri.

« La Teogonia esiodea sembra riflettere la dottrina teogonica dei sacerdoti di Apollo delfico. In origine sarebbe stato il Χάος, il "vuoto primordiale" e poi Γαῖα, la Terra, ed Ἔρως o amore, come attrazione reciproca e principio di unione ed armonia »
(Ilaria Ramelli e Carlo del Grande. Teogonia in Enciclopedia filosofica vol.11. Milano, Bompiani, 2006, pag.11416)

Diversi studiosi hanno evidenziato inoltre le analogie, e quindi le influenze, che tale modello mitologico riceve dalle culture religiose e dai miti propri del Vicino Oriente antico e dell'Antico Egitto[18]:

« Lo sviluppo della vita dell'universo viene presentata da Esiodo secondo l'idea (largamente diffusa nella mitologia comparata) dello scontro fra generazioni divine che si succedono nel dominio. Il mito da lui narrato rivela l'influenza di racconti sacri diffusi tra le culture del Vicino Oriente: l'opera in cui va identificato il più antico modello della Teogonia è un testo hittita redatto intorno al 1400 a.C. e derivato a sua volta da una più antica versione hurrita (forse del terzo millennio a.C.). Secondo questi racconti, il dio più antico fu Alalu, a cui seguì il dio del cielo Anu (corrispondente a Urano); suo figlio Kumarabi (corrispondente a Crono) lo evirò e prese il potere. In seguito nacque il dio delle tempeste, che Kumarabi voleva inghiottire per sventare ogni futuro pericolo; al suo posto però gli fu data una pietra. Infine il dio delle tempeste (una divinità legata ai fenomeni atmosferici, esatto corrispondente di Zeus) prese il potere e dovette poi lottare contro mostri e giganti che cercavano di spodestarlo. Il racconto di Esiodo s'ispira dunque a un antichissimo mito cosmogonico, che attraverso varie mediazioni giunse sino a lui e fu inglobato molto precocemente nel sistema mitologico greco. »
(Giulio Guidorizzi. Il mito greco vol.1 Gli dèi. Milano, Mondadori, 2009, p.1167)

L'inno alle dee Muse modifica

La Teogonia di Esiodo, così come ambedue i poemi "omerici", si contraddistingue per un preciso incipit che richiama l'intervento di alcune dee indicate con il nome di "Muse" (Μοῦσαι, -ῶν).

(IT)
« Dalle Muse Eliconie cominciamo il canto,
loro che di Elicone possiedono il monte grande e divino »

(GRC)
« Μουσάων Ἑλικωνιάδων ἀρχώμεθ᾽ ἀείδειν,
αἵ θ᾽ Ἑλικῶνος ἔχουσιν ὄρος μέγα τε ζάθεόν τε »
(Esiodo, Teogonia, 1-2. Traduzione di Graziano Arrighetti, in Opere. Milano, Mondadori, 2007, p. 3)

Come nota Walter Friedrich Otto, le Muse sono divinità con delle caratteristiche uniche:

« Le Muse hanno un posto altissimo, anzi unico, nella gerarchia divina. Son dette figlie di Zeus, nate da Mnemosine, la Dea della memoria; ma ciò non è tutto, ché ad esse, e ad esse soltanto, è riservato portare, come il padre stesso degli Dei, l'appellativo di olimpiche, appellativo col quale si solevano onorare sì gli Dei in genere, ma -almeno originariamente- nessun Dio in particolare, fatta appunto eccezione per Zeus e le Muse »
(Walter Friedrich Otto. Theophania. Genova, Il Melangolo, 1996, p. 48)

La loro origine è stata raccontata in un "inno" di Pindaro andato perduto, l'Inno a Zeus, ma ricostruibile per mezzo di una preghiera alle stesse redatta da Elio Aristide[19] il quale ricorda come in occasione del suo matrimonio, Zeus domandò agli altri dèi quale fosse un loro desiderio non ancora esaudito e questi gli risposero chiedendo di generare delle divinità «capaci di celebrare, attraverso la parola e la musica, le sue grandi imprese e tutto ciò che egli aveva stabilito.»[20].

Otto[21] evidenzia, con questo accadimento, come non sia il creato «a dover lodare il suo creatore, piuttosto ad esso manca ancora qualcosa: l'essere delle cose non è ancora compiuto finché non si dà una voce che lo esprima. Le cose e la loro gloria devono essere pronunciate: questo è l'adempimento della loro essenza».

Se dunque le Muse sono quelle dee che rappresentano l'ideale supremo dell'Arte, intesa come verità del "Tutto" ovvero l'"eterna magnificenza del divino"[22], i poeti sono da loro 'posseduti', sono entheos, (ἔνθεος "pieni di Dio") come ricorda lo stesso Democrito[23].

Ed essere entheos, "pieno di Dio", è una condizione che «il poeta condivide con altri ispirati: i profeti, le baccanti e le pitonesse»[24][25][26].

Nel caso di Esiodo viene raccontata una vera e propria "epifania": le dee incontrano il pastore Esiodo «mentre pascolava agnelli sotto il divino Elicone» apostrofandolo tra i «pastori campestri, vili creature obbrobriose, niente altro che ventri», ma le dee consegnano al pastore Esiodo il bastone (o lo scettro) decorato di alloro trasformandolo da «'ventre', ovvero rozzo contadino e pastore in poeta: una divina grazia tanto eccezionale quanto misteriosa»[27].

« Il dono delle Muse dunque, o meglio uno dei loro doni, è la capacità di parlare secondo verità. »
(Eric R. Dodds. I greci e l'irrazionale. Milano, Rizzoli, 2009, p. 126)

Le Muse, dunque, sono le dee che donano agli uomini la possibilità di parlare secondo il "vero" e, figlie di Mnemosýne (Μνημοσύνη), la Memoria, consentono ai cantori di "ricordare" avendo questa stessa funzione uno statuto religioso e un proprio culto[28].

Non solo, Marcel Detienne evidenziando come la memoria dei "poeti" non corrisponda agli stessi fini di quella degli uomini moderni, chiosa:

« Fin dall'inizio la memoria sacralizzata è privilegio di alcuni gruppi di uomini organizzati in confraternite; come tale, si differenzia radicalmente dal potere di ricordarsi degli altri individui. In questi ambienti di poeti ispirati, la memoria è onniscienza di carattere divinatorio; come il sapere mantico, si definisce attraverso la formula: "ciò che è, ciò che sarà, ciò che fu[29]". Con la sola memoria il poeta accede direttamente, in una visione personale, agli avvenimenti che evoca; ha il privilegio di entrare in contatto con l'altro mondo. La sua memoria gli permette di "decifrare l'invisibile". Dunque, la memoria non è solo il supporto materiale della parola cantata, la funzione psicologica che sostiene la tecnica formulare; è anche e soprattutto la potenza religiosa che conferisce al verbo poetico il suo statuto di parola magico-religiosa. In effetti, la parola cantata, pronunciata da un poeta dotato di un dono di veggenza, è una parola efficace; per sua propria virtù istituisce un mondo simbolico religioso che è lo stesso reale. »
(Marcel Detienne. I maestri di verità nella Grecia arcaica. Milano, Mondadori, 1992, p. 4)

Quindi la potenza, la dea della memoria, Mnemosine

« madre delle muse, è "oblio dei mali e tregua alle cure"[30]. In questa sorta di incantesimo si può già intravedere un primo accenno di quello che saranno in seguito gli esercizi spirituali filosofici, sia che appartengano all'ordine del discorso che a quello della contemplazione. Poiché non è soltanto a causa della bellezza dei loro canti e delle loro storie che le Muse fanno dimenticare le disgrazie, ma anche perché introducono il poeta e colui che lo ascolta a una visione cosmica. »
(Pierre Hadot. Che cos'è la filosofia antica. Torino, Einaudi, 1998, p. 22)

La manifestazione del Cosmo modifica

Dopo un proemio (vv.1-115) inerente alle Muse, le dee "olimpiche" a cui si deve l'intera opera religiosa, la Teogonia racconta l'origine del mondo:

  • (v. 116) all'inizio, e per primo, "venne ad essere" Chaos (Χάος, "Spazio beante", "Spazio aperto"[31], "Voragine"[32])[33];
  • (v. 117) segue Gaia (Γαῖα, anche Gea, Ghe, Terra) che corrisponde sia all'entità "fisica" sia alla personificazione come "dea"[34], sede sicura ed eterna di tutti gli dèi che abitano l'Olimpo;
  • (v. 119) quindi Tartaro (Τάϱταϱος), la realtà tenebrosa e sotterranea (katachthònia);
  • (vv. 120-122) poi Eros (Ἔρως), il più bello (κάλλιστος) tra gli dèi[35], il dio primordiale che "scioglie le membra" (λυσιμελής), e che condiziona l'esistenza dei mortali come quella degli immortali, principio generatore che non genera[36][37];
  • (v. 123) da Chaos ("Spazio beante") sorgono, per partenogenesi, Erebo (Ερεβος, le Tenebre)[38] e Nyx (Nύξ, Notte)[39];
  • (v. 124-125) e dall'unione di Nyx con Erebo nascono Etere (Αιθήρ, la Luminosità del cielo) e Hemere (Ἠμἐρα, il Giorno)[40];
  • (vv. 126-132) da Gaia ("Terra") viene generato, per partenogenesi, Urano (Οὐρανός ἀστερόεις, "Cielo stellante") pari alla Terra[41], genera quindi, sempre per partenogenesi, i monti, le Ninfe (Νύμφη nymphē) dei monti[42] e il Ponto (Πόντος, il Mare)[43];
  • (vv. 133-138) unendosi a Urano ("Cielo"), Gaia ("Terra") genera i Titani (Τιτάνες): Oceano (Ὠκεανός)[44], Coio ( Κοῖος, anche Ceo), Creio (Κριός, anche Crio), Iperione (Ύπέριον), Iapeto (Ιαπετός, anche Giapeto), Theia (Θεία, anche Teia o Tia)[45], Rea (Ῥέα), Themis (Θέμις, anche Temi), Mnemosyne (Μνημοσύνη, anche Menmosine), Phoibe (Φοίϐη, anche Febe), Tethys (Τηθύς, anche Teti) e Kronos (Κρόνος, anche Crono)[46].

Verso l'ordine di Zeus modifica

  • (vv. 139-153) Dopo i Titani, l'unione tra Gaia e Urano genera i tre Ciclopi (Κύκλωπες: Brontes, Steropes e Arges[47])[48]; e i Centimani (Ἑκατόγχειρες, Ecatonchiri): Cotto, Briareo e Gige dalla forza terribile[49];
  • (vv.154-182) Urano, tuttavia, impedisce che i figli da lui generati con Gaia, i dodici Titani, i tre Ciclopi e i tre Centimani, vengano alla luce. La ragione di questo rifiuto risiederebbe secondo alcuni autori[50], nella loro "mostruosità". Ecco che la madre di costoro, Gaia, costruisce dapprima una falce dentata e poi invita i figli a disfarsi del padre che li costringe nel suo ventre. Solo l'ultimo dei Titani, Kronos, risponde all'appello della madre: appena Urano si stende nuovamente su Gaia, Kronos, nascosto[51] lo evira;
  • (vv.183-187) il sangue versato dal membro evirato di Urano goccia su Gaia producendo altre divinità: le Erinni[52] (Ἐρινύες: Aletto, Tesifone e Megera[53]), le dee della vendetta[54], i terribili Giganti (Γίγαντες)[55][56] e le Ninfe Melie (Μελίαι)[57][58];
  • (vv.188-210) Kronos getta nel mare il membro di Urano e dallo seme "uranico" mischiato al liquido marino si forma la "spuma del mare"[59] da cui nasce Afrodite (Aφροδίτη), dea dell'amore, della fertilità e della bellezza, al cui seguito si pongono il dio Eros[60] e il dio Himeros (Ἵμερος)[61];
  • (vv.211-212)da Nyx (Nύξ, Notte), nata per partenogenesi da Chaos sorgono, sempre per partenogenesi: Moros (Μόρος, il Destino inevitabile); Ker (Κήρ, la Morte violenta); Thanatos (θάνατος, la Morte); Hypnos (Ὕπνος, il Sonno); gli Oneiroi (Ὄνειροι, la stirpe dei Sogni);
  • (vv.213-225) successivamente Nyx genera, sempre per partenogenesi: Momos (Μῶμος, Biasimo); Oizys (Ὀϊζύς, Afflizione); le Esperidi (Ἑσπερίδες) che hanno cura delle mele auree[62] e dei loro alberi posti al di là dell'Oceano[63]; le Moire (Μοῖραι)[64]; le Kere (Κῆρες)[65];Nemesis (Nέμεσις, Distribuisce[66]); Apate (Ἀπάτη, Inganno) e Philotes (Φιλότης, Affetto o Tenerezza[67]); Geras (Γῆρας, Vecchiaia rovinosa); Eris (Ἔρις, Discordia);
  • (vv.226-232) Eris, la Discordia odiosa, genera: Ponos (Πόνος, Fatica), Lethe (Λήθη, Oblio), Limós (λιμός, Fame), Algea (Ἄλγεα, Dolori che fanno piangere), Hysminai (Ὑσμίναι, Mischie), Machai (Μάχαι, Battaglie), Phonoi (Φόνοι, Assassinii), Androctasiai (Ἀνδροκτασίας, Massacri), Neikea (Νείκεά, Conflitti), Pseudea (Ψεύδεά, Menzogna), Logoi (λόγόυς, Discorsi) e Amphillogiai (Ἀμφιλλογίας, Controversie), Dysnomie (Δυσνομία, Anarchia) e Ate (Ἄτη, Sciagura) che vanno insieme, Horkos (Όρκος, Giuramento) che grande sciagura procura a chi lo tradisce;
  • (vv.233-239) Ponto (Πόντος, il Mare) genera[68] Nereo (Νηρεύς) detto il "vecchio", divinità marina sincera ed equilibrata; poi, sempre Ponto ma unitosi a Gaia, genera Taumante (Θαῦμας)[69], quindi Phorcy (Φόρκυς)[70], Cetó (Κητώ)[71] dalle "belle guance"[72], ed Eurybie (Εὐρύβια)[73];
  • (vv.240-264) dall'unione di Nereo con Doris (Δωρίς)[74], figlia del titano Oceano, il fiume che perfettamente termina in sé stesso, nascono le Nereidi (Νηρεΐδες)[75];
  • (vv.265-269) Taumante, figlio di Ponto e di Gaia, unendosi ad Elettra (Ἠλέκτρα), figlia di Oceano, genera Iris (Ἶρις)[76] e le due Arpie ( Ἅρπυιαι)[77];
  • (vv.270-279) Phorcy e Cetó generano le due canute Graie (γραῖαι)[78] e le tre Gorgoni (γοργόνες)[79] abitanti come le Esperidi al di là di Oceano, ad Occidente;
  • (vv.280-286) quando Perseo[80] taglierà la testa a una delle Gorgoni, Medusa (Μέδουσα), l'unica di queste mortale e che ebbe come amante Posidone, dal suo corpo sorgerà Chrysaor (Χρυσάωρ, anche Crisaore) dalla spada d'oro, e il cavallo alato Pegaso (Πήγασος) che volò al servizio di Zeus;
  • (vv.287-294) Chrysaor, unendosi all'oceanina Calliore (Καλλιρρόη), genera il tricefalo Gerione (Γηρυών)[81] che sarà ucciso dall'eroe Eracle[82];
  • (vv.295-318) Phorcy e Cetó o Chrysaor e Calliore o Cetó per partenogenesi[83] genera Echidna (Ἔχιδνα) il mostro metà fanciulla e metà serpente divoratore di carne, la quale, unendosi[84] a Typhaon (Τυφάων, anche Typheo o Tifeo o Tifone)[85], genera Ortho (Ὀρθός), il cane di Gerione, Cerbero (Κέρβερος)[86], il cane di Ade, e Idra (Ὕδρα) che conosce tristi cose e che verrà uccisa da Eracle;
  • (vv.319-325) Echidna e Typhaon generano anche Chimera (Χίμαιρα)[87] spirante fuoco, che verrà uccisa da Pegaso e da Bellerofonte (Βελλεροφόντης)[88];
  • (vv.326-332) Echidna o Chimera[89] unendosi a Ortho[90] genera Fiche (Φίξ)[91] e il leone Nemeo (Λέων τῆς Νεμέας) che verrà abbattuto da Eracle;
  • (vv.333-336) Phorcy e Cetó generano, per ultimo, il serpente Ladon (Λάδων) che tra le sue spire custodisce le greggi d'oro;
  • (vv.337-370) i titani Oceano e Tethys (Teti) generano i venticinque Fiumi (Ποταμοί)[92] e le quarantuno[93] Oceanine (Ὠκεανίδες), tra cui Stige (Στύξ), la più illustre, le quali con il loro elemento acquatico nutrono di giovinezza gli uomini;
  • (vv.371-374) i titani Theia (Teia) e Iperione generano Elios (Ἥλιος, Helios, Sole), Selene (Σελήνη, Luna) e Eós (Ἠώς, Aurora);
  • (vv.375-377) il titano Creio e la figlia di Ponto e Gaia, Eurybie, generano Astreo (Ἀστραῖος), Pallante (Παλλάς)[94] e Perse (Πέρσης);
  • (vv.378-382) Astreo ed Eós generano i tre venti[95] Zefiro (Ζέφυρος)[96], Borea (Βορέας)[97] e Noto (Νότος)[98]; successivamente generano Eosphoro (Ἑωσφόρος, Stella del Mattino) e le altre Stelle del firmamento;
  • (vv.383-403) Stige (una delle figlie di Oceano) e Pallante, generano Zelos (Ζῆλος, Rivalità) e Nike (Νίκη, Vittoria), Kratos (Κράτος, Potere) e Bie (Βία, Forza); e con questi suoi figli, Stige, divenuta dea custode del giuramento tra gli dèi, parteciperà per prima alla glorificazione di Zeus, rappresentando i figli il seguito del futuro re degli dèi;
  • (vv.404-410) i titani Phoibe e Coio generano la dolce Letó (Λητώ, anche Latona)[99] dal peplo azzurro, Asterie (Ἀστερία, anche Asteria) che Perse condusse al suo palazzo come consorte;
  • (vv.411-452) Asterie e Perse generano Ecate (Ἑκάτη)[100]; i versi 404-52 della Teogonia corrispondono all'Inno a Ecate la dea di stirpe titanica che qui possiede un rango particolarmente elevato, assegnatole da Zeus in persona; la sua zona di influenza è la terra, il mare e il cielo[101] dove ella appare a protezione dell'uomo oltre che nel ruolo di intermediaria tra questi e il mondo degli dèi.

La nascita e il dominio di Zeus modifica

  • (vv.453-491) I titani Kronos (Crono) e Rea generano: Istie (Ἱστίη, ionico; anche Estia dall'attico Ἑστία), Demetra (Δήμητρα), Era (Ἥρα, anche Hera), Ade (Ἅιδης) ed Ennosigeo (Ἐννοσίγαιον, Scuotitore della terra, da intendere come Posidone o Poseidone Ποσειδῶν[102]); ma tutti questi figli vengono divorati da Kronos in quanto, avvertito dai genitori Gaia e Urano che uno di questi lo avrebbe spodestato, non vuole cedere il potere regale. Grande sconforto questo stato di cose procura a Rea, la quale, incinta dell'ultimo figlio avuto da Kronos, Zeus (Ζεύς), e consigliatasi con gli stessi genitori, decide di partorire nascostamente a Lycto (Creta)[103], consegnando a Kronos una pietra che questi divora pensando fosse il proprio ultimo figlio;
  • (vv.492-500) Zeus cresce in forza e intelligenza e infine sconfigge il padre Kronos facendogli vomitare[104] gli altri figli che aveva divorato, e il primo oggetto vomitato da Kronos è proprio quella pietra che egli aveva inghiottito scambiandola per Zeus[105];
  • (vv.501-506) quindi Zeus scioglie dalle catene i tre Ciclopi[106] così costretti dallo stesso Kronos, i quali lo ricambieranno consegnandogli il tuono, il fulmine e il lampo[107];
  • (vv.507-616) il titano Iapeto e l'oceanina Climene (Κλυμένη) generano Atlante (Ἄτλας) dal cuore violento, Menetio (Μενοίτιος), Prometeo (Προμηθεύς) e Epimeteo (Ἐπιμηθεύς): il destino di Atlante e di Menetio sono decisi da Zeus i quali costringe il primo a sorreggere la volta celeste con la testa e facendo forza sulle braccia, mentre il secondo, per via della sua tracotanza, lo scaglia con il fulmine nell'Erebo. Complessivamente, a parte la vicenda di Epimeteo ("colui che pensa dopo", a differenza del fratello Prometeo "colui che pensa prima") il quale accoglierà improvvidamente il dono di Zeus consistente nella "donna", "portatrice di guai" per l'uomo, i versi 507-616 narrano la vicenda di Prometeo, il titano campione degli uomini il quale avendo cercato di ingannare Zeus durante la spartizione del bue sacrificale, e successivamente per aver rubato il fuoco agli dèi donandolo agli uomini, viene condannato dallo stesso Zeus a essere eternamente legato a una colonna, dove un'aquila di giorno gli mangia il fegato[108] che di notte gli ricresce, questo finché Eracle, figlio di Zeus e con il suo permesso, non lo libererà dal tormento.
  • I versi 617-720 si occupano della Titanomachia, la lotta tra i titani residenti sul monte Othrys[109] e gli dèi dell'Olimpo (figli di Kronos e di Rea): da dieci anni la lotta tra i due schieramenti prosegue incerta quando Zeus, su consiglio di Gaia, libera i tre Centimani precedentemente costretti nella terra da Urano e, dopo averli rifocillati con nettare e ambrosia, li coinvolge nella battaglia che diverrà così decisiva e si concluderà con la sconfitta dei titani e la loro segregazione nel Tartaro, chiuso da mura e da porte di bronzo costruite appositamente da Posidone e guardati a vista dagli stessi tre Centimani;
  • seguono versi 720-819 che sono una descrizione del Tartaro, di difficile collocazione e interpretazione[110], nel cui ambito si pongono oltre che i Titani prigionieri e i tre Centimani loro sorveglianti (Cotto, Gige e Briareo, e la moglie di quest'ultimo la figlia di Posidone, Kymopoleia, Κυμοπόλεια), anche Nyx e Atlante che regge il cielo, Hypnos e Thanatos, Ade e Persefone (Περσεφόνη), Cerbero e Stige.
  • I versi 820-885 trattano della Tifonomachia, ovvero dell'ultima battaglia condotta da Zeus prima della sua totale supermazia. L'evento è causato dalla nascita di Typheo (υφωεύς, anche Tifeo), generato da Gaia e da Tartaro "a causa dell'aurea" di Afrodite. Questo essere gigantesco, mostruoso, terribile e potente viene sconfitto dal re degli dèi e relegato nel Tartaro insieme ai Titani, da dove spira i venti dannosi per gli uomini. I versi 886-1022 concludono il poema.
  • (vv. 886-900) Zeus vincitore delle forze divine ostili agli dèi olimpici prende in sposa l'oceanina Metis (Μῆτις), figlia di Oceano e di Tethys (Teti); ma, avvertito da Gaia e da Urano che il loro erede maschio avrebbe potuto conquistare il suo stesso trono regale, Zeus la inghiottisce incorporando con Metis, la sua caratteristica unica, la "saggezza profetica". Zeus incorpora Metis, prima che questa partorisca la sua primogenita:[111] la dea glaucopide[112], Atena (Ἀθηνᾶ).
  • (vv. 901-906) Successivamente Zeus sposa Themis, la dea, sorella dei titani, figlia di Urano e Gaia, che genera le tre Horai (Ὥραι): Eunomie (Εὐνομία), Dike (Δίκη) e Eirene (Eἰρήνη), le quali vegliano sulle opere degli uomini. La coppia Zeus e Themis genera anche le tre Moire (Μοῖραι): Cloto (Κλωθώ), Lachesi (Λάχεσις) e Atropo (Ἄτροπος) che consegnano il destino ai mortali[113].
  • (vv. 907-911) Poi, Zeus, sposa l'oceanina Eurynome (Εὐρυνόμη), anch'essa figlia di Oceano e di Tethys (Teti), che gli genera le tre Chariti (Χάριτες): Aglaie (Ἀγλαΐα), Euphrosyne (Εὐφροσύνη) e Thalie (Θαλία).
  • (vv. 912-914) Quindi Zeus sposa la sorella Demetra che partorisce Persefone (Περσεφόνη) dalle "bianche braccia"[114], che sarà concessa da Zeus ad Ade come consorte e quindi rapita da quest'ultimo[115];
  • (vv. 915-917) Zeus prende in sposa anche Mnemosyne dalle "belle chiome"[116], figlia di Gaia e di Urano, che gli genera le nove Muse (Μοῦσαι) dal diadema d'oro;
  • (vv. 918-920) con Letó, Zeus genera Apollo (Ἀπόλλων) e Artemide (Ἄρτεμις) "arciera"[117];
  • (vv. 921-923) infine, per ultima, Zeus sposa Era con cui genera Ebe (Ἥβη), Ares (Ἄρης) e Eileithyia (Εἰλείθυια);
  • (vv. 924-926) dalla sua testa Zeus genera Atena, signora invincibile di eserciti;
  • (vv. 927-929) Era, adirata con Zeus, genera per partenogenesi Efesto (Ἥφαιστος) valente nelle arti;
  • (vv. 930-933) da Amphitrite (Ἀμφιτρίτη), nereide quindi una delle cinquanta figlie di Nereo e Doris, congiunta a Ennosigeo (Posidone), nasce Tritone (Τρίτων) vigoroso che abita il fondo del mare insieme ai suoi genitori;
  • (vv. 933-937) da Ares e Citerea (Κυθέρεια, appellativo Afrodite[118]) nascono Phobos (Φόβος) e Deimos (Δεῖμος) divinità terribili che ineriscono al terrore che agita gli uomini durante le guerre; Ares e Afrodite generano quindi Armònie (Ἁρμονία), futura sposa di Cadmo (Κάδμος);
  • (vv. 938-939) Zeus e la figlia di Atlante Maia (Μαίη) generano Ermes (Ἑρμῆς, anche Hermes), il messaggero degli dèi;
  • (vv. 940-942) La figlia di Cadmo, la mortale Semele (Σεμέλη), genera con Zeus l'immortale e ricco di gioia Dioniso (Διόνυσος), divenendo successivamente anche lei una dea;
  • (vv. 943-944) La mortale Alcmena genera con Zeus l'eroe Eracle[119];
  • (vv. 945-946) Efesto, figlio di Era, sposa la più giovane della Chariti, Aglaie;
  • (vv. 947-949) Dioniso dai capelli d'oro sposa la mortale Arianna (Ἀριάδνη anche Ariadne), figlia di Minosse (Μίνως), ma che Zeus renderà immortale;
  • (vv. 950-955) Ebe, figlia di Zeus e di Era, sposa Eracle dopo che fu reso immortale;
  • (vv. 956-957) Elios e l'oceanina Perseis (Περσηίς, anche Perseide) generano Circe (Κίρκη) e Aiete (Αἰήτης, anche Eeta);
  • (vv. 958-962) Aiete sposa l'oceanina Iduia (Ἰδυῖα) e genera Medea (Μήδεια);
  • I versi 963-968 consistono dapprima in un saluto agli dèi olimpi e alle entità del mondo, per poi procedere ad una nuova invocazione alle dee Muse per avviare il Catalogo delle donne (γυναικῶν κατάλογος; anche Eoie Ἠοῖαι) dove si celebra l'amore di dèi per delle donne mortali. A tal proposito occorre riportare quanto considerato da Aristide Colonna[120] quando riferisce delle conclusioni, inequivocabili, di Edgar Lobel[121] secondo le quali dopo lo studio del papiro di Ossirinco 2354 risulta evidente che la fine della Teogonia coincide, ovvero si salda, con l'avvio del Catalogo delle donne.
  • (vv. 969-974) Demetra unitasi all'eroe Iasio (Ἰάσιος, anche Iasìone) genera Ploutos (Πλοῦτος, anche Pluto) dio della ricchezza e dell'abbondanza delle messi;
  • (vv. 975-978) Armònie e Cadmo generano Inó (Ἰνώ), Semele (Σεμέλη), Agavé (Ἀγαύη), Autonoe (Αὐτονόη), che divenne sposa di Aristeo (Ἀρισταῖος), e Polidoro (Πολύδωρος);
  • (vv. 979-983) l'oceanina Calliore e Crisaore (Chrysaor) generano Gerione[122] che verrà ucciso da Eracle a Erytheia (Eritea) per via dei buoi;
  • (vv.984-985) la dea Eós (Aurora), figlia dei titani Theia (Teia) e Iperione, e l'eroe Titono (Τιθωνός, anche Titono)[123] generano l'eroe Memnone (Μέμνων)[124] armato di bronzo e re degli Etiopi, e il re Emathione (Ἠμαθίων, anche Ematione);
  • (vv. 986-991) la dea Eós (Aurora) e Cefalo (Κέφαλος), generano Fetonte (Φαέθων) che verrà rapito da Afrodite che lo condurrà in un suo tempio dove lo designerà "guardiano" del penetrale, trasformandolo in dèmone divino;
  • (vv. 992-1002) la figlia di Aiete[125] fu condotta via dal figlio di Esone (Αἴσων)[126] costretto a queste vicende dal violento Pelia (Πελίας). Dal matrimonio di Giasone con Medea nasce Medeio (Μήδειος) che fu allevato da Chirone (Χείρων) figlio di Philyra (Φιλύρα anche Filira);
  • (vv. 1003-1005) la nereide Psamate (Ψάμαθη), unitasi a Eaco (Αἰακός), genera Phoko (Φώκος);
  • (vv. 1006-1007) la nereide Thetis (Θέτις, anche Teti)[127] unitasi all'eroe Peleo (Πηλεύς), genera l'eroe Achille (Ἀχιλλεύς) dal cuore di leone;
  • (vv. 1008-1010) Citerea (Afrodite) unitasi all'eroe Anchise (Ἀγχίσης) genera l'eroe Enea (Αἰνείας);
  • (vv. 1011-1016) la dea Circe, figlia del dio Elios, unitasi all'eroe Odisseo (Ὀδυσσεύς), genera Agrio (Ἄγριος), Latino (Λατῖνος) e Telegono (Τηλέγονος) che regnano sui Tirreni;
  • (vv. 1017-1018) l'oceanina Calipso (Καλυψώ), unitasi a Odisseo, genera Nausithoo (Ναυσίθοος) e Nausinoo (Ναυσίνοος).
  • Gli ultimi versi della Teogonia, (vv. 1019-1022) aprono al Catalogo delle donne (γυναικῶν κατάλογος; anche Eoie Ἠοῖαι).


Note modifica

  1. Cfr. Felix Jacoby, Die Fragmente der griechischen Historiker, 1, 1-2; Karl Wilhelm Ludwig Müller, Fragmenta historicorum graecorum I, 100.
  2. VI secolo a.C., Sull'aedo e indovino Epimenide cfr.: Diels-Kranz III, A, 4; Plutarco Vita di Solone XII; Diogene Laerzio Vite.... I, 110; Platone Leggi I, 642 d, e III, 677 d; per la sua teogonia cfr. A. Bernabé, La teogonia di Epimenide. Saggio di ricostruzione in E. Federico e A. Visconti (a cura di) Epimenide cretese Napoli, 2001, pp.195-216; sulla figura G. Pugliese Carratelli, Epimenide in Tra Cadmo e Orfeo, Bologna, Mulino, 1990, pp. 365 e sgg. e Giorgio Colli, La sapienza greca vol.II.
  3. D-K 3.
  4. VI secolo a.C.
  5. Cfr. DK 7. Su Ferecide cfr. Giorgio Colli, La sapienza greca vol.II.
  6. Cfr. George M. A. Hanfmann. Oxford Classica Dictionary. Oxford Univeristy Press, 1970. In italiano Dizionario delle antichità classiche Cinisello Balsamo, Paoline, 1995, pag.849.
  7. Cfr. Salvatore Rizzo nota 2 p.485 e nota 1 p.491, in Pausania, Viaggio in Grecia (Libri V e VI). Milano, Rizzoli, 2001.
  8. Cfr. Igino Astronomo, 223.
  9. «Figlio di Zeus è l’oro, non lo intacca né tarma né tarlo» (Pindaro, fr. 222 M.). «Le statue dedicate a Zeus venivano ritualmente decorate con il prezioso metallo che, essendo l'unico materiale immutabile nel colore, nella lucentezza e nella resistenza veniva destinato in Grecia, come in tutto il Mediterraneo all'ambito del sacro.» Lia Luzzatto e Renata Pompas. Il significato dei colori nelle civiltà antiche. Milano, Bompiani, 2005, p. 189.
  10. L'avorio è considerato "carne divina" e quindi destinato all'arte sacra, questo sia per la sua preziosità sia per il fatto che rappresentava meglio del "bianco" il fulgore divino (cfr. Valentina Manzelli. La policromia nella statuaria greca arcaica. Roma, L'Erma di Bretschneider, 1994, p. 64; Lia Luzzatto e Renata Pompas. Il significato dei colori nelle civiltà antiche. Milano, Bompiani, 2005, p. 108).
  11. Cfr. anche:
    « Sullo scettro di Zeus
    l'aquila la regina degli uccelli
    dorme calando l'una e l'altra
    rapida ala [...] »
    (Pindaro. Pitiche I, 11-4, Per Ierone e per Etna. Traduzione di Enzo Mandruzzato. Pindaro Tutte le opere. Milano, Bompiani, 2010, p.209)
  12. Cfr. Herbert Jennings Rose e Charles Martin Robertson, Oxford Classical Dictionary 1970; trad. it. Dizionario di antichità classiche. Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 1995, p. 1709.
  13. Per mezzo di circa trenta papiri e cira sessanta manoscritti.
  14. Si ritiene che, pur di ispirazione "esiodea", lo Scudo di Eracle vada datato un secolo dopo il periodo in cui Esiodo compose, questo se si colloca tale periodo alla fine dell'VIII secolo (Cfr. ad es. Cesare Cassanmagnago p.14).
  15. Le altre opere "esiodee" sono andate perdute, tranne il Catalogo delle donne ( γυναικῶν κατάλογος; anche Eoie Ἠοῖαι) che, grazie al recupero di numerosi papiri egiziani, è stato in parte ricostruito.
  16. Cesare Cassanmagnago p.16
  17. Pur essendo Esiodo nativo della Beozia; sulle ragioni cfr. Luciano Agostiniani pp. 1141 e sgg.
  18. Il testo, fondamentale tutt'oggi, di queste ricerche è Francis MacDonald Cornford, Principium Sapientiae. The Origins of Greek Philosophical Thought, Cambridge, Cambridge University Press, 1952, a cui si richiama, seppur con delle differenze nelle conclusioni, l'opera di Walter Burkert The Orientalizing Revolution. Near Eastern Influence on Greek Culture in the Early Archaic Age, Cambridge (Massachusetts), Harvard University Press, 1992
  19. ‘’Aristides ex recensione Guilielmi Dindorfii’’, Lipsiae, G. Reimer 1829, II, 142 Dind. (Karl Wilhelm Dindorf); citato anche in Walter Friedrich Otto, Le Muse e l'origine divina della parola e del canto, Roma, Fazi, 2005, p. 31; nonché da David Bouvier in "Meme". Le peripezie della memoria greca in Storia Einaudi dei Greci e dei Romani vol. 6 La cultura dei Greci (a cura di Salvatore Settis). Torino, Einaudi, 2008, pp. 1131 e sgg., il quale ricorda anche un passaggio nella Piantagione di Noè (De plantatione) di Filone di Alessandria ai versi 172 e sgg. (Cfr. nella traduzione di Roberto Radice in Filone di Alessandria. Tutti i trattati del commentario allegorico alla Bibbia. Bompiani, Milano, 2005, pp. 871 e sgg.).
  20. Citato in Bouvier, Op. cit. p. 1132
  21. Le Muse e l'origine divina della parola e del canto, p. 32
  22. Walter Friedrich Otto. Theophania. Genova, Il Melangolo, 1996, p. 49
  23. Cfr. fr.18
    « Bello è assai tutto ciò che un poeta scrive in stato di entusiasmo e agitato da un afflato divino »
    (Democrito fr. 18. Traduzione di Vittorio Enzo Alfieri in Presocratici vol. II (a cura di Gabriele Giannantoni) Milano, Mondadori, 2009 p. 756)

    « è veramente bella qualsiasi opera che un poeta scriva con passione e invasato da spirito sacro »
    (Democrito fr. 18. Traduzione di Diego Fusaro in I presocratici (a cura di Giovanni Reale). Milano, Bompiani, 2008, p. 1355)

  24. Pierre Somville, Poetica in Il sapere greco vol. 1 (a cura di Jacques Brunschwig e Goffrey E.R. Lloyd). Torino, Einaudi, 2007, p. 506.
  25. Rispetto alla μανία (mania) concessa per donazione divina (θείᾳ μέντοι δόσει διδομένης) e propria dei poeti, essa appartiene, per Platone, ad uno dei quattro "divini furori": "furore profetico" (da Apollo); furore telestico o rituale (da Dioniso); furore poetico (dalle Muse); furore erotico (da Afrodite ed Eros), in tal senso cfr. Eric R. Dodds. I greci e l'irrazionale, Milano, Rizzoli, 2009, p. 109.
    « In terzo luogo viene l'invasamento e la mania che proviene dalle Muse, che, impossessatasi di un'anima tenere e pura, la desta e la trae fuori di sé nella ispirazione bacchica in canti e in altre poesie, e, rendendo onore ad innummerevoli opere degli antichi, istruisce i posteri. »
    (Platone, Fedro 244-5 (traduzione di Giovanni Reale), in Tutti gli scritti, Milano, Bompiani, 2008, p. 554)
  26. Come ricorda Eric R. Dodds. I greci e l'irrazionale. Milano, Rizzoli, 2009, nota 118 p. 146 in molte lingue indoeuropee il "poeta" e il "veggente" sono indicati con la stessa parola: vates in latino; fili in irlandese; thurl in islandese.
    « È chiaro che in tutte le antiche lingue dell'Europa settentrionale, le idee di poesia, eloquenza e conoscenza (specie delle cose antiche) e profezia sono intimamente connesse. »
    (Hector Munro Chadwick e Nora Kershaw Chadwick. The Growth of Literature, vol. I, p. 637)
  27. Cesare Cassanmagnago in Esiodo, Tutte le opere. Milano, Bompiani, 2009, p. 925
  28. Marcel Detienne. I maestri di verità nella Grecia arcaica. Milano, Mondadori, 1992, p. 4
  29. τά τ᾽ ἐόντα τά τ᾽ ἐσσόμενα πρό τ᾽ ἐόντα.
  30. Esiodo, Teogonia 55.
  31. La resa in "Spazio beante", "Spazio aperto" è di Herbert Jennings Rose «il nome significa chiaramente "spazio vuoto, beante"» (Cfr. p.375 dell' Oxford Classical Dictionary 1970; trad. it. Dizionario di antichità classiche. Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 1995). Così rende anche Cesare Cassanmagnago.
  32. Questo termine preferito ad esempio da Vernant (cfr. Jean-Pierre Vernant, L'universo, gli dei e gli uomini. Torino, Einaudi, 2001), verte sull'analisi etimologica che lo fa derivare dalla radice *cha, radice che richiama il verbo cháino/chásko, "aprire la bocca", quindi qualcosa che si "spalanca" (cfr. Maria Michela Sassi, Gli inizi della filosofia: in Grecia, Torino, Boringhieri, 2009, p.71).
  33. Nota Cesare Cassanmagnago (Op.cit. p.927 n.23) come sia del tutto inopportuno rendere Χάος (Chaos) con il termine italiano di "caos" indicando questo uno stato di confusione che nulla ha a che fare con la nozione greca. Lo scoliaste lo indica come kenòn, lo spazio vuoto tra cielo e terra dopo che una possibile unità originaria fu spezzata. D'altronde lo stesso Esiodo lo indica come eghèneto non il principio quindi, ma ciò che da questo per primo appare:
    « Ἦ τοι μὲν πρώτιστα Χάος γένετ᾽ »
    Graziano Arrighetti (in Esiodo Opere: 1998 Einaudi-Gallimard; 2007 Mondadori, p.325) ricorda che su questa nozione/divinità non si ha concordanza tra gli studiosi ma «si è in generale d'accordo che Χάος non è semplicemente il "vuoto", il "luogo" dove le entità vengono in essere e trovano collocazione». Sempre il Cassanmagnago ci indica la recente opera di Aude Wacziarg Le Chaos d' Hésiode Pallas, Revue d' Études Antiques 49 (2002): 131–152, dove un'attenta disamina del termine individua la nozione non solo come spaziale ma anche materiale, «una sorta di nebulosità senza forma associata all'oscurità.».
  34. Herbert Jennings Rose (Cfr. p.1006 dell' Oxford Classical Dictionary 1970; trad. it. Dizionario di antichità classiche. Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 1995) ricorda come a Delfi Gaia fosse l'originaria padrona dell'oracolo.
    « Innanzi a tutto con questa preghiera fra tutti gli dèi la prima profetessa, Terra, io venero. »
    (Eschilo. Eumenidi 1-2; traduzione di Monica Centanni in Opere. Milano, Mondadori, 2007, p. 599)
  35. Come nota Silvana Fasce (Cfr. Eros dio dell'amore, in L'amore in Grecia (a cura di Claude Calame). Bari, Laterza, 2006, pp. 121 e sgg.) la sua "bellezza", indica la «sua superiorità e dignità divina e del privilegio di appartenere ad una cerchia di figure particolari di rango celeste».
  36. Così Graziano Arrighetti (p.325) «Solo Eros non ha una discendenza propria e diretta in quanto la sua forza generatrice partecipa di tutte le unioni e quindi delle discendenze che non siano partenogenetiche.»
  37. « L'Eros che appare per terzo, dopo Voragine e Terra, non è inizialmente quello che presiede agli amori sessuati.Il primo Eros esprime un'energia nell'universo. Così come un tempo la Terra è sorta da Voragine, dalla Terra scaturirà ciò che essa contiene nelle sue profondità. Quello che era in lei, mescolato a lei, si trova portato al di fuori: Terra lo partorisce senza aver bisogno di unirsi a nessuno. »
    (Jean-Pierre Vernant, L'universo, gli dei e gli uomini. Torino, Einaudi, 2001)
  38. Da intendere come il buio dell'Al di là, cfr. Arrighetti p. 293.
  39. Da intendere come il buio di questo mondo, cfr. Arrighetti p. 293.
  40. L'essere luminoso del Cielo o del Giorno, come l'essere tenebroso della Notte o di Erebo, non dipende essenzialmente dalla presenza o meno del Sole ma sono "pensati" come loro natura (Arrighetti, p.326; Cassanmagnago p.927). Per approfondimenti sul tema "tenebre-luce" in Esiodo cfr. Max Treu, Licht und Leuchtendes in der archaischen griechischen Poesie, StGen 18, 1965, 83-97; Dieter Bremer, Licht und Dunkel in der frûhgriechischen Dichtung. Interpretationen zur Vorgeschichte der Lichtmetaphysik. Bonn, Bouvier, 1976
  41. Si riferisce all'estensione, il Cielo, semisferico, finisce là dove finise Gaia, la linea di orizzonte indica sia la fine del Cielo che della Terra ((Arrighetti, p.326; Cassanmagnago p.929)
  42. Quindi le Oreadi (Ὀρεάδες)
  43. Distinto quindi da Oceano (Ὠκεανός)
  44. In Iliade, XIV 201, Oceano è detto «padre degli dèi». Aristotele, in Metafisica I (A) 3,983 intende questo, «Oceano e Teti genitori del divenire», come anticipazione delle teorie di Talete.
  45. Pindaro Istmica V la canta; da intendere come divinità della luce (cfr. Colonna p.83)
  46. Maria Michela Sassi (Cfr. Maria Michela Sassi, Gli inizi della filosofia: in Grecia, Torino, Boringhieri, 2009, pp.71 e sgg.) evidenzia come questi versi della Teogonia esiodea si prestino a differenti livelli di lettura, pur tuttavia è evidente come il primo evento descritto corrisponda all'aprirsi di una "voragine", di uno "spazio", di un "venire ad essere" di questa "Voragine" secondo un modello "genealogico" che verrà successivamente ripreso dalle riflessioni presocratiche. Significativo, sempre secondo Maria Michela Sassi, che dalla "Voragine", dal Chaos, abbiano origine entità informi (Erebo e Notte, e poi secondo un modello di opposizione, Etere e Giorno) che non hanno un 'seguito', non hanno una "progenie" di divinità antropomorfe; mentre da Gaia origina, per partenogenesi, Urano (suo opposto), i Monti e il Mare (ambedue come sue specificazioni, ovvero in essa contenute). Quindi se Gaia e Urano corrispondono sul piano spaziale, la genesi della loro unione (accompagnata, come l'unione tra Erebo e Notte, dalla funzione dell'Eros cosmico), si accompagna alla differenziazione e alla personalizzazione, a partire dal gesto di evirazione del padre Urano da parte dell'ultimo titano, Kronos, che prelude all'ordine cosmico stabilito da Zeus.
    « Possiamo quindi scorgere un itinerario complessivo dall'informe al pienamente formato (da Caos a Zeus), che comprende vari sottoitinerari, dal negativo al positivo (dall'oscurità alla luce), da cio che ha forma (Gaia) alle sue successive specificazioni (tutto ciò che via via nasce da Gaia). »
    (Maria Michela Sassi. Op. cit. pp. 72-3)
  47. Dèi con un "occhio solo", i loro nomi richiamano rispettivamente il "Tonante", il "Fulminante" e lo "Splendente".
  48. Da notare la differenza con l'Odissea, IX 187, dove i Ciclopi risultano dei giganteschi e selvaggi pastori e in cui, uno di questi, Polifemo,è figlio di Posidone. Qui, nella Teogonia esiodea, sono invece tre, dèì figli di Urano e Gaia, costruttori di fulmini che poi consegneranno a Zeus (sul fatto di "non confondere" i Ciclopi della Teogonia esiodea con Polifemo e i suoi compagni siciliani propri dell' Odissea omerica cfr. nota critica n° 30 p. 929 di Cesare Cassanmagnago -Milano, Bompiani, 2009- il quale rimanda ad Arrighetti, p.327, per le etimologie); in Callimaco, Inno ad Artemide, sono gli aiutanti di Efesto, costruttori delle fortificazioni delle città dell'Argolide, ma lo scoliaste (Esiodo Theog., 139) indica questi ultimi come una "terza" categoria di Ciclopi: «perché di Ciclopi ci sono tre stirpi: i Ciclopi che costruirono le mura di Micene, quelli attorno a Polifemo e gli dèi stessi.»
  49. Così lo scoliaste (148): «Costoro sono detti venti che prorompono dalle nubi, e sono di sicuro devastatori. Per questo miticamente sono provvisti anche di cento braccia perché hanno pulsionalità guerresche. Cotto, Briareo e Gige sono i tre momenti (dell'anno): Cotto è la canicola, cioè il momento dell'estate, Briareo è la primavera in rapporto con il fiorire ('bryein') e crescere le piante; Gige è il tempo invernale.» (Trad. Cassanmagnago, p. 503.
  50. Cfr. Fritz Graf. Il mito in Grecia. Bari, Laterza, 2007, p.61; Cassanmagnago Op.cit. p.929
  51. Nella vagina della madre, locheòs, (così legge Shawn O'Bryhim, Hesiod and the Cretan Cave in "Rheinisches Museum fuer Philologie" 140: 95-96, 1997.)
  52. Al singolare, come Erinus, già presente nelle tavolette micenee, cfr. CN, Fpl, 8. Quindi il suo culto è attestabile a Creta fin dal XV secolo a.C. cfr. Aldo Magris. L'idea di destino nel pensiero antico, p. 16.
  53. Questi nomi sono tuttavia di origine ellenistica, mentre la loro presenza è ternaria a partire da Euripide; nell' Iliade il nome è plurale (ad es. XIX, 418) che singolare (ad es. XIX, 87).
  54. Queste dee rappresentano lo spirito della vendetta nei confronti di chi colpisce i parenti o i membri del proprio clan. Sono anche le divinità che sorvegliano il rispetto degli impegni presi sotto giuramento e che impongono il rispetto del corso "naturale" degli eventi (in quest'ultima accezione cfr. Iliade XIX, 418 ed Eraclito fr. 94 Diels-Kranz).
  55. Nell'Odissea (VII, 59) sono una tribù selvaggia che perisce insieme al loro capo Eurimedonte.
  56. In Apollodoro, Biblioteca, I, 6 viene narrata la "Gigantomachia" (γιγαντoμαχια), la lotta tra i Giganti e gli Olimpi vinta da questi ultimi grazie all'intervento di Eracle.
  57. Le Ninfe dell'albero di frassino. Anche queste divinità sono strettamente connesse con la guerra essendo il frassino l'albero con cui si costruivano le lance.
  58. Lo scoliaste (187) sostiene che da queste Ninfe viene la prima generazione degli uomini.
  59. Dalla schiuma aphroghenèa;; anche lo scoliaste (191a) parla di "seme dall'aspetto di schiuma"; sull'essere letta questa come misto di seme e acqua marina: cfr. Cassanmagnago nota 37 p.930 e William Hansen. Foam-Born Aphrodite and the Mythology of Transformation; in American Journal of Philology 121 (2000): 1–19.
  60. Qui inteso non come "forza generatrice primordiale" ma come "componente gradevole dell'attrazione amorosa" (Arrighetti, p. 326).
  61. Dio del "desiderio d'amore" ovvero, come spiega lo scoliaste (201), Eros sorge dalla vista, Himeros sorge dall'appetito dopo aver visto (Cassanmagnago p.930)
  62. Lo scoliaste (216) ricorda che da qui Zeus prese la mela consegnata a Paride.
  63. Le Esperidi non sembrano, a differenza delle altre divinità generate da Nyx, conservare dei tratti nefasti, la loro ascendenza la si deve quindi nell'essere state poste a Occidente (cfr. anche v. 275), luogo dove è posto anche Atlante (vv. 517-8), Arrighetti pp. 332-3.
  64. Le divinità che consegnano sia il bene che il male ai mortali e perseguono coloro che hanno "peccato"; ai vv. 904-6 sono dette figlie di Themis e di Zeus, il che ha fatto ritenere interpolato il testo cfr. Cassanmagnago, p.930 nota 43.
  65. Qui intese come inviate del Destino; cfr. anche Scudo di Eracle vv. 249 e sgg.
  66. Intesa come lo "sdegno che castiga la tracotanza umana" Cassanmagnago 931 (44).
  67. Nel suo significato "doppio" esso conserva il suo aspetto anche negativo, cfr. la nozione di multiple approaches in C. J. Rowe, "Archaic Thought" in Hesiod, The Journal of Hellenic Studies, 103 (1983): 124–35
  68. Non è chiaro se per partenogenesi, o come gli altri successivi a lui, per mezzo dell'unione con Gaia, cf. Arrighetti p.294, Cassanmagnago p.931 (46).
  69. L'aspetto meraviglioso del mare, cfr. Arrighetti p.294.
  70. L'aspetto mostruoso del mare, cfr. Arrighetti p.294.
  71. Anch'esso aspetto mostruoso del mare, cfr. Arrighetti p.294.
  72. καλλιπάρηος, kallipáreos.
  73. L'aspetto violento del mare, cfr. Arrighetti p.294.
  74. Lett. "colei che reca doni".
  75. Cinquantuno sono i nomi, elencati da Esiodo, di queste divinità che vivono gaiamente nel fondo del mare (soprattutto Egeo) con il padre Nereo, a meno di non accettare la lezione di Martin Litchfield West (cfr. Theogony, Oxford, Clarendon Press 1966, pp.233 e sgg.) che considera thòe non come nome proprio quanto piuttosto l'epiteto di Speiò (quindi thòe come "veloce"), indicazione che ridurrebbe l'elenco delle Nereidi a cinquanta nomi.
  76. Dea, messaggera degli dèi come Ermes, cfr. vv. 780 e sgg., ma anche Iliade III, 121 etc.. Platone, nel Cratilo (407e-408b), indica Ermes e Iris come ángheloi degli Dei.
  77. Aelló (Ἀελλώ) e Ocypete (Ὠκυπέτη).
  78. Pemphredó (Πεμφρηδώ) e Enyó (Ἐνυώ); solo queste due, Dinó (Δεινώ), la terza, non è nominata in Esiodo ma successivamente: la prima attestazione delle tre Graie è in Ferecide (cfr. Die Fragmente der griechischen Historiker a cura di F. Jacoby, 15 voll., Berlino, Leiden,, 1923-1958, 3, F, 11) anche ed es. in Apollodoro Biblioteca II, 4, 2 [37] (cfr. a cura di Paolo Scarpi: Apollodoro Miti greci, Milano, Mondadori/Fondazione Lorenzo Valla, 2008, p.105).
  79. Sthennò (Σθεννώ), Euryale (Εὐρυάλη) e Medusa (Μέδουσα), quest'ultima l'unica mortale.
  80. La ricostruzione più comune del mito di Perseo si fonda su Apollodoro Biblioteca II, 34 e sgg.; ma con varianti in altri mitografi.
  81. La ricostruzione più comune del mito di Gerione si fonda su Apollodoro Biblioteca II, 5 e sgg.; ma per quanto attiene alla vicenda con Eracle cfr. Stesicoro, Gerioneide.
  82. La sua decima "fatica".
  83. Il passo non chiarisce, cfr. a titolo esemplificativo H.J.R.; Arrighetti propende nata per partenogenesi da Cetó
  84. Erodoto IV, 9-10 la vuole unita anche a Eracle avviando così la stirpe degli Sciti.
  85. Typhaon è citato qui senza genealogia, ma ai versi 820 e sgg. si vuole un Typheo (υφωεύς) generato da Gaia e da Tartaro che parrebbe, tuttavia, sconfitto da Zeus appena nato (Arrighetti p.338); cfr. anche Apollodoro I, 41-4 e Nonno di Panopoli Dionisiache I, 154 e sgg.
  86. Cfr. anche Iliade VIII, 36 e Odissea XI, 623.
  87. Lett. "capra", avente il triplice corpo di leone, serpente, capra; cfr. Iliade VI, 181.
  88. Figlio di Posidone; cfr. su di lui Iliade VI, 155-205; Apollodoro II, 3, 1-2 e III, 3, 1; Pausania II, 4, 1 e II 27,2 e III, 18,13.
  89. Come lo scoliaste, cfr. Cassanmagnago, p. 932 nota 65.
  90. Arrighetti p.338.
  91. Cassanmagnago p. 932 non rende "Sfinge" (Σφίγξ), considerando ciò una tarda confusione; Arrighetti rende invece "Sfinge" p. 19; anche Colonna rende "Sfinge" intenendo Φίξ come sua forma "beotica". Per il mito della Sfinge invata da Era a Tebe cfr. Apollodoro III,5,7 e sgg. Con lo sviluppo della religione "delfica" non è più Era ma Apollo ad inviare la Sfinge (George M. A. Hanfmann e John Richard Thornhill Pollard, in Oxford Classical Dictionary 1970; trad. it. Dizionario di antichità classiche. Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 1995, p. 1933), evento che si ritrova in Sofocle Edipo Re ed Euripide Le fenicie.
  92. Come il titano Oceano che li alimenta, questi sia in qualità di corso d'acqua sia come divinità.
  93. Più avanti Esiodo sostiene che esse, come i Fiumi, sono tremila.
  94. In Inno a Ermes (Inni omerici) 100, è il padre di Selene; da non confondere con il gigante ucciso da Atena (per il quale cfr. Apollodoro I,37).
  95. Sono i venti utili agli uomini, gli altri, quelli pericolosi, sono generati da Typheo.
  96. Da Occidente.
  97. Da Settentrione.
  98. Da Oriente.
  99. Letó è una dei pochi titani che conserva un suo culto e templi in epoca storica, ad es. il Letoon di Delo (cfr. Semo di Delo in Ateneo 614a) o anche il Letoon di Festo (cfr. Nicandro in Antonino Liberale 17)
  100. Cassanmagnago la vuole figlia di Asteria e Perse p.934; così anche Guidorizzi p. 637 e p. 1419 e Kerényi (Gli dei della Grecia, p.40); mentre Herbert Jennings Rose e Charles Martin Robertson (in Oxford Classical Dictionary 1970; trad. it. Dizionario di antichità classiche. Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 1995, p. 729) la leggono come figlia di Febe (Phoibe) e Ceo (Coio).
  101. Non quindi il Tartaro.
  102. Cfr. Colonna nota 31 p.86.
  103. O sul monte Egeo, per il confronto cfr. Arrighetti p. 345-6.
  104. In Apollodoro Biblioteca, I,2,1 è Metis (Μῆτις), una delle oceanine e prima moglie di Zeus, a far somministrare a Kronos l'emetico che lo costrinse a vomitare i figli.
  105. Pasuania, X, 24,6 testimonia di una "pietra sacra" collocata sul monte Parnaso, nei pressi della tomba di Neottolemo.
  106. Vanno letti infatti come Brontes, Steropes e Arges: in tal senso, e tra gli altri, Arrighetti, p.347 e Cassanmagnago (89) p.936.
  107. In Apollodoro Biblioteca, I,2,1 i Ciclopi donano anche l'elmo ad Ade e il tridente a Posidone, armi che unitamente a quelle donate a Zeus consentiranno agli Olimpi di sconfiggere i Titani; nello stesso verso della Biblioteca i tre dèi tirano a sorte il proprio dominio ottenendo Zeus quello del Cielo, Posidone quello del Mare e Ade (Plutone) quello del Tartaro (luogo di Ade).
  108. Sede dell'anima irascibile, posta quindi a metà tra il razionale e il concupiscibile (Platone, Timeo 70d-71d); così Cassanmagnago p. 937 nota 91.
  109. Collocato a sud del monte Olimpo e a nord della piana della Tessaglia.
  110. In tal senso Arrighetti p.358 e sgg.
  111. Τριτογένειαν, così legge Arrighetti, p.372-3
  112. Dagli "occhi azzurri" (γλαυκῶπις, glaukōpis)
  113. Notare che al verso 217 esse appaiono figlie di Nyx (Notte)
  114. (λευκώλενος, leykólenos)
  115. Cfr. Inno a Demetra collocato come secondo inno nella raccolta degli Inni omerici.
  116. καλλίκομος
  117. ἰοχέαιρα
  118. Dal nome dell’isola di Citèra collocata nel mar Egeo, l'isola nella quale la dea era approdata dopo la sua nascita dalla spuma del mare; cfr. 188-210.
  119. Sulla nascita di Eracle cfr. Scudo di Eracle 1-56.
  120. Cfr. introduzione ad Esiodo, Opere Torino, UTET, 1977, p.13
  121. Cfr. Edgar Lobel (a cura di). Oxyrhynchus Papyri 23. 1956, Londra)
  122. Riprende i vv. 287-294.
  123. Fratello di Priamo (Πρίαμος) re di Troia.
  124. Perì per mano di Achille durante la guerra di Troia.
  125. Si riferisce a Medea (Μήδεια).
  126. Si riferisce a Si riferisce a Giasone (Ιάσων).
  127. Da non confondersi con la titanide Tethys (Τηθύς, anche Teti).