La filosofia greca/Relativismo etico
L’essere umano è il nuovo centro dell’indagine filosofica. Questo spostamento d’interesse comporta conseguenze imponenti, che vanno dalla nascita di un nuovo lessico filosofico alla istituzione di vere e proprie scuole di pensiero che definiscono anche un certo modo di “vivere nel mondo”. Soprattutto, entra in gioco una problematica nuova, che dà al dibattito filosofico una vastità inusitata. “Nuova” tuttavia non è l’aggettivo giusto. In realtà, si tratta di una problematica che esce, direi definitivamente, dall’ambito della tradizione mitico-religiosa per entrare in quello del discorso argomentativo. Si tratta del problema del Bene e del Giusto, che in filosofia prende il nome di Etica. La filosofia, dal V secolo a. C., ingloba come un’ameba tutto quello che la circonda: dalla scienza alla politica, dalla matematica alla religione.
Al filosofo (sofista) viene chiesto di inquadrare l’azione umana all’interno della comunità, di attribuire a tale agire un senso e un valore. Come è comunemente accettato, la democrazia è fatta soprattutto di regole e procedure, che devono, per poter funzionare, essere riconosciute da tutti nella loro validità. Ma le regole della democrazia non sono un dono degli dei, non vengono dall’alto di tradizioni religiose proposte da una casta sacerdotale. Esse sono create dall’uomo. In ultima istanza, la filosofia politica, costola della democrazia, dovrebbe rispondere alla domanda: che cosa è bene per tutti? Politica ed etica devono procedere affiancate. Che ciò non sempre accada, è fin troppo noto. Stupisce però il fatto che il “tradimento” dell’etica, del “bene per tutti”, sorga fin dall’inizio della storia democratica di Atene.
La regola fondamentale della democrazia ateniese, e, da allora, di ogni democrazia, fu l’Isonomia, l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Una regola ferrea, che comporta la rinuncia ad ogni forma di privilegio. Di fronte alla legge il ricco e il povero, il potente e il cittadino comune rispondono degli stessi diritti e doveri. E ancora. Il diritto di governare discende dal principio elettivo. Non si nasce con tale diritto (aristocrazia, discendenza famigliare), ma lo si conquista pubblicamente con libere elezioni. Governa chi ottiene la maggioranza dei voti. Poiché le classi popolari hanno sempre costituito, per ovvie ragioni, la maggioranza di una comunità, la democrazia facilita enormemente l’ascesa al potere di cittadini comuni. La democrazia è dunque l’esaltazione del principio di Uguaglianza. Ma questo può non piacere. Soprattutto quando la costituzione democratica è ai suoi primi passi, come ad Atene, tra i cittadini permane una classe di ex potenti, di famiglie ricche e aristocratiche che con la nuova forma di governo hanno perso i loro privilegi sociali, tutti tranne la ricchezza. È nell’ordine delle cose che questa componente sociale usi tutti i mezzi a sua disposizione per riconquistare il potere perduto. E questo è ciò che avvenne da Pericle in poi. Quali erano i mezzi che potevano permettere di prevalere politicamente nell’assemblea senza violare la legge e rispettando le regole? Tali mezzi furono ideati e messi in atto dai sofisti: la retorica, l’arte di ben argomentare e di convincere, fu da essi elaborata nella sua massima efficacia politica.
La retorica è una tecnica (greco: techne); essa va acquisita con studio ed esercizio, non si improvvisa e presuppone una profonda cultura da parte di chi la pratica. Essa è prerogativa di chi gode di un privilegio particolare: quello di aver studiato. Ovvero, di chi possiede i mezzi economici che gli permettano di dedicare una parte consistente della vita allo studio, sottraendola alla necessità di lavorare. Nel V secolo la cultura era, sotto tutti gli aspetti, un privilegio di classe. I sofisti impartivano lezioni a pagamento. Aiutarono una classe sociale sconfitta a riemergere politicamente, a riconquistare un potere che essa riteneva ingiustamente sottratto.[1] Se, come abbiamo visto, ogni opinione è una possibile verità, allora quello che conta non è una buona conoscenza dei fatti, ma la manipolazione retorica delle opinioni. Non c’è violenza, ma l’uso di una forza che non tutti hanno: l’uso della parola. Ovviamente, la retorica non è necessariamente negativa: è bene valorizzare un’idea “giusta” con un buon discorso, ma il presupposto è che da tutti sia accettato il PRINCIPIO DI NON CONTRADDIZIONE. Ed è proprio questo il fondamento che i sofisti vanno a minare. Il loro scopo infatti era di dimostrare che si può sostenere tutto e il contrario di tutto. Che, di ogni oggetto ci sono due ragionamenti contrapposti, ENTRAMBI VERI; che ciò che conta è render più forte l’argomento più debole, come fece Gorgia con l’Encomio di Elena. Quale idea di “bene” avevano dunque i sofisti? Quella del bene individuale, del mio bene contrapposto al bene altrui. Una concezione relativistica dell’etica, centrata, sofisticamente, sull’individuo e sul primato dell’opinione (greco: doxa).
=Note
modifica- ↑ Questo non significa mettere in discussione il valore della cultura; essa è un bene fondamentale, ma come ogni bene va accompagnato da una visione etica, da una concezione non soggettiva di ciò che è bene per tutti. Concezione non soggettiva, appunto: esattamente l’opposto dell’insegnamento sofistico.