Abulafia e i segreti della Torah/Parabola della Perla 13
LA PARABOLA DELLA PERLA E SUE INTERPRETAZIONI
modificaAbulafia: fu lui il Possessore della Perla?
modificaSembra che Abulafia abbia volutamente adottato una versione della parabola sulla vera religione che differiva nell'articolazione da quella più diffusa in Europa. Nella parabola di cui sopra, c'è un solo figlio, non tre; non ci sono tre anelli, ma una sola perla "autentica"; e, infine, non si fa menzione di ulteriori artefatti, anelli o perle. Tuttavia, ancora più divergente dei dettagli della parabola rispetto alla maggior parte delle altre versioni esistenti è la struttura mistica specifica, come discusso sopra, che è più sofisticata di qualsiasi cosa io conosca nelle interpretazioni che sono state offerte di altre versioni della parabola. Il culmine di questa raffinatezza è, a mio avviso, da ricercare nell'assunto implicito che il vero figlio presente nella parabola non sia altro che lo stesso Abramo Abulafia, e che la perla sia in possesso del narratore della parabola; cioè che solo Abulafia la possiede.
Se questa identificazione è corretta, qui presente e futuro si scontrano in una situazione che, secondo Abulafia, si sta muovendo rapidamente verso un riscatto più generale in base alla seconda narrazione,[1] anche se lui stesso può essere immaginato già redento a causa della rivelazioni che afferma di aver ricevuto in precedenza. In ogni caso, poiché il nome divino nascosto era stato già rivelato alcuni anni prima, ora ognuno può redimersi usandolo.
Il contenuto escatologico dei libri profetici di Abulafia, che trattano delle rivelazioni ricevute mentre era in Grecia intorno al 1279 e in Italia nel 1280, e i commenti che scrisse a quei libri a Messina nel 1282, le cui versioni originali sono andate perdute, indica una situazione come quella del padre che tira fuori la perla dalla fossa e la dà al figlio. In entrambi i casi, la rivelazione del nome divino precedentemente sconosciuto è un evento che gioca un ruolo escatologico centrale. Possiamo presumere che la fossa non sia altro che la fusione immaginativa delle religioni storiche?
Inoltre, Abulafia si concepisce come un intellettuale figlio di Dio e come un profeta oltre che un Messia.[2] Egli immagina quindi di possedere alcuni degli attributi che assegna al figlio nella parabola. Va sottolineato che la mia proposta di leggere la parabola in modo allegorico e non solo storico si inserisce in una più ampia comprensione del progetto generale di Abulafia che mira a spiritualizzare il testo interpretato, come accennato in precedenza, il che lo rende molto più plausibile. Ciò è evidente, ad esempio, nel caso dell'interpretazione spirituale del messianismo di Abulafia accanto (e contro) a come era inteso nell'ebraismo popolare; intendeva innescare una rinascita spirituale.[3] Come si vede nel caso della sua comprensione del messianismo, Abulafia propone tre diversi significati del termine "Messia", e questo vale anche per la sua interpretazione della natura degli ebrei come individui che confessano che il nome divino e la comprensione di Israele sono imparentati sia con l'Intelletto Agente che con la combinazione di lettere.[4]
Tutte queste problematiche sono argomenti importanti nella visione del mondo religioso di Abulafia e, in tali casi, le interpretazioni allegoriche da lui offerte costituivano una comprensione fresca ed esplicita di argomenti importanti che erano stati accettati solo nel loro senso concreto da generazioni di ebrei rabbinici. Abulafia continua la strada dell'allegorizzazione aperta nell'ebraismo in gran parte dalla Guida di Maimonide, che si occupava soprattutto di purificare il linguaggio biblico da formulazioni problematiche dal punto di vista teologico, soprattutto espressioni che rimandano ad antropomorfismi e antropopatismi.[5] Tuttavia, egli va oltre, combinando le allegorizzazioni di Maimonide con il misticismo linguistico quale parte della sua esegesi delle Sacre scritture con un tentativo di comprendere e spiegare le proprie esperienze attraverso l'uso di due metodi esegetici. Era molto meno interessato alle questioni relative alla cosmologia o anche alle teorie dettagliate dell'intelletto di quanto non lo fossero la Grande Aquila e Averroè.
Note
modificaPer approfondire, vedi Il Nome di Dio nell'Ebraismo, Rivelazione e Cabala e Serie maimonidea. |
- ↑ Per l'enfasi sulla seconda narrazione in relazione alla "salvezza universale", si veda Hames, Like Angels on Jacob’s Ladder, 54–70.
- ↑ Si veda Idel, Ben, 310–11, 316, e Idel, "Abraham Abulafia: A Kabbalist ‘Son of God.’"
- ↑ Cfr. Idel, "The Time of the End".
- ↑ Cfr. Idel, "Abraham Abulafia: A Kabbalist ‘Son of God,’" 64–68, 78; Idel, "The Time of the End", 172; Idel, "On the Secrets of the Torah in Abraham Abulafia", 433–34; Idel, Kabbalah in Italy, 84–88.
- ↑ Cfr. Isaac Heinemann, "Die wissenschaftliche Allegoristik des jüdischen Mittelalters", HUCA 23, n. 1 (1950/51): 611–43; Warren Zev Harvey, "On Maimonides’ Allegorical Reading of Scripture", in Interpretation and Allegory: Antiquity to the Modern Period, cur. Jon Whitman (Leiden: Brill, 2000): 181–88; Samuel M. Stern, "Rationalists and Kabbalists in Medieval Allegory", JJS 6 (1955): 73–86; Sara Klein-Braslavy, Maimonides’s Interpretation of the Adam Stories in Genesis; Simon Rawidowicz, "On Interpretation", PAAJR 26 (1957): 97–100; Frank Talmage, "Apples of Gold: The Inner Meaning of Sacred Texts in Medieval Judaism", in Jewish Spirituality from the Bible through the Middle Ages, cur. Arthur Green (New York: Crossroad, 1986): 318–21; Shalom Rosenberg, "Observations on the Interpretation of the Bible and Aggadah in the Guide of the Perplexed" (He), in Memorial Volume to Ya‘aqov Friedman, cur. Shlomo Pines (Gerusalemme: Hebrew University, 1974): 215–22; Jean Robelin, Maïmonide et le langage religieux (Parigi: Presses Universitaires de France, 1991); Arthur Hyman, "Maimonides on Religious Language", in Perspectives in Maimonides: Philosophical and Historical Studies, cur. Joel Kraemer (Oxford: Littman Library of Jewish Civilization, 1991): 175–91; Maurizio Mottolese, Analogy in Midrash and Kabbalah: Interpretive Projections on the Sanctuary and Ritual (Los Angeles: Cherub Press, 2007), 247–67; Marc Saperstein, "The Earliest Commentary on the Midrash Rabbah", in Studies in Medieval Jewish History and Literature, 1:283–306; Marc Saperstein, "R. Isaac ben Yeda’ya: A Forgotten Commentator on the Aggada" REJ 138 (1979): 17–45; Saperstein, Decoding the Rabbis; Howard Kreisel, "The Philosophical-Allegorical Exegesis of Scripture in the Middle Ages: Maʿaśeh Nissim by Rabbi Nissim of Marseilles" (He), in Meʾah Sheʿarim, 297–316; e Hannah Kasher, "The Myth of the ‘Angry God’ in the Guide of the Perplexed" (He), in Myth in Judaism, cur. Haviva Pedaya (Beer-Sheva: Ben-Gurion University Press, 1996): 95–111.