Abulafia e i segreti della Torah/Persecuzione e segreti 1

Indice del libro
"E poi ci sarà il vero tempo della Torah. Quando? Quando il Messia di YHWH regnerà sull'intera Merkavah, [in modo da] cambiare le nature secondo la volontà di Dio."
Abramo Abulafia, MS Firenze, Laurenziana 48, fol. 89a

PERSECUZIONE E SEGRETI

modifica

Abulafia: L'arte della scrittura/Insegnamento e persecuzione

modifica

Come è noto, nonostante il loro status formale come parte dell'élite primaria nelle rispettive religioni, sia Maimonide che Averroè furono aspramente criticati nel corso della loro vita a causa delle loro opinioni filosofiche sebbene fossero maestri di scrittura esoterica. Averroè fu perseguitato persino verso la fine della sua vita. Erano molto cauti nel formulare i loro scritti perché non volevano agitare la popolazione o provocare antagonismo e perché occupavano alte posizioni nelle rispettive corti. Le critiche loro rivolte hanno molto a che fare con l'introduzione di una netta dicotomia all'interno del loro discorso religioso tra il senso semplice e i segreti nascosti delle sacre scritture. I segreti nascosti erano di natura filosofica, ma a volte erano concepiti come accennati nei testi interpretati. Questa dicotomia corrisponde a un'altra dicotomia sul piano antropologico tra le masse e l'élite.[1]

Queste dicotomie antropologiche corrispondono ai due tipi di discorsi o narrazioni: uno religioso, mitico, nazionale e storico (cioè la dimensione essoterica dei loro scritti) e l'altro neo-aristotelico, astratto e individualistico (esoterico). In un certo senso, i due livelli di discussione si contraddicono, anche se questo punto è stato raramente messo in rilievo dai due filosofi come parte della responsabilità religiosa di cui godevano come figure legaliste. Sia Maimonide che Averroè, infatti, facevano riferimento al ruolo svolto da una terza categoria, i Rabbini e i Mutakallimūn, che ritenevano stessero diffondendo tra la moltitudine visioni teologiche errate, opinione poi adottata da Abulafia, che criticava alcuni rabbini , come vedremo nel capitolo successivo. Le posizioni sociali e intellettuali di Maimonide e Averroè produssero approcci simili; inoltre, il pensiero successivo di Maimonide fu influenzato da alcuni scritti di Averroè.[2]

Abulafia, invece, non occupava una posizione formale nella società ebraica: non faceva parte dell'élite primaria, non faceva il rabbino di una comunità, non diventava una figura legalista. Come lui stesso confessa, la sua formazione rabbinica era relativamente scarsa, per cui può essere visto come appartenente a quella che chiamerei l'élite secondaria.[3] Come si è visto sopra, egli era uno studioso piuttosto itinerante che non soggiornò nella stessa città per lunghi periodi, ad eccezione di pochi anni consecutivi a Messina in Sicilia, da dove visitò anche Palermo e probabilmente il isola di Comino.

Tuttavia, la visione dell'uomo prospettata da Abulafia seguiva Aristotele, poiché concepiva l'uomo come un essere sociale per natura.[4] Questa dipendenza dalla società aumentò il bisogno di Abulafia di ricorrere a un linguaggio cauto e all'esoterismo. Tuttavia, nonostante questa dipendenza, il suo atteggiamento sia verso la moltitudine, inclusi gli ebrei, sia verso i rabbini contemporanei, è piuttosto sprezzante — molto più di quello che si può trovare nell'atteggiamento verso il vulgus in Platone, Averroè o Maimonide, come vedremo nel prossimo capitolo.[5] In ogni caso, molto più problematico è il suo atteggiamento maggiormente aperto nei confronti della rivelazione e della Legge, che ricorda in un certo modo quello degli averroisti radicali latini. Il suo atteggiamento nei confronti del testo sacro e del suo messaggio esoterico è ancor più problematico, soprattutto in considerazione del presupposto che si considerava un profeta che riceveva messaggi dall'alto e credeva che il tempo della redenzione fosse vicino: cioè, credeva di essere un Messia.

Una caratteristica della vita successiva di Abulafia, diversa da ciò che sappiamo di tutti gli altri cabalisti del XIII secolo, è che non era solo una figura itinerante: fu anche perseguitato e infine bandito. Ad esempio, fu arrestato nella città di Trani (o Terni) intorno al 1279 a causa di denunce da parte di ebrei e riuscì a fuggire, come sostiene, per miracolo.[6] In seguito fu probabilmente espulso nella piccola isola di Comino, vicino a Malta.[7] Verso la seconda metà degli anni 1280, entrò in una feroce polemica con Rabbi Solomon ibn Adret che culminò con un bando contro di lui emesso da questa figura legalista, un divieto che fu efficace nella penisola iberica fino all'espulsione degli ebrei dalla Spagna.[8] Possiamo ben presumere che quegli eventi fossero collegati non solo al contenuto specifico dei suoi scritti e insegnamenti, ma anche al suo vantarsi di essere sia un profeta che un Messia. Questo potrebbe essere anche il motivo dei problemi verificatisi a Capua nel 1279 e della sua breve prigionia da parte dei frati minoriti a Roma dopo il tentativo fallito di incontrare il papa nella cittadina dove la sua famiglia aveva un palazzo verso la fine del 1280. Tale palazzo, detto Castro Firmano, esiste ancora oggi: si trova a nord di Roma, a Soriano nel Cimino.

 
Soriano nel Cimino: Vista del borgo antico col Castello

Tuttavia, ancor prima di questi eventi, se la mia datazione di un certo brano dei suoi scritti è corretta,[9] si sentiva perseguitato per motivi differenti:

« Ecco, il bene si discerne [per mezzo del] male e il male si discerne con il bene, e tutto questo è interpretato nello Sefer Yetzirah.[10] Su questo argomento, il potere della mia paura fu vinto, e io soggiogai la mia volontà e mandai la mia mano ad [affrontare][11] ciò che è un po' più in là delle mie capacità; visto che lo feci, la mia generazione mi chiama eretico ed epicureo[12] perché ho adorato Dio nella verità e non secondo la fantasia della nazione[13] che cammina nelle tenebre, poiché loro e quelli come loro erano immersi nell'abisso [e] si rallegrarono, e si rallegrarono [anche] di farmi immergere nelle loro vanità e anche nelle tenebre delle loro opere.[14] »

Questa prima testimonianza delle forti critiche che il cabalista estatico presumibilmente incontrò, forse in Catalogna, dovrebbe essere esaminata in qualsiasi seria considerazione del suo pensiero, prima che venga offerto un quadro armonico di Abulafia come parte dell'approccio più generale della Cabala nel suo insieme. Nessun altro cabalista testimonia così chiaramente di essere stato accusato di eresia, e tale accusa è fondata, a mio parere, sull'affinità di Abulafia con Maimonide.

Inoltre, nello stesso libro, Abulafia sostiene che se Maimonide avesse spiegato i comandamenti secondo la spiritualità filosofica, anche lui sarebbe ora considerato dagli ebrei "eretico ed epicureo".[15] Così, almeno secondo questo primo testo, la sua preoccupazione non era per ciò che avrebbero detto i cristiani o altre persone religiose, ma per ciò che gli ebrei pensavano dei suoi insegnamenti. Da questo punto di vista, l'approccio di Abulafia alla natura del culto è sovversivo quanto il suo approccio alla lingua ebraica e, come vedremo, il suo approccio allo status della Torah. La critica della visione genetica della nazione, come anche la perfezione della lingua ebraica, della Torah, dei comandamenti e del Tempio, per quanto esoterica, fa parte del naturalismo maimonideo di Abulafia.[16]

Tuttavia, ciò che mi sembra importante è l'affermazione che Abulafia fa nello stesso contesto: se Maimonide avesse interpretato i comandamenti secondo i vari metodi della Cabala profetica, coloro che lo condannarono come eretico avrebbero certamente avuto ragione.[17] Questo è davvero un acuto riconoscimento della natura trasgressiva delle stesse interpretazioni dei comandamenti di Abulafia, almeno come si aspettava che sarebbero state comprese da alcuni altri ebrei tradizionali, un argomento che merita un'elaborazione più dettagliata che purtroppo non può essere offerta in questo quadro.

La testimonianza esplicita di Abulafia d'essere stato accusato di eresia, si adatta anche a un'altra testimonianza un po' più velata che si trova in un libro scritto nel 1282 a Messina: il suo Commentario al Sefer ha-Meliṣ. In questo testo, Abulafia descrive la seguente situazione:

« Oggigiorno, a causa del nostro lungo esilio in cui ci troviamo [...], questo nome[18] è stato nascosto ai saggi che sono membri della nostra nazione, a fortiori dalla loro moltitudine,[19] affinché chiunque cerchi la conoscenza di questo nome o altri santi nomi simili ad esso, diventi eretico ed epicureo per i saggi di questa generazione.[20] »

È difficile, a mio avviso, non cogliere l'identità precisa di colui che in quella generazione cercava di conoscere i vari nomi divini e di conseguenza fu chiamato eretico ed epicureo: a mio avviso, fu lo stesso Abulafia, che considerò la rivelazione dell'ignoto nome divino HWY come culmine delle sue conquiste rivelatrici. Mi chiedo se una specie di skandalon due anni prima a Capua non fosse lo sfondo per tale diagnosi.

Questa consapevolezza del pericolo di essere considerati eretici si trova anche in Sefer Or ha-Śekhel, un libro il cui contenuto sarà oggetto di molte delle nostre discussioni successive. In un passaggio che potrebbe riflettere una qualche forma di esperienza autobiografica, scrive:

« Quando qualcuno desidera rivelare la vera fede a un illuminato,[21] egli [il maestro] comprenderà se la sua mente [di quest'ultimo] lo sopporta o no. E questo è il segno: se in essa si rallegra e teme di udire il suo segreto[22] e non rompe i suoi steccati,[23] che gli sono come le chiavi della serratura, per mezzo della quale impedisce alle bestie malefiche di entrare nel giardino, dovete capire subito che egli ha ricevuto la fede intellettuale e che è una persona saggia, che comprende da sé[24] [...]. Ma se gli riveli un segreto ed egli ne è preoccupato e stupito e pensa che per questo tutta la sua fede sarà rimossa,[25] e [crede che] tu sei uno sciocco o un eretico e un epicureo, non nutrirlo con la pozione della vita, per non ucciderlo.[26] »

Queste accuse di eresia si trovano in diversi scritti di Abulafia e potrebbero essere state una delle principali cause delle sue persecuzioni. Il modo in cui concepiva queste persecuzioni è piuttosto rivelatore: secondo lui, esse dimostravano che era davvero un profeta perché sofferenza e persecuzioni erano anche il destino dei profeti biblici.[27] Abulafia accompagnò questo atteggiamento profetico "protestante" presente nell'ebraismo antico con un atteggiamento filosofico nel voler riformare l'ebraismo attraverso una serie di interpretazioni mentalistiche che accompagnavano la sua autopercezione come Messia. L'avvertimento di Abulafia sul potenziale pericolo letale derivante dalla rivelazione dei segreti è veramente straordinario rispetto all'intera storia dell'esoterismo ebraico, e mostra che la persecuzione è da intendersi non solo come conseguenza della scrittura, ma anche come conseguenza della divulgazione di segreti a persone che non sono un pubblico appropriato. Se accettiamo le affermazioni di persecuzione di Abulafia, allora la sua testimonianza è eccezionale perché nessun altro cabalista del XIII secolo ha dato una testimonianza simile.[28]

La forte tensione tra il senso semplice e quello esoterico della Bibbia ebraica, al punto che in alcuni casi quest'ultimo è concepito come contraddittorio o decostruttivo, è, secondo alcuni punti di vista di Abulafia, alquanto evidente.[29] In un testo, Abulafia scrive: "Sono segreti della Torah che sono veritieri per i saggi, ma invece secondo gli stolti contraddicono la Torah".[30] Questo è un esoterismo cauto: impedisce ai non qualificati di raggiungere argomenti che non possono comprendere e consente ai destinatari qualificati di apprenderli. Nella superficie del testo, questo esoterismo non sembra una questione misteriosa che viene velata da una nube di inconsapevolezza per impedirne la trasmissione. Piuttosto, lavora con il problema fondamentale della natura inferiore delle menti di alcuni dei possibili lettori, che tuttavia hanno bisogno di istruzioni. Sottolineo che non è in gioco l'ineffabilità del divino, ma la debolezza della costituzione umana.

Questo è anche il succo di una discussione che sono molto propenso ad attribuire ad Abulafia, che si trova anonimamente in un manoscritto che contiene altro materiale abulafiano. Dopo aver proposto alcuni calcoli che mirano a dimostrare che il concetto di ex nihilo può essere dedotto dai valori numerici delle lettere del Tetragramma, il cabalista scrive:

« Ecco, io ti ho già annunziato questo grande, prodigioso, segreto nascosto,[31] che conviene celarlo a chi non ne è degno, e che si preoccupa di conoscerlo per ragioni diverse dalla gloria di Dio, benedetto Egli sia , ed è opportuno rivelarlo e parlarne al mondo intero per santificarlo, onorarlo per la gloria di Dio, benedetto Egli sia, ed è per questo che l'ho scritto in un modo leggermente confuso, intenzionalmente, e per la volontà che il possessore degli occhi dell'intelletto lo guarderà e il possessore degli occhi dello stolto[32] non lo contemplerà.[33] »

L'osservazione sul modo volutamente distorto di scrivere il segreto è, da un punto di vista straussiano, fondamentale, soprattutto perché trasmette esplicitamente la consapevolezza da parte di Abulafia della necessità di mantenere il segreto dal vulgus. Se si deve credere che questo testo rifletta una pratica reale, allora negli scritti di Abulafia ci sono formulazioni che sono volutamente confuse, una pratica che contraddice quanto ha scritto altrove sul suo rifiuto di prendere in considerazione i pericoli insiti nel rivelare un segreto importante.[34]

Presumo che Abulafia abbia scritto questo passaggio anonimo molto presto nella sua carriera e che la posizione più audace l'abbia formulata in seguito. In ogni caso, è da notare l'esistenza di posizioni diverse, anche contraddittorie, nei suoi scritti riguardo alla politica dell'esoterismo. A mio avviso, questa differenza era il risultato di uno sviluppo più generale del suo pensiero, forse parte di esperienze personali di persecuzione, uno sviluppo che esaminerò più dettagliatamente alla fine dell'Appendice D.

Tuttavia, in un'altra affermazione anonima e piuttosto provocatoria che si trova in un breve trattato per il quale propongo anche la paternità abulafiana, leggiamo: "La maledizione del [senso] semplice è la benedizione di quello occulto, e la maledizione del [significato ] occulto è la benedizione del [senso] semplice".[35] Per il momento, questa è la formulazione più estrema di antagonismo nei confronti del senso semplice che si trova negli scritti di Abulafia e, per quanto ne so, nella letteratura ebraica in generale.[36] È in questo contesto generale che Abulafia usa un gioco di parole sul nome di un filosofo che direbbe che i "sensi semplici [pešaṭim] si dice [siano [destinati] agli stolti [ṭippšim]".[37] Nella grafia ebraica, le due parole tra parentesi sono composte dalle stesse consonanti, sebbene permutate in un ordine diverso. Questo non è solo un ripudio del senso semplice dato in modo più gentile o velato da altri maimonidei, ma un rifiuto a tutti gli effetti della sua rilevanza intellettuale.[38]

Questo approccio sembra essere la fonte del Sefer Toledot Adam, un successivo trattato anonimo scritto probabilmente sotto l'influenza degli scritti di Abulafia in Italia nei primi decenni del XV secolo:

« Tutti i discorsi e gli scambi [dell'ordine delle] lettere sono convenzionali, [derivanti] dall'immaginazione, ma l'intelletto e la profezia non hanno bisogno di per sé della parola e del linguaggio delle lingue per la loro comprensione, come ha bisogno l'immaginazione. E l'argomentazione dei saggi è una parabola e un enigma e un breve discorso, sebbene [tuttavia possieda] molti significati, ma la profezia non ha bisogno di un breve discorso. Ciononostante, dato che il saggio non può spiegare alle masse la speculazione della sua saggezza, poiché non capiscono il suo linguaggio speciale e non si sono riuniti con lui [...], questo è il motivo per cui puoi vedere i saggi ridere sempre nei loro cuore degli stolti quando parlano la loro lingua, che hanno imparato dalla loro prima giovinezza.[39] »

Forse nel brano dell'anonimo autore abbiamo una radicalizzazione del pensiero di Abulafia che potrebbe essere stata influenzata anche dalle fonti averroiste di sua conoscenza, come i libri del rabbino maimonideo Moses Narboni.[40] Si tratta comunque di un approccio elitario che presuppone una barriera alta, forse insormontabile, tra l'élite e le masse. Chiamo questo tipo di approccio ai vari sensi del testo biblico "disgiuntivo", il che significa che opera con l'imperativo di impedire al volgo di apprendere le interpretazioni esoteriche della Bibbia.[41] Ancora una volta, un cambiamento piuttosto drammatico rispetto alle prime fonti cabalistiche e agli approcci aschenaziti che Abulafia conosceva. Sebbene si occupassero dei segreti della Torah, questi altri approcci erano tuttavia molto più "congiuntivi".

Con Abulafia, invece, la tensione tra le diverse interpretazioni e differenti lettori è abbastanza evidente, come vedremo subito in seguito. In uno dei passaggi più densi che tratta delle tre forme rabbiniche di esoterismo, scrive:

« All'inizio della formazione [dell'uomo], erano compresi tre tipi di peccati: l'idolatria, l'incesto e lo spargimento di sangue [omicidio].[42] E anche nel caso della circoncisione, questi tre [si trovano],[43] poiché da questo, c'è l'inizio della creazione della specie e la sua eterna persistenza. E sta così per cambiare ciò che è stato creato secondo l'ultima intenzione divina, e questa è la prima intenzione naturale. L'intenzione naturale, che è il resoconto della creazione, è di preservare sempre la specie umana e di preservare i suoi individui per un periodo di tempo mediante il rapporto sessuale, mentre l'intenzione divina, che è il resoconto del carro, è di preservare sempre gli individui distinti[44] mediante la rivelazione di segreti,[45] che sono come la rivelazione degli organi sessuali agli occhi della moltitudine delle specie,[46] e di cose che sono perniciose da dire e proibite da ascoltare, come le cose sull'incesto, nonostante siano i principi e gli altri siano trascurabili. E questo è il motivo per cui incombe alla moltitudine appartenente alla specie di credere alle scritture secondo il loro senso semplice, e [successivamente] non dovrebbe essere loro rivelato alcun segreto, poiché per loro è vergognoso, ed incombe agli individui [dell'elite] di credere all'inverso, cioè di rivelare a se stessi la vergogna del senso semplice e nasconderlo dagli altri e prendere il senso segreto come farina fine e lasciare il senso semplice come rifiuto, poiché è detto: "Le acque rubate sono dolci, il pane mangiato di nascosto è delizioso";[47] vale a dire, i segreti della Torah, che sono segreti che vengono trasmessi in un sussurro[48] e destinati all'intelletto attraverso abbondanza di pensiero, e vengono rubati e celati alla moltitudine, e tutti sono nascosti, attestando i due impulsi,[49] e secondo il senso semplice sono uno dei comandamenti, che sono [necessari] per la perfezione del corpo e la perfezione dell'anima,[50] che sono necessari o utili.[51] Ecco, il senso semplice è la chiave[52] per l'apertura delle porte del celato,[53] ed ecco, fa parte della categoria del celato per genere ma non per specie, poiché la perfezione del corpo è una preparazione alla perfezione dell'anima, e la perfezione dell'anima è un preparazione alla felicità ultima,[54] che è lo scopo dell'intenzione divina ultima, che [consiste] nella comprensione[55] di Dio.[56] »

Abulafia usa un gioco di parole di base: l'incesto, ʿarayyot, in alcuni testi rabbinici è anche citato come gillui ʿarayyot, che letteralmente significa lo scoprire i genitali e, per estensione, lo scoprire rapporti sessuali di natura proibita.[57] In ebraico, scoprire significa anche divulgare, il che significa che la rivelazione dei segreti dell'incesto può essere considerata dal vulgus come vergognosa. Quindi, lo stesso atto può essere considerato sublime dall'élite e vergognoso dalla moltitudine.[58]

Per formularlo diversamente: ciò che è buono per la specie — cioè la sua continuità genetica che è raggiungibile solo attraverso i rapporti sessuali (che è concepito come l'intenzione del resoconto della creazione, o l'intenzione naturale) — è considerato in questo contesto come inferiore al racconto del carro (che riguarda gli individui speciali saggi o illustri la cui continuità dipende dall'attività intellettuale) che è descritto come adempimento dell'ultima intenzione divina.[59] Pertanto, la segretezza non è una questione di ineffabilità, ma della necessità di fornire ad un pubblico diversificato una varietà di informazioni diverse che siano appropriate alle loro differenti capacità di comprensione.

 
"Visione di Ezechiele e il Carro", dipinto di Raffaello (c.1518)

Un atteggiamento così rigoroso nei confronti delle altre persone si trova in uno dei commentari di Abulafia ai suoi libri profetici:

« Incombe su ogni [persona] illuminata che desidera profetizzare di considerare nei suoi occhi e nel suo cuore ogni individuo degli "uomini della terra",[60] gli stolti, come se fossero scimmie e tutte le loro azioni fossero come le azioni dei pappagalli e i loro pensieri come i pensieri degli šenhavim,[61] e queste sono specie di bestie ed è appropriato benedire su di loro "benedetto Colui Che cambia gli esseri",[62] e tutti e tre [di loro] sono tipi di scimmie e tutti i loro atti sono fantasiosi[63] e la persona che si trova con loro è come qualcuno che è solo in una foresta sapendo che non c'è nessuno come lui e che il suo corpo è messo in pericolo da quelle bestie malvagie che si trovano nella foresta tutto il tempo. Ma non hanno potere sulla sua anima, poiché è l'anima intellettiva che rimane dopo la vita[64] di questo mondo. Ma poiché si trova in mezzo a loro ed è della loro specie come uno di loro, e dato che il suo intelletto trascendeva la loro specie, fu [tuttavia] separato da loro e divenne un'altra specie, divina dopo essere stata umana.[65] »

Ciò che è ovvio qui è la netta distinzione tra l'élite e le masse secondo Maimonide, le sue fonti filosofiche e forse il suo maestro, Rabbi Hillel di Verona.[66] Abulafia qui non accenna nemmeno all'altra distinzione tra ebrei e gentili. Non riesco a immaginare un'antropologia più elitaria di questa, che abbia avuto un notevole impatto sulla comprensione di Abulafia della religione e dell'esoterismo nel loro complesso. Tuttavia, vorrei sottolineare che questo non è un testo eccezionale, poiché il suo contenuto si riverbera anche nei suoi scritti successivi.

Abulafia raccomanda di "essere separati dai popoli della terra"; "tutte le persone dovrebbero essere ai suoi occhi come bestie, animali e uccelli"; l'assunto che solo coloro che sono simili alle figure dell'élite possiedano "ṣelem e demut, che sono i maestri della Torah e i custodi dei comandamenti in verità."[67] Sulla scia di una lettura straussiana, propongo di essere sensibili al potenziale accenno che si trova nella forma avverbiale be-emet, "in verità", poiché può riflettere una distinzione tra l'esecuzione dei comandamenti da un lato, e lo studio delle lettere per mezzo delle quali i comandamenti sono formulati dall'altro, essendo questi ultimi considerati superiori alle loro prestazioni. Inoltre, presumo che l'immagine (ṣelem) sia parallela alla Torah, mentre demut corrisponde al custode dei comandamenti, questione sulla quale torneremo più avanti con qualche dettaglio.

Una domanda che dovrebbe essere affrontata nel contesto di questo brano è se tale trasformazione dell'umano nel divino, che è una forma di apoteosi o addirittura theosis, riguardi solo la facoltà intellettuale o se riguardi anche l'immaginazione umana. Poiché non ho trovato il presupposto che Dio possieda una qualche forma di immaginazione, trasformazione, secondo me, significa liberarsi di questa facoltà.

Apprendiamo da un altro passo dello stesso commentario ai segreti della Guida che l'antropologia e la presunta struttura dei testi canonici sono intrecciate:

« Il versetto [biblico] tiene insieme due argomenti, e sostiene anche il senso semplice, quando le sue prime parole sono riunite con le ultime parole, più che il nascosto; quando l'argomento nascosto è compreso dall'intelletto perfetto,[68] [cioè] un argomento dimostrativo e cabalistico-religioso, non dovremmo preoccuparci delle connessioni tra le parole in senso semplice. Quelle [connessioni] sono venute solo per approfondire [oltremodo] la segretezza[69] che ne emerge e per coprire il [senso] nascosto dalla moltitudine dei saggi del senso semplice[70] [...] le [cose] nascoste sono argomenti divini e il senso semplice [le cose] sono argomenti umani.[71] »

Il senso semplice copre quello celato dando l'impressione che lo scopo del versetto biblico sia una narrazione che può essere compresa anche dal vulgus. Da un certo punto di vista, questo senso dissimula solo la verità nascosta, almeno dandole una qualche forma di camuffamento. In altre parole, più si comprende il senso semplice, il che significa che più gli elementi mitici sono evidenti, meno trasmette o indica la presenza e il vero significato dei segreti. Quindi, alletta il lettore a credere in questo senso semplice.

Così come egli considera il senso semplice quale scarto rispetto al senso segreto, che descrive come farina pregiata, qui il senso semplice non gioca un ruolo significativo nella religiosità dell'élite ebraica come la intendeva Abulafia. Questo lo possiamo imparare da una delle pagine conclusive del suo Oṣar ʿEden Ganuz:

« Ma nel caso in cui li attribuissimo a Lui, benedetto Egli sia, mentre li attribuiamo a noi, mentiremmo[72] per quanto riguarda entrambi noi,[73] poiché non c'è nulla nel nostro pensiero e nelle nostre parole, ma sono tutte immaginazioni e parabole a cui abbiamo fatto ricorso poiché generano timore e soggezione nel cuore della moltitudine, che non discerne che sono il limite massimo della bassezza.[74] »
 
Ruota yetziratica con lettere ebraiche
 
La "Ruota della Creazione" illustrata nel Sefer Yetzirah; essa contiene una sequenza numerica di 3-7-12[75] nascosta nelle lettere dell'alfabeto ebraico
 
Testo dello Sefer Yetzirah completo in formato PDF, sfogliabile su Commons

Questa è una delle affermazioni pedagogico-politiche più distinte fatte nell'ebraismo prima di Spinoza. Abulafia mostra quello che definirei un approccio disgiuntivo che crea una forte tensione tra i due sensi della sacra scrittura, espressa in termini alquanto forti. Questa affermazione è senza dubbio parte della ragione delle persecuzioni che subì.

L'antropologia piuttosto deterministica di Abulafia fa parte di questo atteggiamento disgiuntivo. In effetti, era pronto a correre dei rischi, anche quando egli era consapevole del prezzo alto che avrebbe potuto pagare per le sue opinioni. Ad esempio, in Oṣar ʿEden Ganuz, il suo più lungo Commentario al Sefer Yetzirah, descrive la sua rivelazione del segreto delle ventidue lettere fondamentali e della combinazione di lettere come se fossero sconosciute ai gentili e dimenticate dagli ebrei nelle ultime generazioni:

« Ho un forte bisogno e necessità [generata da] il moto del desiderio di scrivere qui la verità della cosa senza timore di punizione, e di annunciare questo immenso segreto in un modo che sia interamente spiegato e interpretato, affinché tu[76] e quelli come te non saranno privati della conoscenza di questo meraviglioso segreto, che è la posta in gioco da cui tutto dipende. Lo faccio nonostante sapessi cosa sarebbe accaduto a me e al mio libro a causa della sua divulgazione [e] a causa di ciò, non mi tratterrò dal dire quello che ci è stato insegnato dal cielo[77] e ciò che abbiamo ricevuto dai migliori profeti e dei saggi, benedetta sia la loro memoria, che l'hanno ricevuta da Dio bocca a bocca.[78] »

Qual è il segreto a cui si accenna riguardo alle lettere e alla loro combinazione? E perché Abulafia immagina di essere perseguitato a causa della rivelazione di questo segreto? Spero di poter rispondere a queste domande più avanti in questo mio studio, quando mi occuperò del concetto di linguaggio proposto da Abulafia. Ora, vorrei solo notare che questo brano contiene un secondo riconoscimento esplicito che sta infrangendo l'incantesimo della segretezza nonostante la sua consapevolezza dei pericoli di farlo. Un terzo esempio è più noto negli studi e ha a che fare con le conversazioni che Abulafia ebbe con un cristiano che gli era così affezionato da essere pronto ad accettare i "segreti della Torah" dal cabalista estatico.[79] Abulafia accenna che glieli diede.

La natura dei segreti della Torah non è stata discussa dagli studiosi, ma ciò può essere dedotto dal contesto immediato: Yedyʿat ha-Šem, la gnosi del nome divino.[80] Ciò significa che Abulafia era pronto ad iniziare un cristiano alla più alta forma di conoscenza ebraica segreta, secondo la sua visione della segretezza. Per questo aggiunse subito "non c'è più bisogno di rivelare la questione del Gentile". Capì bene che il suo comportamento era lungi dall'essere accettabile per molti ebrei, dato l'esplicito detto rabbinico che era proibito insegnare la Torah a un gentile, tanto meno i suoi segreti.[81] Se c'è davvero di più in questa faccenda che egli non abbia rivelato, rimane una domanda a cui non è possibile rispondere date le scarse informazioni che abbiamo.

Abulafia afferma di essere l'erede di un'antica tradizione segreta che è stata dimenticata, affermazione comune di altri esoteristi del Medioevo, in particolare Maimonide, nonché filosofi e cabalisti ebrei. Allo stesso tempo, però, afferma di ricevere messaggi dall'alto riguardanti questioni non esegetiche. Quindi, l'esegesi non è l'unico canale per raggiungere i segreti; c'è una strada alternativa aperta alla pneumatica e a segreti sia preesistenti che nuovi. L'esoterismo, quindi, non è solo una questione di preservare antichi segreti, o un tipo chiuso di conoscenza. Può trasformarsi in un sapere aperto, concepito per essere rivelato e poi inseribile nei testi interpretati attraverso quella che oggi si chiama ermeneutica (eisegesi).

L'esoterismo politico dei filosofi neo-aristotelici è la fonte più importante dei segreti che costituiscono la profonda struttura concettuale di Abulafia. Tuttavia, va sottolineato che Abulafia fu esposto anche ad altre forme di esoterismo già riscontrate nelle fonti ebraiche di cui era a conoscenza, come la letteratura aschenazita, alcune delle quali si possono definire esoteriche; tali, ad esempio, sono gli scritti della cerchia della famiglia Kalonymos, dove predomina un tipo di segreti scritturali, e similmente l'esoterismo astrologico di Rabbi Abraham ibn Ezra. Inoltre, egli aveva familiarità con l'esoterismo dei cabalisti teosofico-teurgici, che si occupavano principalmente dei poteri intradivini, delle affinità tra loro e dell'esecuzione dei comandamenti, nonché delle varie comprensioni esoteriche della trasmigrazione delle anime.[82] Abulafia conosceva anche la cosiddetta letteratura Heikhalot, così come parte della letteratura magica ebraica, sebbene la loro influenza sia meno evidente.[83] Anche un altro tipo di tradizione esoterica, quella neopitagorica, era nota ad Abulafia, anche se in maniera piuttosto frammentaria. Un importante esempio di ciò sarà presentato nell'Appendice C.

Tuttavia, rivelare semplicemente le fonti precise che conosceva o che erano influenti sulle sue opinioni non è sufficiente per ottenere una migliore comprensione di Abulafia. Piuttosto, è importante determinare il tipo di esoterismo che informò il pensiero di Abulafia e che prevalse sugli altri. Secondo me, l'esoterismo politico che si occupava di concezioni naturalistiche e mentali costituiva la fonte più importante per l'esoterismo di Abulafia, e tutti gli altri sono presentati per facilitare l'occultamento o la divulgazione dei suoi segreti.

C'erano infatti molteplici fonti, ma ciò che è concettualmente tipico è l'instaurazione del punto centrale di una certa struttura profonda – se tale centro può essere rilevato – e la natura del materiale che rimase alla periferia del suo pensiero. Inoltre, c'è anche la questione di quali fossero le scelte disponibili tra le sue fonti e quali di esse abbiano modellato il suo atteggiamento nei confronti di tali fonti. Questa è una questione di ricorrenza statistica della terminologia. In questo caso, la ricorrenza della nomenclatura neo-aristotelica è di primaria importanza, ma le statistiche da sole non bastano certo, anche se possono indicare l'essenza del tessuto del suo pensiero. Fu attratto dal neo-aristotelismo di Maimonide più di qualsiasi cabalista nel tredicesimo secolo, un fatto che lo distingue nettamente da loro, incluso il suo discepolo Gikatilla, che cambiò il suo approccio cabalistico più tardi nella sua vita.

Inoltre, i numerosi riferimenti all'esistenza del livello esoterico della Torah non riguardavano il contenuto specifico di tali questioni esoteriche. In effetti, costituiscono più una retorica dell'esoterismo che una rivelazione o un'indicazione di questioni esoteriche. Per comprendere il modo in cui operava Abulafia, secondo Wolfson, si dovrebbe presumere che si tratti del "segreto che non può essere mantenuto".[84] Data la possibilità che anche la retorica di un cabalista sia un fatto significativo, la questione è se egli avesse dei segreti che non rivelava, ma che piuttosto teneva per sé. Nella Sezione successiva affronterò questo problema fornendo una risposta positiva. Se la mia risposta positiva è corretta, almeno in alcuni casi importanti (e c'era uno strato di segreti che era nascosto), potrebbe fornire un'immagine del pensiero di Abulafia che differisce dai molti resoconti accademici che abbiamo su di lui. Sembra che il cabalista estatico fosse un pensatore esoterico, e per giunta piuttosto efficace. I suoi segreti non sono stati decifrati da molti studiosi che scrivono su di lui da oltre un secolo e mezzo, come vedremo qui appresso.

  Per approfondire, vedi Il Nome di Dio nell'Ebraismo, Rivelazione e Cabala e Serie maimonidea.
  1. Si veda Klein-Braslavy, King Solomon and Philosophical Esotericism e Halbertal, Concealment and Revelation, 49.
  2. Si veda Warren Zev Harvey, "Averroes and Maimonides on the Duty of Philosophical Contemplation (Iʿtibār)" (He), Tarbiz 58 (1989):75–83. Cfr. anche David Gonzalo Maeso, "Averroes (1126–1198) y Maimonides (1135–1204), dos glorias de Córdoba", Miscelánea de Estudios Árabes y Hebraicos 16–17, nr. 2 (1967/68):139–64; Ralph Lerner, "Le philosophe comme législateur: Maïmonide et Averroès", Critique 728–729 (2008):8–27; Steven Harvey, "Arabic into Hebrew: The Hebrew Translation Movement and the Influence of Averroes upon Medieval Jewish Thought", in The Cambridge Companion to Medieval Jewish Philosophy, curr. Daniel H. Frank e Oliver Leaman (Cambridge: Cambridge University Press, 2003):250–80; e Daniel J. Lasker, "Averroistic Trends in Jewish–Christian Polemics in the Late Middle Ages", Speculum 55 (1980):294–304.
  3. Per la distinzione tra le élite primarie e secondarie nella Cabala e il riverbero di questa distinzione sulla natura delle loro rispettive forme cabalistiche, si veda Idel, "The Kabbalah’s ‘Window of Opportunities.’" Per la Cabala estatica, cfr. Idel, "Maimonides’s Guide of the Perplexed and the Kabbalah", 216–18.
  4. Mafteaḥ ha-Ḥokhmot, 60:
    כי האדם מדיני ב טב ע לוא יחיה אד םבלד ו כי אםמי םעמי טם וב מקרה שיזדמן לו מוזנ ו הטבעי ההכרחי לצור יךיו.ח

    Cfr. anche il suo Mafteaḥ ha-Šemot, 86–87: לפי הכרח כלבקו ץנואשי ("In conformità con la necessità di qualsiasi collettivo umano").

  5. Si veda Erwin I. J. Rosenthal, "The Place of Politics in the Philosophy of ibn Rushd", BOAS 15, nr. 2 (1953):246–78.
  6. Commentario a Sefer ha-ʿEdut, stampato in Maṣref ha-Śekhel, 57:
    וב לכתו עב ר רדך טנריאונ תפ י שדב יויג םפנמ י מל ישנ ות שהל ישנ וה ו יהודי םנוע שהלו נס ועזר ו הש ו םנ יצל

    Questa stampa segue il Ms. Roma, Angelica 38, che riporta "Trani", mentre nel Ms. Munich, 285, che è un codice successivo, è scritto טנרי. Si veda la decodifica di Sermoneta del nome della città come "Terni", una città dell'Umbria nell'Italia centrale che faceva parte dello Stato Pontificio, in "Hillel ben Samuel ben Eleazer of Verona", 53, nota 51, che probabilmente segue il manoscritto dell'Angelica. È difficile determinare l'ubicazione del luogo in cui fu imprigionato Abulafia poiché in entrambi i centri esistevano comunità ebraiche in epoca medievale.

  7. Si veda Sefer ha-Ot, 79.
  8. Cfr. Idel, "The Rashba and Abraham Abulafia: The History of a Neglected Kabbalistic Polemic" (He), in ʿAṭara le-Haim: Studies in Talmudic and Rabbinic Literature in Honor of Professor Haim Zalman Dimitrovsky, cur. Daniel Boyarin (Gerusalemme: Magnes Press, 2000):235–51.
  9. Cfr. Idel, "Abraham Abulafia’s Works and Doctrine", 10.
  10. Cfr. 6:5. Si veda anche Shlomo Pines, "Truth and Falsehood versus Good and Evil: A Study of Jewish and General Philosophy in Connection with the Guide of the Perplexed, I,2", in Studies in Maimonides, 124–25, nota 88.
  11. Questo è un idioma ebraico che significa "io osai".
  12. Questo è un termine rabbinico a significare "eresia". Per l'uso antonomastico di questo termine nella letteratura rabbinica, si veda Ephraim E. Urbach, The Sages: Their Concepts and Beliefs, trad. (EN) Israel Abrahams, II ediz. riv. (Gerusalemme: Magnes Press, 1979), 1:29, 354, 652. Per una veduta più generale di filosofi come eretici nel Medioevo ebraico, cfr. Hannah Kasher, "‘The Philosophers Never Believed in Anything’ (Rabbi Isaac Arama): Notes on the Accusation That Philosophers are Heretics in Medieval Jewish Philosophers" (He), in Jewish Thought and Jewish Belief, cur. Daniel J. Lasker (Beer-Sheva: Ben-Gurion University Press, 2012):57–70.
  13. Sebbene il termine ha-ʿam possa essere tradotto anche come "popolino/popolazione", com'è nella Guida dei perplessi di Maimonide, 3:54, Pines, 638, secondo Isaia 9:1, io qui preferisco usare la parola "nazione" . Non c'è motivo di dubitare che qui egli si riferisca agli ebrei che perseguitarono Abulafia.
  14. Ms. Jerusalem, NUL, 80 1303, fol. 73a, pubblicato con svariati errori nell'edizione di Cohen dello Sefer Geʾulah, 5–6:
    והנה ה ו טב מבחי ן א תרה, ע וה רע מבחי ן א תטבו ה, וכ ל ז הפומ רש בספר יציר . ה על זה נצ חת י כ ח חפדתי וה כר חת י צרוני וה שלחתי ידי במ ההו ש א למעלהמיכו לת י מעט בראותי דורי קו ר י אם אותי מי ן וא י פקורוס בעבו רייהתי עו בד אלהי ם באתמ ול אפי כ דיו מ ן העם ה ו הלכי ם בחשך ובעבו ריוהתם הםודומיה ם נשקעי ם בת ו הם הי ו שמ י חם כאשרהי ו שמ י חם כשהי ו יכולןי לה שיקעני גם אנ י בהבלי הםוב מחשך מעשי הם

    Si veda anche Scholem, Major Trends in Jewish Mysticism, 129–30, 380, nota 40, e Idel, "Sefer Yetzirah and Its Commentaries", 530.

  15. Sefer Geʾulah, 14–15. Questo testo dovrebbe essere paragonato alla discussione molto più tarda (sebbene ugualmente importante) trovata in Imrei Šefer, 20-21, dove afferma che Maimonide scrisse solo il senso "semplice" dei comandamenti, mentre i significati segreti dei comandamenti sono interpretati come riferentisi a Ḥokhmah e Binah ("amore" e "comprensione") e Limmud ("studio"). Vorrei sottolineare che Maimonide e Averroè influenzarono la comprensione di Abulafia sull'emergere dell'ideale di unione mistica senza un antinomismo accompagnatorio, come nel caso del misticismo estremo in alcuni circoli cristiani dell'Europa centrale noto come "Libero Spirito". Cfr. Robert E. Lerner, The Heresy of the Free Spirit in the Later Middle Ages (Notre Dame: Notre Dame University Press, 1972), 61–68.
  16. Inutile dire che le fonti della propensione alle spiegazioni naturalistiche si trovano nella filosofia greca ed è stata mediata da testi musulmani. Cfr. per esempio, Majid Fakhry, A History of Islamic Philosophy (New York: Columbia University Press, 1970), 112–24.
  17. Sefer Geʾulah, 14–15.
  18. Cioè il Nome divino.
  19. La forma plurale מהמוניהם non è così chiara.
  20. Sefer ha-Meliṣ, stampato in Maṣref ha-Śekhel, 36:

    ואמנ ם אנחנויוה םפנ מ ייוהתנ ו גבלות הארו ךזה שנו א בו [...] נע לם זה הש ם מחכמי נאש י עמנ ו כ לכןש מהמוני הם עד

    שש יבו ה םצלא חכמי דונרו ז , ה כל המבק ו שםשידיע ה שבםכז ה ו אזובלת ו מן הש ו מת הקדו שי םדוהמי ם לומכין ואפיקורסו‎

    Cfr. anche Gan Naʿul, 40, e Scholem, Major Trends in Jewish Mysticism, 383, nota 92, dove riconosce di essere stato accusato di credere nella pre-eternità del mondo, come Aristotele. Cfr. Oṣar ʿEden Ganuz, 2:1, 212, e Sitrei Torah, 91–92. Si veda anche Joseph Dan, Kabbalists in Spain in the Thirteenth Century (He), vol. 9, History of Jewish Mysticism and Esotericism (Gerusalemme: Shazar Center, 2013), 409, che afferma che Abulafia credeva nella pre-eternità, ragion per cui la lingua non aveva partecipato alla creazione del mondo.

  21. Che è ancora un aspirante.
  22. Cioè il segreto della vera fede.
  23. Questo è un tema per mantenere una certa struttura sociale che ricorre in tutto il libro.
  24. Questa è una frase che si trova nella letteratura rabbinica, che descrive la parte adatta a trattare argomenti esoterici. Cfr. Mishnah Ḥagigah, 2:1.
  25. Si confronti la descrizione di Rabbi Nathan, allievo di Abulafia, a cui era dedicato Or ha-Śekhel. La sua fede era incline a essere scossa dallo studio della filosofia. Cfr. Le Porte della Giustizia, 477.
  26. Or ha-Śekhel, 10:
    וע ל כן כשיגל הדאם האמונה האמי תית למשיכל י י שג דעתו אםסו בל אם לא. וז ה לךאתו ה , אם יש מח בהול איבי הל ב ו שמעו סו דהול אפיו רץ גדרי ה , אש ר הם להמכפת ו חת למנעו , ל שבשניה ם ישומר הג ןלימכנוס בו חיות רעות. תין ב מי דזהש המקב ל אהומנ ה מהשכל תואה החכם ומבי ן דמעתו[… ] ואמנ ם אםגלת ה לוודס אח דיבו הלוי שתמם עילו וי ח שבושסר מע לויכל א מנו ת,ו ושאתה סכל ב עיניו או מןי וא פיקורסו ,אל תא כי ל הוסם חי ם ן פ מתי ת ו ה

    Si veda anche l'ammonimento di non esser sorpresi o attoniti per il contenuto del suo libro, Or ha-Śekhel, 69. Lo si confronti con il ricorso di Abulafia alla possibilità di essere accusato di minut, eresia, nel suo primo trattato Mafteaḥ ha-Raʿayon, 25. Sull'accusa di eresia ed epicurismo contro una persona che studia la filosofia greca, si veda il suo Sitrei Torah, 35. Sul pericolo letale legato alla divulgazione di segreti alle masse, si veda Amir-Moessi, The Divine Guide in Early Shi‘ism, 129.

  27. Si veda Sefer Geʾulah, 5.
  28. Dovremmo distinguere tra critiche di idee, presenti in molti scritti riguardanti la Cabala o la filosofia, e vere e proprie persecuzioni personali che, per quanto ne sappiamo a riguardo della scena medievale, erano piuttosto rare nell'ebraismo.
  29. Cfr. Idel, "On the Secrets of the Torah in Abraham Abulafia", 403–9, e anche Wolfson, Abraham Abulafia, 175.
  30. Ḥayyei ha-Nefeš, 13. Cfr. anche Or ha-S´ Śekhel, 9. Per l'uso della parola "stolto" nella Guida eechi successivi, si veda Harvey, Falaquera’s “Epistle of the Debate”, 15–16, nota 5, e Schwartz, "Magic, Philosophy and Kabbalah", 104. Si veda anche la netta distinzione tra le due estremità: la moltitudine si occupa esclusivamente del senso semplice, mentre l'individuo speciale si occupa solo del senso nascosto, come descritto in Or ha-Śekhel, 39-40. Questo è il contesto dell'affermazione di Abulafia in Sitrei Torah, 118, discussa da Wolfson, Language, Eros, Being, 27, 423, nota 257, e in Abraham Abulafia, 81-88. In quest'ultimo testo, interpreta la dichiarazione diversamente, in un modo che si adatta alla visione molto differente dei segreti di Rabbi Moses Cordovero del XVI secolo, come quella che prima era stata definita una questione essenziale. Per Abulafia è una questione antropologica e cognitiva. Cfr. anche Appendice E.
  31. Si veda il ricorso di Abulafia alla stessa frase nel suo Sitrei Torah, 186. Fece solo ricorso a una serie di aggettivi che qualificano il segreto come straordinario in poco più di una dozzina di casi, che è una quantità piuttosto piccola rispetto alle migliaia di occorrenze dei termini sod o seter senza tali qualificazioni. Questo è uno dei motivi per cui identifico il passaggio anonimo come scritto da Abulafia.
  32. Il gioco di parole sull'ebraico שכל/סכל si trova in molti dei testi di Abulafia. Ad esempio, vedi Sitrei Torah, 14. Riporto qui appresso un passaggio anonimo trovato in un manoscritto che afferma che il senso semplice è destinato agli sciocchi:
    דע שי שחלכמי ם בדרים נע למים רזמי ם במדר י שם ובהגדו תתחומי ם ואםנגלי הםל י ענ י הסכלי ם בדבירם ב י טלים ליודעי ם ןח ול מיבנ ים שלכםי

    "Dovresti sapere che ciò che i saggi hanno sono cose nascoste e accenni nei Midrashim, e sigillati nelle leggende, e se nel loro senso semplice [sembrano] banali agli occhi degli sciocchi, per coloro che conoscono la saggezza nascosta e coloro che comprendono, [loro] sono intellettuali". Vedi Ms. London, British Library 1087, Or. Add. 27173, fol. 64a. La formulazione alla fine è un po' ambigua. Lo stile ricorda abbastanza Abulafia e la sua paternità richiede un'ulteriore analisi. Si confronti questo punto di vista con l'affermazione di Levi ben Abraham in Liwyat Ḥen: The Quality of Prophecy and the Secrets of the Torah, cur. Kreisel, 212:

    כי ההכר חביה א הלסתי ר צקת דברי ם ו לתקן לה ם שמל כד י לב בכשל הנבוני םלועור עי ן הכ י סלים לאיבינ ום

    ""Poiché era necessario nascondere alcune cose e preparare per loro una parabola, onde stimolare l'intelletto dei saggi, ma per accecare gli occhi dei ciechi, [in modo che] non li capissero".

  33. Ms. Jerusalem, NUL 80 1303, foll. 50b–51a:

    הנ ה בכרהו דעתי ךסהו דגהדול ה ו מפ לאומכו סההז ה רהוי א להס י תר ו מי שינ א ו ראו י לו והו א מתסעק בידי עתו לדב ר אחר

    זו לת כבוד הש םתי'וג םואה רוי א לפרסמו ול ספרו בכ ל אהר ץדיכ לק דשו ו כבדו לכבוד הש םתי' והו א כשתביו ת גם אינמו בל בל מע טכובנה וב רוצן כד י יששתכלו בו בע לינע י השכ ל ו כד י לשאיביט ולי א ו בעל י יעני ה סלכ‎
  34. Cfr. Oṣar ʿEden Ganuz, 1:2, 51.
  35. Si veda Ms. Oxford, Bodleian 2047, fol. 69a, e Idel, Kabbalah: New Perspectives, 207–8, 377–78, nota 25. Nel contesto di questo passo, è chiaro che nigleh e nistar stanno anche per la seconda e la terza persona, ma ciò avviene nel contesto di un'interpretazione dei nomi degli antenati biblici secondo i metodi di combinazione delle loro lettere. Cfr. anche Idel, Absorbing Perfections, 346–347. Per un'altra citazione da questo testo, vedere più avanti. Per la visione che il senso segreto è l'essenza e il senso semplice è irrilevante [ṭafel], che attribuisce a Maimonide, si veda Ḥayyei ha-Nefeš, 12:
    הנעיין ה ו מב ן מן נהס תרעי קרונ שא ר "א כולזתו טפ לנגכדו והנה הורנ ו כייןא תכלי תכווהנ ה אהחרו נה בעבו רמו הבן מפשוטי הכתו ב אשר הםנגלי ו ברב המקומתו , אב ל כתלית הוו כ נה האחורנ ה ו ב בע ו בר ה ו מב ן מפרו י שו אש ר הם נסתריו

    "Ciò che si comprende dal senso nascosto è essenziale, e ciò che rimane in aggiunta ad esso è irrilevante rispetto ad esso. Ed ecco, ci è stato insegnato che l'intenzione ultima non è ciò che si comprende dal senso semplice della Scrittura, che è quello rivelato nella maggior parte dei punti, ma l'intenzione ultima è ciò che si comprende dalle interpretazioni che sono i suoi sensi nascosti." Si tratta indubbiamente di una radicalizzazione del pensiero di Maimonide e costituisce un atteggiamento opposto a quello di Spinoza.

  36. Cfr. il testo latino del XII sec. di Alan de Lille, discusso in Marie-Dominique Chenu, Nature, Man, and Society in the Twelve Century, curr. e trad. Jerome Taylor & Lester K. Little (Chicago: Chicago University Press, 1968), 99–100.
  37. Mafteaḥ ha-Ḥokhmot, 44:
    וזה השיפלוסוף יעין בפשיטם ויכיר השם דברים נאמרים לטפשםי
    Si veda anche il suo precedente Mafteaḥ ha-Raʿayon, 69:
    הנסתר המכסילי םוהא אשרגנלה לחכמים

    Faccio notare che non c'è nulla di paradossale qui, o in simili affermazioni fatte da Abulafia, poiché il segreto è concepito come qualcosa che trascende la comprensione di un certo livello della popolazione, mentre è compreso da un altro livello. Il suo esoterismo ha quindi lo scopo di garantire che gli ignoranti non siano danneggiati dal testo da un lato e che l'élite non venga danneggiata dalla moltitudine dall'altro.

  38. Si veda Marc Saperstein, Decoding the Rabbis: A Thirteenth-Century Commentary on the Aggadah (Cambridge, MA: Harvard University Press, 1980), 35–46.
  39. Sefer Toledot Adam, Ms. Oxford, Bodleian 836, fol. 169a, tradotto, con alcune variazioni, in Idel, Language, Torah, and Hermeneutics, 144, nota 55. Si vedano anche Idel, Messianic Mystics, 352, nota 50, e Idel, Kabbalah in Italy, 150–52; 182; 391, nota 63.
  40. Per Averroè sulla natura della profezia, si veda Sefer Toledot Adam, fol. 157b.
  41. Introduzione a Mafteaḥ ha-Ḥokhmot, 6–7. Sull'affinità tra esoterismo ed elistismo in Maimonide, si veda Kellner, Maimonides’ Confrontation with Mysticism, 16 e nota 41.
  42. Questi sono tre peccati capitali nell'ebraismo rabbinico. L'intenzione qui è che quei peccati siano implicitamente o esplicitamente menzionati nei primi capitoli della Genesi, come lo intendono i rabbini.
  43. Cfr. anche Sitrei Torah, 70.
  44. Cioè, l'elite. Sulla natura che si occupa delle specie piuttosto che degli individui, si veda Goethe, Metamorphosis of Plants, come discusso da Erich Neumann, The Origin and History of Consciousness, trad. {{en}] Richard Francis Carrington Hull (New York: Harper, 1962), 2:333–34.
  45. I segreti sono visti come il mezzo per raggiungere l'immortalità.
  46. Il termine "specie" molto probabilmente ha due significati diversi in questo contesto: la specie umana e la moltitudine, che sono considerate eretiche a causa delle loro credenze errate. Si veda anche più avanti nel brano tradotto, così come nel suo Oṣar ʿEden Ganuz, 1:1, 21, e Ḥayyei ha-Nefeš, 9, 10. La categoria della specie umana è molto importante nell'antropologia di Abulafia, come vedremo sotto. Include sciocchi e saggi, ebrei e non ebrei, tutti insieme.
  47. Proverbi 9:17.
  48. Sul tema della trasmissione "in un sussurro", cfr. Idel, "In a Whisper". Si veda anche Elliot R. Wolfson, "Murmuring Secrets: Eroticism and Esotericism in Medieval Kabbalah", in Hidden Intercourse: Eros and Sexuality in Western Esotericism, curr. Wouter. J. Hanegraaff e Jeffrey J. Kripal (Leiden: Brill, 2008): 65–109.
  49. Nella maggior parte delle occorrenze delle discussioni sui due impulsi all'interno della letteratura rabbinica negli scritti di Abulafia, egli si riferisce alle facoltà dell'immaginazione e dell'intelletto.
  50. I concetti di queste due perfezioni o emendamenti si possono trovare nella Guida dei perplessi di Maimonide, 3:27, Pines 2:511. Per analisi di questi concetti, si vedano Miriam Glaston, "The Purpose of the Law according to Maimonides", JQR 67 (1978):27–51; Warren Zev Harvey, "Maimonides on Human Perfection, Awe, and Politics", in The Thought of Moses Maimonides: Philosophical and Legal Studies, curr. Ira Robinson, Lawrence Kaplan, e Julien Bauer (Lewiston, NY: Edwin Mellen Press, 1990):1–15; Alexander Altmann, "Maimonides’s Four Perfections", Israel Oriental Studies 2 (1972):15–24; e Menachem Kellner, Maimonides on Human Perfection (Atlanta: Scholars Press, 1990). Ci si può chiedere se l'omissione qui di un riferimento esplicito a una terza perfezione (l'intelletto) dagli scopi della Torah – sebbene il concetto si trovi altrove in Maimonide – sia un accenno inteso alla natura esclusivamente sociale o pedagogica della Torah. Cfr. anche Or ha-Śekhel, 29 di Abulafia sulle tre perfezioni. Si veda anche Gad Freudenthal, "The Biological Limitations of Man’s Intellectual Perfection according to Maimonides", in The Trias of Maimonides: Jewish, Arabic, and Ancient Culture of Knowledge, cur. Georges Tamer (Berlino: De Gruyter, 2005):137–49.
  51. "Necessario e utile" si riferisce a cose che sono destinate alle masse anche se non sono necessariamente vere. Questo è lo status dei comandamenti.
  52. L'immagine della chiave è piuttosto importante negli scritti di Abulafia: scrisse diversi libri il cui titolo include un riferimento a una chiave. Si veda Idel, "On the Meanings of the Term ‘Kabbalah,’" 67. È interessante notare che, secondo una testimonianza ebraica relativa al primo Islam, un profeta che era considerato l'unto sosteneva di possedere le chiavi del paradiso. Si veda Patricia Crone e Michael Cook, Hagarism: The Making of the Islamic World (Cambridge: Cambridge University Press, 1977), 3–4.
  53. Si veda l'introduzione a Mafteaḥ ha-Ḥokhmot, 7. Nota bene: la chiave è necessaria; tuttavia, allo stesso tempo, è di natura diversa dal cancello.
  54. Su questo idealeOn this ideal in the Jewish Middle Ages, see Hava Tirosh-Samuelson, Happiness in Premodern Judaism: Virtue, Knowledge, and Well-Being (Cincinnati: Hebrew Union College Press, 2003).
  55. Haśśagat ha-Šem è un'altra versione di Yediʿat ha-Šem, che è uno dei più alti scopi religiosi di Abulafia. Questa comprensione è espressa dal termine haśśagah, che è un termine filosofico per indicare "cognizione". Cfr. anche la citazione di Sefer ha-Yašar nell'Appendice D di seguito.
  56. Sefer Ḥayyei ha-Nefeš, 15, corretto secondo il Ms. Munich, 408, fol. 10a:

    והנה בר א י שת היצי רהנכלל ו'ג מיני ע י ברותע" ז"ג ע "שד ,וכ ן בסו דמהי לה שלשה לאה, מנפי שממנ ה רא י שת בריא תמהין

    וקוימ ו לע , דוז הדי כ להפך מהשונצ רנגכ דכו הונ ה אהלהי ת האחרו נה, והיא הוכנ ה טהבעי ת רהאשונה. כי כו נה הטבעי—ת שי הא מעשהבר א י ש—ת ליקי םמהי ן תמי ד וליקי ם רפיו ט מד ת ז מן אח ד באמצעות ג ו לי עירו ת . וכוו נה האלהי—ת שי הא מעשה מרכהב— ליקי םאי ה שמי הוח דמתי ד"עי גלו י נסתרו ת אשר הםכגלו י רעיות אצ ל ההון מ הימניי ם , ועניינ ים מוגנ ים לדבר בם ו י אן רוי א לשמע ם דכברי עירו ת , וא ם הם עקרוז ול תם טלפ . וע ל ז ו הי י חב להמו ן המי ן להאמי ן הכ ו תבים כפשו טםושלאיתגלה לה ם ב םוםשנס תרכי ערוה הי אהלם. ו י חו בואהליחידי ם הלאמי ן פהםכ , והיא לג ו לת ערות הנגל העלצ מם, ול כסותו מזול תםול קח ת אתנסהתר ל ו סל תלוזעו ב א נ תגהלה לפסתל . וע ילו כצא בז המאר שלמהע"ה :מ"י נ םו גבי ם י מתקו ול חם סתרי םני םע" כלומ ר תסר יוהרת, וה םתסי רם הנ אמרי םלבחיהש , ונ ועדי ם אל השכ לרוב ב חמשב , ה וה םנוגבי ם ומכוסי םכלמ ההמןו, וכ לם נס ת י רם, מע יםדי על שנ י יצרים. וה םנגבלה מצוה מן המצו ות, שה ם תלון ק הגוף או לתקןו הנ פש ההכרחיים או מועילי ם . הנ הנגהלה מפתח לפתו ח בו עשר י נהס ת , ר והנה הו אכלמ לנסהתרב סגו ול אמין,במנפי תון ק הגוף הי אכנ ה ה לתון ק הנ פשותקו ן נהפ שכנה ה לשלמו תההא חון ר אש רלי א ו תכלית הוו כ נה האלהית האחורנ ה , והיא השגת הםש‎

    Si veda anche Idel, "The Kabbalistic Interpretations of the Secret of Incest in Early Kabbalah", 158–59, e "‘In a Whisper’" 481–82. Cfr. Wolfson, Abraham Abulafia, 191–93, 200, la cui analisi è, secondo me, alquanto problematica poiché presuppone che l'osservanza dei comandamenti sia essenzialmente connessa con il livello nascosto, e non soltanto allo studio delle parole che esprimono tali comandamenti. Si vedano specialmente le sue discussioni a 191, 197 e 200. La terminologia relativa al termine "intenzione" è, ancora una volta, maimonidea.

  57. Un interessante parallelo si trova in Sefer Ner Elohim, un trattato anonimo proveniente dal circolo di Abulafia, cur. Gross (Jerusalem: 2002), 48:
    וכ ל מי משגלה סתרי תו רה למ י אשינו הוגן ליהו תםנגלי ם ו,להו אגלמ הירו תע
  58. Si veda anche Oṣar ʿEden Ganuz, 2:9, 289.
  59. Abulafia è più esplicito di Maimonide sull'esistenza della terza intenzione divina: vale a dire, la perfezione dell'intelletto. Si veda il suo Mafteaḥ ha-Ḥokhmot, Ms. Parma, de Rossi 141, fol. 7a, 21–22; Idel, Language, Torah, and Hermeneutics, 109–10.
  60. Un'espressione ebraica per "ignoranti".
  61. Sic! In ebraico, tuttavia, questo è un termine legato agli elefanti o al loro avorio, che non ha nulla a che fare con le scimmie, come afferma Abulafia, abbastanza sorprendentemente, nella frase seguente. Questo è un caso raro negli scritti di Abulafia in cui si trova un chiaro fraintendimento di un termine ebraico.
  62. Cfr. 1 Re 10:22 e TB, Berakhot, fol. 58b. Cfr. anche Rabbi Abraham ben Isaac Bedershi, Ḥotam Tokhnit, cur. Gavriel Pollak (Amsterdam: Levison and Proops, 1865), 1.24, 265.
  63. Oppure imitativi. Si veda una raffigurazione simile nel suo Šomer Miṣwah, 42.
  64. חיות. Non vedo ragione per tradurre questo termine con "bestie" come ho fatto precedentememte nello stesso testo.
  65. Commentario a Sefer ha-Meliṣ, Ms. Roma, Angelica 38, fol. 9a, 19–20:
    רוי א לכ ל משיכל המבק שהלתנבאו תירשאה בעיוני וב לבבו כל אי שאיו שאנמשי הארץ הסכלים כ י אל ו ה םופי קם ולכמעשי הם כמעש יתו הכי םמוחש ו בתיה םמכחש ו בת השנהבי םכלש אל יהנ מ יו ח תרוי א לברך עליה םרוב ךשנ המ הבריות. וש לשתםמיני קופי ם הםכול פ ו על ותיה םמיו דניו ת ו האיש עמהםהו אמיכ שמצא עצמו בי ער לבדו שיוד עאין ש שםאי ו של זתו וגופו מ ו סכ ןין ב היו ח תרעו הת הנ מצואת ת י מד בי ע . ר אב ל פנש יון א לה םכוילת עליה והיא הנ פש המשכלת הנ שארת אח ירו ח תעוהלם הז.ה וא מנ םפנמ ייוהתו ביני הם והיה מימנ ם ו מה םכואחד מםה , ו י הו ם שבכלו נתעל המי מנםונ תייח ד המם וש י בן מ אח רלואהי אח י רו התו אנו י ש.

    Su questo passo cfr. Idel, Studies in Ecstatic Kabbalah, 16. Si veda anche Ḥayyei ha-Nefeš, 121. Per la possibilità della divinizzazione degli esseri umani, cfr. anche Al-Fārābī e Hillel di Verona, Tagmulei ha-Nefeš, 56, le relative note di Sermoneta piè di pagina, e ibn Falaquera, Sefer ha-Maʿalot, 28. Sul comportamento "scimmiesco" si veda Mafteaḥ ha-Raʿayon di Abulafia, 68. Per la trasformazione in "figli di Dio" (cioè una qualche forma di angelo), cfr. testo anonimo trovato in Ms. Jerusalem, NLI 1303, fol. 70a, che si riscontra poco prima di quella che considero l'introduzione al suo primo commentarioo alla Guida, Sefer Geʾulah. Vorrei sottolineare l'importanza di diversi manoscritti, essendo questo uno dei tali, che contengono una varietà di segreti o materiale disparato dalla Cabala estatica, per comprendere alcuni argomenti in questa Cabala, ma che tuttavia sono stati ignorati dalla moderna ricerca su Abulafia. Vedere Idel, Studies in Ecstatic Kabbalah, 12–13; 27, nota 63. In generale, l'importanza delle tradizioni trovate nei collectanea dei segreti cabalistici presenti principalmente nei manoscritti per comprendere gli aspetti eclettici della letteratura cabalistica, necessita di una valutazione più dettagliata. Cfr. anche Oṣar ʿEden Ganuz, 2:7, 267.

  66. Guida dei perplessi, 1:14.
  67. Oṣar ʿEden Ganuz, 3:9, 364:
    ובזה ת י הה אז מיוח ד ומ ו פר שמו בד ל כמל עמ י האר ץחו ה שיבם שה ם כחי מ . ם וי הי ה כל דאם אז ביענ יך לפ י דרך כיו חת וב ה ו מת ועופות, ותשי ג הברגשותיך וב שכלך הגשו תמיאו ת . והדומי ם לךהיי ו עבל י לצם ודמו תהום בעלי ה ו תרה ושומרי המצו ה אבתמ

    Su ṣelem e demut in Maimonide, si veda Marvin Fox, Interpreting Maimonides: Studies in Methodology, Metaphysics, and Moral Philosophy (Chicago: University of Chicago Press, 1990), 156–73. Si confronti, tuttavia, l'opinione di Wolfson, Through a Speculum That Shines, 23: "La somiglianza morfologica tra l'immagine divina e quella umana, radicata nel pensiero biblico, ha giocato un ruolo centrale nel successivo sviluppo del misticismo ebraico in tutte le sue fasi". Sulle ragioni dei comandamenti in Maimonide, si veda Yair Lorberbaum, "‘What Would Please Them Most is That the Intellect Would Not Find a Meaning for the Commandments and the Prohibitions’: On Transcending the Rationales of the Commandments—A Close Reading of the Guide of the Perplexed III 31" (He), Da‘at 77 (2014):17–50.

  68. L'"intelletto perfetto" è un concetto importante per Abulafia, poiché si preoccupava di rimuovere il potere immaginativo per raggiungere il tipo più alto di esperienza, come vedremo in seguito.
  69. O il celare: lehaflig ha-hester.
  70. Si veda anche Mafteaḥ ha-Ḥokhmot, 101. Sulla la frase ossimorica "moltitudine dei saggi" si veda anche Or ha-Śekhel, 39, e l'introduzione a Mafteaḥ ha-Ḥokhmot, 6, che viene citata come motto.
  71. 72 Ḥayyei ha-Nefeš, Ms. Munich, 408, fol. 9b, 12: ואע" פהשכתו בובס לנישהנעיינ ים ידח , ואול יובס לנגהלהיו תרמן הנ סת ר כליו ש קשרו דברי ו רהאשנוי ם ו האחורנ ים בתחי לת המחשב . ה אך כיו ש שכ
    לעינהי ן נהס תר בשכל של םופמתי או מ ו קב לורי,י ת אי ן חלו ש על קהשרי םנקהשירם בנגלה,ו שה םאוב כד י להפלי ג ההסתר הנול דמנו מ, ול כסות העלמ ו המון מ חכמי הפ ש . ט ומזא תההערה תין ב שםא עיני ן הס ו פר ההוא הב אכבו תב הו א ז ר אמדחו ץ להק שהו אנגכ ד טהעב , ול אכזר הכתו ב בו הו ש אלפא שאתה צריך לד עת נס ת ו ר, על כל פנים אח ר שאראי ןצימאו ת אלגלנהו לא במרג שלוא במשלכ , וראו י שתלשי ךמנ מ ו מהדומה וש ת כשי לנינעו ומ הכווהנ הליוא [...] הנ סתרו ת הםנייענ ים אלהיים, והנגלו ת הםנואשיים.

    Sui segreti della tavolette della Legge, si veda Oṣar ʿEden Ganuz, 1:3, 192.

  72. Ciò ricorda il concetto shi’ita della dissimulazione, o taqiyya. Cfr. Etan Kohlberg, "Some Imāmī-Shīʿī Views on Taqiyya", JAOS 95 (1975):395–402, e Etan Kohlberg, "Taqiyya in Shīʿī Theology and Religion", in Secrecy and Concealment: Studies in the History of Mediterranean and Near Eastern Religions, curr. Hans. G. Kippenberg e Guy G. Stroumsa (New York: Brill, 1995):345–60. Tuttavia, nonostante l'importante ruolo dell'intelletto ipostatico che ricorda lo śekhel ha-poʿel di Abulafia, il primo esoterismo sci’ita differisce notevolmente da quello di Abulafia.
  73. 74 L'ebraico qui non è molto chiaro.
  74. Oṣar ʿEden Ganuz, 3:10, 386:

    ואמנ םצאל ותי' כנשי חס םליא ו כהיי ת חס םלינ או נשקרבי ןנישנו כי אי ן הדב ר במחשבתינו ול א דבברינו אב ל כהל דיו מנתו

    ומ שילם הצרנכו אליה םהי לות םשמימי ם חפדוי רא הלבב ההמו ן אשינם מ י כרים שה ם תבכלי ת פהי חתו . ת‎

    Per il nesso tra timore e la multitudine, si veda anche Mafteaḥ ha-Ḥokhmot, 76:

    מנפי שייר אאמלהי ו מתי ד כל י מי חייו עת אח ר עתפיל ההמונתו

    "Poiché temerà sempre il suo Dio, tutti i giorni della sua vita, di volta in volta, come fa la moltitudine."

  75. Come evidente nel testo in questione 3 richiama Abba, Ima..., rappresentanti Adam Kadmon; 7 è lo Shabbat: l'anno, testimone ipostatico assieme al mondo ed all'uomo; infine 12 è il numero delle tribù d'Israel
  76. Vale a dire, il suo fedele allievo, Rabbi Saʿadyah ben Isaac Sigilmasi, a cui è dedicato il libro.
  77. Una frase molto simile si trova in Ner Elohim, un trattato della scuola di Abulafia, 96:
    ואמנ םניאלא מנפי זה אמנע מלומ ר בו מ ההושרוני מן השמםי

    Questa stretta affinità nella formulazione mostra che la fiducia nel contenuto della conoscenza rivelata prevalse sulla paura della reazione negativa della popolazione circostante. Sul ricorso alla frase "ci hanno insegnato dal cielo" nel XII secolo, si veda Isadore Twersky, Rabad of Posquières (Cambridge, MA: Harvard University Press, 1962), 291–97. In generale, Abulafia e i suoi seguaci erano meno interessati agli approcci conservatori nell'ebraismo rabbinico. Si confronti, tuttavia, l'affermazione totalizzante di Scholem che "tutto il misticismo" ha una dimensione conservatrice e rivoluzionaria che sono complementari. Cfr. il suo "Mysticism and Society", Diogenes 15 (1967):15.

  78. Oṣar ʿEden Ganuz, 1:2, 51:

    עלכן ישלי צו רך גדול וה כר חנהע ה חשי קת לכתו ב פה אמת ת דהב רזהה מבלי פח דונ שע. ולהודי עךזה ה ו סד ה ו מפלג כולו

    מ ו פר ש ו מבוא ר ע ד לשא ת י הה את ה ו הדומים לך ריקי ם ימדיעתזה ה ו סד ה ו מפ ל , א אש רואה ית ד השכ ללות י ו. ב ועא"פשכבריד עת י ישקרו לי ול ספרי זה דברי םג ו למיו, לא אמנע בעבו רםלו מר מה שוהרונ ו בו מן השימם ומ ה קשבלנ ו מ מברחנביאנו וח כימנ ו והא מש הער" ה אשר קב לפי מ הש ם פה אלהפ‎

    Per un'altra traduzione e analisi di un passo più lungo che include questo testo, vedere Idel, Language, Torah, and Hermeneutics, 47-48. Si confronti questo brano con il testo dello stesso libro, Oṣar ʿEden Ganuz, 1:3, 110, tradotto supra, nonché con la breve ma conclusiva dichiarazione nel suo Commentario allo Sefer Yeṣirah, 3: "Appresero l'ordine di tutte le lingue conosciute dal Sefer Yetzirah, in un modo molto nascosto". Sull'ordine delle lingue, si veda anche Commentario allo Sefer Yetzirah, 4. Ciò significa che il libro che tratta delle combinazioni di lettere in relazione alla cosmogonia fu inteso come un accenno segreto alla tecnica di generazione dei linguaggi. Il presunto aspetto nascosto di questo libro venne inteso da Abulafia come relativo al racconto del carro, che in questo specifico contesto significa la pratica delle combinazioni dei nomi divini. Sui segreti delle lingue (in questo caso egli usa il termine seter), cfr. Or ha-Śekhel, 33.

  79. Si veda Mafteaḥ ha-Ḥokhmot, 89–93, un passo a cui fa riferimento e a volte analizza Scholem, Major Trends in Jewish Mysticism, 129; Hames, Like Angels on Jacob’s Ladder, 102–4; e Wolfson, "Textual Flesh, Incarnation, and the Imaginal Body", 198–99.
  80. Sulle diverse interpretazioni del Nome divino nelle tradizioni ebraiche prima di Abulafia, inclusi Maimonide e i primi cabalisti, si veda Haim Hillel Ben-Sasson, YHWH: Its Meanings in Biblical, Rabbinic and Medieval Jewish Thought (He) (Gerusalemme: Magnes Press, 2019), come anche Lorberbaum, Dazzled by Beauty, 126–27, 148–49.
  81. 81 TB, Ḥagigah, fol. 13a, e la citazione nello Zohar, 3 fol. 73a. Si confronti, tuttavia, le affermazioni di Wolfson secondo cui per Abulafia "la promozione di questa conoscenza dipende dal comportamento intrinsecamente incomparabile dell'ebreo". Si veda il suo "Textual Flesh, Incarnation, and the Imaginal Body", 200, nota 41. Si noti il ricorso al singolare quando si descrive "l'ebreo": tutti gli ebrei sono descritti come mostrassero "intrinsecamente" lo stesso comportamento e Abulafia è quindi visto come si comportasse alla pari di tutti gli altri! Questo è un esempio di quello che chiamerei ebraismo compatto, una finzione accademica dell'ebraismo omogeneo che trascura le distinzioni tra ebrei diversi da un lato e, in questo caso della natura sovversiva del comportamento di Abulafia, delle sue persecuzioni da parte di altri ebrei e del suo singolare pensiero cabalistico dall'altro. Lo stesso approccio può essere visto in Abraham Abulafia di Wolfson, 224.
  82. Cfr. Idel, "Commentaries on the Secret of ʿIbbur in 13th-Century Kabbalah".
  83. Cfr. Idel, "Hekhalot Literature, the Ecstatic-Mystical Model and Their Metamorphoses", 191–202.
  84. Abraham Abulafia, 52. Cfr. anche il suo "The Anonymous Chapters of the Elderly Master of Secrets: New Evidence for the Early Activity of the Zoharic Circle", Kabbalah 19 (2009):152.