Ebraicità del Cristo incarnato/Logos di Filone

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"Giovanni il Teologo e il diacono Procoro", olio di Andrei Mironov, 2015

Breve confronto tra il Logos di Filone e il Vangelo di Giovanni

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Le sorprendenti somiglianze tra le descrizioni del logos in Filone e il Vangelo di Giovanni complicano l'assunto tradizionale, proposto da studiosi come Boyarin e Dunn, che la descrizione in Giovanni 1:14 del logos divino fattosi carne segnò una significativa rottura dalla più ampia ebraicità del suo tempo.[1] In effetti, come nel caso delle altre forme di corporeità divina che ho esaminato in questo studio, sebbene in larga misura, queste somiglianze suggeriscono invece che la credenza paradossale in una figura divina-ma-incarnata sorse in precedenza all'interno altre forme di ebraismo ellenistico. Vale a dire, mostrano come ancor prima del Vangelo di Giovanni, Filone considerasse il logos come un mezzo con cui il divino poteva materializzarsi sulla terra. Per dimostrare questi punti, qui di seguito sottolineo quattro modi principali in cui entrambi gli autori presentano il logos – sebbene indissolubilmente legato all'identità del Dio creatore – anche in grado di entrare nel mondo creato e corporeo fatto da Dio. Pertanto, per entrambi gli autori il logos funziona come mezzo attraverso il quale il divino può entrare nel mondo creato: primo, come elemento costitutivo dell'identità del Dio creatore; secondo, come attributo personificato in grado di agire indipendentemente da Dio; terzo, come subordinato al Dio creatore; e quarto come capace di entrare nel mondo creato e corporeo che Dio ha fatto.[2]

Il Logos come elemento costitutivo dell'identità di Dio creatore

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Primo: sia per Filone che per Giovanni il logos non è separato dal Dio supremo di Israele, ma funziona piuttosto come un elemento essenziale e costitutivo della stessa identità di Dio. Rispetto a Filone, sebbene (come ho sottolineato nel Capitolo II) egli veda il Dio supremo di Israele come l'unica entità increata e causa di tutto il resto (Opif. 170–2),[3] descrive il logos come indissolubilmente legato a quella identità divina. Proprio come una persona non può esistere senza le sue capacità cognitive, così anche Filone afferma che Dio non può esistere senza il suo logos. Questo perché, come implica la gamma semantica della parola logos, il logos funziona come i "pensieri", la "razionalità", la "logica creativa" e la "mente" del Dio supremo di Israele.[4] Partecipando alla divinità del Dio supremo d'Israele in questo modo (cfr. Capitolo II), anche il logos, come Dio l'Altissimo di Israele, è completamente divino. Tuttavia Filone reifica ulteriormente il legame tra Dio e il logos impiegando indiscriminatamente le stesse parole per descrivere i due. Come ha osservato James Dunn:

« Filone è in grado di identificare l'artefice di Platone (τεχνίτης) sia come Logos (Heres 119; Qu. Ex. II.53, 81) sia, più regolarmente, come Dio stesso (per es. Opif. 20, 135; Leg. All. III.99; Heres 133; Mut. 31), perché in ciascun caso sta dicendo la stessa cosa... Parimenti, egli può parlare di Dio come auriga o timoniere della creazione (cfr. Heres 99, 228, 301; Som. I.157), ma può usare prontamente questa metafora per il Logos (Migr. 67; Fuga 101) per lo stesso motivo; o può parlare sia di Dio che del Logos come l'archetipo supremo.[5] »

Impiegando gli stessi titoli per descrivere Dio e il logos, Filone sottolinea come quest'ultimo funzioni in ruoli tipicamente occupati dal primo, sottolineando ulteriormente come il logos partecipi alla divinità del Dio supremo di Israele.

Come Filone, anche Giovanni presenta il logos come parte integrante dell'identità divina. Nel versetto di apertura del suo Vangelo, per esempio, è veloce a chiarire che il logos è divino (θεὸς ἦν ὁ λόγος), proprio come Dio Padre è divino (Giovanni 1:1). Ma Giovanni aumenta ulteriormente lo status del logos quando afferma che il logos era coeterno con il Dio supremo di Israele.[6] Mentre Filone stabilisce una distinzione temporale tra Dio e il logos, Giovanni non fa tali differenze tra i due. Filone, ad esempio, descrive il logos come il "figlio primogenito" di Dio (Agr. 51), o la "parola primogenita" (Conf. 146) o il "primogenito (πρεσβύτατος) [e] il più universale (γενικώτατος)" di tutte le entità (Leg. All. 3.175), o anche come il "modello (παραδειγμα)", che Dio fa per primo (ἐποίει) (Ebr. 133), al fine di stabilire una separazione retorica (e temporale) tra il Dio supremo di Israele (al quale, come ho sottolineato nel Capitolo II, spesso si riferisce con l'Esistente) e il logos. Ma Giovanni non fa tale distinzione. Invece, Giovanni presenta il logos come divino e coeterno con il Dio supremo di Israele. Un esame più attento di Giovanni 1:1-4 aiuta a illustrare questo punto.

« Nel principio era il logos (Ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ λόγος), e il logos era presso Dio (καὶ ὁ λόγος ἦν πρὸς τὸν θεόν), e il logos era Dio (καὶ θεὸς ἦν ὁ λόγος). Egli (il logos) era nel principio con Dio (οὗτος ἦν ἐν ἀρχῇ πρὸς τὸν θεόν). Tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui (πάντα δι᾿αὐτοῦ ἐγένετο), e senza di lui nessuna delle cose fatte è stata fatta (καὶ χωρὶς αὐτοῦ ἐγένετο οὐδὲ ἕν ὅ γέγονεν). In lui era la vita (ἐν αὐτῷ ζωὴ ἦν) e la vita era la luce degli uomini (καὶ ἡ ζωὴ ἦν τὸ φῶς τῶν ἀνθρώπων). »

Qui, l'autore afferma che il logos esiste "Nel principio (Ἐν ἀρχῇ)" come il Dio supremo di Israele (Giovanni 1:1–1) ed è presente con Dio prima della creazione del mondo (cfr. ICorinzi 8:5-6, Colossesi 1:15-17 e Ebrei 1:1-3). Queste parole fanno eco alle righe di apertura di Genesi nella Septuaginta. Lì, il testo dichiara che "In principio (Ἐν ἀρχῇ)" Dio creò il cielo e la terra (Gen. 1:1). Nel fare questa affermazione, Giovanni colloca il logos nella posizione esatta del Dio Creatore supremo di Israele. Come Filone, quindi, anche se in misura maggiore, Giovanni posiziona il logos nel posto stesso del Dio di Israele, dimostrando come egli veda il logos quale componente essenziale e costitutiva dell'identità di quel Dio l'Altissimo.

Il Logos personificato, e quindi (apparentemente) indipendente da Dio

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Secondo: sebbene sia Filone che Giovanni presentino il logos come parte integrante dell'identità divina, entrambi personificano il logos anche in modo tale che sembri essere in grado di agire indipendentemente da Dio, funzionando come forma incarnata di Dio nel mondo corporeo in un modo che il Dio supremo di Israele non può. Per Filone, ad esempio, al fine di preservare l'assoluta trascendenza e alterità di Dio, descrive il logos in questo ruolo intermedio. Mentre il suo Dio supremo, a cui spesso fa riferimento come ὁ ὤν o τὸ ὄν (vedi Capitolo II), è immutabile, il logos divino è mutevole. Mentre Dio l'Altissimo è inconoscibile, il logos divino è reso conoscibile. In effetti, è proprio a causa di queste caratteristiche enigmatiche che il logos, sebbene rappresentato come essenziale per l'identità del Dio supremo, può anche entrare nel reame corporeo. Un esempio particolarmente interessante di questa tendenza si trova nel trattato di Filone, Quis rerum divinarum heres sit. Qui Filone afferma:

« E il Padre, che ha creato l'universo, ha dato un dono speciale al suo principale messaggero e logos più antico (τῷ δὲ ἀρχαγγέλῳ καὶ πρεσβυτάτῳ λόγῳ), per stare al confine di entrambi (μεθόριος στὰς) e separare il Creatore da ciò che era stato creato (τὸ γενόμενον διακρίνῃ τοῦ πεποιηκότος). E questa stessa Parola supplica continuamente l'Immortale (ἄφθαρτον) come supplicante per la razza mortale (θνητοῦ) ed è ambasciatore del sovrano al suddito. E il logos si diletta nel dono e, esultandone, lo annuncia, dicendo: "E io stavo in mezzo, tra il Signore e te (κἀγὼ εἱστήκειν ἀνὰ μέσον κυρίου καὶ ὑμῶν)" né essendo increato come Dio (οὔτε ἀγένητος ὡς ὁ θεὸς ὢν), né creato come voi (οὔτε γενητὸς ὡς ὑμεῖς), ma trovandosi in mezzo agli estremi (μέσος τῶν ἄκρων), come ostaggio di entrambi. »
(Her. 205–206)

Di particolare rilievo qui è il modo in cui Filone presenta il logos come posto sul "confine (μεθόριος)", tra Dio e tutto ciò che Dio ha creato (Her. 205). Descrivendo metaforicamente il logos come "né increato come Dio né creato come voi (οὔτε ἀγένητος ὡς ὁ θεὸς οὔτε γενητὸς ὡς ὑμεῖς)", egli sottolinea come il logos esista "nel mezzo dei due estremi (μέσος τῶν ἄκρων)" (Her. 205-206). Entrambe le designazioni rivelano come – sebbene il logos sia tecnicamente una parte del Dio creatore – la sua funzione prevista è quella prendere il posto di Dio nel mondo che Dio ha fatto.

Come Filone, l'autore del Vangelo di Giovanni personifica in modo simile il logos, cosicché sembra agire in modi precedentemente riservati al Dio di Israele. In particolare, il prologo del Vangelo presenta il logos che opera come mezzo con cui il mondo viene alla luce. Nel v. 3, per esempio, Giovanni descrive come tutto sia stato fatto per mezzo di lui (cioè il logos), e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste (πάντα δἰ αὐτοῦ ἐγένετο, καὶ χωρῖς ἀυτοῦ ἐγένετο οὐδε ἕν ὅ γέγονεν). Questa descrizione si basa sul ritornello ricorrente di Genesi 1, "E Dio disse", che ritrae la creazione che nasce dalla parola di Dio (Genesi 1:3,6,9,11,14,20,24,26). Invece della creazione che nasce attraverso Dio l'Altissimo stesso, come descrive la Septuaginta [Ἐν ἀρχῇ ἐποίησεν ὁ θεὸς (In principio Dio creò), Giovanni 1:1 suggerisce che il logos, ora personificato, svolge tale funzione [Ἐν ἀρχῇ ἧν ὁ λόγος (In principio era il Logos)]. Come discuterò a lungo in seguito, una volta che Giovanni ha affermato che il logos si fa carne (1:14), nella persona specifica (1:18), egli non solo personifica il logos come avviene in Filone, ma presenta il logos che diviene incarnato nella specifica persona storica di Gesù, ribadendo così ulteriormente queste affermazioni.

Il Logos subordinato al Dio Supremo Creatore

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Terzo: sebbene entrambi gli autori presentino il logos come parte integrante dell'identità del Dio supremo di Israele, entrambi subordinano il logos al Dio creatore. Questo è significativo per le affermazioni più ampie che farò nel corso di questo mio studio. In particolare, quando sostengo che la descrizione del Vangelo di Giovanni sulla "parola divina fattasi carne" (Giovanni 1:14) fosse solo una delle molte varietà di modi in cui gli ebrei antichi immaginavano Dio in forma corporea, questo punto sulla subordinazione del logos dimostra come — anche nel Vangelo di Giovanni — Gesù non sia presentato come una forma del Dio l'Altissimo di Israele incarnato sulla terra. Piuttosto, è il logos che viene presentato come un'entità subordinata a quell'essere supremo. Rispetto a Filone, le prove di questa subordinazione possono essere osservate nel linguaggio metaforico che impiega per descrivere il logos. Quando, ad esempio, Filone descrive il logos come il "maggiore" di tutte le cose create (Leg. 3, 61, 173; Migr. 6), o il "figlio primogenito di Dio" (Agr. 12, 51), o "l'uomo di Dio" (Conf. 11, 41; cfr. 14, 62; 28, 146), o "l'immagine di Dio" (Conf. 28), o "secondo a Dio" (Leg. II.21, 86), o un "secondo Dio" (QE II, 62, Marcus, LCL), questi titoli suggeriscono che sebbene il logos condivida l'identità divina, il logos non possiede la stessa posizione del Dio di Israele. Un esempio particolarmente sorprendente di questa subordinazione si trova nel trattato di Filone, De Agricultura, quando scrive:

« Perché Dio (ὁ θεός), come un pastore e un re, conduce secondo giustizia e legge. Ma pone alla testa il suo vero Logos (τὸν ὀρθὸν αὑτοῦ λόγον) e il figlio primogenito (πρωτόγονον υἱόν), che si prende cura del suo gregge sacro come un viceré di un grande re. Poiché si dice: " Ecco, IO SONO, io mando un angelo davanti a te per vegliare su di te lungo la via". »
(Agr. 51)

Mentre Filone raffigura il suo sommo Dio (a cui si riferisce qui con ὁ θεός) come re, raffigura il logos come sovrintendente. In questa posizione il logos ha un certo potere; tuttavia, non ha l'autorità suprema. Pertanto, sebbene il logos partecipi all'attività divina di Dio, e quindi si possa anche dire che è divino, ciò non significa che il logos sia sinonimo di Dio l'Altissimo di Filone. Piuttosto, Filone pone il logos in una posizione minore nella sua gerarchia divina. A tutti gli effetti pratici, quindi, il logos opera come subordinato del Dio supremo di Israele.

L'autore del Vangelo di Giovanni sottolinea allo stesso modo l'unità tra il logos divino e il Dio supremo di Israele (a cui spesso si riferisce come il Padre), ma sostiene anche che il primo è subordinato al secondo. Questo legame diventa particolarmente significativo dopo che il logos del prologo di Giovanni viene esplicitamente identificato con Gesù (cfr. Giovanni 1:18), il Figlio del Padre. In Giovanni 3:35, ad esempio, l'autore sottolinea che il Figlio non ha una propria autorità, ma che il Padre "gli ha dato tutte le cose in mano (πάντα δέδωκεν ἐν τῇ χειρὶ αὐτοῦ)". Similmente, in Giovanni 5:27, l'autore osserva che il Padre "gli ha dato [cioè al figlio] autorità di giudicare (ἐξουσίαν ἔδωκεν αὐτῷ κρίσιν ποιεῖν) ", ma ciò implica che Gesù non può agire in questo ruolo autorevole senza il permesso di suo Padre (cfr. Giovanni 10:29,13:16 e 14:28). L'autore sottolinea ulteriormente la gerarchia tra queste due figure mediante il suo frequente impiego del linguaggio familiare. Tre volte nei capitoli di apertura, l'autore chiama Gesù "unigenito (μονογενοῦς)" (Giovanni 1:14,18 e 3:16-17), e più di cento volte nell'ultima parte del Vangelo Gesù chiama Dio suo "Padre", o afferma che Dio è "il Padre". Questi esempi creano un'immagine paradossale. Sebbene il Figlio (descritto anche come il logos) e il Padre facciano parte della stessa identità divina — un punto che il Gesù giovanneo sottolinea con enfasi quando afferma: "Io e il Padre siamo uno (ἐγὼ καὶ ὁ πατὴρ ἕν ἐσμεν)" (Giovanni 10:31) — l'autore ritrae il Padre come superiore al Figlio. Di conseguenza, sia Filone che Giovanni descrivono il logos – o, nel caso del Vangelo di Giovanni, per estensione il figlio di Dio Gesù – come parte dell'identità divina, ma allo stesso tempo subordinata al Dio supremo di Israele.

Il Logos nel mondo creato e corporeo fatto da Dio

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Quarto: sia per Filone che per Giovanni, il logos diventa immanente nel reame corporeo creato per agire come agente di Dio al suo interno. Ciò è significativo perché dimostra come entrambi gli autori presentino il logos come mezzo attraverso il quale una parte di Dio entra nella creazione. Per Filone, ad esempio, sebbene indissolubilmente legato al Dio supremo, il logos rappresenta il "giudice e mediatore" della razza umana (QE 2.13, Marcus, LCL), o il "supplicante" di Dio per suo conto (Sacr. 119), o il "sovrano e governatore di tutti" (Cher. 36), o l'"interprete" di Dio (Deus. 138), o anche l'entità che separa "come un velo il mondo incorporeo... da quello visibile" (QE 2.94, Marcus, LCL). Ognuna di queste descrizioni presenta il logos in grado di interagire ed agire come uno strumento di divina provvidenza nel mondo corporeo, in un modo che Dio l'Altissimo di Filone non può. Secondo la presentazione di Filone, quindi, il logos funziona sia come uno strumento attraverso il quale Dio crea il mondo percettibile ai sensi, sia come una figura intermedia la cui immanenza in quello stesso reame gli consente di esercitare la divina provvidenza di Dio in ogni suo aspetto.

Giovanni fa un'affermazione simile quando insiste sul fatto che il logos non solo si è incarnato o impiantato nel mondo materiale, ma ha anche assunto carne umana (ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο) nella persona specifica di Gesù di Nazaret per dimoarere in mezzo a noi (ἐσκήνωσεν ἐν ἡμῖν).[7] Vale a dire, sebbene Filone presenti il logos che incarna la presenza di Dio nel mondo agendo come intermediario – funzionando come lo strumento con cui Dio crea il mondo e i mezzi con cui Dio esercita la provvidenza di Dio in esso – l'autore giovanneo fa un passo avanti in questa logica. Per Giovanni, il logos divino non diventa semplicemente imminente nella creazione corporea, ma diventa in realtà un'entità creata quando il logos diventa carne nella figura specifica di Gesù. In verità, di tutti i testi ebraici che risalgono al primo secolo e.v., compresi gli altri Vangeli del Nuovo Testamento, solo nel Vangelo di Giovanni incontriamo la sorprendente affermazione che il logos divino divenne carne (ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο) (Giovanni 1:14).[8] Solo nel Vangelo di Giovanni sentiamo qualcuno affermare che Gesù è Dio (θεός) (20:28).[9] Di conseguenza, sebbene vi siano marcate somiglianze tra le presentazioni dell'incarnazione divina in Filone e nel Vangelo di Giovanni, specialmente per quanto riguarda il loro uso di un simile linguaggio paradossale, ci sono anche differenze degne di nota.

Poiché sappiamo che questi due autori hanno operato in periodi leggermente diversi (cioè prima e dopo la distruzione del Secondo Tempio), e probabilmente vivevano in sfere geografiche leggermente diverse (ovvero Alessandria e Asia Minore), le sorprendenti analogie paradossali tra loro sono del tutto più notevoli. Eppure, poiché sappiamo che nuove idee, anche nuove teologie, non sorgono nel vuoto, ma sono predicate da intuizioni passate ed emergono solo come una fusione di pensieri precedenti, tutto ciò mi indica che all'inizio I secolo e.v., si stava svolgendo una discussione più ampia all'interno dei circoli ebraici, in particolare intorno ad Alessandria, in Egitto, riguardo a come il divino, in particolare il logos, potesse essere incorporato nel reame materiale e che, all'inizio del secondo secolo e.v., questa idea era circolata o emersa anche in Asia Minore. Quindi, per quanto strano possa sembrare oggi, ciò che emerge nel cristianesimo successivo rispetto all'Incarnazione, è iniziato come un pensiero ebraico.

Sulla base della mia analisi di cui sopra, la domanda rimane: il Vangelo di Giovanni riflette la stessa ideologia di quella di Filone rispetto al logos e a Gesù? Probabilmente no. Tuttavia rimane il fatto sorprendente che nella sua presentazione del logos, Filone fornisce una figura divina intermedia, proprio come il Gesù incarnato di Giovanni, che diventa immanente nel mondo creato e può quindi svolgere un ruolo soteriologico significativo. Come ebbe a sottolineare Harry Austryn Wolfson quasi un secolo fa:

« Non proprio una separazione da Filone, ma solo un'aggiunta a lui, è la dottrina dell'Incarnazione, poiché nella sua formulazione finale l'Incarnazione divenne una nuova tappa nella storia del Logos filonico — un Logos reso immanente in un uomo dopo essere stato immanente nel mondo.[10] »

Di conseguenza, come dimostrano tutti questi esempi, il logos filonico illumina la misura radicale in cui certi testi ebraici del primo secolo, e in questo caso ebraico-alessandrini, potevano accogliere una biforcazione nella loro concezione di Dio – con un Dio trascendente e un Dio incarnato, o perlomeno un intermediario divino molto immanente che si erge al confine tra questi due reami – entrambi i quali furono simultaneamente sussunti nella più ampia rubrica dell’unicità di Dio.[11]

Ciò è significativo perché segna il modo in cui la forma di incarnazione divina del Vangelo di Giovanni è in continuità col resto delle concezioni ebraiche analogamente datate, pur essendone distinta. I modi in cui gli ebrei, agli inizi dell'era volgare, consideravano l'idea dell'incarnazione di Dio differivano sia dai loro precursori nella religione israelita che da ciò che seguì nel periodo rabbinico. Sia per gli antichi israeliti che per i rabbini, c'era molto fascino per il corpo di Dio — ad esempio, con descrizioni specifiche, degli occhi, delle orecchie, della bocca, del naso e di altre parti del corpo di Dio. Per gli ebrei che vivevano intorno al I secolo e.v., tuttavia, l'incarnazione di Dio avvenne attraverso figure mediatiche – vale a dire con uomini come Mosè ed Enoch e il Sommo sacerdote ebreo – che rappresentavano la manifestazione fisica di Dio sulla terra o che potevano avvicinarsi a Dio nei cieli. Oppure, l'incarnazione di Dio avveniva attraverso attributi divini personificati – come Sofia e il logos – che potevano entrare nel reame creato, a volte anche materializzandosi corporalmente in esseri umani. Ma in tutti questi esempi tali altre figure mediatiche non attraversano mai completamente il confine tra il Dio supremo e increato di Israele e la creazione che Dio aveva fatto. Persino il Vangelo di Giovanni non lo fa, poiché presenta Gesù come incarnazione del logos divino e non dello stesso Dio l'Altissimo di Israele.

Ambientato in questo contesto storico, il Vangelo di Giovanni articola Gesù come il logos divino fattosi carne, assumendo un nuovo significato (Giovanni 1:14). Vale a dire – lungi dall'essere antitetico all'ebraismo come presumevano gli studiosi,[12] o dall'essere il momento in cui il Vangelo di Giovanni si differenzia dal suo "Koine ebraico" e inizia invece ad articolare un "kerygma cristiano" distintivo, come Dunn e Boyarin hanno argomentato[13] – la descrizione di Giovanni del mondo divino fattosi carne fu in realtà un modo molto ebraico di concepire come Dio potesse incarnarsi sulla terra. Ora, ad essere sicuri, ci sono chiare differenze tra il modo in cui Filone comprende l'incarnazione di Dio attraverso il logos e come il Vangelo di Giovanni concepisce la stessa idea. Per esempio, mentre Filone suggerisce una distinzione temporale tra le diverse fasi del logos, Giovanni ribadisce in tutto il suo Vangelo come Gesù quale logos sia contemporaneamente parte della stessa identità di Dio e parte della creazione. Ma quello che sto discutendo qui è che solo perché la versione di Giovanni è distintiva, ciò non significa che non sia più ebraica.[14] Piuttosto, le due diverse descrizioni del logos riflettono semplicemente la diversità del pensiero ebraico rispetto a queste questioni.

In questa sezione, ho tracciato una visione ad ampio raggio delle sorprendenti somiglianze tra il modo in cui Filone e l'autore del Vangelo di Giovanni hanno ritratto il logos. In particolare, ho dimostrato quanto, al tempo di Filone, se non prima, il logos divino fosse in grado di diventare immanente nel mondo creato, corporeo, sia in termini di ruolo strumentale nel permettere alla creazione di esistere, che in termini dei suoi atti continuativi di supervisione dopo che il mondo creato ebbe origine.

In ciò che segue, continuo il lavoro comparativo tra Filone e il Vangelo giovanneo, interpretando la centralità delle parole di Gesù nel Vangelo alla luce di una particolare allegorizzazione che Filone mette in relazione con il logos. Lo faccio perché qui Filone presenta un quadro più sfumato di come pensava che il logos potesse essere sia una parte del Dio supremo di Israele che incarnato nel mondo corporeo da Lui creato. Inoltre, per estensione, posso anche fornire una lettura più sfumata del Vangelo di Giovanni che raffigura Gesù come il logos, che è anche in grado di colmare il divario tra questi due reami.

Per essere chiari, lo faccio esclusivamente a fini euristici. Nel leggere questi due uno accanto all'altro, non sto suggerendo che l'autore del Vangelo di Giovanni conoscesse queste particolari allegorie filoniche, né sto suggerendo che egli conoscesse una qualsiasi delle vaste opere di Filone. Il confronto, tuttavia, mi consente di fare qualcosa di più: mi permette di dimostrare come il paradossale ritratto di Gesù del Vangelo giovanneo come logos divino fattosi carne non è limitato al prologo, ma continua a ripetersi – a intervalli regolari – in tutto il testo del Vangelo; in particolare, il Vangelo di Giovanni non presenta semplicemente Gesù come l'incarnazione di Dio tramite la sua identificazione con il logos divino, ma anche tramite le parole corporali e create, o logoi, che egli pronuncia.

  Per approfondire, vedi Biografie cristologiche.
  1. Si vedano Boyarin, Borderlines, 105; Dunn, Christology in the Making, 213.
  2. Come ha affermato David Winston, "la dottrina del Logos fu il perno del pensiero religioso di Filone... qualcosa che i suoi lettori avrebbero immediatamente riconosciuto senza ulteriori spiegazioni". Vedi David Winston, Logos and Mystical Theology, 11. Riflettendo su questa intuizione di Winston, Daniel Boyarin osserva: "Le conseguenze di questo punto sono formidabili... Se per questi la teologia del Logos era un luogo comune virtuale (il che non vuol dire che non ci fossero enormi variazioni nei dettagli, ovviamente), l'implicazione è che questo modo di pensare a Dio era un lascito vitale (perlomeno) del pensiero ebraico alessandrino. Diventa quindi evidente che, almeno per un ramo dell'ebraismo precristiano, non vi era nulla di strano in una dottrina di deuteros theos e nulla in tale dottrina che precludesse il monoteismo" — cfr. "The Gospel of the Memra", 249.
  3. In effetti, per Filone è solo Dio che ha un essere vero (Det. 160), è solo Dio che semplicemente esiste (Det. 160; Leg. 2.86).
  4. Come Wolfson descrisse più di mezzo secolo fa: "È la mente di Dio, rinominata Logos, in cui sono state concepite le idee e il mondo intelligibile costituito dalle idee e di cui sono oggetto di pensiero. Nella misura in cui Dio è assoluta semplicità, la Sua mente e il Suo pensiero e gli oggetti del Suo pensiero sono tutt'uno e identici alla la Sua essenza. Il Logos, quindi, come mente di Dio e come luogo delle idee per l'eternità, inizia nella sua carriera come qualcosa di identico all'essenza di Dio"(cfr. Wolfson, Philo, 231).
  5. Dunn, Christology in the Making, 227.
  6. Cfr. Giovanni 1:1-18.
  7. È qui con l'affermazione del Vangelo di Giovanni che divergono le sorprendenti somiglianze paradossali tra Giovanni e Filone. Poiché, sebbene Filone affermi che Dio ha impiantato il logos nel reame creato, Giovanni insiste sul fatto che il logos è diventato effettivamente carne, una parte del reame creato stesso.
  8. Dopo il Vangelo di Giovanni e prima di Nicea, questa enfasi sul fatto che Gesù sia contemporaneamente umano e divino è anche articolata nelle lettere di Ignazio e nella lettera di Policarpo.
  9. Le epistole giovannee insisteranno molto su questa prospettiva, affermando che "sono apparsi nel mondo molti seduttori, i quali non confessano che Gesú Cristo sia venuto in carne (οἱ μὴ ὁμολογοῦντες Ἰησοῦν Χριστὸν ἐρχόμενον ἐν σαρκί)"; questi è il seduttore (ὁ πλάνος) e l'anticristo (ὁ ἀντίχριστος)." (2 Giovanni 1:7). Poco dopo Policarpo ribadirà questa affermazione quando scrive la sua epistola ai Filippesi 7:1, "Chiunque non confessi (μὴ ὁμολογῇ) che Gesù Cristo (Ἰησοῦν Χριστὸν) è venuto nella carna (ἐν σαρκὶ ἐληλυθέναι) è l'anticristo (ἀντιχριστός)".
  10. Wolfson, Philosophy of the Church Fathers, viii.
  11. È importante notare che lo stesso Filone non usa mai il termine "Incarnazione", né afferma che il logos sia diventato carne. Afferma, tuttavia, che Dio ha impiantato il logos all'interno della stessa creazione per agire come strumento della divina provvidenza in ogni sua parte (cfr. QE 2.94). Con questo intendo che Dio ha incarnato una parte del divino all'interno della creazione stessa, quindi la creazione porta un aspetto di Dio.
  12. Cfr. Schoeps, The Jewish-Christian Argument; Parrinder, Avatar and Incarnation; Wyschogrod, "A Jewish Perspective", 195–209, sebbene come ho sottolineato nel Capitolo I, egli qualifichi questa posizione.
  13. Le citazioni sono da Boyarin, Borderlines, 105. Per una prospettiva simile, si veda anche Dunn, Christology in the Making, 213, 249.
  14. Si veda, per una chiara articolazione di questo fenomeno, Gabriele Boccaccini, "How Jesus Became Uncreated", 208; idem, "Jesus the Messiah", 207.