Nel suo saggio sul "dionisismo", contenuto nel I volume delle La religioni dei misteri, Paolo Scarpi si avvia così a concludere:
« Se, come possiamo credere, i Greci evocavano Dioniso per allontanarlo così da marginalizzare il disordine, e se nello stesso tempo è possibile riconoscere una spinta elitaria che ha progressivamente condotto il dionisismo ad assumere forme e pratiche cultuali proprie, benché sempre regolamentate dallo stato, è impossibile una descrizione del fenomeno misterico dionisiaco e soprattutto μυστήρια dionisiaci » (Paolo Scarpi. La religioni dei misteri vol.1. Milano, Mondadori/Fondazione Lorenzo Valla. 2007, p.230)
Premesse le difficoltà di descrivere i "misteri" (μυστήρια) propri di Dioniso si può comunque attestare la presenza del suo culto a partire dalle religioni egee, così in due tavolette rinvenute nel Palazzo di Nestore a Pilo di Messenia (PY Xa, 102 e PY Xb, 1419), dove appare il nome del dio in miceneo: Di-wo-nu-so (Lineare B: 𐀇𐀺𐀝𐀰), ma nella forma genitiva di Di-wo-nu-so-jo (Lineare B: 𐀇𐀺𐀝𐀰𐀍). Il suo nome significa "Giovane figlio di Zeus"[5] e la sua figura è legata inequivocabilmente alla "giovinezza"[6]. Quindi dio della vita feconda, in particolare, ma non solo, della vegetazione e quindi della vite, dell'uva e del vino.
L’iniziazione dionisiaca consisteva nella condivisione della teofania di Dioniso da parte dei suoi adepti, i bákchoi (Βάκχοι, anche mýstai). Ciò non accadeva presso un santuario gestito da una casta sacerdotale ad esso dedicata, ma di notte in luoghi selvaggi e solitari, probabilmente promossa da sacerdoti itineranti[7], attraverso danze estatiche e per mezzo di un sacrificio nel quale la vittima veniva squartata (σπαραγμός sparagmos) e poi mangiata cruda: questo era il modo di entrare in comunione con Dioniso, in quanto gli animali così sacrificati erano sue incarnazioni[8].
Rammentando la testimonianza di Diodoro Siculo[9] sulla esistenza dei Misteri dionisiaci e sul fatto che questi, a partire dal V secolo a.C., avessero acquisito delle influenze orfiche, Mircea Eliade così si avvia a concludere:
« Più ancora degli altri dèi greci, Dioniso sorprende per la molteplicità e la novità delle sue epifanie, per la varietà delle sue trasformazioni. È in perenne movimento; penetra ovunque, in tutti i paesi, presso tutti i popoli, in tutte le religioni, pronto ad associarsi a divinità diverse, anzi perfino antagoniste (per esempio Demetra, Apollo). È, senza dubbio, l'unico dio greco che, rivelandosi sotto aspetti differenti, affascina e attrae tanto i contadini che le élite intellettuali, i politici e i contemplativi, gli orgiastici e gli asceti. L'ebbrezza, l'erotismo, la fertilità universale, ma anche le esperienze indimenticabili suscitate dal ritorno periodico dei morti, o dalla mania, dallo sprofondare nell'incoscienza animale o dall'estasi dell'enthousiasmos - tutti questi terrori e rivelazioni hanno un'unica origine: la presenza del dio. La sua natura esprime l'unità paradossale della vita e della morte. Per questo, Dioniso costituisce un tipo di divinità radicalmente diverso dagli Olimpî. Era forse, tra tutti gli dèi, il più vicino agli uomini? In ogni caso ci si poteva avvicinare a lui, si giungeva a incorporarlo, e l'estasi della mania dimostrava che la condizione umana poteva essere oltrepassata. » (Mircea Eliade. Dioniso o le beatitudini ritrovate in Storia delle credenze e delle idee religiose, vol. I. Milano, Rizzoli, 2006, p. 402)
La presenza del dio Dioniso, quindi il differente stato di coscienza che provocava tale estasi (Βακχεία), da una parte consentiva ai mýstai di profetizzare in modo del tutto differente da quello "omerico" dove, in quest'ultimo caso, la profezia nasceva dalle interpretazioni di segni causali esterni mentre nell'"orgia" bacchica sorgeva invece dall'"entusiasmo", ovvero dalla possessione divina; dall'altra forniva il supporto a credenze secondo le quali la psyché liberatasi del corpo si univa alla divinità acquisendo così uno stato "superiore" all'ordinario[10].
↑L'origine e il significato del nome Dioniso è suggerita dal genitivo Διός e da νῦσος, quindi il nysos di Zeus: il "giovane figlio di Zeus" (Cfr. Filippo Càssola. Inni omerici. Milano, Mondadori/Fondazione Lorenzo Valla, 2006, pag.5).
↑A Delfi conosciuto come Liknites (il fanciullo "nella cesta").