La filosofia greca/Il sillogismo (in breve)

Indice del libro

Non è facile immaginare, di primo acchito, quanto inchiostro sia stato versato su questo aspetto della logica aristotelica. Esso è indubbiamente un tema affascinante, come lo sono tutti i “giochi” combinatori (vedi il Cubo di Rubik). E in effetti, per la cultura moderna, il sillogismo non è nulla di più di questo. Un gioco però con molte fallacie. In cosa consista la criticità del sillogismo sarà un argomento che tratterò con la dovuta attenzione al momento opportuno. L’argomento è importante nei suoi termini essenziali, per quanto di “rivoluzionario” esso rappresentò nella gnoseologia, e la mia trattazione si atterrà a questi limiti.

Per cominciare, nessuno prima di Aristotele aveva mai pensato seriamente (speculato) al fatto che una proposizione è un insieme di termini che si aggiungono uno all’altro secondo le categorie di appartenenza. Una proposizione può/deve essere analizzata, ovvero scomposta nei suoi elementi. E ancora: chi aveva mai pensato che non tutte le proposizioni si equivalgono? Per essere chiari: che differenza c’è tra 1) “la mela è un frutto” e 2) “vieni qui!”? Molte, ma le principali sono: a) la 1 è composta da Soggetto (sostanza) e predicato; è cioè sintatticamente ben formata; la 2 no. Se infatti aggiungo il soggetto al verbo, la frase cambia di senso (“tu vieni qui” non è più un ordine ma una constatazione, a meno di aggiungere una virgola e di mantenere il punto esclamativo, elementi non irrilevanti nella costruzione di senso). b) che la mela sia un frutto è un’asserzione, aristotelicamente parlando, cioè assegna una specie a una determinata sostanza, dice qualcosa di qualcosa. “Vieni qui!” invece è un ordine, cioè un enunciato che non intende affermare qualcosa ma generare un’azione; esso non “dice” ma mira a ottenere qualcosa, come la richiesta o la preghiera. In tal senso, la proposizione 1) può essere vera o falsa (parla di qualcosa che esiste), la 2) no. Semplicemente: ordinando qualcosa a qualcuno io non mento, agisco.

La logica, e il sillogismo in particolare, si occupa solo delle proposizioni che possono essere vere o false, dette per ciò dichiarative (o apofantiche). Per Aristotele la conoscenza si esercita su ciò che è (che esiste), non su ciò che sembra o che piace o che “si prova” (come la poesia o la tragedia) né su ciò che si desidera (la preghiera). Una poesia non può essere falsa (sbagliata), checché ne pensassero Hitler o Mao Zedong. Il territorio di pertinenza della logica coincide, come abbiamo visto, con quello della scienza. Si può avere conoscenza di tutto ciò di cui si può affermare qualcosa. In tal senso, logica e scienza non sono due cose distinte, ma le facce di una stessa medaglia. La scienza dunque è “fatta” di proposizioni, e solo di proporzioni dichiarative; dimostrare qualcosa significa produrre nuove proposizioni a partire da proposizioni già date (vedi calcolo combinatorio). Tale è la definizione che Aristotele dà del sillogismo: un discorso in cui, poste certe proposizioni, segue necessariamente qualcosa di diverso da ciò che è posto. Le due proposizioni date sono dette premesse (premessa maggiore e termine medio), il risultato finale è la conclusione: 1. Tutti gli uomini sono mortali (premessa maggiore) 2. Tutti i filosofi sono uomini (termine medio) 3. Tutti i filosofi sono mortali (conclusione)

Intuitivamente, questo ragionamento equivale a dire che, per capire che un filosofo può morire, occorre sapere che è un essere umano. Ripeto: il sillogismo non serve a scoprire nuove cose, ma è un metodo (detto comunemente metodo inferenziale) che mi permette di tenere sotto controllo il ragionamento e la validità di alcune proposizioni. Questa affermazione non vuole sminuire il valore della logica aristotelica e della sua scienza; occorre infatti precisare che nella Grecia classica, e per molto tempo ancora, l’idea di “scoperta” scientifica non esisteva. Se ci pensiamo, questo è implicito in tutto ciò che ho scritto nei capitoli precedenti: dall’epoca di Parmenide, l’uomo non può conoscere ciò che non è (e neppure pensarlo). Ipotizzare che qualcosa “sia” ma nello stesso tempo “non è” è una chiara contraddizione. Sempre ho sottolineato il fatto che la definizione deve dire il “che cos’è” di qualcosa, deve parlare cioè di ciò che esiste. Al contrario, scoprire qualcosa vuol dire indirizzare il pensiero a ciò che è soltanto immaginato (ipotizzato), pensato astrattamente. La conclusione di un sillogismo non afferma qualcosa che non è di per sé già visibile; semplicemente, ci permette di non commettere errori lungo l’asse del ragionamento. Per Aristotele, la scienza permette di vedere meglio le cose, non di vedere nuove cose.