Abulafia e i segreti della Torah/Studi e insegnamento 1

Indice del libro
"Dovresti sapere che non favorirò la mia nazione, ma dirò la verità."
Abramo Abulafia, Oṣar ʿEden Ganuz, 1:10, 193

STUDI E INSEGNAMENTO modifica

Gli studi filosofici di Abulafia e la Guida dei Perplessi di Maimonide modifica

In contrasto con il modo del suo sviluppo, che era stato documentato per quasi un secolo, un cambiamento epocale nella storia della Cabala ebbe luogo a Barcellona nel 1270, quando Abraham ben Shmuel Abulafia, uno studente della Guida dei perplessi di Maimonide, divenne un cabalista attraverso lo studio del Sefer Yeṣirah e dei suoi commentari. Sebbene alcuni altri cabalisti della sua generazione avessero subito metamorfosi intellettuali simili, cioè il passaggio dalla filosofia alla Cabala,[1] l'adesione o l'invenzione da parte di Abulafia di un certo tipo specifico di Cabala differisce da quello di qualsiasi altro in quanto divenne un cabalista senza cambiare fedeltà ai suoi studi precedenti. Dopo questo passaggio, continuò anche ad insegnare e promuovere lo studio della filosofia scrivendo commenti sui segreti della Guida. Sebbene avesse certamente subordinato la filosofia alla propria Cabala, quest'ultima venne tuttavia concepita come problematica se non avesse avuto il precedente impatto della prima.

 
Frontespizio della Guida dei perplessi

Inoltre, la filosofia era ritenuta necessaria per fornire le chiavi concettuali ad un'autocomprensione delle forme più alte delle esperienze religiose, nonché per ottenere un quadro teologico più accurato.[2] Infatti, per il cabalista estatico, senza filosofia, la Cabala non ha un significato superiore, poiché i suoi contenuti devono essere verificati ricorrendo a criteri filosofici. Per Abulafia la comprensione della Cabala era "intellettuale". A dire il vero: la filosofia può essere considerata, almeno in teoria, come una fase relativamente precoce della sua carriera, che egli abbandonò o trascese attraverso lo studio della Cabala. Tuttavia, questa è lungi dall'essere la corretta comprensione della sua evoluzione, perché molti concetti filosofici rimangono cruciali per discernere tra verità e menzogna lungo la via mistica, sia nell'ermeneutica di Abulafia che nelle sue esperienze mistiche; i suoi obiettivi principali, profezia e unione mistica, furono definiti in termini definitivamente filosofici.[3]

È plausibile che Abulafia abbia scritto anche libri di filosofia non più esistenti o identificati come suoi. Nel suo Commentario al Sefer ha-ʿEdut, scritto nel 1282, scrive che fino al 1279 "non compose un solo libro che fosse designato come profetico, nonostante il fatto che scrisse molti altri libri di ḥokhmot e un piccolo numero di questi erano libri sui segreti della Torah."[4] Non vedo una parola italiana migliore per ḥokhmot di "scienze", un argomento che nel Medioevo apparteneva alla filosofia in senso lato. Il numero di libri cabalistici scritti da Abulafia prima del 1279 è esiguo, ma va detto che un decennio dopo sostenne di aver composto anche libri di grammatica che erano "sufficienti per i grammatici da studiare".[5]

Tuttavia, la percezione di uno studioso riguardo allo sfondo filosofico di Abulafia dipende dal modo in cui si comprende il pensiero di Maimonide. In effetti, la teologia esoterica di Maimonide è oggetto di accesi dibattiti tra gli studiosi moderni, proprio come lo era tra i suoi seguaci e oppositori medievali. Dato che Abulafia adottò anche un suo proprio approccio esoterico, non è così facile capire l'estensione precisa delle sue opinioni esoteriche, che vedo fortemente dipendenti da Maimonide e dalla sua percezione dei segreti di Maimonide. Data la proliferazione di segreti nei suoi stessi scritti, in due delle sue principali fonti speculative, cioè le sue fonti filosofiche, Maimonide e ibn Ezra, e in maniera del tutto diversa nella letteratura aschenazita, è una sfida esplorare i dettagli dell'esoterismo di questo cabalista; tale è il motivo per cui in questo campo si è fatto così poco.[6] Inoltre, non c'è dubbio che Abulafia avesse altri segreti, diversi da quelli di Maimonide, soprattutto quelli relativi ai nomi divini e all'escatologia.

È in questi complessi contesti che si scrivono le pagine seguenti: il mio scopo non è solo quello di sottolineare l'impatto travolgente di Maimonide su Abulafia – un fatto riconosciuto in linea di principio dagli studiosi in molti casi,[7] anche se più retoricamente che sostanzialmente – ma di focalizzare le mie discussioni sugli aspetti esoterici coinvolti nell'appropriazione da parte di Abulafia dell'esoterismo maimonideo e delle sue affinità – fenomenologiche e forse anche storiche – con le posizioni radicali di alcuni maimonidei. Anche se ho già tentato di farlo in alcuni dei miei altri scritti, questo arduo compito è stato trascurato negli studi più recenti che si occupano del pensiero di Abulafia, che sono inclini a leggere la sua Cabala in quella che vedo come la direzione opposta; vale a dire, quanto più vicino alla Cabala teosofica, come vedremo più avanti. Se una tale lettura possa ignorare l'adesione esplicita e profonda di Abulafia al pensiero di Maimonide è una questione piuttosto centrale che necessita di uno studio separato e dettagliato, che non è stato ancora prodotto.

La mia preoccupazione principale qui è illustrare l'adesione di Abulafia ad alcuni dei principali approcci speculativi maimonidei e ad alcuni concetti trovati in fonti filosofiche simili. Tuttavia, oltre a fornire una continuazione del pensiero della Grande Aquila, come hanno fatto molti maimonidei, Abulafia radicalizza anche alcune idee, indipendentemente dal fatto che costituiscano o meno parte delle visioni esoteriche di Maimonide. Abulafia li combinava anche con elementi concettuali del tutto estranei al pensiero di Maimonide. Come vedremo, il ricorso a forme più tradizionali di speculazione legate alla lingua ebraica e ai nomi divini e alle loro permutazioni e calcoli numerici, non attenua le sue concezioni filosofiche radicali della religione, ma anzi, in alcuni casi, le rafforza attraverso la creazione di quel tipo di prove che nessun filosofo produrrebbe. Tuttavia, per affrontare le fonti e la natura del suo esoterismo, vorrei iniziare con alcune importanti informazioni biografiche che descrivono lo sfondo dell'immersione del giovane Abulafia nello studio di Maimonide e di altri scritti filosofici. Lo collocherò quindi quale parte della tradizione maimonidea come descritto sopra.

A differenza di qualsiasi altro cabalista del XIII secolo, come Moses de León o Joseph Gikatilla, i cui inizi concettuali e le ragioni del loro sviluppo sono sconosciuti o, nel migliore dei casi, molto vaghi, nel caso di Abulafia, c'è materiale incomparabilmente più biografico, che consente la costruzione di un quadro chiaro ed elaborato della sua vita e dell'evoluzione dei suoi studi. La sua produzione letteraria alquanto prolifica, per lo più condotta in condizioni avverse durante una vita di peregrinazioni, contiene una grande quantità di informazioni che considero attendibili. Consente una ricostruzione molto migliore della sua biografia e del suo pensiero; fornisce anche l'opportunità di identificare l'ampio spettro di fonti che studiò e da cui fu ispirato.

Per fare ciò, si deve intraprendere un'attenta lettura di tutti i documenti esistenti, contenenti le sue opinioni, e non fare affidamento sull'analisi di un solo esempio tra i molti altri nella sua opera, come è stato talvolta fatto nelle forme dominanti di studio su questo cabalista. Avremo l'opportunità di affrontare esempi di fraintendimenti del suo punto di vista dovuti alla dipendenza da un'unica discussione tra molte altre disponibili. Inoltre, vorrei insistere sull'importanza della consapevolezza da parte degli studiosi dei diversi registri atti a comprendere il pensiero esoterico di Abulafia come fondamentale per un quadro completo delle sue opinioni; il presente studio è uno sforzo per presentare questa valutazione.

Come con molti altri cabalisti prolifici, il pensiero di Abulafia dovrebbe essere affrontato dalla prospettiva che contiene una certa quantità di fluidità concettuale. Nel suo caso, una delle ragioni di questa fluidità è la varietà di fonti concettualmente diverse che ammette di aver studiato, come vedremo in seguito. Oltre a questo dato evidente, va considerato il fatto che si rivolgeva a pubblici diversi[8] e la varietà dei generi letterari che utilizzava nei suoi scritti: poesie, epistole, commentari e manuali di tecniche mistiche. Questa varietà non ha eguali in qualsiasi altra persona che scriva nel campo della Cabala, sia i primi cabalisti che i suoi contemporanei. Certo, Nahmanide e alcuni dei suoi seguaci scrissero anche in generi letterari diversi dalla Cabala, ma la loro attività cabalistica propria si limitava a suggerire i segreti della Torah ai pochi cabalisti che studiavano con loro.

L'assunto della fluidità concettuale non funziona facilmente con la teoria dell'esoterismo politico, poiché ciò che può essere descritto come un cambiamento diacronico o un tipo di fluidità sincronica può essere inteso, secondo l'opinione di Strauss, come un nascondimento della vera visione esoterica. Tuttavia, nonostante questo autentico conflitto metodologico, propongo di non attenermi a un solo tipo di spiegazione. Che ci siano segreti negli scritti di Abulafia è un fatto innegabile che viene esplicitamente ripetuto in numerosi casi. Non è un presupposto teorico preconcetto imposto dall'esterno. Allo stesso tempo, il suo passaggio dallo studio della filosofia a un tipo specifico di Cabala, che può essere definito un tipo diacronico di fluidità, è ben documentato dai suoi scritti, come vedremo in seguito. Ciononostante, anche nel tardo periodo cabalistico, possiamo discernere una varietà di significati attribuiti allo stesso termine, come ʿaravot, di cui parleremo in "Insegnamento e persecuzione". Pertanto, per quanto potenzialmente confuse e conflittuali possano essere queste diverse mosse, dovrebbero comunque essere prese seriamente in considerazione in modo da poter determinare quali fossero le opinioni di Abulafia, la direzione in cui si mosse il suo pensiero e se stia effettivamente nascondendo qualcosa quando afferma che c'è un segreto riguardante un argomento specifico che egli tratta.

Indubbiamente, c'è una differenza tra i libri precedenti di questo cabalista e quelli successivi. L'esistenza di più commentari sullo stesso argomento, cioè su ciascuno dei trentasei segreti della Guida, consente un confronto tra le versioni del pensiero di Abulafia. Dalla mia lettura delle versioni dei suoi commentari sui segreti, le differenze tra loro sono abbastanza evidenti, sebbene la loro struttura generale (genere letterario) e la struttura concettuale profonda siano abbastanza simili. Tuttavia, la fluidità di Abulafia non significa che possiamo vedere il suo pensiero coincidere con la gamma di fluidità di altri cabalisti, o addirittura sovrapporsi ad essa in modo significativo. La gamma di fluidità concettuale può differire notevolmente da una scuola all'altra nella loro ampiezza e contenuto, il che significa che l'approccio accademico che tratta temi disparati da solo offusca le differenze tra scuole o individui diversi quando i loro punti di vista sono visti nella loro interezza.

In termini generali, possiamo scorgere l'esistenza di poli concettuali che possono essere intesi come talvolta contraddittori negli scritti di Abulafia: un cabalista che enfatizzava l'esoterismo, che tuttavia scrisse una cinquantina di libri e diffuse la sua dottrina apertamente e oralmente "in ogni città e mercato", come scrisse in una delle sue poesie,[9] anche tra i cristiani e, senza successo, al papa; o il suo interesse per un approccio filosofico logocentrico accanto alla sua enfasi su uno palese; o come cabalista spagnolo, attingendo alle tradizioni esoteriche aschenazite pur rimanendo un fedele seguace della filosofia di Maimonide; o come qualcuno che afferma di essere un Messia senza predicare le forme tradizionali del messianismo popolare, come l'imminente ritorno della nazione ebraica in Terra d'Israele, la costruzione del Terzo Tempio, o la redenzione apocalittica.

L'approccio di Abulafia ai comandamenti differisce significativamente da una discussione all'altra, un problema che richiede una nuova analisi dettagliata dell'argomento basata su materiale abulafiano che non è stato ancora affrontato negli studi. In generale, il tentativo di Abulafia di offrire una riforma linguistica dopo la riforma mentalista di Maimonide, da lui profondamente interiorizzata, ha creato nuove complessità che hanno impedito l'articolazione sostenuta di una visione del mondo troppo stabile, e questa è una delle ragioni della sua fluidità concettuale. Tali posizioni contraddittorie, tuttavia, non vanno confuse con approcci paradossali, poiché non sono state apertamente articolate nello stesso contesto.

Tuttavia, nonostante Abulafia parlasse da una varietà di prospettive concettuali diverse, aveva una posizione privilegiata che concepiva come esoterica, mentre altri che trattavano lo stesso argomento erano concepiti come essoterici e meno importanti. Questa discrepanza può anche essere retorica, con accenti diversi in libri diversi.[10] Tuttavia, anche prendendo in considerazione lo spettro di opinioni diverse che si trovano negli scritti di Abulafia, è sorprendente vedere quanto sia piccola la sovrapposizione tra queste opinioni; o, del resto, tra il suo modello estatico[11] e quelli che sono dominanti nella Cabala teosofico-teurgica, la teologia della Gloria divina (Kavod) come si trova in varie forme nella filosofia ebraica, o Chassidei Ashkenaz, che si trova in alcuni dei libri che chiaramente aveva letto. Né il suo tipo di discorso è una questione di semplice eclettismo, dal momento che Abulafia solo raramente mise insieme citazioni da fonti diverse senza interpretarle in un modo che servisse ai suoi interessi spirituali.[12] In altre parole, il materiale da lui adottato subì profonde trasformazioni concettuali che riflettevano i suoi maggiori interessi e ignoravano i contesti ideitici del materiale adattato.

Passiamo a quello che può essere immaginato come il primo periodo formativo nello sviluppo di Abulafia dal punto di vista concettuale, come descritto in un documento che, sebbene stampato più volte, è stato scarsamente analizzato e rimane sottovalutato negli studi sul maimonideismo. Come egli testimonia, forse sia prima del 1270 che dopo, rimase impegnato nello studio e nell'insegnamento della Guida dei perplessi di Maimonide. Tradurrò dall'ebraico e analizzerò il suo resoconto del suo studio e insegnamento della Guida, documento unico nella storia intellettuale del Medioevo ebraico.

Nell'estate del 1260, sia sulla strada per trovare il leggendario fiume Sambation in Terra d'Israele, sia sulla via del ritorno, Abulafia visitò la Grecia, nell'Impero bizantino, dove sposò sua moglie. All'inizio del 1260, la portò in Italia. Lo apprendiamo da una delle sue confessioni autobiografiche più ricche e importanti, che riguarda le circostanze del suo coinvolgimento con la Guida dei perplessi. Dividerò questo passaggio in due parti, [a] e [b], e analizzerò qui in dettaglio il contenuto del paragrafo [a]. La sua continuazione [b] sarà trattata nel capitolo successivo. Abulafia scrive:

« [a] E mi diressi alle Acque di Ravenna[13] per studiare la Torah,[14] e mentre ero nella città di Capua, che dista cinque giorni da Roma, vi trovai un uomo nobile, sagace e saggio, un filosofo e medico esperto, Rabbi Hillel, benedetta sia la sua memoria,[15] e ci feci amicizia e studiai un po' di scienze filosofiche con lui, e subito mi divennero molto care[16] e mi sforzai di impararle[17] con tutta la mia forza e tutta la mia volontà, giorno e notte. E la mia mente non si arrese finché non studiai la Guida dei perplessi, diverse volte.[18] »

L'unico insegnante di materie filosofiche che conosciamo per nome è Rabbi Hillel, un medico e un pensatore maimonideo moderato, e avremo dell'altro da dire su di lui più avanti in questo studio. Il modo in cui viene descritto questo Rabbi Hillel, così come il luogo dell'incontro, puntano innegabilmente verso un'identificazione di questa figura con il rabbino Hillel ben Shmuel di Verona, un fatto accettato da tutti gli studiosi in questo campo. Sembra che il brano si riferisca a un processo iniziato con lo studio di alcuni argomenti della filosofia medievale, mentre la Guida dei perplessi di Maimonide potrebbe essere stato un argomento affrontato un po' più tardi, come suggerisce anche il passo del libro di Abulafia, Ševaʿ Netivot ha-Torah.[19]

Joseph B. Sermoneta ha fatto notare che Hillel visse a Napoli, molto vicino a Capua, almeno dal 1255 fino alla fine degli anni 1270.[20] Pertanto, Abulafia incontrò Hillel all'inizio della sua carriera, e i suoi studi con Hillel furono, presumibilmente, abbastanza formativi per il pensiero del futuro cabalista. Faccio notare, tuttavia, che il nome di Hillel non ricorre altrove negli scritti di Abulafia, anche nei casi in cui si occupa dei suoi studi di filosofia o della Guida, come vedremo in seguito. Questa assenza può sembrare sorprendente, ma non dovrebbe, a mio parere, mettere in dubbio in modo significativo l'accuratezza della testimonianza: inoltre, il suo maestro in materia di Cabala estatica, Rabbi Baruch Togarmi, il cui Commentario al Sefer Yeṣirah egli lodò molto, fu citato solo una volta in tutta l’opus di Abulafia, di nuovo in un elenco di libri che aveva studiato, sebbene la sua influenza sia abbastanza evidente in molti altri punti dei suoi scritti.[21] In ogni caso, sembra che non abbia mai più incontrato il suo maestro, e non vedo alcun dato corroborante per sostenere l'ipotesi di Hames che Abulafia sia rimasto in contatto con Rabbi Hillel dopo che il primo partì per la Spagna verso la fine degli anni 1260.[22] Ancora meno plausibile è l'altra sua ipotesi che Abulafia potesse in seguito diventare l'insegnante di Hillel in materia di Guida.[23] Non conosco alcun testo che confermi l'altra affermazione di Hames secondo cui Rabbi Zeraḥyah Ḥen attribuiva a Hillel il ricorso alla gematria.[24]

 
Frontespizio dello Sefer Yeṣirah, Mantova, 1562

Prima di passare ad altri aspetti di questo brano, è necessario esaminare alcuni dilemmi cronologici e concettuali legati alla sua apertura. Quella cronologica ha a che fare con la testimonianza dello stesso Rabbi Hillel circa il suo soggiorno di tre anni a Barcellona all'inizio degli anni 1260, dove studiò con il famoso personaggio rabbinico Rabbi Jonah Gerondi. Questa testimonianza unica si trova nella prima lettera che Rabbi Hillel inviò a Rabbi Isacco ben Mordekhai,[25] noto anche come Maestro Gaio, che era stato medico di due diversi papi a Roma dal 1288. La lettera tratta della dura reazione di Rabbi Hillel contro la propaganda anti-maimonidea del rabbino Solomon Petit, sia in generale che in Italia (Ferrara) in particolare.[26] È in questo contesto che Rabbi Hillel menziona l'incendio dei libri di Maimonide sia a Montpellier che a Parigi, sebbene quest'ultimo evento sia sconosciuto da qualsiasi altra fonte. Poiché tale evento è riportato solo in questo documento, studiosi come Yitzhak Baer,[27] Joseph B. Sermoneta,[28] e, più recentemente, Reimund Leicht,[29] hanno dubitato della sua autenticità.

Altri studiosi come Israel M. Ta-Shma[30] e Harvey Hames[31] hanno accettato indipendentemente almeno la veridicità del resoconto di Rabbi Hillel sul cambio di opinione di Rabbi Jonah Gerondi riguardo a Maimonide che è incluso nella lettera di Hillel e da nessun'altra parte, e questo approccio è stato recentemente rafforzato nello studio di Yossef Schwartz.[32] Dubitare della presenza di Rabbi Hillel a Barcellona, come fa Sermoneta, significherebbe che non ci sono problemi cronologici con il suo incontro con Abulafia a Capua alla fine del 1260 o 1261,[33] mentre accettando gli studi di Hillel a Barcellona con il rabbino Jonah Gerondi vorrebbe dire che l'incontro tra Hillel e Abulafia a Capua avvenne forse più tardi, intorno al 1263 o 1264.[34]

In ogni caso, vorrei precisare che Barcellona, descritta da un abitante dei primi del XIII secolo come "la città dei principi", fu uno dei centri più importanti della cultura ebraica del XIII secolo.[35] Fu anche il luogo di origine del rabbino Zeraḥyah Ḥen e il luogo in cui Abulafia, durante la sua visita nel 1270, dopo i suoi studi di filosofia nell'Italia meridionale, studiò la Cabala. È a Barcellona che alcuni anni dopo, la figura provenzale di Rabbi Qalonymus ben Qalonymus studierà l'arabo e inizierà il suo vasto progetto di traduzioni filosofiche, tra cui alcuni degli scritti di Averroè (uno dei quali tradusse anche in latino), progetto che proseguirà a Roma e Napoli.[36] Questa città era così famosa che inventarsi un soggiorno lì, come anche in un altro importante centro di cultura ebraica, Montpellier, potrebbe essere stato parte di una presunta forma di educazione avanzata.

C'è qui una questione che è più delicata dal nostro punto di vista; vale a dire, l'affermazione di Sermoneta sulla scarsa competenza in materia di filosofia e di Guida dei perplessi da parte di Rabbi Hillel, almeno nella prima parte del suo soggiorno nell'Italia meridionale nel periodo che è pertinente al suo incontro con Abulafia.[37] Se accettiamo l'opinione di Sermoneta che agli inizi Rabbi Hillel di Verona fosse molto più un medico che un filosofo, sebbene uno che tuttavia in seguito divenne il campione di una sorta di tomismo nell'ebraismo senza una buona conoscenza precedente della Guida, il suo importante ruolo di aver iniziato Abulafia alla Guida viene certamente sminuito, e successivamente il suo ruolo di istruttore di Abulafia diventa alquanto problematico. Tuttavia, questo approccio scettico al resoconto di Hillel riguardo ai suoi studi è stato recentemente confutato.[38]

Il modo in cui Abulafia descrive l'incontro con Hillel non crea però in realtà un grosso problema, anche se accettiamo che l'idea di Sermoneta delle sue visite all'estero sia stata inventata. In primo luogo, possiamo leggere il brano di Abulafia come riferito a Rabbi Hillel che lo ha iniziato solo in materia di filosofia, e anche allora solo in modo qualificato ("un po'"); si può anche supporre che abbia studiato la Guida con qualcun altro, anche se non sono convinto che questo sia il modo migliore per intendere il testo, come vedremo più avanti. Certo è che Abulafia cita due volte la filosofia nel contesto di Rabbi Hillel, e questi riferimenti dovrebbero essere presi molto sul serio visto che Abulafia mostrò un interesse concreto nel campo da quel momento.

Dato che le uniche prime opere di Rabbi Hillel furono traduzioni ebraiche di opere mediche latine e che i suoi libri originali furono pubblicati molto più tardi nella sua carriera,[39] forse anche poco prima della morte di Abulafia, ciò che possiamo apprendere sulle sue prime opinioni dal suo Tagmulei ha-Nefeš è piuttosto limitato. Hillel, d'altra parte, conobbe il giovane Abulafia quando quest'ultimo non era ancora cabalista e non era interessato alla Cabala, come apprendiamo da una sua osservazione;[40] quindi, Abulafia non avrebbe potuto essere influenzato dalle opinioni successive di Hillel e non avrebbe potuto trasmetterle a persone come Dante, che incontrò molto più tardi nel corso della sua vita. Dante, tuttavia, potrebbe avervi avuto accesso da altra fonte.[41]

Tuttavia, il brano succitato (paragrafo [a]) sull'inizio degli studi di Abulafia nel campo della filosofia, non è unico negli scritti di Abulafia: ci sono altre descrizioni del giovane Abulafia come ardente studente della Guida. Ci sono due passi paralleli all'apertura del paragrafo [a] che si trovano in due epistole di Abulafia. In uno di essi scrive:

« Ne ho studiato dodici commentari,[42] uno migliore degli altri, alcuni [scritti] sulla via della filosofia e altri sulla via della profezia. Questo dopo aver studiato alcuni libri di Aristotele sulle scienze naturali[43] e sulla metafisica,[44] poiché studiai solo un po' le scienze matematiche,[45] poiché non le trovai tradotte nella nostra lingua, che da sola è la Lingua Santa e le altre sono profane, non sante, e "sia Egli benedetto che distingue tra santo e profano".[46] E successivamente, studiai tantissime volte la Guida dei perplessi, finché capii come una parte di essa sia legata a un'altra parte di essa, poiché confrontai i suoi capitoli tra loro,[47] e la prova dimostrativa di ciò è la scienza della combinazione.[48] »

Anche qui apprendiamo la stessa sequenza di argomenti che furono studiati: prima gli studi filosofici più generali, poi lo studio della Guida dei perplessi e alcuni altri libri di filosofia ebraica, e solo più tardi, come sappiamo da diverse altre fonti, la Cabala linguistica relativa al Sefer Yeṣirah e ai suoi commentari. La fine della citazione va intesa nella giusta prospettiva: egli confrontò il contenuto dei vari capitoli della Guida, proprio come raccomandava Maimonide, ma poi non utilizzò la tecnica della combinazione di lettere, rimarcando la somiglianza tra i due fenomeni solo molto più tardi.

Come apprendiamo da questo passo, Abulafia non conosceva l'arabo, poiché ammette di avere solo un accesso limitato ai libri di aritmetica, geometria, musica e astronomia (noti come quadrivium) disponibili in quella lingua.[49] Abulafia studiò e in seguito insegnò anche la Guida, che era originariamente scritta in arabo, nella traduzione ebraica di ibn Tibbon. Vorrei sottolineare che i suoi studi di filosofia in ebraico non furono una scelta fatta per la santità dell'ebraico contro la natura profana di altre lingue, ma piuttosto per la sua incapacità di leggere materiale pertinente che si trovava solo in arabo.

Tuttavia, va sottolineato che possiamo facilmente discernere dai suoi libri che Abulafia conosceva bene l'astronomia, che fa parte dei limudiyyot, e anche alcune forme di magia astrale, come vedremo più avanti.[50] Particolarmente importante in questo contesto è l'impatto di Rabbi Abraham ibn Ezra, che aveva già offerto un'interpretazione astrale dell'ebraismo, come vedremo più avanti. Per quanto riguarda il suo studio delle scienze naturali, va notato che cita i Meteorologica di Aristotele,[51] che furono tradotti in ebraico all'inizio del XIII secolo da Rabbi Samuel ibn Tibbon e che furono studiati da molti maimonidei come parte della loro propensione naturalista.[52] La conoscenza di Abulafia con due dei più importanti libri di Aristotele che contribuirono a una comprensione naturalistica della religione tra i seguaci di Maimonide è, quindi, ovvia e si adatta all'essenza del suo trattamento di una varietà di argomenti; per esempio, le due tavole della Legge (argomento esaminato nella Parte IV). Queste opere furono usate anche da due suoi contemporanei, Rabbi Hillel e Rabbi Zeraḥyah Ḥen. Secondo un'altra testimonianza, Abulafia conosceva De Anima, un libro scritto da colui che egli chiama un "noto filosofo", che è molto probabilmente un riferimento ad Aristotele.[53]

In un'altra epistola intitolata "We-Zot li-Yehudah", Abulafia confessa di aver studiato argomenti rabbinici, logica, scienze naturali e matematiche e la "scienza della divinità" secondo il punto di vista dei filosofi,[54] un'osservazione piuttosto importante fatta più avanti nella sua carriera. Scrive:

« Ho studiato la Guida che si chiama Guida dei perplessi, una guida davvero, di una profondità meravigliosa, insieme ai suoi segreti, e insieme ad essa il Malmad,[55] e il libro delle Credenze di Rabbi Saʿadyah,[56] e il libro dei Doveri del Cuore dal nostro Rabbi Baḥya.[57] E tutti questi, insieme ai libri di Abraham ibn Ezra, [scritti] nella sua saggezza, mi hanno portato a perseguire i segreti delle sefirot,[58] e dei nomi, e dei percorsi dei sigilli. E tutto ciò che è stato detto mi ha portato alla pretesa di saggezza, secondo me, ma non al vanto della profezia.[59] »
 
"Hiddushei Berakhot" di Solomon ibn Adret — Copia stampata da Daniel Bomberg a Venezia nel 1523

È possibile che lo studio della Guida sia avvenuto insieme ad altri libri di filosofia ebraica, molto plausibilmente dopo lo studio di almeno alcuni libri filosofici, specialmente quelli di Aristotele e dei relativi commentari, come vedremo più avanti. Questi ultimi due passaggi riguardano esclusivamente ciò che Abulafia studiava e non ciò che insegnava, e il secondo passaggio è introdotto come parte della sua risposta all'affermazione di Rabbi Solomon ibn Adret o di alcuni altri, implicito nell'epistola di Abulafia, che non aveva studiato a sufficienza.[60]

Altrove, Abulafia cita esplicitamente Peruš Millim Zarot di Rabbi Samuel ibn Tibbon:[61] un piccolo dizionario di termini filosofici che ibn Tibbon tradusse dall'arabo all'ebraico. È plausibile che Abulafia avesse visto anche una breve composizione di questo autore che trattava la questione della divina provvidenza, dato che si riferisce alla discussione di ibn Tibbon su questo tema nel suo "trattato".[62] Abulafia conosceva anche Ruaḥ Ḥen, un breve e diffuso trattato filosofico di cui non si conosce l'autore.[63] Un manoscritto di questo testo include un'appendice che tratta delle teorie filosofiche dei nomi copiati in un frammento ancora non stampato dal Mafteaḥ ha-Raʿayon di Abulafia, che è pervenuto in modo troncato nei manoscritti sopravvissuti e nell'edizione stampata.[64]

Lo studio dei libri che trattano di logica svolse un ruolo importante nei primi anni di Abulafia e continuò a farlo, dato il numero di libri su questo argomento che possiamo trovare nei suoi scritti successivi. Inoltre, leggendo i suoi scritti, possiamo vedere la persistenza del loro contenuto riguardante la terminologia logica, anche quando non venivano menzionati i titoli dei libri sulla logica. In casi che saranno discussi altrove, Abulafia concepì la sua Cabala come una forma superiore di logica che era al di sopra della logica aristotelica in un modo che ricordava Ramon Llull; i possibili rapporti tra i due pensatori, fiorenti contemporaneamente nello stesso luogo, meritano un'analisi più approfondita. Sebbene Abulafia non elevi la logica più in alto della sua Cabala, tuttavia non nega la sua rilevanza in materia di comprensione della natura, ma definisce il suo approccio come una forma più alta di logica, ricorrendo al termine higayon, un approccio ispirato alla pratica aristotelica che egli trasferì alle combinazioni di lettere. Queste due forme di discorso ricordano la distinzione tra i discorsi filosofici e quelli talmudici che abbiamo visto nella lettera di Rabbi Zeraḥyah Ḥen discussa sopra.

Oltre all'elenco dei libri filosofici che studiò insieme alla Guida, che non ha eguali tra i cabalisti del XIII secolo, Abulafia confessa di aver studiato il libro di Maimonide insieme ai "suoi segreti" (ʿim setaraw) prima di intraprendere il percorso che lo portò alla profezia — la Cabala. Ciò dimostra, a mio avviso, che Abulafia ricevette l'elenco dei trentasei segreti presumibilmente trovati nella Guida da insegnanti che erano filosofi,[65] e non vedo alcun motivo per presumere che fossero collegati alla Cabala. Lo studio di questa lista potrebbe avere qualcosa a che fare con le "moltissime volte" che studiò la Guida. Quindi, oltre all'esoterismo di Maimonide, c'era anche un'altra dimensione nella trasmissione orale di certi segreti; vale a dire, i soggetti della lista. L'esistenza di un tale elenco di segreti non è menzionata da nessuno nel Medioevo tranne Abulafia.[66]

Tuttavia, suggerirei che sia necessaria un'ulteriore indagine – che non può essere intrapresa nell'attuale contesto – che esamini il contenuto e la struttura dei segreti sulla lista, nonché quale potrebbe essere stata la forma della lista in mano ad Abulafia e ciò che fece con questa ipotetica serie di segreti. In altre parole, la questione da porsi riguarda l'organizzazione dell'economia dei temi esoterici nell'elenco di Abulafia rispetto a quanto si può desumere dallo studio della Guida stessa o dalle interpretazioni degli studiosi. In ogni caso, tracce di segreti trasmessi oralmente sembrano essere evidenti nel suo ultimo commentario ai segreti della Guida.[67]

Per una migliore comprensione dello sfondo storico di quest'ultimo passo, torniamo ancora una volta alla prima lettera di Rabbi Hillel a Maestro Gaio, un passaggio che vale la pena tradurre. Hillel raccomanda che il suo destinatario si rivolga a lui se ha qualche dubbio relativo ad argomenti trovati nella Guida, e scrive:

« E risolverò tutte le opacità, per mezzo della buona mano di Dio che è su di me poiché — sia lodato Dio, dico questo non per vanto, ma per lodare il mio Creatore, benedetto chi mi ha concesso questo — oggi non c'è nessuno nel [popolo di] Israele che conosca tutti i segreti della Guida e le sue radici e ramificazioni più di me, specialmente la seconda e la terza parte che sono l'essenza della Guida, e tutte le sue intenzioni mi sono chiare, e ciò perché i libri che sono le sue radici e i suoi fondamenti — cioè i libri di scienze naturali e la scienza della divinità[68] — mi sono noti e [ricevetti] la loro interpretazione dalla bocca di un ottimo rabbino.[69] »

Hillel scrisse questa lettera a un noto personaggio di Roma, città dove la Guida era stata studiata intensamente da più di una persona; è troppo facile presumere che ne abbia semplicemente inventato una sua conoscenza intima.[70] Tenendo presente questo caveat, vorrei evidenziare due punti in tale brano: primo, l'affermazione che conosce il "segreto" – forse un errore invece di "segreti" – della Guida e, in secondo luogo, che ricevette un'interpretazione dalla bocca di un rabbino riguardo alle scienze naturali e alla scienza della divinità. Secondo la lettera, il rabbino, di cui non si fa il nome, gli insegnò l'interpretazione orale dei libri di filosofia, affermazione interessante, poiché Rabbi Hillel visse per diversi anni nell'Italia meridionale, molto probabilmente sia a Capua che a Napoli, essendo quest'ultimo uno dei maggiori centri di traduzione dei libri filosofici, come vedremo subito in seguito.

Tuttavia, l'impressione che Hillel vuole dare – che abbia gli indizi per comprendere eventuali oscurità che si possono incontrare nella Guida, che gli siano trasparenti e che conosca il "segreto", molto probabilmente della Guida – ricorda il passo di Abulafia sopra citato. Poiché le due epistole, la Ševaʿ Netivot ha-Torah di Abulafia e quella di Rabbi Hillel, furono scritte indipendentemente l'una dall'altra e composte in diverse parti d'Italia alla fine del 1280, vedo le loro affinità come riflettessero una qualche forma di realtà a Capua del 1260, il che significa infatti che Abulafia non solo studiò i libri di filosofia con Hillel, che descrive sia come medico che come filosofo, ma anche la Guida e, plausibilmente, alcuni segreti ad essa collegati, quale che fosse l'origine di tali segreti. In ogni caso, il tema dell'oralità nella lettera di Hillel che indicasse una forma di trasmissione e istruzione che viene presentata come superiore ai libri scritti, è importante per capire che i cabalisti non erano i soli a fare questa affermazione sui loro segreti.

Se Hillel fosse davvero il più grande esperto al mondo in materia di Guida è, tuttavia, una storia completamente diversa che non può essere verificata a causa degli scarsi riferimenti a questo libro nel suo Tagmulei ha-Nefeš. Né è riconosciuto come tale da Rabbi Zeraḥyah Ḥen, che scrive a Rabbi Hillel in una lettera: "Una persona che non vuole confondersi dovrebbe sempre seguire le cose naturali quando vuole conoscere un segreto o un argomento che il genio, benedetta sia la sua memoria,[71] non volle rivelare."[72] Il punto di Zeraḥyah qui è parallelo al punto che Rabbi Hillel ha fatto nel succitato brano trascritto dalla sua prima lettera a Maestro Gaio: gli indizi per comprendere Maimonide si trovano nei libri che si occupano delle scienze naturali. Questo punto è importante anche per l'approccio alla religione nei libri di Abulafia stesso.

Il motivo della "confusione" qui menzionato è piuttosto interessante. Dal contesto è chiaro che Rabbi Zeraḥyah Ḥen si propone di distinguere nettamente il discorso talmudico da quello filosofico e di non confonderli. Questo atteggiamento appartiene a un approccio averroista, che riflette, a mio parere, una netta distinzione tra diversi tipi di persone o pubblico, e anche negli scritti di Abramo Abulafia.

L'accusa di confusione rivolta a Rabbi Hillel è ribadita ancora da Rabbi Zeraḥyah Ḥen, in un contesto che potenzialmente contribuisce con un interessante dettaglio pertinente alla nostra discussione. In un passo in rima relativo al nome di Hillel, scrive che "la vista del Genio, il Rabbi, il maestro di giustizia, benedetta sia la sua memoria, egli cancellò, e confuse l'ordine delle sue parole, e non ricevette la sua interpretazione."[73] "Egli" qui è Rabbi Hillel. La frase ebraica פירושו לא קלב può essere tradotta in più di un modo, poiché פירוש significa o un'interpretazione data alla Guida o l'interpretazione che la Guida dà alla Scrittura. Inoltre, il verbo קבל può essere tradotto come "egli non accettò" o, come lo traduco io, "egli non ricevette". Se si accetta questa seconda interpretazione, anch'essa poco lineare, significa che Hillel fu accusato di aver travisato il significato della Guida e di non averla compresa perché non ne aveva ricevuto l'interpretazione. Pertanto, possiamo avere qui un altro esempio dell'assunto che la Guida dovrebbe essere studiata sulla base di una tradizione ricevuta. In ogni caso, questo approccio alla Guida, che presuppone che non si dovrebbero mescolare approcci religiosi e segreti, si trova, in un certo senso, anche nell'affermazione di Abulafia che non si dovrebbe addurre alcuna prova dal "senso semplice delle scritture" per "coloro che indagano sull'essenza della saggezza e coloro che cercano i segreti della Torah".[74]

Per tornare al nesso Hillel/Abulafia: se davvero si ipotizza che l'esistenza di un "segreto" della Guida fosse nelle mani di Rabbi Hillel quando si trovava nel Sud Italia e non è solo un vanto, può rafforzare l'affermazione di Abulafia, oltre a quella di Rabbi Joseph Ashkenazi, riguardo alla necessità di una tradizione orale per comprendere la Guida, come anche la tradizione un po' più tarda conosciuta da Rabbi Joseph ibn Kaspi secondo cui i segreti della Guida erano noti ai membri della famiglia di Maimonide che viveva in Oriente, alla quale ci rivolgeremo nel prossimo Capitolo.

Tuttavia, anche se Hillel non possedeva realmente alcun segreto relativo a questo libro seminale, la sua affermazione di possederli è comunque un fatto interessante che non può essere negato. Va anche detto che Rabbi Hillel afferma di aver tentato di contattare il nipote di Maimonide, il rabbino David Maimuni, in merito alla fase nascente della seconda controversia sugli scritti di Maimonide,[75] che in un certo senso ricorda il viaggio di ibn Kaspi in Oriente.

Sia ben chiaro: questo non significa che io presuma che lo stesso Maimonide abbia trasmesso oralmente i segreti del suo libro; piuttosto, presumo solo che, data l'esistenza dei rapporti indipendenti che abbiamo su di esso, una tale tradizione, per quanto spuria, circolasse tra alcuni dei maimonidei e Abulafia ne offrisse il resoconto più ampio. In ogni caso, come sappiamo, lo stesso Maimonide si rifiutò di ricorrere alla trasmissione orale per informare gli studenti del suo pensiero esoterico, e il suo elegante rifiuto di incontrare il suo traduttore, Rabbi Samuel ibn Tibbon, esemplifica questo atteggiamento riluttante.[76] Abulafia era consapevole della reticenza di Maimonide a trasmettere i segreti per via orale e, per spiegare questa riluttanza, accenna all'assenza di un profeta durante la vita di Maimonide come motivo della mancata trasmissione. Abulafia sostiene che questa situazione era cambiata con il suo stesso arrivo.[77] Ritenendosi profeta e Messia, credeva che persone non identificate gli avessero trasmesso quei segreti che potevano di conseguenza essere rivelati, come in effetti fece.

Se questa tradizione che tratta della trasmissione orale dei segreti nella Guida, forse immaginata come proveniente dalla stessa bocca di Maimonide, abbia qualcosa a che fare con il modo speciale in cui Flavio Mitridate (il siciliano della fine del XV secolo convertito al cristianesimo) tradusse i commenti di Abulafia, è una questione piuttosto interessante degna di ulteriori approfondimenti. Nelle sue traduzioni latine dei commentari ebraici sui segreti della Guida, Mitridate sostiene che Abulafia ricevette i segreti della Guida direttamente dalla bocca di Maimonide, come è stato sottolineato da Chaim Wirszubski.[78] Sebbene faccia parte dello sfondo delle nostre attuali discussioni, questa affermazione è ancora una questione da indagare e non posso affrontarla qui. Potrebbe derivare da una tradizione orale che circolava in Sicilia, dove molte delle opere di Abulafia furono scritte, studiate e successivamente tradotte. In ogni caso, c'è una certa somiglianza tra l'idea che ci sia un'altra serie di segreti, forse più alta, di quelli a cui allude nella Guida e le varie leggende su Maimonide diventato cabalista.[79]

Tale tradizione ricorda il modo in cui i cabalisti concepivano la trasmissione orale dei segreti cabalistici riguardanti il Pentateuco, specialmente nella scuola di Nahmanide, un autore ben noto sia a Rabbi Hillel che ad Abulafia, nonché più in generale a Roma negli anni 1380.[80] In ogni caso, la tradizione dei segreti nella Guida trasmessi oralmente, mostra la rapida canonizzazione di questo libro in un modo che ricorda il verso del poema di Abulafia sulle due religioni che dovrebbero essere studiate, presentato sopra.

Più interessante nel nostro contesto è il fatto che l'approccio generale di Abulafia è in effetti più vicino all'atteggiamento naturalistico di Rabbi Zeraḥyah Ḥen che alle opinioni successive di Rabbi Hillel. Possiamo quindi suggerire un'evoluzione del pensiero di Rabbi Hillel diversa da quella esposta da Sermoneta. Sermoneta vede Hillel meno interessato alla filosofia e alla Guida durante il periodo in cui soggiornò nell'Italia meridionale, rivolgendosi a qualche forma di tomismo ebraico solo dopo il 1287, quando aveva già vissuto a Forlì nell'Italia settentrionale.[81] La visione da parte di Sermoneta della carriera intellettuale di Hillel crea un problema con la sua iniziazione di Abulafia alla filosofia e alla Guida, in particolare per quanto riguarda il modo in cui il cabalista lo descrisse quale "filosofo" nei primi anni del 1260, come visto supra. Tuttavia, studi più recenti presumono che conoscesse bene la Guida molto prima, mentre si trovava a Barcellona nel 1250, e forsanche che fosse l'autore di una traduzione latina della Guida.[82]

Tuttavia è possibile ipotizzare un altro scenario: mentre si trovava a Napoli e Capua, a partire dal 1250, Rabbi Hillel era immerso in studi che si adattavano all'interesse del centro intellettuale sorto intorno alla corte di Federico II da qualche decennio prima.[83] Vale a dire, sotto l'influenza del centro di Napoli, egli fu uno studente della Guida e della filosofia più in generale, e di conseguenza avrebbe potuto iniziare Abulafia sia in filosofia che nella Guida nei primi anni del 1260. Col tempo, così presumo, Hillel prese le distanze dall'ipotetico approccio filosofico radicale e si rivolse a un approccio più moderato, forse sotto l'influenza del tomismo, critico com'era verso l'averroismo, una critica che in una certa misura informava il libro scritto da Hillel alla fine del 1280. Tommaso d'Aquino arrivò a Napoli nel 1272 e vi morì nel 1274, ma non sappiamo se Hillel vi abitasse ancora a quel tempo.

Va ricordato che tracce evidenti del pensiero di Averroè, insieme ad alcune esplicite menzioni dello stesso commentatore cordovano, si trovano in Tagmulei ha-Nefeš, nonché nella seconda lettera che inviò a Maestro Gaio alla fine della sua vita, un fatto che può rafforzare la mia proposta. Abulafia, invece, lasciò Capua non oltre il 1269; è difficile trovare tracce della terminologia che è caratteristica degli scritti di Hillel o della sintesi di Tommaso d'Aquino tra ragione e fede che formò il pensiero di Hillel anche nel suo libro molto più tardo negli scritti di Abulafia.

Questo ipotetico spostamento verso un maimonideismo molto più moderato creò le tensioni tra Abulafia e quello che Joseph B. Sermoneta chiama il gruppo ebraico averroista attivo a Roma, che include Zeraḥyah Ḥen e Immanuel di Roma, e può spiegare le differenze tra le opinioni di Abulafia e l'approccio del defunto rabbino Hillel e anche il continuo vantarsi di Hillel di possedere gli indizi su Maimonide verso la fine degli anni 1280, un'affermazione che lo schema sviluppato da Sermoneta difficilmente può spiegare. Proponendo l'ipotesi di un movimento verso un approccio aristotelico più moderato influenzato dal tomismo, dopo un approccio più radicale all'aristotelismo in gioventù, ho cercato di mostrare l'integrità della maggior parte dei documenti sopra menzionati, così come la maggior parte dei loro dettagli .

Non trovo difficoltà a spiegare l'assenza della storia di Rabbi Hillel sull'incendio degli scritti di Maimonide nelle opere di Abulafia. Se Hillel gli avesse raccontato questa storia, non è plausibile che il suo discepolo non l'avrebbe ripetuta in uno dei suoi commenti alla Guida o altrove. Inoltre, non avrebbe potuto dire ad Abulafia nel 1261 di essere tornato da Barcellona quello stesso anno. La nostra osservazione corrobora quindi lo scetticismo di Sermoneta sulla veridicità di alcuni degli elementi presenti nell'epistola di Hillel; possiamo presumere che la fabbricazione della storia sia avvenuta dopo aver incontrato Abulafia nel 1261.

D'altro canto, va precisato che Rabbi Hillel era in contatto con autori cristiani, come lui stesso riconobbe e come altri gli ricordarono, cosa che Sermoneta ha puntualmente notato.[84] Tale è anche il caso per lo stesso Abulafia, come vedremo in seguito, che è un fenomeno piuttosto raro tra i cabalisti del tredicesimo secolo. Nel caso di quest'ultimo, c'è una buona ragione per ritenere che quei pensatori cristiani fossero aristotelici, o persino averroisti.

Secondo la fine del brano di "We-Zot li-Yehudah" citato sopra, i concetti di sefirot, nomi e sigilli, che ricorrono insieme nello stesso libro, Sefer Yeṣirah, fanno parte dello sviluppo di Abulafia dopo i suoi studi nel dominio della filosofia post-1270, quando iniziò a concentrarsi sullo studio di diversi commentari sul Sefer Yeṣirah;[85] tuttavia, egli non menziona alcun libro relativo alla Cabala teosofica in questo contesto. I tre concetti sono qui intesi come innescanti esperienze rivelatrici. Ciò significa che il termine sefirot va inteso come avente un significato filosofico, o come intelletti separati o come numeri in vena pitagorica; tuttavia, generalmente, non sono concepiti quali entità teosofiche, come la maggior parte dei cabalisti le immaginava.[86] Si possono trovare interpretazioni pitagoriche e neo-aristoteliche di questo termine seminale dal Sefer Yeṣirah fianco a fianco negli scritti di Abulafia.

 
Copertina dell'edizione in ebraico del Kuzari (Varsavia, 1880)

L'interessante è che, nelle sue liste dei libri filosofici studiati, Abulafia non menziona mai un importante trattato di filosofia ebraica medievale, il Kuzari di Rabbi Judah Ha-Levi, che ebbe un impatto significativo sulla storia della Cabala teosofico-teurgica, una questione che esamineremo più avanti. Questa assenza potrebbe avere qualcosa a che fare con l'approccio acutamente particolarista di questo libro, che differisce dall'approccio di Abulafia influenzato da Maimonide. La sua trascuratezza nel menzionare il Kuzari è ancora più evidente se ricordiamo che include un commento piuttosto lungo su Sefer Yeṣirah in 4:25, poiché Abulafia amava molto sia questo libro che i commentari su di esso.

Una discussione parallela all'ultima citazione si trova in un'altra epistola che Abulafia indirizzò a un certo Rabbi Abraham, che non è da identificare con il suo allievo di Messina, Rabbi Abraham ben Shalom. Lì, il cabalista estatico confessa ancora "il poco che ho imparato dai libri dei filosofi e di quello che ho conosciuto dallo studio della Guida.[87] In questo modo, sebbene Abulafia avesse individuato la Guida dei perplessi come una fonte speciale per la sua conoscenza filosofica, tale libro è spesso citato insieme a ulteriori studi di altri libri di vari filosofi. Ciò avviene senza riferirsi ad essi in maniera critica ma, al contrario, ponendoli in netto rilievo come la sua fonte di conoscenza.[88] In entrambi i casi qui discussi, i libri – e presumo anche lo studio – di filosofia, o almeno alcuni di essi, precedettero lo studio della Guida.

Questo riconoscimento aperto, ricorrente e raramente critico di tali studi e delle numerose citazioni da fonti filosofiche, costituisce una delle principali differenze tra il tipo specifico di pensiero e di scritti cabalistici di Abulafia e quelli degli altri cabalisti sia prima che contemporanei a lui, un fatto che non solo lo colloca molto di più nel campo dei maimonidei, ma anche in quello dei maimonidei piuttosto radicali. Purtroppo non abbiamo alcun testo di Abulafia che sia stato scritto durante questo periodo filosofico formativo; ogni documento esistente appartiene al periodo successivo all'inizio dello studio della Cabala. Tuttavia, il fatto ovvio che tutte le citazioni di cui sopra derivino dai suoi libri successivi, quando era già un cabalista, rafforza di più la continuità dei suoi interessi e la sua vitale dipendenza da alcune delle tradizioni neo-aristoteliche andaluse.

Da notare che, sebbene nel contesto di quelle citazioni e in altri punti Abulafia menzioni libri che appartengono a quello che può essere descritto come esoterismo ebraico, come una versione sconosciuta del Sefer Raziʾel, per esempio,[89] non menziona libri della Cabala teosofica che furono scritti nel XIII secolo, ad eccezione di alcuni commenti al Sefer Yeṣirah – un libro che lo interessava particolarmente – e il Sefer haBahir (סֵפֶר הַבָּהִיר), che considerava come un libro antico. Era quasi esclusivamente interessato alle discussioni sui nomi divini in quel libro.[90] L'assenza di un elenco di libri cabalistici teosofico-teurgici che potrebbero costituire uno stadio specifico o un campo di studio in sé e la sua incapacità di enumerare libri appartenenti a questa Cabala altrove nei suoi scritti, dà spazio alla possibilità che conoscesse o concepisse questo tipo di Cabala come un campo di studio in sé. Tuttavia, questa assenza è piuttosto significativa per comprendere la biografia intellettuale del cabalista estatico, sebbene non sia totale, poiché cita Shaʿar ha-Gemul di Nahmanide, un trattato sull'escatologia personale e, in un altro contesto, la teoria della trasmigrazione di Nahmanide.[91] Tuttavia, questo faceva parte del suo sforzo per convincere il suo ex allievo, Rabbi Judah Salmon, che anche lui conosceva la Cabala sefirotica, anche se sono certo che non accettò questa teoria come era stata compresa da Nahmanide e dalla sua scuola.[92] Tale assenza riflette ciò che era (o non era) importante secondo lui dal punto di vista concettuale. Questa assenza è evidente anche nella distinzione tripartita di Abulafia tra masse, filosofi e i cabalisti profetici in uno dei suoi scritti successivi.[93]

Sembra plausibile che Abulafia abbia incontrato alcune forme di Cabala linguistica a Barcellona, come si trova, ad esempio, nel Commentario al Sefer Yeṣirah del suo maestro, Rabbi Baruch Togarmi. Li revisionò drammaticamente aggiungendo in maniera massiccia la visione del mondo di Maimonide, in particolare la sua teoria sulla natura della profezia,[94] mentre concepiva elementi della Cabala teosofico-teurgica come parte della dimensione mitica dell'ebraismo, che dovrebbe essere reinterpretata, come egli aveva fatto, in maniera allegorica. In breve, Abulafia effettivamente fece ciò che Maimonide richiedeva nella sua Guida e in una delle sue epistole su ciò che uno studente dovrebbe fare per prima cosa: studiare i libri di Aristotele, Al-Fārābī e Averroè come parte di una preparazione filosofica all'incontro con un libro complesso come il suo, che è un trattato esoterico ed esegetico lontano dall'esposizione sistematica delle idee del suo autore.

Desidero ora introdurre una breve dichiarazione fatta da Abulafia riguardo alla Guida: egli calcola la valenza numerica delle consonanti del titolo ebraico della Guida, מורה הנבוכים (Moreh ha-Nevukhim), e la frase מכה הנבוכים (makkeh ha-ruḥanim), ciascuno dei quali ammonta a 384. Come dice il cabalista, quest'ultima frase significa "colpisce le persone spirituali e le invita a crescere".[95] Ciò significa che il libro di Maimonide è immaginato non solo come contenente importanti informazioni teologiche, ma anche come innescasse lo sviluppo spirituale dei suoi studenti. È interessante notare che Abulafia usa lo stesso metodo di permutazione delle lettere per estrarre il significato della Guida che applica all'interpretazione della Bibbia, un fatto che mostra che ciò che è importante per lui non è la scrittura canonica, o forsanche un testo contenente certa narrativa, ma il linguaggio. Vorrei sottolineare che, sebbene la Guida costituisca ovviamente il fulcro dello studio di Abulafia sul pensiero di Maimonide, Abulafia conosceva anche le altre due maggiori opere di quest'ultimo, la traduzione ebraica del Commentario alla Mishnah[96] e il suo famoso codice legalistico Mishneh Torah.[97] Tuttavia, poiché era molto meno interessato agli aspetti legali dell'ebraismo e la sua conoscenza di tali questioni era piuttosto scarsa, fa riferimento a questi due scritti solo raramente.

Come accennato in precedenza, non è sopravvissuto alcuno scritto di Abulafia riferentesi al periodo pre-1271, e mi chiedo se abbia scritto qualcosa a che fare con la filosofia in quel periodo. Non è plausibile che abbia scritto una critica o uno studio della Cabala, sebbene sia possibile che abbia scritto libri di grammatica.[98] L'intera gamma di informazioni fornite supra deriva esclusivamente da trattati scritti in seguito. Questo è il motivo per cui è estremamente difficile ricostruire la precisa fisionomia spirituale di Abulafia come maimonideo pre-cabalista, sebbene certamente lo fosse. Tuttavia, è possibile affermare, sulla base di una sua stessa testimonianza esplicita, che in quel periodo si opponeva a quella che allora considerava Cabala.[99]

Note modifica

  Per approfondire, vedi Il Nome di Dio nell'Ebraismo, Rivelazione e Cabala e Serie maimonidea.
  1. Si veda Idel, "The Kabbalah’s ‘Window of Opportunities,’" 171–208; Idel, Studies in Ecstatic Kabbalah, 2.
  2. Si veda Idel, The Mystical Experience, 144–45; Abulafia, Geṭ ha-Šemot, 24.
  3. Per un'opinione alternativa, si veda Wolfson, Abraham Abulafia, 77–78. Sull'esistenza di più di un tipo di unione mistica nell'ebraismo, si veda Idel "Universalization and Integration: Two Conceptions of Mystical Union in Jewish Mysticism", in Mystical Union and Monotheistic Faith: An Ecumenical Dialogue, curr. Moshe Idel e Bernard McGinn (New York: Macmillan, 1989):27–58.
  4. Commentario on Sefer ha-ʿEdut, stampato in Maṣref ha-Śekhel, ed. Gross (Gerusalemme: 2001), 57:
    אב ל עד השנ ההי ה א לאיבח ר פסר שייח סה ו לשםנבוא הלכל אע" פ חשב ר פסר י חכמות אחרי םבי ר ם ומקצת ם הם פסי סתריקבלב
  5. Abraham Abulafia, "We-Zot li-Yehudah", in Ginzei Ḥokhmat ha-Qabbalah, cur. Adolph Jellinek (Leipzig: A. M. Colditz, 1853), 18:
    שחברתי בדקדוק עו ד פסרים מספיקי םלולמ י דםה , עד שיקראו בעלי דקדו קדוברינו והכליו דע םפיכ ה ו צרך
  6. Si veda Idel "On the Secrets of the Torah in Abraham Abulafia" (He), in Religion and Politics in Jewish Thought: Essays in Honor of Aviezer Ravitzky, curr. Benjamin Brown, Menachem Lorberbaum, Avinoam Rosnak e Yedidiah Z. Stern (Gerusalemme: Shazar Center, 2012):1:387–409.
  7. Si veda l'elenco di riferimenti agli studi che trattano di questo punto, in Wolfson, Abraham Abulafia, 153–54, 158–60, e Scholem, Major Trends in Jewish Mysticism, 126. Scholem fa riferimento all'ammirazione per la Grande Aquila da parte di Abulafia, affermando che l'ebbe "per tutta la vita".
  8. Si veda la testimonianza di Rabbi Nathan ben Saʿadyah Ḥarʾar sul suo maestro, che molto probabilmente era Abulafia, in Le Porte della Giustizia, 478.
  9. Si veda il poema in apertura al suo Ḥayyei ha-ʿOlam ha-Baʾ, cur. Gross, III ediz. (Gerusalemme: Nehora Press, 1999), 45:
    אדלג כאריה כבל עיר ומגרש
  10. Per esempio, Ḥayyei ha-Nefeš, il suo commentario sui segreti della Guida, presenta un approccio molto più radicale alla validità della tradizione e dei comandamenti in confronto col suo libro maggiormente conservatore, Šomer Miṣwah.
  11. Si veda Idel, Hasidism: Between Ecstasy and Magic, 53–65.
  12. I tipi di discorso di Abulafia, che combina ampi metodi linguistici di presentazione con l'allegoresi aristotelica, differiscono da quelli di tutti gli altri autori prima di lui nel XIII secolo e meritano uno studio speciale. Si veda, intanto, Moshe Idel, "Multilingual Gematrias in Abraham Abulafia and Their Significance: From the Bible to Text to Language", in Nitʿei Ilan: Studies in Hebrew and Related Fields Presented to IIan Eldar (He), curr. Moshe Bar Asher e Irit Meir (Gerusalemme: Carmel, 2014):193–223. A dire il vero, nei suoi scritti ci sono altri esempi di gematria multilingue; uno di questi si trova nel testo di Abulafia, in Ms. Parigi, BN 770, fol. 208a.
  13. מי ירביני La mia traduzione del testo da Ms. Oxford, Bodleian 1580, che è stata accettata da alcuni studiosi, differisce dalla lettura di Jellinek e da quella di tutti gli altri studiosi che lo hanno seguito. Lo interpreto riferito alle acque di Ravenna per il fatto che quella città si trova alla confluenza di due fiumi. Ciò significa che, dopo il suo viaggio in Medio Oriente, Abulafia arrivò prima nel Nord Italia e solo successivamente si trasferì a Capua. In base alla sua testimonianza qui, sembra che sia rimasto a Capua almeno per alcuni anni.
  14. Questo evento ebbe luogo quando Abulafia aveva poco più di vent'anni, intorno al 1261. Per il suo girovagare nello studiare la Torah, si veda la testimonianza di Abulafia in Sitrei Torah, Ms. Parigi, BN 774, fol. 120a, 17.
  15. Rabbi Hillel di Verona morì diversi anni dopo che Abulafia scrisse questo passaggio; presumo che l'ultima frase è un'aggiunta del successivo copista del libro di Abulafia che esiste in un manoscritto unico o che in realtà è un fraintendimento della frase י"ל che significa "che Dio lo faccia vivere per sempre" e si trova in seguito nel testo; in quest'ultimo caso, la frase venne fraintesa con: ז"ל "sia benedetta la sua memoria".
  16. Si confronti questo con la stessa immagine di dolcezza nell'opera del discepolo di Abulafia, Šaʿarei Ṣedeq; cfr. Rabbi Nathan, Le Porte della Giustizia, 465, 477–78.
  17. Il manoscritto riporta בם, che sembra essere un errore invece di בה.
  18. 3:9, Ms. Oxford, Bodleian 1580, foll. 164a–164b, cur. Gross, 368:
    ואשי םניפ לבוא עד ממ י בריני ללמו דוהרת. ואני ב י ער קפוא הרוק ברו למי מהלך חמשהימים מצתאי שםאי ש נכבדחםכ ונ בו ן ילפוסוף ורופ אוממ חהושמור ' הל ל"ז ל ואתחברה אתו, וא ל ו מד ל נ פי ו מעט מחכמ תפיהלוסופי אהומיד נמ תק ה יל מא ד ואשתד לידביע תה בכ לחי כ וב כל מאדי ואהג ה בהו י מ םליו ל , ה ול א נ תקרר ה עדת י ממחשבתי עד שלמדתי מו רה הנבוכי ם עפ י מ' רבות

    Si veda anche Joseph B. Sermoneta, "Hillel ben Samuel ben Eleazer of Verona and His Philosophy" (Hebrew University, 1961), 45–46, nota 23; Hames, Like Angels on Jacob’s Ladder, 33, 96–97; e Yossef Schwartz, "Imagined Classrooms? Revisiting Hillel of Verona’s Autobiographical Records", in Schüler und Meister, curr. Andreas Speer e Thomas Jeschke (Berlino/New York: De Gruyter, 2016):488–89. Per la continuazione immediata di questa citazione, si veda [b] nel Capitolo successivo, dove aggiungerò una bibliografia pertinente.

  19. 27 "Ševaʿ Netivot ha-Torah", in Philosophie und Kabbala, cur. Adolph Jellinek (Leipzig: Heinrich Hunger, 1854), 1:14. Il brano è tradotto da me in seguito.
  20. Sermoneta, "Hillel ben Samuel ben Eleazer of Verona", 4–6.
  21. Si veda l'appendice di Israel Weinstock alla sua edizione del Commentario a Sefer Yeṣirah di Abulafia, (Gerusalemme: Mossad ha-Rav Kook, 1984), 53–62.
  22. Si veda Hames, Like Angels on Jacob’s Ladder, 97.
  23. Cfr. Hames, 99.
  24. Hames, 34.
  25. Si veda, tuttavia, Benjamin Richler, "An Additional Letter of Rabbi Hillel ben Samuel to Isaac ha-Rofeʾ" (He), QS 62 (1988–89):450–52; Richler dubita che il nome "ben Mordekhai" sia corretto.
  26. L'epistola fu stampata in Ṭaʿam Zeqenim, cur. Eliezer Ashkenazi (Frankfurt am Main: 1854), foll. 70b–73a.
  27. Yitzhak Baer, A History of the Jews in Christian Spain (He) (Tel Aviv: Am Oved, 1960), 485, nota 60.
  28. Sermoneta, "Hillel ben Samuel ben Eleazer of Verona", 5–6, 11–16. Cfr. l'opinione più scettica di Warren Zev Harvey, in J. Sermoneta (cur.), Hillel ben Shemuel of Verona: Sefer Tagmulei ha-Nefeš (Book of the Rewards of the Soul), 1981" (He), Tarbiz 52 (1983): 535, 537.
  29. Reimund Leicht, "Miracles for the Sake of the Master of Reason: Hillel ben Samuel of Verona’s Legendary Account of the Maimonidean Controversy", Micrologus 21 (2013): 579–98.
  30. Si veda la sua raccolta di Studies in Medieval Rabbinic Literature, Volume 2: Spagna (He) (Gerusalemme: Mossad Bialik, 2004), 128–29, nota 45.
  31. Hames, Like Angels on Jacob’s Ladder, 97.
  32. Schwartz, "Imagined Classrooms?" Si veda anche il suo "Cultural Identity in Transmission: Language, Science, and the Medical Profession in Thirteenth-Century Italy", in Entangled Histories: Knowledge, Authority, and Jewish Culture in the Thirteenth Century, curr. Elisheva Baumgarten, Ruth Mazo Karras e Katelyn Mesler (Philadelphia: University of Pennsylvania Press, 2017):181–203, specialm. 190.
  33. Cfr. David Abulafia, "The Aragonese Kings of Naples and the Jews", in The Jews of Italy, Memory and Identity, curr. Bernard Dov Cooperman e Barbara Garvin (Bethesda, MD: University of Maryland Press, 2000):82–106.
  34. Si veda, tuttavia, Hames, Like Angels on Jacob’s Ladder, 33, che, non conoscendo le discussioni opposte di Sermoneta, accetta l'informazione presente nella lettere di Hillel a Maestro Gaio che egli studiò a Barcelona; pertanto pospone l'incontro con Abulafia a Capua a "dopo il 1262". Cfr. anche pagina 35, dove afferma che Abulafia studiò la Cabala negli anni 1260, accorciando quindi il periodo del suo studio della filosofia ancor di più.
  35. Per la frase "la città dei principi" e la sua importanza, si veda Bernard Septimus, "Piety and Power in 13th-Century Catalonia", in Studies in Medieval Jewish History and Literature, 1:197–230.
  36. Si veda Joseph Schatzmiller, "Iggeret ha-Hitnaṣṣelut ha-Kaṭan", Ṣefunot 10 (1966):9–52.
  37. Sermoneta, "Hillel ben Samuel ben Eleazer of Verona", 19, 46, nota 23. Da notare che non esiste un'analisi moderna delle discussioni di Rabbi Hillel sulla filosofia di Maimonide.
  38. Si veda Schwartz, "Imagined Classrooms?"
  39. Per un elenco di tali traduzioni, si veda Leicht, "Miracles", 592–93.
  40. 48 Si veda Oṣar ʿEden Ganuz, 1:5, 155:
    דעכי טר ם אשד עוםש קבלה בספר ירצי ה ג םניאהי יתיחו לק חלוק הזקח ה וקש ה על אמתתו. ול כשקי בלתי מה שי הה רוי א לקבלבו לכ ל עבל קבלה,ר" ל מ ה לשאהי הארו י לשו ם כחם ליהו תו חס ר י מעדיתו, חז רת י בת ו שב ה ו. בוח לקתי על חו ליקו כמ ו רשוי א לעשו תכלל שםל.

    Cfr. anche Idel, "Sefer Yetzirah and Its Commentaries", 477–78. Questo quadro viene corroborato anche da un altro testo, presente nella sua epistola "Ševaʿ Netivot ha-Torah", 22, che discueremo successivamente.

  41. Cfr. Umberto Eco, La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, (Bari: Laterza, 1993), 49–50, e Irène Rosier-Catach, "Sur Adam et Babel: Dante et Aboulafia", in En Mémoire de Sophie Kessler-Mesguish, curr. Jean Baumgarten, José Costa, Jean Patrick Guillaume e Judith Kogel (Parigi: Presses Sorbonne Nouvelle, 2012):115–40, specialm. 133, dove suggerisce la possibilità di mediazione da parte di Immanuel di Roma.
  42. Cioè, Sefer Yeṣirah. Sull'elenco dei dodici commentari su tale libro e il loro ruolo nella Cabala di Abulafia, cfr. Idel, "Sefer Yetzirah and Its Commentaries", 494–95.
  43. Si veda Abulafia, Sitrei Torah, 32, dove cita i libri sulle scienze naturali.
  44. Abulafia cita la Metafisica di Aristotele in Oṣar ʿEden Ganuz, 3:1, 303; 3:5, 319; 3:7, 327; e 3:8, 337. Sulle osservazioni di Abulafia sull’Organon di Aristotle, cfr. Oṣar ʿEden Ganuz, 1:3, 114; 1:10, 185–86; e 3:8, 338. A differenza dell'atteggiamento generalmente positivo di Abulafia nei confronti di Aristotele che si riscontra nella maggior parte dei casi in cui lo cita per nome, Rabbi Joseph Ashkenazi ha un approccio completamente negativo in merito a questo filosofo, e in alcuni casi anche a Maimonide, in un importante passo del suo Commentario alla Genesi Rabbah, 146–47.
  45. Questo seguito è messo in parallelo alla sua testimonianza nell'epistola "We-Zot li-Yehudah", 18:
    אנ י "ש ל כבר סדרתי למודי ול מדתי המקר א ו ד ו קדק י הפ ו על ה דיפסקיע ד שחברת י ב ד ו קדק עו ד פסרים מספיקי םלו ל מ י דםה עד שיקראו בעלי ד ו קדק בד ונרוי זה כליו דע םפי כ ה ו צרך , ול מדתי תלמו ד גמ ( רא ) ופ סק מני ש מורי ם עד השספי ק לי מנו לד עת קצ ת מהצות, ול מדתי דרשו ת ו אגדו ת ו ביי ר תו תמלו דינובינ, ול מדתי היגו ן וחכמת הטבעוק צת הלמודי םליב עמק , ה ול מדתי חכמ תאהלוהות על דר ך מהחק , ר ול מדתי מקצת חכמ תרהפואות מנפי ידיע נ תיני ע הגופים וה תחלפות םעבו בר שי ש להבומ אדוג ל בחכמ תטהב עכןו חולין, ול מדתי ה ו מר הנקהראמו רה הנבוכי םורמ ה אבמ תעובמק הופמלא הםע סתרי ו ועמ ו המלמדוס פר האמונו תרל' סעדי ה ו ספ רובחות הלבבות לרבינו ביי, ח וכ ל לאה עם ספרי אברה ם ן בזערא בחכמתו הניעונ י והביאונ י לבק שודס הספירו ת והשמו תדורכי ה ו חתמו ת.
  46. Si veda TB, Berakhot, fol. 29a.
  47. Questo è il modo in cui Maimonide raccomanda che il suo libro debba essere studiato. Si veda l'introduzione di Shlomo Pines alla Guide of the Perplexed, 1:15. Su questo passo essenziale, si veda Strauss, Persecution and the Art of Writing, 64–65, e Menachem Lorberbaum, "A Filigree of Language and Narrative: Translating Maimonides’s Guide" (He), in Religion and Politics in Jewish Thought, 1:183–84.
  48. Abraham Abulafia, "Ševaʿ Netivot ha-Torah", 14:

    ואני למדת י לעי ובי' פירו שי ן ז העומלה מז ה , קצתם על דר ךילפ וספוי ת ו קצתם דר ךבנואתי . זה הי ה חאר י [ו ל] מד י מקתצ

    ספרי אריסטו בטביעו ת ובאליהו ת . כי מן הלימודיו ת עמט למדת י פמנ י לשא מצתאי םועמ ת י קם בלשוננ ו השו אשלו ן וקד ש לבדה ו י אן זו לת הודק ש י כ א םולחוברו ך מהבדי ילן ב קד שחלול. וא חר י [ול] מד י ורמ הנבהוכים פעמי םבור תאמד עד שהבנתי מנמו אי ך נקש ר צקת ו בקצת.ו כי השבת י פריקו זה על ז , ה והמו פת על זא תכחמ תציהרףו.‎

    Si confronti questo con quello che Abulafia scrisse nel suo Sitrei Torah, 35–36, come anche Moshe Idel, "On the History of the Interdiction against the Study of Kabbalah before the Age of Forty", AJS Review 5 (1980):16.

  49. Ciò significa che non aveva accesso anche ad altre forme di letteratura nel suo ambiente; scritti che possono essere definiti contenenti filosofia mistica, come quelli di ibn Masarrah, non furono mai menzionati nei suoi scritti. Cfr. Sarah Stroumsa e Sara Sviri, "The Beginnings of Mystical Philosophy in Al-Andalus: ibn Masarra and His Epistle on Contemplation", Jerusalem Studies in Arabic and Islam 36 (2009):201–53.
  50. Si veda "We-Zot li-Yehudah", 27.
  51. Si veda Sefer ha-Melammed, cur. Gross, (Gerusalemme, 2002), 23, e Oṣar ʿEden Ganuz, 2:9, 284, 285.
  52. Sull'importanza di questo libro nel pensiero ebraico del XIII secolo, si veda Ravitzky, Maimonidean Essays, 139–56. Cfr. anche Samuel ibn Tibbon, Otot ha-Shamayim: Samuel ibn Tibbon’s Hebrew Version of Aristotle’s Meteorology, cur. Resianne Fontaine (Leiden: Brill, 1995) e Robinson, "We Drink Only from the Master’s Water".
  53. Cfr. Ḥayyei ha-Nefeš, cur. Gross (Gerusalemme: 2001), 18. Mi chiedo se Abulafia fosse a conoscenza della traduzione in ebraico di Rabbi Zeraḥyah Ḥen (Gracian). Si veda il De Anima di Aristotele. Tradotto in ebraico da Zeraḥiah ben Isaac ben Shealtiel Ḥen. Un'edizione critica, cur. e trad. Gerrit Bos (Leiden: Brill, 1994). In ogni caso, la traduzione di Zeraḥyah del trattato di Al-Fārābī sull'essenza dell'intelletto si trova in un manoscritto copiato a Roma già nel 1284; questo manoscritto contiene materiale cabalistico che Abulafia potrebbe aver portato da Barcellona. Si veda Moshe Idel, Rabbi Menahem Recanati the Kabbalist (He) (Tel Aviv: Schocken, 1998), 1:38, nota 14; 43, nota 10; 235, nota 25.
  54. Abraham Abulafia, "We-Zot li-Yehudah", in Ginzei Ḥokhmat ha-Qabbalah, cur. Adolph Jellinek (Leipzig: A. M. Colditz, 1853), 18:
    ול מדתי היגו ן ו חכמ ת טהב ע ו קצ תלהמודים בל י עמהק , ול מדתי חכמ תאהלוהות על דר ך המחקר.

    Per il contesto completo di questa citazione, cfr. supra. È interessante notare che non menziona mai lo studio della scienza della divinità secondo le fonti teosofiche cabalistiche. Per una confessione simile, si veda anche il suo Sefer Geʾulah, 36–37, libro scritto nel 1273. Secondo due fonti abulafiane, i filosofi erano stati descritti come "senza religione": beli dat. Cfr. Moshe Idel, "Abraham Abulafia: Between Magic of Names and Kabbalah of Names" (He), Maḥanayyim 14 (2003): 88, nota 42, 89, nota 51. La frase si trova anche nella traduzione ebraica di Ḥovot ha-Levavot di Rabbi Baḥya, un libro che Abulafia studiò, come vedremo più avanti.

  55. Cioè, Rabbi Jacob Anatoli, Sefer Malmad ha-Talmidim. Quei due libri sono citati insieme anche in Oṣar ʿEden Ganuz, 3:9, 356, e in Mafteaḥ ha-Ḥokhmot, cur. Gross (Gerusalemme: 2001), 89.
  56. Il rinomato Sefer ha-Emunot we-ha-Deʿot di Rabbi Saʿadyah Gaon fu tradotto in eraico da Rabbi Judah ibn Tibbon.
  57. Cioè, il libro classico di Rabbi Baḥya ibn Paqudah tradotto in ebraico da Rabbi Judah ibn Tibbon. Si veda Sara Sviri, "Spiritual Trends in Pre-Kabbalistic Judeo-Spanish Literature: The Cases of Bahya ibn Paquda and Judah Halevi", Donaire 6 (1996): 78–84. Abulafia adottò un aspetto importante del suo misticismo da questo libro: la centralità della battaglia interiore come parte della vita spirituale. Cfr. Moshe Idel, "The Battle of the Urges: Psychomachia in the Prophetic Kabbalah of Abraham Abulafia" (He), in Peace and War in Jewish Culture, cur. Avriel Bar-Levav (Gerusalemme: Shazar Center, 2006):99–143. Sebbene ci siano anche molte altre fonti per questa visione, specialmente nell'islam, questo libro sembra essere la più plausibile delle fonti di Abulafia. Questo è anche il caso della sensazione di gioia legata all'esperienza estatica come si trova nel libro di ibn Paqudah e nel sufismo. È interessante notare che le opinioni dei pensatori pre-maimonidei ibn Ezra e ibn Paqudah furono adottate quando descrivevano la più alta esperienza noetica.
  58. In base all'interpretazione pitagorica offerta da ibn Ezra, presumo che il termine sefirot debba qui essere interpretato come "numeri".
  59. Abulafia, "We-Zot li-Yehudah", 18–19, corretto secondo il Ms. New York, JTS 1887:
    ול מדתי ה ו מר הנהק ראמו רההנבוכי ם , מו רה באמתבעומ קהמופל אה עם סתרוי, ועמו המלדמ , וס פר האמונו תרל' סעדי ה וס פר חובו תלהבבו תרליבנ ו חבי. וכ ל לאה עם ספרי אברה ם ן בזער אחבכמת וניהעוני והביאוני לב קשסו ד סהי פר ות וה ש ו מ תדורכי ה ו חתמו תכול הנזכ רפיל דעתי לא ה י באני אל תפאר תנבו ההא , אב לביהאנ י א ל תההללות החכמה.

    Per una discussione del testo più lungo che include questo passaggio, cfr. "Sefer Yetzirah and Its Commentaries", 494–495. Per un elenco simile di fonti filosofiche, si veda Šomer Miṣwah di Abulafia, cur. Gross (Gerusalemme: 2001), 27, dove cita anche l'opera moralistica di Rabbi Solomon ibn Gabirol, Tiqqun Middot ha-Nefeš, oltre a Maimonide, Saʿadyah, Baḥya, ibn Ezra e Nahmanide.

  60. Si veda Abulafia, "We-Zot li-Yehudah", 18, e il noto responsum 1. nr. 548, di Rabbi Solomon ibn Adret.
  61. Citato nel suo Geṭ ha-Šemot, 7. Su questo trattato si veda James T. Robinson, "Samuel ibn Tibbon’s Perush ha-Millot ha-Zarot and al-Fārābī’s Eisagoge and Categories", Aleph 9 (2009):41–76.
  62. Cfr. il suo Ḥayyei ha-Nefeš, 143. Il testo fu stampato da Diesendruck, "Samuel and Moses ibn Tibbon on Maimonides’ Theory of Providence". La posizione dello stesso Abulafia, trascurata da Diesendruck, differisce da quella di ibn Tibbon, e presume che secondo Maimonide, la divina provvidenza non è correlata a questioni corporee, ma solo a quelle spirituali, opinione poi riscontrata in Narboni. Si veda Diesendruck, "Samuel and Moses ibn Tibbon on Maimonidess Theory of Providence", 349–51. Cfr. anche Dov Schwartz, "The Debate over the Maimonidean Theory of Providence in Thirteenth-Century Jewish Philosophy", Jewish Studies Quarterly 2 (1995):185–96. Sull'opinione di Maimonide, cfr. Leo Strauss, "The Place of the Doctrine of Providence according to Maimonides", trad. Gabriel Bartlett e Svetozar Minkov, Review of Metaphysics 57 (2004):537–49.
  63. Si veda il suo Ḥayyei ha-Nefeš, 103. Su Ruaḥ Ḥen, si veda Colette Sirat, "Le livre ‘Rouaḥ Ḥen’", Proceedings of the World Congress of Jewish Studies 3 (1977): 117–23. Sirat osserva i toni averroistici in questo libretto. In alcuni manoscritti, il testo veniva attribuito ad Anatolio, il figlio di Jacob Anatoli. Cfr. anche Ofer Elior, A Spirit of Grace Passed before My Face: Jews Reading Science, 1210–1896 (He) (Gerusalemme: Ben Zvi Institute and Hebrew University, 2016).
  64. Si veda Ms. Parigi, BN 1092, foll. 90–91b; si confronti questo brano con le ipotesi esaminate da Shalom Rosenberg, "Signification of Names in Medieval Jewish Logic" (He), Iyyun 27 (1976/77):106–25. Interessante il fatto che, in questo libro, Abulafia distingue tra il modo filosofico della dimostrazione e quello che intese come il modo religioso della dimostrazione, che mi sembra un adombramento della sua distinzione molto più chiara tra due tipi di logica che possono essere trovati in una delle sue epistole scritte molti anni dopo. Cfr. Mafteaḥ ha-Raʿayon, 24–25, e Moshe Idel, "Ramon Lull and Ecstatic Kabbalah: A Preliminary Observation", Journal of the Warburg and Courtauld Institutes 51 (1988):170–74.
  65. Si veda Idel, "Abulafia’s Secrets of the Guide", 311, che si concentra su Ḥayyei ha-Nefeš, 81–82. Qui, Abulafia parla di coloro che ricevettero la verità delle affermazioni nella Guida dai loro "maestri perfetti", diventando quindi mediatori dei segreti di Maimonide:
    וה ם לאועהיל ו עצמ םזבהונ שא רנזה קולכ ו עמם, לא עמו"ז ל ולא עם המקו בלים מאמתת מארימ ספרו האליי הם . כי הו א וה ם נפש םציהלו וד י לו ולה םזהב שווכ נת ו ו כוונ תם דבראדח . ואני התל י מד הקטן המקו בל מספר ו ע ל פי ברותי השלמים ז"ל.

    Naturalmente, Abulafia si identifica come uno di questi prescelti.

  66. In uno dei primi tentativi di catalogare i manoscritti relativi ad Abulafia, Franz Delitzsch confrontò l'elenco dei segreti trovati nel Sitrei Torah di Abulafia con il contenuto del Ms. Leipzig, Biblioteca Universitaria 39, dove esistono parti del Sefer Geʾulah di Abulafia; giunse alla conclusione che si trattava comunque di un'opera del rabbino Zeraḥyah ben Sheʾaltiel Ḥen. Cfr. il suo Literaturblatt des Orients 41 (1842):643-44. Questo è anche il caso nel suo Catalogus Librorum Manuscriptorum qui in Bibliotheca Senatoria Civitatis Lipsiensis Asservantur (Grimae: Gebhardt, 1838), 301-2, ma nelle correzioni che aggiunse al 562, lo chiama il libro di Abulafia. Infatti, in questo manoscritto, ci sono anche frammenti del commento di Zeraḥyah alla Guida; tuttavia, i due trattati sono scritti indipendenti. Si veda Chaim Wirszubski, "Liber Redemptionis. An Early Version of Rabbi Abraham Abulafia’s Kabbalistic Interpretation of the Guide of the Perplexed in the Latin translation of Flavius Mithridates", Proceedings of the Israeli Academy of Sciences and Humanities 3 (1970):139–49 e Ravitzky, "The Thought of Rabbi Zeraḥyah". Cfr. anche Jacob Friedman, "The Commentary on the Guide of the Perplexed by Rabbi Zerahya Hen" (He), in Sefer Zikkaron le-Yaʿaqov Friedman, Qoveṣ Meḥqarim, cur. Shlomo Pines (Gerusalemme: Università Ebraica, 1974):3-14. La coesistenza di frammenti dei due commentari è emblematica per questo mio studio sulle affinità tra i maimonidei e i commentari di Abulafia sui segreti della Guida.
  67. Si veda Sitrei Torah, 168–69.
  68. Si confronti anche la fine della seconda lettera a Maestro Gaio, scritta dopo il suo completamento di Tagmulei ha-Nefeš, in Ḥemdah Genuzah, cur. Zvi H. Edelmann (Königsburg: Gruber & Euphrat, 1856), 21, dove cita la sua conoscenza dei commentari di Averroè e ibn Bāǧǧah’s sulla Fisica di Aristotle. D'altra parte, Hillel critica il presupposto di Zeraḥyah che i segreti della Torah consistano, secondo Maimonide, soltanto delle dottrine aristoteliche. Cfr. Barzilay, Between Reason and Faith, 47–48. Presumo che Abulafia sarebbe d'accordo con la posizione di Zeraḥyah su questo punto, e non con Hillel. Sulla questione della relazione tra rivelazxione e filosofia, si veda anche il materiale raccolto da Esti Eisenmann nella sue edizione di Moses b. Judah: Ahava ba-Taʿanugim, Part I (Physics), Discourses 1–7 (He) (Gerusalemme: World Union of Jewish Studies, 2013), 6, nota 14.
  69. 78 Ṭaʿam Zeqenim, fol. 72a:
    ואני, כיד אלהי ה ו טב הלי,ע א י תר לך אתכו לםוא פר ש לך כל הס ו תמות כי תיהל ה לאלחי יניא או מר באמתול א כמתפרא אל א כמשבח א י תו צריתי' אש רננח י זבה שיןא היום בי שראלאי שידש ע כל סתר ה ו מר ה ושרשי ו וענפי ו יות ר ממנ י ובפרט בחלק הני ש וה שליש י שהםעי קר ה ו מרה , וכ לונכתי ו במו א י רם אצל,י וז העבו בר שהספרי ם השם שרשי ו יוסודו י תו כלורמ ספרי חכמת הטבע וח כמ תאהלהיות ידועים אל י ו פירו שם מפ י ר בובמה.
  70. Su studi recenti della conoscenza della filosofia araba da parte di Rabbi Hillel, e specialmente della Guida, si veda Schwartz, "Imagined Classrooms?", 483–502, e lo studio di Caterina Rigo "Between Al-Ḥarizi and Dux Neutrorum: Dux Neutrorum and the Jewish Tradition on the Guide of the Perplexed" (He).
  71. Cioè, Maimonide nella sua Guida.
  72. Oṣar Neḥmad, cur. Isaac Blumberg (Vienna: Israel Knopfmacher und Sohne, 1857), 2:125:
    ומ י אשינו רו צה לב לבלעצ מוהיי ה נמש ךמי ת ד חאר הדברים הטביעי םשכירצ הדלע תודסאו עינן של אצרה הגאו ןצז"ל לגלותו
  73. Oṣar Neḥmad, 2:126. Le parole che rimano con Hillel sono i verbi bilbel ("confondere"), biṭṭel ("obliterare"), e qibbel ("ricevere"). Per la polemica tra Zeraḥyah e Hillel, si veda Ravitzky, "The Thought of Rabbi Zeraḥyah", 269–92, e Yossef Schwartz, "Imagined Classrooms?"
  74. Ḥayyei ha-Nefeš, 48:
    שיןא מביאים ראיה לחוקרי א י מת תחהכמהול מחפש י סתר יורת העינימן פשטי כהותב.
  75. Si veda la seconda lettera a Maestro Gaio, pubblicata da Edelmann, Ḥemdah Genuzah, 20–21.
  76. Si vedano Alexander Marx, "Texts by and about Maimonides", JQR 25 (1935): 378–80; Isaiah Sonne, "Maimonides’s Letter to Samuel b. Tibbon according to an Unknown Text in the Archives of the Jewish Community of Verona" (He), Tarbiz 10 (1939):135–54, 309–32. Ulteriormente su questa lettera, cfr. Steven Harvey, "Did Maimonides’ Letter to Samuel ibn Tibbon Determine Which Philosophers Would Be Studied by Later Jewish Thinkers?" JQR 83 (1992):51–70, e recentemente, Doron Forte, "Back to the Sources: Alternative Versions of Maimonides’s Letter to Samuel ibn Tibbon and Their Neglected Significance", Jewish Studies Quarterly 23 (2016):47–90.
  77. Si veda Ḥayyei ha-ʿOlam ha-Baʾ, 122.
  78. Cfr. Wirszubski, "Liber Redemptionis".
  79. Si veda Gershom G. Scholem, "Maimonïde dans l’oeuvre des Kabbalistes", Cahiers juifs 3 (1935):103–12.
  80. Si veda Idel, Rabbi Menahem Recanati the Kabbalist, 1:39, 40, 48, e Idel, Kabbalah in Italy, 98–99.
  81. Sermoneta, "Hillel ben Samuel ben Eleazar of Verona and His Philosophy", 21–31.
  82. Si veda Rigo, "Between Al-Ḥarizi and Dux Neutrorum."
  83. Si veda David Abulafia, Frederick II: A Medieval Emperor (Londra: Pimlico, 1988), 255–89.
  84. Sermoneta, "Hillel ben Samuel ben Eleazer of Verona", 26–31.
  85. Si veda Idel, "Sefer Yetzirah and Its Commentaries", 57-71, 484–85, 490–91. Ciò non significa che egli fosse interessato specialmente negli aspetti teosofici di questi commentari, che presubilmente trovò a Barcelona quale parte di un circolo di cabalisti che si concentrava sullo Sefer Yeṣirah.
  86. Cfr. Idel, "On the Meanings of the Term ‘Kabbalah’: Between the Prophetic Kabbalah and the Kabbalah of Sefirot in the 13th Century" (He), Peʿamim 93 (2002): 49–51, e Ben, 317–18.Cfr. anche l'importante discussione in Oṣar ʿEden Ganuz, 1:1, 21.
  87. "Ševaʿ Netivot ha-Torah", 21. Per il contesto di questo brano, cfr. Idel, "Maimonides and Kabbalah", 57.
  88. Non capisco perché Wolfson, Abraham Abulafia, 170-71 e nota 207, affermi che Abulafia fosse critico nei confronti dell'approccio filosofico di Maimonide al nome divino. Menziona che la sua opinione è contraddetta da un'altra affermazione di Abulafia a cui fa riferimento.Si veda anche il suo "Kenotic Overflow and Temporal Transcendence", 140, nota 21.
  89. Si veda "Ševaʿ Netivot ha-Torah", 21.
  90. Si veda la prefazione di Moshe Idel a The Book Bahir: An Edition Based on the Earliest Manuscripts (He), cur. Daniel Abrams (Los Angeles: Cherub Press, 1994), 4–6.
  91. Si veda "We-Zot li-Yehudah", 27.
  92. Si veda Idel, "Commentaries on the Secret of ʿIbbur in 13th-Century Kabbalah". Si confronti comunque l'uso da parte di Abulafia del termine ʿIbbur, in Ogren, Renaissance and Rebirth, 149–54.
  93. Šomer Miṣwah, 11. Cfr. anche la simile distinzione di Rabbi Isaac di Acri, senza citare la Cabala profetica, ma solo i cabalisti, come discusso da Idel, "Maimonides and Kabbalah", 74.
  94. Il materiale appartenente alla Cabala linguistica che presumibilmente precedette Abulafia, può essere trovato nei manoscritti e non è stato preso in considerazione quando si descrive lo sviluppo della Cabala di Abulafia. Si veda, int. al., Idel, "Incantations, Lists, and ‘Gates of Sermons’ in the Circle of Rabbi Nehemiah ben Solomon the Prophet, and Their Influences" (He), Tarbiz 77 (2008):499–507.
  95. Oṣar ʿEden Ganuz, 1:3, 133:
    שהתבאר בספר הנ כבדהנ קר אורמ הנהבוכים אש רניאקו רא שמ ו מכה הרוחני ם , מנפי שו מסיף רו ח כחמ הכלל בע ל דמע ומ כהאותו ואומרלו גלד.

    Abulafia capitalizza su un'affermazione rabbinica presente in Genesi Rabbah, 10:6, che tratta di una forma di teroria platonica che ogni essere ha un'entità nell'alto che gli viene assegnata e lo esorta: "Cresci!"

  96. Si veda Mafteaḥ ha-Tokhaḥot, cur. Gross (Gerusalemme: 2001), 78.
  97. Si veda Geṭ ha-Šemot, 33; Sitrei Torah, 11, 61; Šomer Miṣwah, 27; Mafteaḥ ha-Tokhaḥot, 78.
  98. Si veda "We-Zot li-Yehudah", 18; Oṣar ʿEden Ganuz6:7, 330–31.
  99. Si veda "Ševaʿ Netivot ha-Torah", 22.