La religione greca/Le teologie dei filosofi

Il termine "teologia" (θεολογία, theología) compare per la prima volta nel IV secolo a.C. nell'opera di Platone la Repubblica (II, 379 A):

« "Va bene - disse - ma tali direttive inerenti alla teologia quali potrebbero essere?"
"Più o meno queste - risposi - come Dio si trova ad essere, così andrebbe sempre raffigurato, sia che lo si faccia in versi epici, o lirici, o nel testo di una tragedia." »
(Platone, Repubblica]] (II, 379 A)[1])

Nell'opera di Platone il termine theología occorre ad indicare, da parte dei poeti, quel corretto approccio a Dio che deve evitare l'errore di Omero e di Esiodo i quali lo hanno caratterizzato in senso antropomorfo ovvero portatore di debolezze tipicamente "umane". Theología in senso platonico è quindi quell'approccio al "divino" per mezzo del lógos e non per mezzo dei "miti" raccontati dai "cantori" antichi come Omero o Esiodo.

Analogamente anche Aristotele utilizza il termine theología e suoi derivati per indicare quella "prima filosofia" (πρώτη φιλοσοφία) [2] obiettivo dell'indagine sull'"essere". Ma al contempo Aristotele utilizza lo stesso termine per indicare i non filosofi come Esiodo e Ferecide a cui si contrappongono i primi filosofi indicati come "fisici"[3].

La datazione del primo utilizzo del termine greco antico philosophia (φιλοσοφία) e dei suoi derivati philosophos (filosofo) e philosophein (filosofare) è controversa. La maggioranza degli studiosi ritiene che tali termini non possano essere fatti risalire in alcun modo ai presocratici del VII e VI secolo a.C. Secondo Pierre Hadot:

« In effetti tutto lascia supporre che queste parole facciano la loro comparsa solo nel V secolo: nel secolo di Pericle che vede Atene brillare non solo per la supremazia politica, ma anche per lo splendore intellettuale; al tempo di Sofocle, di Euripide, dei sofisti, e anche al tempo in cui lo storico Erodoto, originario dell'Asia Minore, nel corso dei suoi numerosi viaggi venne a vivere nella famosa città. È forse proprio nella sua opera che si incontra per la prima volta il riferimento a una attività "filosofica". »
(Pierre Hadot. Che cos'è la filosofia antica? Torino, Einaudi, 1998, pag. 18)

Le teologie dei filosofi e loro fondamento nello sviluppo della cultura religiosa occidentale

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L'importanza fondamentale delle teologie dei filosofi per la religione greca è un fatto ampiamente dimostrato.

« Le idee teologiche dei più antichi filosofi si presentano come parte della storia della filosofia e come un capitolo importante della storia della religione greca »
(Werner Jaeger. La teologia dei primi pensatori greci. Firenze, La Nuova Italia, 1982, p. 10)

Esse comportano un cambiamento radicale del pensare religioso, anche se ciò non comporta conseguenze pratiche.

« Con gli inizi della filosofia, con l'opera peculiare prestata dai Greci alla tradizione spirituale dell'umanità, nel quadro strutturalmente statico della religione greca si giunge, in maniera apparentemente definitiva, ad una rottura. [...] Il quadro della religione positiva quasi non cambia, a dispetto delle gesta degli eroi dello spirito. »
(Walter Burkert. La religione greca, p. 541)

Purtuttavia, come nota Jan N. Bremmer, seppur per molti secoli ancora i riti greci onoreranno gli dèi raccontati dai miti, la religione tradizionale greca non si riprenderà più dalle critiche dei filosofi.[4]

Tale cambiamento produrrà una nozione di Dio, razionale, comprensibile mediante l'adozione di uno specifico stile di vita. A tale conclusione era già giunto lo storico francese Jules Michelet (1798-1874):

(IT)
« La religione greca finisce col suo vero dio: il saggio. »

(FR)
« La religion grecque finit par son vrai Dieu: le sage. »
(Jules Michelet, citato in Pierre Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, Torino, Einaudi, 2005, p. 13)

Laddove Pierre Hadot la intende come «la Grecia supera la rappresentazione mitica che aveva delle sue divinità, nel momento in cui i filosofi concepiscono in modo razionale Dio secondo il modello del saggio.»[5].

I "filosofi" antichi non corrispondono all’idea comune e moderna del "filosofo"[6], in quanto la loro figura ineriva a uno stile di vita profondamente diverso dal comune vivere quotidiano[7]. La profonda differenza nello stile di vita filosofico rispetto a quello della gente comune era particolarmente sentita da quest'ultima. Così il giurista romano Ulpiano suggerisce alle autorità di non occuparsi dei litigi tra i filosofi e i loro debitori perché i primi disprezzano il denaro. «I filosofi sono dunque gente a parte, strana. Strani sono, in effetti, quegli epicurei che conducono una vita frugale praticando, nella loro cerchia filosofica, un’uguaglianza totale fra gli uomini e le donne, e persino fra le donne sposate e le cortigiane;…»[8].

Così Socrate è ἄτοπος (átopos "non qualificabile") perché è filosofo e quindi amante della σοφία (sophía), la sapienza, che risultando perfetta non può che essere divina e quindi non di pertinenza umana: è proprio l’amore (φιλία, philía) per questa sapienza estranea al mondo che rende estraneo al mondo lo stesso filosofo[9][10].

La comparsa del pensare filosofico è tradizionalmente segnalata con le opere dei cosiddetti "presocratici" [11], a seguire con Socrate e i "sofisti" si avviano delle vere e proprie scuole "filosofiche"[12]. All’inizio del periodo ellenistico emergono, sulle fondamenta dell’esperienza sofistica e socratica, numerose scuole filosofiche[13]. Ma già nel III secolo a.C. sopravvivono ad Atene solo le scuole che risultarono ben organizzate ovvero quelle fondate da Platone, Aristotele e Teofrasto, Epicuro, Zenone e Crisippo oltre che due tradizioni strettamente spirituali, lo scetticismo e il cinismo. Tutto questo si osserva per seicento anni, fino al III secolo d.C. quando, grazie a un fenomeno che emerge a partire dal I secolo d.C., determinato da "slittamenti semantici" e "reinterpretazioni delle nozioni filosofiche", il platonismo assorbe l’aristotelismo e lo stoicismo, condannando alla marginalità le altre tradizioni. Tale sintesi, neoplatonica, ha un’importanza fondamentale per l'intera civiltà occidentale perché grazie alle traduzioni arabe e alla tradizione bizantina, tale movimento di pensiero impregnerà il Medioevo e il Rinascimento conquistando il ruolo di denominatore comune delle teologie e delle mistiche ebraiche, cristiane e musulmane [14].

Testi scritti e insegnamenti orali

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L'unico strumento a nostra disposizione per conoscere il pensiero dei teologi greci sono quei loro testi scritti che sono giunti fino a noi. La prima difficoltà, rilevante, consiste nel fatto che il numero di questi testi è davvero minimo rispetto alla loro produzione originaria. Così la produzione filosofica ellenistica è del tutto scomparsa. In tal senso Pierre Hadot cita il caso del filosofo stoico Crisippo autore di ben 700 opere delle quali non ne conserviamo nemmeno una[15].

Un altro importante elemento da prendere in considerazione è il fatto che come la "filosofia" antica non corrisponde allo stesso ambito di quella moderna che, fatta eccezione ad esempio per Friedrich Nietzsche e l'esistenzialismo, consiste in una produzione prevalentemente "teorica"[16], bensì fonda il proprio scopo nella formazione spirituale dell'uditore, allo stesso modo il testo scritto del filosofo antico non è una produzione coerente, bensì una forma di "appunto" riservato a degli specifici allievi.

«Ogni logos è un "sistema", ma l'insieme dei λόγοι scritti da un autore non forma un sistema. Ciò è evidente nel caso dei dialoghi di Platone. Ma è ugualmente vero per le lezioni di Aristotele: sono precisamente lezioni»[17]. Allo stesso modo, e ad esempio, «i diversi λόγοι di Plotino si adattano ai bisogni dei suoi discepoli, e cercano di produrre in loro un certo effetto psicagogico.»[18].

Quindi il testo filosofico antico non ha la pretesa di contenere una coerente ed esauriente rappresentazione della "verità". Anzi, in tal senso esemplificativa è la Lettera VII di Platone:

« Su queste cose non c'è un mio scritto, né ci sarà mai. In effetti la conoscenza della verità non è affatto comunicabile come le altre conoscenze, ma, dopo molte discussioni fatte su questi temi, e dopo una comunanza di vita, improvvisamente, come luce che si accende dallo scoccare di una scintilla, essa nasce dall'anima e da se stessa si alimenta. »
(Platone, Lettera VII, 341 C 5 - D 2)

Platone avrebbe qui seguito l'opinione del suo maestro Socrate circa l'inaffidabilità dei testi scritti[19], e la sua decisione di affidarsi al metodo orale della maieutica. Giovanni Reale evidenzia infatti come «l'oralità dialettica fu la cifra emblematica del socratismo; e fu questa forma di oralità, e solo questa, che Platone ritenne di gran lunga superiore alla scrittura» [20].

  1. Platone. Tutti gli scritti. Milano, Bompiani, 2008, p. 1127.
  2. Successivamente indicata come "metafisica". «Quindi ci saranno tre specie di filosofie teoretiche, cioè la matematica, la fisica e la teologia, essendo abbastanza chiaro che se la divinità è presente in qualche luogo, essa è presente in una natura siffatta, ed è indispensabile che la scienza più veneranda si occupi del genere più venerando» (Aristotele, Metafisica VI (E), 1026a, 19 e sgg., traduzione di Antonio Russo, in Aristotele -Opere vol.I, Milano, Mondadori, 2008, p.832); anche «Resta chiaro, pertanto, che esistono tre generi di scienze teoretiche: quella fisica, quella matematica e quella teologica. Superiore agli altri è, pertanto, il genere delle scienze teoretiche, e fra queste stesse la più nobile è quella da noi ricordata per ultima, perché essa si occupa dell'essere più venerando [..]» (Aristotele, Metafisica XI (Κ), 1064b, 1 e sgg., traduzione di Antonio Russo, in Aristotele -Opere vol.I, Milano, Mondadori, 2008, p.979); in tal senso anche Werner Jaeger in La teologia dei primi pensatori greci. Firenze, La Nuova Italia, 1982, p. 6.
  3. Cfr., ad esempio, Aristotele, Metafisica III (B) 1000a 9; in tal senso anche Werner Jaeger in La teologia..., p. 6.
  4. « These ideas transformed the ways people would think about religion. Greek rituals may still have been practiced for many a century, but the traditional views of Greek religion would never recover from the attacks of the Greek philosophers. »
    (Jan N. Bremmer. Greek Religione - [Further considerations], in Encyclopedia of Religion, vol.6, 2005, NY, Macmillan, p. 3685)
  5. Cfr. Pierre Hadot. Esercizi spirituali e..., p. 13
  6. Ritenere che la "filosofia" sia una disciplina sistematica con procedere teorico è un atteggiamento moderno ereditato dal Medioevo, quando, con la scolastica, la "teologia" si è differenziata semanticamente dalla "filosofia" svuotando quest'ultima degli esercizi spirituali destinandoli all'alveo della "mistica", restituendo invece al lemma "filosofia" solo il rango di ancilla theologiae, ovvero il ruolo di fornire il materiale teorico alla riflessione teologica. Ad esempio il cristianesimo delle origini indicava sé stesso come φιλοσοφία (cfr. Pierre Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, p. 67) e non ancora come religio (cfr. Michel Despland, Religione. Storia dell'idea in Occidente, in Dictionnaire des Religions (a cura di Jacques Vidal). Parigi, Presses universitaires de France, 1984. In italiano: Dizionario delle religioni. Milano, Mondadori, 2007, pagg. 1539 e segg.)
  7. Cfr. anche: «[…] nel mondo antico la filosofia non fu soltanto un corpo impersonale di dottrine, ma in primo luogo una forma di vita, un βίος che pretendeva di avere una posizione di primato rispetto a tutti gli altri modi di vita. […] Per gli antichi il filosofo era una figura riconoscibile non soltanto per ciò che diceva e per come lo diceva, ma anche per ciò che faceva, per come conduceva la propria vita, addirittura per i modi di alimentarsi o di abbigliarsi.» Giuseppe Cambiano, Il filosofo in Storia Einaudi dei Greci e dei Romani vol. 2, (a cura di Salvatore Settis). Torino, Einaudi, 2008 pp. 826-7
  8. Cfr. Pierre Hadot. Esercizi spirituali e filosofia antica, p. 13
  9. Cfr. Pierre Hadot. Esercizi spirituali e filosofia antica, p.12.
  10. Eugen Fink ricordando come anche Hegel intendeva la filosofia come "mondo capovolto" (cfr. G.W.F. Hegel Fenomenologia dello spirito) aggiunge: «ai tempi di Talete essa era già tale e si trovava in contrasto con le opinioni della massa, non in una saccenteria presuntuosa e arrogante, ma nella rischiosa impresa di lasciar andare il fondamento portante della familiarità dell'ente e di esporsi alla problematicità del mondo. In ciò la filosofia antica diviene accessibile solo a un contegno che a sua volta filosofa.» (Eugen Fink. Le domande fondamentali della filosofia antica, Roma, Donzelli, 2013, pp. 4-5).
  11. Da evidenziare come il termine di "presocratici" sia moderno. La prima opera in cui si trova l'espressione "età presocratica" corrisponde all'Allgemeine Geschichte der Philosophie di Johann Augustus Eberhard del 1788. A tal proposito occorre rammentare la lezione di Giorgio Colli il quale ricorda che tali autori venivano indicati nell'antichità col termine di "sapienti" (σοφοί), cfr. Criteri dell'edizione in La sapienza greca Milano, Adelphi.
  12. La "scuola filosofica «si presenta come una organizzazione chiusa, regolata e autosufficiente. Era una "comunità nella comunità", in cui si svolgevano non solo lo studio e il dibattito, ma l'esistenza stessa di scolarchi e adepti.» Luciano Canfora, La trasmissione del sapere- Le scuole dei filosofi in Storia Einaudi dei Greci e dei Romani vol. 2, (a cura di Salvatore Settis). Torino, Einaudi, 2008, pp. 649.
  13. Oltre che Pierre Hadot, cfr. anche «Su questa falsariga si costituirono le scuole filosofiche, come gruppi di individui che intendevano praticare e promuovere un certo tipo di vita, che non si riduceva soltanto all’esercizio di determinate operazioni intellettuali o alla comune credenze in determinate dottrine. La storia della filosofia antica, dal IV secolo a.C. al V secolo d.C. è una vicenda di scuole.» Giuseppe Cambiano, Il filosofo in Storia Einaudi dei Greci e dei Romani vol. 2, (a cura di Salvatore Settis). Torino, Einaudi, 2008 pp. 826-7
  14. Cfr. Pierre Hadot. Esercizi spirituali e filosofia antica, p. 11
  15. Cfr. Pierre Hadot. Esercizi spirituali e filosofia antica, p.8
  16. Il termine "teoria" origina dal greco θεωρία (theoria) col significato di "contemplazione", "l'essere spettatore di qualcosa", quindi θεωρέω (theoreo) "contemplare", "meditare". Quindi θεωρεῖν (theorein) rappresenta proprio il fine del filosofare in ambito greco: contemplare il Vero. Hans-Georg Gadamer ha individuato con precisione il mutamento semantico del termine occorso successivamente; theoria
    « rappresenta ciò che contraddistingue propriamente l'uomo, questo fenomeno frammentario e subordinato di tutto l'universo, che è tuttavia capace, nonostante la sua misura esigua e finita, della pura contemplazione dell'universo. E tuttavia sarebbe impossibile, dal punto di vista greco, formulare delle teorie. Ciò suona come se noi potessimo "fare". La parola non significa il comportamento teoretico pensato dal punto di vista dell'autocoscienza, quella distanza dall'ente che senza prenderne parte ci fa conoscere ciò che è, e con ciò lo sottomette ad un potere anonimo. La distanza della theoria è piuttosto quella della vicinanza e dell'appartenenza. Il senso antichissimo della theoria è la partecipazione alla processione festiva per l'adorazione degli dèi. La visione dell'avvenimento divino non è l'accertamento privo di partecipazione di una circostanza, o l'osservazione di un magnifico spettacolo, ma l'autentica partecipazione a ciò che avviene, un'autentica assistenza. A ciò corrisponde il fatto che la razionalità dell'essere, questa grande ipotesi della filosofia greca, non è primariamente un contrassegno dell'autocoscienza umana, ma dell'essere stesso, che in tal modo è il tutto, e che ci appare in tal modo come il tutto; ciò significa che la ragione umana è piuttosto da pensare come una parte di questa razionalità, e non come l'autocoscienza che si sa come contrapposta al tutto. Si tratta cioè di un'altra via, per così dire, in cui la riflessione umana si approfondisce in se stessa, e si ritrova: non la via verso l'interno dell'anima, a cui ci ha richiamato Agostino, ma la via del pieno abbandonarsi all'esterno, in cui tuttavia colui che cerca trova se stesso. Questa è stata la grandezza di Hegel, l'aver riconosciuto che questa via dei Greci non era una falsa via rispetto a quella moderna della riflessione in sé, che si era lasciata dietro di sé, ma è un lato che appartiene all'essere stesso. »
    (Hans-Georg Gadamer. La responsabilità del pensare, Milano, Vita e Pensiero, 2002, pp. 29-30)
  17. Pierre Hadot. Esercizi spirituali e filosofia antica, p.63.
  18. Pierre Hadot. Esercizi spirituali e filosofia antica, p.65.
  19. A tal proposito Mircea Eliade (in Storia delle credenze e delle idee religiose vol. 1, Milano, Rizzoli, 2006, pag. 211) nota come sia un tratto caratteristico della tradizione delle religioni indoeuropee quello di avvalersi della trasmissione orale e «al momento dell'incontro con le civiltà del Vicino Oriente, la proibizione di valersi della scrittura.».
  20. Giovanni Reale, introduzione a Socrate e la nascita del concetto occidentale di anima, di Francesco Sarri, pag. X, Vita e Pensiero, Milano 1997).