Ebraicità del Cristo incarnato/Conclusione 2

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"Cristo a braccia conserte", olio di Rembrandt, ca. 1657-1661

Conclusione

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"Philo Judeus" Filone di Alessandria, 1493

Nei primi secoli dell'era volgare, i membri del movimento di Gesù non erano i soli ebrei che articolavano un mezzo con cui il Dio di Israele potesse incarnarsi sulla terra. La nozione di un'anima di ispirazione divina fornisce a Filone un modo in cui il Dio di Israele poteva manifestarsi. Per lui l'anima è un'entità divina e non-creata, che valica la divisione nel mondo creato per risiedere direttamente all'interno degli esseri umani creati. Di conseguenza, la sua anima di ispirazione divina funge da mezzo per collegare i reami divino-umano; fornisce inoltre il modo in cui gli umani, almeno apparentemente, possono essere salvati.

Ora Filone, ovviamente, non afferma esattamente la stessa cosa dei membri del movimento di Gesù quando asserirono che la parola divina divenne carne (ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο) (cfr. Giovanni 1:14), ma certamente intende lo stesso. Collegata direttamente a Dio mentre risiede all'interno di un corpo umano, l'anima umana di Filone – come la parola incarnata (λόγος) – si erge sui confini (μεθόριον) tra ciò che è mortale e ciò che è immortale (θνητῆς καὶ ἀθανάτου) (Giovanni 1:14 e Filone, Opif. 135 rispettivamente). Poiché Dio infonde il Suo spirito negli umani, gli umani fanno parte della creazione ma hanno anche la capacità di trascendere i limiti di tale creazione.[1] Di conseguenza, l'anima di Filone compie uno scopo soteriologico distinto. Partecipando direttamente all'essenza divina, ma allo stesso tempo collocato nella polvere e nell'argilla della materialità umana, l'anima funziona come lo strumento o agente attraverso il quale l'umanità fugge dal mondo materiale o ne viene salvata.[2] In un modo che anticipa il movimento successivo del misticismo ebraico, l'anima divina ma incarnata di Filone ha la capacità, attraverso un'ascesa mistica, di trascendere questo mondo per partecipare invece alla divinità.

Lungi dall'essere un modo monolitico in cui gli antichi ebrei immaginavano che Dio potesse incarnarsi, ciò che la mia analisi rivela è che c'erano probabilmente molti modi in cui gli ebrei nei primi secoli dell'era volgare consideravano Dio in forma corporea. Esplorando una particolare sezione della storia ebraica, invece di utilizzare una lente teleologica che funziona all'indietro da un successivo risultato noto nella teologia cristiana, le descrizioni di Filone sull'anima divinamente ispirata dell'umanità possono essere rivelate per quello che sono: un modello concorrente di incarnazione divina. Se Filone credesse davvero che l'ebreo medio poteva imparare a riconnettersi con le sue origini divinamente preposte è molto meno chiaro. Dagli esempi qui riportati, questa impresa si rivelò difficile per i più illustri patriarchi; persino Mosè, ad esempio, sembra aver raggiunto solo in parte questo fine. Ciò rivela una tensione intrinseca nel pensiero di Filone: ​​la sua teoria sulle origini divine dell'anima suggerisce che tutti gli umani potrebbero riconnettersi con Dio. Eppure i suoi esempi particolari mostrano che era quasi impossibile per una qualsiasi persona di farlo effettivamente. Nonostante questa osservazione, l'articolazione di incorporazione divina data da Filone di Alessandria rivela che il linguaggio incarnazionale che emerge tra i membri del movimento di Gesù non è così innovativo come è stato precedentemente ipotizzato.[3] La nozione di incarnazione divina, espressa in punti come Giovanni 1:14, non era l'unico modo con cui gli ebrei antichi del primo periodo romano concepivano Dio in forma corporea.

Questo capitolo ha mostrato un lato dell'equazione incarnazione/divinità attraverso un caso studio particolare di come un ebreo, all'inizio del primo secolo dell'era volgare, capisse che anche gli esseri umani creati potevano essere considerati divini. In particolare, ha dimostrato come, quando Filone interpreta Genesi 2:7, egli ritragga le anime degli umani come provenienti direttamente dall'afflato di Dio. Di conseguenza per Filone, l'anima umana, proprio come il Gesù incarnato del cristianesimo, diventa immanente nel mondo creato per funzionare come l'agente con cui gli umani possono prendere parte alla divinità. Nel prossimo capitolo continuerò a indagare su come gli ebrei, nel primo secolo dell'era volgare, capirono che anche gli umani potevano essere considerati divini, rivelando come vari autori ebrei consideravano il Sommo sacerdote, come l'imperatore del mondo greco-romano, quale rappresentazione visibile di Dio sulla terra o come persona che poteva in seguito essere divinizzata. In particolare, usando esempi tratti dal Rotolo di Melchisedec (11Q13), dalle Antichità giudaiche 11.302–345 di Flavio Giuseppe e dal De somniis 2.189 di Filone, sostengo che molti ebrei consideravano il Sommo sacerdote tanto divino quanto altri consideravano divini gli imperatori del mondo greco-romano.

"Incontro tra Abramo e Melchisedec", olio di Juan Antonio de Frías y Escalante, 1668 (Museo del Prado)
  Per approfondire, vedi Biografie cristologiche.
  1. Sebbene, come ho notato sopra, Filone – come Platone prima di lui – suggerisca che l'obiettivo dell'esistenza umana è diventare simile o assimilarsi a Dio (ἡ πρὸς θεὸνἐξομοίωσις) (Opif. 144; Virt. 8, 168; Fug. 63; cfr. Platone, Teet. 176b), si differenzia da Platone per il modo in cui interpreta la Torah. Mentre Platone insiste sul fatto che gli esseri umani devono diventare come Dio, Filone, in base alla sua lettura di Gen. 2:7, suggerisce che gli esseri umani devono risvegliarsi all'aspetto divino, cioè le loro anime non-create, che è già presente in loro. Un tale risveglio permette loro di "vedere" che Dio esiste veramente, spingendoli in tal modo a liberarsi dei loro corpi terreni e ascendere più pienamente verso Dio nei cieli.
  2. Come ha osservato Ronald Cox: "L'idea di Filone riguardo alla salvezza, in nuce, è la morte dell'anima nel suo corpo materiale e la sua ascesa di ritorno alle origini celesti." Cfr. "Travelling the Royal Road", 172.
  3. 262 Dunn, Christology in the Making, esp. xii–xxxix, 213; Casey, Jewish Prophet, esp. 9, 31–32, 35–36, 143, 156, 158, though his focus is more on when belief in Jesus’s divinity first arose among Jesusfollowers; Boyarin, Borderlines, 105.