Ispirazione mistica/Capitolo 6

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Visione of Ezechiele, di Alex Akindinov (2006)

Ascesa mistica

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  Per approfondire su Wikipedia, vedi le voci Rabbino e Ebraismo rabbinico.

Il rabbino come taumaturgo

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Il rabbino era considerato un'incarnazione della Torah. "The disciple revered the master as a living Torah and humbled himself before him as before God",[1] scrive Jacob Neusner. Il rabbino ci mostra “il volto umano” di Dio, e le sue opere (non solo i suoi insegnamenti) venivano studiate come norma per la vita quotidiana. Sebbene fossero santi e “come Dio”, i rabbini furono sempre considerati esseri umani come tutti gli altri, e questa qualità fu la fonte della loro forza come modelli per la comunità. Il rabbino non era considerato un asceta soprannaturale, lontano dal trambusto della vita quotidiana; invece, si rivolgeva alle persone e chiedeva loro di diventare devote. In effetti, c'era un forte pregiudizio rabbinico contro l'ascetismo. I rabbini sia in Palestina che in Babilonia agivano come guide spirituali per le persone non solo su come potevano piacere a Dio e vivere la propria vita eticamente e moralmente (il che richiede sforzo, autocontrollo e lotta interiore!), ma erano anche ricercati come operatori di miracoli – per guarire, predire il futuro, garantire buoni raccolti e matrimoni e garantire la fertilità. La maggior parte delle persone viveva nella schiavitù della superstizione e credeva che i rabbini avessero potere sugli spiriti maligni e sui demoni e conoscessero incantesimi e maledizioni.

Gli ebrei avevano una meritata reputazione tra i greci e i romani come praticanti di magia e miracoli, soprattutto di guarigioni. La società della Giudea nel I secolo AEV e nel I secolo EV era caratterizzata dalla presenza di numerosi predittori del futuro, santi uomini e guaritori. Si credeva che molti rabbini del terzo e quarto secolo sia in Israele che in Babilonia fossero dotati di poteri straordinari. In alcuni casi si dice che queste figure fossero “profeti” o possedessero il dono della profezia.[2]

Si credeva che i rabbini traessero la loro autorità dalla loro profonda conoscenza della Torah. Neusner sottolinea spesso che ciò non significava solo competenza intellettuale, ma conoscenza dei “segreti” della Torah, in particolare dei nomi esoterici speciali di Dio, che conferivano loro poteri soprannaturali.

« The rabbis authenticated their claim to power not only by their teaching of Torah, but also by their knowledge of the secrets of creation – including the names of God by which miracles may be produced, and the mysteries of astrology, medicine, and practical magic – and by their day-to- day conduct as a class of religious virtuosi and illuminati. . . . They were seeking totally to reform the life of Israel so that it would conform to the Torah as they taught it. »
(Neusner, There We Sat Down, p. 58)

Le persone avevano paura di dispiacere ai rabbini poiché credevano che i rabbini avessero il potere di ferirli. Da un punto di vista positivo, dipendevano dal fatto che i rabbini intercedessero presso Dio per loro conto. Ma si credeva che la stessa influenza su Dio potesse essere usata anche in modo negativo, per ferire o uccidere qualcuno. Spesso le persone visitavano le tombe dei rabbini del passato e vi adoravano, perché si credeva che possedessero i poteri soprannaturali dei rabbini defunti.

« Rabbis, it shall be seen, could create and destroy men because they were righteous, free of sin, or otherwise holy, and so enjoyed exceptional grace from heaven. It follows that Torah was held to be a source of supernatural power. The rabbis controlled the power of Torah because of their mastery of its contents. They furthermore used their own mastery of Torah quite independent of heavenly action. They could issue blessings and curses, create men and animals, and were masters of witchcraft, incantations, and amulets. They could communicate with heaven. Their Torah was sufficiently effective to thwart the action of demons. However much they disapproved of other people’s magic, they themselves were expected to do the things magicians did. »
(Neusner, There We Sat Down, p. 78)

La magia di per sé, definita come l'uso illegittimo di poteri “divini”, era disapprovata nell'antica società ebraica, e ci sono molti riferimenti negativi alla magia nella letteratura rabbinica. Questo di per sé dovrebbe dirci che la sua pratica era comune, ma i rabbini non si consideravano dei maghi. Credevano di usare la santità della Torah per compiere la volontà di Dio, l'unico essere supremo, e si separavano dalla magia degli zoroastriani o di altri santoni “pagani” che (secondo i rabbini) usavano i poteri di demoni e spiriti. In effetti, però, come hanno dimostrato molte iscrizioni, potrebbero aver fatto cose molto simili.

« To the extent that magicians were considered disreputable, no faithful community would regard its holy men as magicians. But where magic was an expected and normal trait of religious virtuosi, everyone supposed that the holy men of the community could produce magic. What was “Torah” or perhaps “white magic” to Jews may have been witchcraft or black magic to gentile neighbors. »
(Neusner, There We Sat Down, p. 85)

Pertanto lo status dei rabbini come uomini santi derivava in larga misura dal loro uso di poteri “magici” o soprannaturali per guarigioni e miracoli. Teurgia è un nome cortese per l'uso di determinate tecniche per ottenere il controllo sui poteri divini, un tipo di magia. Non si sa esattamente cosa facessero i rabbini come teurgia, ma si ritiene che includessero lo studio intensivo della Torah, esercizi di concentrazione, ripetizione di certi nomi di Dio, preghiere mirate, forse l'esecuzione concentrata di certi rituali. "The theurgical skills were regarded as an authentication – although not the only one – of the fact that rabbis were holy men, or saints, or righteous".[3] In senso pratico e funzionale, il merito personale e i poteri soprannaturali del rabbino erano importanti quanto il suo apprendimento e insegnamento delle Scritture. Ciò che era straordinario nel rabbino era “his mastery of a body of theurgical learning, the power of which rendered him exceptionally influential both in heaven and earth... Healing arts, exorcisms, incantations – these all testified to the grace of God no less than did mastery of Torah or other forms of saintliness. The rabbis took pride in their theurgical attainments, which, they said, were made possible by Torah".[4] Lo studio era considerato una forza divina che conferiva loro poteri soprannaturali.

Si credeva che lo studio dei testi sacri e delle altre pratiche da parte dei rabbini fornisse loro la conoscenza della struttura dell'universo, compresi tutti i reami celesti superiori, l'essenza di Dio e i Suoi nomi segreti, le schiere angeliche, i demoni e l'ascesa nel carro; benedizioni, incantesimi, presagi, maledizioni, sogni, divinazioni, astrologia; e l'uso di formule magiche e preghiere.

Neusner commenta il nesso tra poteri miracolosi e virtù in tutta la società antica:

« The ascription of supernatural power must . . . be seen as a primary attribute of leading masters in the schools. It is the attribute which most closely paralleled those of the “divine-man” of antiquity – a man believed to embody divine power and virtue – for the unity of faith, wisdom, and unusual ability was everywhere taken for granted. “Knowing” and “doing” were in no way separable; the rabbi’s “wisdom” derived from Torah, and so did his supernatural, or magical, skills. To no one in antiquity could such a conception have been alien. »
(Neusner, There We Sat Down, p. 85)

Il potere dei numeri, delle lettere e dei nomi

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Probabilmente ci furono diverse fasi nello sviluppo delle pratiche legate al nome di Dio nell'ebraismo. Nella Bibbia, quando leggiamo che i profeti confidavano nel nome del Signore, insegnavano a ricordare il nome, o meditavano sul nome, sembrerebbe che si riferissero ad un'ineffabile essenza divina, una vibrazione al di là del linguaggio, l'essenza di Dio stesso, un nome davvero impronunciabile che può essere compreso solo in uno stato di coscienza superiore. È un nome solo nella misura in cui è un modo per indicare la Sua presenza divina, il Suo potere creativo e sostenitore, la Sua esistenza onnicomprensiva che riempie l'intera creazione. La bellezza e la purezza dei riferimenti al nome di Dio nella Bibbia implicano che si tratti di un’essenza al di là di ogni uso del linguaggio.

Benedici, anima mia,
il Signore;
e tutto quello ch'è in me,
benedica il Suo santo nome.
Salmi 103:1

O Signore, nostro Dio,
quanto è grande il tuo nome su tutta la terra:
sopra i cieli si innalza la tua magnificenza.
Salmi 8:2

Ho invocato il tuo nome, o Signore,
dalla fossa più profonda.
Lamentazioni 3:55

Questo nome è anche chiamato parola di Dio, mimra (espressione) o canto, il potere creativo divino, la Sua voce o comando, sul quale possiamo meditare interiormente:

Di giorno il Signore mi dona la Sua grazia,
di notte per Lui innalzo il mio canto:
la mia preghiera al Dio vivente.
Salmi 42:9

Guardando comparativamente ad altre tradizioni mistiche, troviamo che la meditazione su questo nome di Dio interiore o inespresso è talvolta usato come mezzo per raggiungere la realizzazione di Dio. Ad esempio, negli insegnamenti del Surat Shabd Yoga dell'India, viene insegnato un metodo per unire la propria anima con il dhunatmak naam (il nome dal suono indicibile) – un'essenza divina e neanche un nome. Questo nome è considerato la vera espressione spirituale o manifestazione di Dio stesso, e non è il varnatmak naam (il nome fatto di sillabe) parlato esternamente.

È possibile che una pratica di meditare sul nome indicibile esistesse originariamente tra i profeti e che sia andata poi perduta, quando nell'ebraismo si svilupparono pratiche di nomi esteriori – anche di nomi esoterici. Le persone sarebbero state consapevoli che la Bibbia parlava di meditare sul nome, di ascoltare la parola di Dio e così via, e avrebbero cercato di capire quale fosse tale pratica del nome. Nel II secolo AEV, probabilmente anche prima, le persone erano arrivate a credere che ci fosse potere nei nomi esteriori di Dio, e identificavano quel potere con manipolazioni magiche e usi delle lettere delle parole e dei nomi scritti e parlati. Il nome di quattro lettere YHWH, chiamato il nome ineffabile, era considerato troppo sacro per essere pronunciato da chiunque tranne il sommo sacerdote del Tempio, e solo una volta all'anno.[5] Si ritiene che dopo la distruzione del Tempio, o addirittura prima, quando il sacerdozio fu screditato, la conoscenza dei nomi esoterici passò nelle mani di laici – i rabbini. In epoca talmudica il numero di questi nomi apparentemente ineffabili crebbe. C'erano nomi di 12, 24, 42 e 72 lettere e molti altri, creati da un numero quasi infinito di combinazioni delle lettere di YHWH, che si pensava avessero tutte un significato esoterico. Anche i nomi descrittivi di Dio usati nella Bibbia (Onnipotente, El Elohim, Tseva’ot [Sabaoth], Adonai) erano usati dagli adepti mistici ebrei e cristiani negli incantesimi e negli amuleti.

Joshua Trachtenberg, nel suo libro innovativo Jewish Magic and Superstition, traccia l'evoluzione di questa pratica. Spiega che i Greci avevano attribuito valori numerici e simbolici alle lettere del loro alfabeto già nell'VIII secolo AEV e il concetto si era diffuso in tutto il Mediterraneo in seguito alle conquiste di Alessandro Magno nel IV secolo AEV. Fu da questa influenza che gli ebrei iniziarono ad usare le lettere dell'alfabeto per designare valori numerici. Nel frattempo, gli egiziani avevano sviluppato la pratica di creare sillabe senza significato (spesso chiamate sillabe e parole barbare) per incantesimi magici. Entrambe le pratiche penetrarono nell'ebraismo e nel II secolo EV, al tempo in cui fu composta la Mishnah, il concetto pitagorico del potere creativo dei numeri e delle lettere era abbastanza noto tra gli ebrei. Infatti, il famoso saggio della Mishnah, Rav (circa 200 EV), disse di Bezalel (il leggendario architetto del Tempio di Salomone) che “sapeva come combinare le lettere con cui furono creati il cielo e la terra”.[6] Si pensava che la creazione fosse avvenuta letteralmente attraverso il linguaggio, da parte di Dio che combinava e manipolava le lettere e le parole dell'alfabeto ebraico. Quando la Bibbia affermava che Dio creò l'universo attraverso la parola, si intendeva che lo facesse utilizzando l'origine spirituale o radice delle lettere dell'alfabeto. Sono state sviluppate anche tecniche per utilizzare l'alfabeto per la concentrazione nella meditazione, nonché per previsioni, incantesimi e sortilegi. I mistici ebrei dei secoli successivi usarono questa tradizione come fondamento di molte delle loro pratiche.

L'uso dei nomi di Dio e degli angeli era considerato particolarmente potente e occupava il posto principale nella gerarchia dei nomi da utilizzare in tali pratiche meditative e magiche. "Instinct [instilled] with the very essence of omnipotence, they were surrounded from early times with an aura of superlative sanctity and awe."[7]

« The invocation of angelic names in Jewish magic may be regarded as in part the parallel to the pagan invocation of many deities, and in part as invocation of the infinite [personified] phases and energies of the one God. Both Jewish and pagan magic agreed in requiring the accumulation of as many names of the deity or demon as possible, for fear lest no one name exhaust the potentiality of the spiritual being conjured. »
(Trachtenberg, Jewish Magic and Superstition, pp. 86–87)

La Merkavah e la potenza dei nomi

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Frontespizio di un'edizione Heikhalot (Lvov, Polonia, 1850)
  Per approfondire su Wikipedia, vedi le voci Merkavah, Heikhalot e Shi'ur Qomah.

Col senno di poi, dal nostro punto di vista quindici o venti secoli dopo, sembrerebbe che i rabbini dell'antichità avessero diverse missioni e sfere di attività: erano consiglieri e giudici legali, le guide al corretto comportamento morale ed etico per l'intera popolazione ebraica . Volevano il controllo sullo stile di vita ebraico in tutte le sfere sociali, per garantire che fosse conforme alla Torah, con l'obiettivo di creare un popolo perfetto e accelerare la venuta del Messia. Questo era un aspetto. Ma molti di loro insegnavano e condividevano attivamente le loro pratiche mistiche di trasporto mistico merkavah (carro) all'interno di circoli ristretti di rabbini e discepoli, in segreto dal resto della loro società.

Come raggiunsero il livello del viaggio merkavah, elevando la loro coscienza a reami interiori più elevati? Quando leggiamo che attraverso il loro intenso studio della Torah e le loro preghiere acquisirono potere sulle forze soprannaturali, dobbiamo chiederci in cosa consistessero quello studio e quella preghiera. In alcuni casi avrebbe potuto trattarsi semplicemente di un livello di profonda concentrazione; in altri casi si sarebbe trattato di manipolazioni dei nomi di Dio. È probabile che, immergendo completamente la mente in questi esercizi di ripetizione dei nomi, fossero in grado di entrare in contatto con i reami spirituali e acquisire alcuni poteri psichici, sebbene i rabbini attribuissero questi poteri ai santi nomi stessi e alle loro varie permutazioni, che venivano usate come formule magiche. Queste pratiche davano ai mistici la concentrazione mentale che permetteva loro di lasciare i confini del corpo fisico e ascendere ai reami spirituali. Nella loro ascesa, attraverso la loro concentrazione, acquisirono certi poteri per compiere miracoli, per guarire i malati, e così via, che usarono nel loro ministero verso la gente comune. Ebbero visioni di Dio e raggiunsero la conoscenza dei “segreti divini”.

Oltre al significato di “carro”, il termine merkavah porta il significato di combinazione o assemblaggio; quindi la pratica della merkavah non era solo una descrizione dell'ascesa interiore, ma un indizio del metodo che usavano per sperimentarla, in cui usavano l'alfabeto come elementi costitutivi del carro. È interessante notare che nell'ebraico moderno ma’aseh merkavah significa tutto ciò che è costituito da una combinazione di elementi separati.

Il viaggio verso il reame del trono di Dio viene descritto dettagliatamente per la prima volta nel racconto della visione del profeta Ezechiele del VI secolo AEV, che ascese attraverso i vari cieli su un carro composto da angeli le cui ali creavano suoni trascendenti, accompagnato da luci e colori superni (Ezechiele 1). In precedenza, la Bibbia narrava un breve resoconto del profeta Elia del IX secolo AEV che ascese vivo al cielo su un carro di fuoco al momento della sua morte (2 Re 2:11-12). La salita sul carro appare anche nella letteratura di Qumran. Allo stesso modo, Isaia descrisse l'esperienza maestosa dell'ascesa della sua coscienza alla regione del trono angelico di Dio. L'esistenza di questi testi conferma l'uso del linguaggio del carro da parte dei mistici anche prima del periodo rabbinico. Sebbene non sia stato stabilito alcun collegamento tra le pratiche attuali di Isaia ed Ezechiele nei tempi biblici e quelle degli ebrei della tarda antichità, circa sei-dieci secoli dopo, è possibile e probabile che la tradizione esoterica fosse trasmessa segretamente da maestro a discepolo durante tutti quegli anni.

Joseph Dan, il noto storico del misticismo ebraico, scrive che la pratica del misticismo merkavah è il primo movimento mistico documentato nell'ebraismo:

« While the problem of the mystical nature of some biblical texts, prophetic or poetic, and some parts of apocrypha literature, is mainly a problem of definition, there seems to be little doubt that, from a historical point of view, the first major mystical phenomenonin Jewish culture known to us is the appearance of the heikhalot and merkavah literature. This literature is not the work of a lonely mystic, but a historical school, which probably developed throughout a period of several centuries, and had a profound impact upon later Jewish mysticism. . . . [Some of] this literature is attributed consistently in our sources to a group of tanna’im, the mishnaic sages, most prominent among them being Rabbi Akiva, Rabbi Ishmael ben Elisha, Rabbi Nehuniah ben ha-Kanah and Rabbi Eliezer the Great. »
(Dan, “Mysticism in Jewish History, Religion, and Literature,” in Dan e Talmage, curr., Studies in Jewish Mysticism, pp. 3–4)

Nel Talmud non ci sono molti riferimenti alla merkavah, ma quando i rabbini menzionano la pratica, generalmente è per mettere in guardia dai suoi pericoli. In una storia ben nota, Rabbi Akiva (l’insegnante morale e martire politico del secondo secolo) e i suoi compagni entrarono nel pardes (frutteto, giardino) del re – una metafora per le regioni superne di Dio, lo stato di coscienza spirituale superiore.

« I nostri rabbini hanno insegnato: Quattro entrarono in un frutteto e questi sono: Ben Azzai, Ben Zoma, Aher e Rabbi Akiva. Rabbi Akiva disse loro: "Quando raggiungete le pietre di marmo puro, non dite: ‘Acqua, acqua!’ Poiché è detto: ‘chi dice menzogne non potrà restare davanti ai miei occhi.’" (Salmi 101:7). Ben Azzai guardò e morì. Di lui la Scrittura dice: "Preziosa agli occhi del Signore è la morte dei suoi santi" (Salmi 116:15). Ben Zoma guardò e rimase colpito. Di lui la Scrittura dice: "Se hai trovato il miele, mangiane quanto ti basta, per non esserne nauseato e poi vomitarlo" (Proverbi 25:16). Aher tagliò i germogli. Rabbi Akiva se ne andò in pace. »
(Talmud, Mishnah Hagigah 14b)

Il brano è piuttosto esoterico e difficile da comprendere. Entrare nel frutteto o giardino del Signore, il re, è facilmente comprensibile come un'allusione alla visione dell'ascesa sulla merkavah. Le descrizioni dell'ingresso al sesto reame in altra letteratura heikhalot possono aiutarci a comprendere l'allusione all'acqua e al marmo: innumerevoli onde sembrano danzare e scintillare, anche se “in reality there is not a drop of water there, only the sparkling ‘atmosphere’ given off by pure shining marble.”[8] Questo forse si riferisce al mistico che cade preda di illusioni di un tipo o dell'altro nel suo viaggio interiore e viene fuorviato. Il concetto potrebbe essere parallelo al termine indiano maya, “illusione”. Pertanto Akiva li avverte di non farsi prendere da questa illusione visiva poiché il Signore non tollererà la “falsità”.

Ben Azzai guardò e morì, forse nel senso di una morte fisica, poiché l'illuminazione spirituale era troppo potente e il suo corpo non poteva sopportarla. Tuttavia, era ancora considerato un hasid, un santo, quindi forse questo si riferiva alla sua trascendenza dal corpo fisico piuttosto che alla sua morte fisica. Si ritiene che Ben Zoma abbia perso la sanità mentale, poiché la sua mente non riusciva a gestire le visioni che aveva, tutte travolgenti e alcune terrificanti. Aher (che significa "altro" o eretico) era il nome dato a Elisha ben Abuyah, che fu consumato dai dubbi dopo la sua esperienza interiore, poiché pensava di vedere due poteri in cielo: Dio e l'angelo capo, Metatron (l'Enoch trasformato). Si dice infatti che egli tagliò i germogli degli alberi del re nel frutteto, metafora del dubbio che minava la sua fede. Solo Akiva entrò in pace e tornò in pace.

È Akiva che intraprende il viaggio mistico attraverso gli heikhalot e ritorna con la saggezza divina, una comprensione del mistero di Dio. Nel testo conosciuto come gli Heikhalot Minori, l'intero resoconto dell'ascesa di Rabbi Akiva nella merkavah è raccontato in dettaglio. È raffigurato mentre viaggia attraverso i sette reami celesti fino al trono divino, sul quale siede una figura divina di proporzioni astronomiche il cui corpo infinito è ricoperto dalle lettere dei nomi divini. Questa figura è chiamata Shiur Komah (Misura del Corpo), che è anche il nome di un antico testo mistico anonimo attribuito a Rabbi Akiva.[9] Attraverso questa metafora l'autore insegna che Dio è il Suo santo nome infinito che riempie l'intera creazione.

La descrizione dello Shiur Komah si basa su un'interpretazione mistica di diversi versetti del rotolo del Cantico dei Cantici nella Bibbia:

Il mio diletto è bianco e vermiglio,
riconoscibile fra mille e mille.
Il suo capo è oro, oro puro,
i suoi riccioli grappoli di palma,
neri come il corvo.
I suoi occhi, come colombe
su ruscelli di acqua;
i suoi denti bagnati nel latte,
posti in un castone.
Le sue guance, come aiuole di balsamo,
aiuole di erbe profumate;
le sue labbra sono gigli,
che stillano fluida mirra.
Le sue mani sono anelli d'oro,
incastonati di gemme di Tarsis.
Il suo petto è tutto d'avorio,
tempestato di zaffiri.
Le sue gambe, colonne di alabastro,
posate su basi d'oro puro.
Il suo aspetto è quello del Libano,
magnifico come i cedri.
Dolcezza è il suo palato;
egli è tutto delizie!
Questo è il mio diletto, questo è il mio amico,
o figlie di Gerusalemme.
Cantico 5:10-16

A causa della loro comprensione mistica di questi brani e, in effetti, dell'intero rotolo, Rabbi Akiva e i suoi seguaci insegnarono che il Cantico dei Cantici era la parte più sacra delle Scritture. La somiglianza tra la forma di Dio che Akiva vide nel suo viaggio interiore e la descrizione di Dio nel Cantico dei Cantici rivela perché tenesse in così alta stima questo testo biblico e perché lui e i suoi seguaci lo usassero nella loro pratica mistica.[10]

Prima che una persona potesse intraprendere la merkavah, doveva purificarsi. Doveva rinunciare a ogni tipo di comportamento negativo ed essere fedele a tutti i comandamenti esposti nella Bibbia e nel Talmud. Rabbi Hai Gaon (939–1038) scrisse dei prerequisiti per tentare la pratica della merkavah e delle tecniche di postura e concentrazione richieste.

« Potresti forse sapere che molti saggi sostengono che quando un uomo è degno e benedetto con certe qualità e desidera guardare il carro celeste e le sale degli angeli in alto, deve seguire determinati esercizi. Deve digiunare per alcuni giorni, deve mettere la testa tra le ginocchia sussurrando sottovoce a se stesso. . . certe lodi di Dio con la faccia verso terra. Di conseguenza guarderà nei recessi più intimi del suo cuore e gli sembrerà di vedere le sette sale con i propri occhi, spostandosi di sala in sala per osservare ciò che vi si trova. »
(Hai Gaon cit. in B. M. Lewin, cur. Otsar ha-geonim, 13 vols. (Jerusalem: 1928–62), vol. 4, pp. 13–15; citato in Jacobs, Schocken Book of Jewish Mystical Testimonies, p. 32)

Un discepolo di Hai Gaon commenta a nome del suo maestro che attraverso questa pratica, i mistici avevano una visione contemplativa della merkavah, nei recessi più intimi o “camera del loro cuore”. Dice: "Non salirono in alto ma piuttosto videro e contemplarono nella camera del loro cuore (ro’in ve-tsofin be-hadre libban) come una persona che vede e contempla qualcosa chiaramente con i suoi occhi, e udirono e parlarono con occhio che vede (eyn ha-sokheh) per mezzo dello spirito santo”.[11] In altre parole, secondo Hai Gaon, questi primi mistici portarono la loro attenzione, la loro mente, al loro “occhio che vede” – quello che nei tempi moderni è talvolta chiamato il “terzo occhio” – e penetrarono dentro di sé stessi fino a uno stato più elevato di coscienza dove avrebbero avuto la visione mistica.

I testi ci dicono che figurativamente “ascesero” o “discesero” nelle regioni spirituali su un carro fatto di luci, colori, suoni, musica e altre creature celestiali e non fisiche gloriose. Gli studiosi non sanno perché venisse spesso chiamata discesa – forse per umiltà, perché il praticante si preparava affinché lo splendore di Dio fluisse su di lui, piuttosto che ascendere al livello di Dio, cosa percepita come arroganza.[12] Il viaggiatore avrebbe attraversato diversi reami, chiamati palazzi o santuari (heikhalot), fino a raggiungere il livello più alto, la regione del trono. A volte il carro stesso diventava il trono, sul quale appariva la visione dell’“essere” o della presenza di Dio. Come il viaggio sul carro è anche il viaggio dentro se stessi in contemplazione nei "recessi più intimi del cuore", così il trono diventa la sede della propria anima.

Man mano che il meditatore avanzava, incontrava vari angeli, alcuni dei quali erano guardiani dei vari stadi. Ripeteva certe parole, formule o nomi di Dio, o dava loro un “sigillo” per ottenere l’accesso a quei reami. Il commentatore Rashi (XI secolo) dice che essi “ascesero al cielo per mezzo di un nome divino”, cioè utilizzando tecniche del nome.[13]

Sul trono sarebbe seduto Dio stesso o uno degli angeli. Durante il viaggio il meditatore veniva portato verso l'alto mentre ascoltava la bellissima musica degli angeli che cantavano inni di lode a Dio. In alcuni resoconti, erano le preghiere degli ebrei ad ascendere a Dio. Uno degli inni che il mistico avrebbe ascoltato era il passaggio biblico della visione avuta da Isaia di Dio seduto sul Suo trono celeste, circondato da angeli che cantavano: "Santo, santo, santo il Signore degli eserciti, tutta la terra è piena della sua gloria" (Isaia 6:3). Il pezzo potrebbe essere stato ripetuto dai mistici sotto forma di mantra durante la loro meditazione.

In queste visioni, Dio sedeva sul Suo trono e gli angeli gli ponevano la corona sulla testa. La corona era costituita dagli inni di lode cantati dagli angeli e dalle preghiere che salgono a Dio. Questa è una metafora poetica per la trasformazione del suono udibile e della musica (preghiera e inni) nella musica divina interiore o nel suono attraverso il trasporto spirituale al livello dello Spirito Santo. Anche i mistici delle tradizioni non-giudaiche hanno chiamato questo suono interiore e non sensoriale, la musica non ritmica, musica delle sfere e flusso di vita udibile. Alcuni mistici ebrei descrivono anche la corona come composta dai veri nomi di Dio, o dalle lettere dei nomi. Ciò allude alle pratiche di meditazione ebraiche di concentrazione sulle lettere e sui nomi di Dio, che si credeva ascendessero ai reami divini dove adornavano il Signore.

In alcuni resoconti la corona assume più importanza degli angeli. Diventa sempre più grande mentre ascende alla regione del trono più alta, diventando viva, per così dire. L'aumento della corona si riferisce alla fede nell'effetto teurgico delle preghiere sulla divinità stessa – come se le preghiere degli esseri umani, o la ripetizione dei nomi divini, avessero il potere di aumentare il potere divino o la divinità stessa: fornissero al meditatore le chiave del Portale sull'Infinito (Ayn Sof). La conoscenza di Dio che il mistico avrebbe acquisito nella sua visione di Dio sul trono e incoronato è spesso chiamata il segreto della divinità (sod ha-elohut).

Il Grande Heikhalot (Heikhalot rabbati) è il documento più importante del misticismo heikhalot e merkavah, e fu probabilmente scritto nel VI secolo da un mistico anonimo che usò il personaggio di Rabbi Ishmael per descrivere le sue esperienze interiori. Ishmael visse nel II secolo EV e fu uno dei primi rabbini che scrissero la Mishnah.

Rabbi Ishmael disse: Quale canzone dovrebbe essere cantata da chi desidera contemplare i misteri del carro, entrarvi in pace e ritornare in pace?
La più grande delle sue ricompense è che lo porta nelle stanze celesti e lo pone davanti al trono divino e diventa consapevole di tutti gli eventi futuri nel mondo: chi sarà abbattuto e chi sarà innalzato, chi sarà indebolito e chi chi sarà rafforzato, chi sarà impoverito e chi sarà reso ricco, a chi sarà decretata la morte e a chi la vita, a chi sarà tolta l'eredità e a chi sarà data l'eredità, chi sarà dotato di Torah e chi di saggezza.[14]

In un altro brano del Grande Heikhalot, quando Rabbi Ishmael porta la sua attenzione in uno stato meditativo, un angelo gli mostra una visione delle grandi sofferenze che colpiranno il popolo ebraico a causa delle persecuzioni romane degli ebrei. È molto turbato, ma poi un altro angelo gli racconta della liberazione definitiva da parte di un messia simboleggiato dal re Davide.

Gli dissi: Nobile, celeste maestà, forse non c'è più speranza per gli ebrei? Mi rispose: Amico mio, vieni e ti porterò nelle stanze nascoste della consolazione e della liberazione. Mi portò nelle stanze nascoste della consolazione e della liberazione e vidi gruppi di angeli che intrecciavano vesti di liberazione e fabbricavano corone e incastonavano in esse pietre preziose, e pestavano tutti i tipi di spezie e preparavano vini per i giusti nell'aldilà.
Vidi una corona particolarmente distinta; in essa erano posti il sole, la luna e dodici costellazioni. Gli dissi: Nobile, celeste maestà, per chi è questa speciale corona? Mi disse: È per Davide, re d'Israele. Gli dissi: Nobile, celeste maestà, mostrami l'onore dovuto a Davide. Mi disse: Aspetta, amico mio, tre ore, finché entrerà Davide, re d'Israele, e lo vedrai nella sua gloria.[15]

Rabbi Ishmael vede la luce interiore, che descrive come strisce di luce lampeggiante; poi vede vari tipi di angeli o esseri (ofanim o ruote, serafim o angeli, e le sante hayot o creature). Con un fraseggio poetico eloquente parla delle luci interiori come delle case del tesoro in cui è immagazzinata la neve, come nuvole di gloria, come le stelle, come fuoco fiammeggiante, come suono tempestoso e così via. Alla fine vede David indossare la più bella corona radiosa, a significare la luce divina che emana da lui. Davide siede sul trono di fuoco di fronte al trono di Dio.

« Dopo che Davide entrò nel Tempio celeste, trovò un trono di fuoco posto per lui, lungo quaranta miglia in altezza, due volte in lunghezza e due volte in larghezza. Davide si sedette sul trono di fronte al trono divino, davanti a lui sedevano tutti i re della casa di Davide e dietro di lui sedevano tutti i re del regno d'Israele. Allora Davide si alzò e cantò inni di lode a Dio, come nessuno al mondo aveva mai udito prima. Quando Davide cominciò e disse: “Il Signore regnerà per sempre”,l'arcangelo Metatron e il suo esercito angelico risposero: “Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti”, Le hayot offrirono lodi dicendo: “Sia lodato il Signore dal Suo posto." I cieli recitavano: “Il Signore regnerà per sempre”. La terra cantava: “Il Signore è Re, il Signore era Re”. Tutti i re della casa di Davide si unirono nel canto: “Il Signore sarà Re su tutta la terra”.
Rabbi Ishmael disse: Quando sono venuto e ho rivelato tutto questo dagli atti del trono della gloria, tutti i miei colleghi si sono rallegrati e hanno organizzato una giornata di festa. »
(Heikhalot rabbati 7:1–3)

Il mistico usa l'immagine degli angeli che cantano all'unisono e si rispondono a vicenda per esprimere la bellezza del suono che si sente dentro. Il canto angelico imita il suono dei leviti e dei sacerdoti che cantano inni di lode a Dio nel Tempio.

In un altro capitolo viene posta la domanda: qual è il segreto della merkavah?

« Com'è [conoscere il segreto della merkavah]? È come avere una scala in casa [e poterla salire e scendere a piacimento]. Ciò è possibile per chiunque sia purificato e mondo dall'idolatria, dalle offese sessuali, dallo spargimento di sangue, dalla calunnia, dai giuramenti vani, dalla profanazione del Nome, dall'impertinenza e dall'inimicizia ingiustificata, e che osserva ogni comandamento [biblico] positivo e negativo.
Rabbi Ishmael disse: Rabbi Nehuniah ben ha-Kanah mi disse: figlio dei Fieri, felice è lui e felice è l'anima di chiunque sia purificato e mondo da quegli otto vizi, perché Totarkhiel-YHWH, e Surya il suo servitore li disprezza. »
(Heikhalot rabbati 15:2–3)

Questi sono gli otto prerequisiti prima di poter intraprendere il viaggio della merkavah, che è paragonato al salire una scala. Rabbi Nehuniah (che fu uno dei primi rabbini dei tempi mishnaici) gioca un ruolo importante nelle Grandi Heikhalot come guida di Rabbi Ishmael. Figura anche in alcuni testi mistici successivi, quindi potrebbe essere stato un rinomato mistico dell'antichità. Gli angeli menzionati sono Totarkhiel-YHWH, che è considerato l'angelo principale e ha YHWH, il nome più santo di Dio, attaccato a lui, e Surya, che è chiamato l'angelo della presenza divina. Rabbi Ishmael esprime sgomento, poiché nessuno è esente da tutti questi vizi. Rabbi Nehuniah gli dà una via d'uscita, grazie alla quale i mistici possono ancora sperimentare i segreti dei reami superni e della creazione.

« Poi mi disse:... Va' e porta davanti a me tutti i membri coraggiosi del gruppo [havura] e tutti i potenti dell'accademia [yeshiva] affinché io possa recitare in loro presenza i segreti e i misteri che sono stati soppressi, [le] meraviglie e la tessitura del trattato da cui dipendono il miglioramento del mondo, il posizionamento [del mondo] sul suo cammino e l'abbellimento del cielo e della terra, poiché tutti i confini della terra e dell'universo e le estremità dei cieli superiori sono legate, cucite e collegate, dipendendo da essa [la conoscenza segreta]. E il sentiero della scala celeste, la cui estremità è sulla terra e l'altra estremità è in cielo, al piede destro del Trono di Gloria [dipende anche da questo]. »
(Heikhalot rabbati 16:1)

I mistici praticavano spesso la loro meditazione in un gruppo, chiamato havura, uno schema che sarebbe continuato lungo l'intero percorso della pratica mistica ebraica per molti secoli. Il brano successivo li descrive mentre si uniscono e Rabbi Nehuniah spiega il processo di ascesa e discesa della merkavah.

« Poi vennero i [seguenti uomini]: Rabban Simon ben Gamaliel, Rabbi Eliezer il Grande, Rabbi Elazar ben Damah, Rabbi Eliezer ben Shamua, Rabbi Yohanan ben Dahavai, Hananya ben Chanichai, Jonathan ben Uzziel, Rabbi Akiva e Rabbi Judah ben Baba . Noi [tutti] andammo e ci sedemmo davanti a lui mentre la massa dei compagni [haverim] si alzava in piedi, poiché videro che globi di fuoco e torce di luce formavano una barriera tra loro e noi. Rabbi Nehuniah ben ha-Kanah si sedette e mise in ordine per loro [l'intero gruppo] tutte le questioni della merkavah: la discesa in essa e l'ascesa, come discendere, chi dovrebbe discendere, come ascendere e chi dovrebbe ascendere. »
(Heikhalot rabbati 16:3, in Blumenthal, Understanding Jewish Mysticism, p. 60)

Rabbi Ishmael viaggia quindi attraverso i vari palazzi, o heikhalot, raggiungendo infine il settimo palazzo. In ogni palazzo mostra i suoi sigilli alle guardie alla porta. Al settimo palazzo deve mostrare il suo grande sigillo e la “fantastica corona” alle terrificanti guardie.

« Le guardie poi lo conducono davanti al Trono della Gloria. Portano davanti a lui tutti i tipi di musica e canti, e fanno musica e una sfilata davanti a lui finché non lo sollevano e lo fanno sedere vicino ai cherubim, vicino alle ruote [ofanim] e vicino alle sante hayot. Vede prodigi e potenze, maestà e grandezza, santità e purezza, terrore, mitezza e giustizia, allo stesso tempo.
Rabbi Ishmael disse: Tutti gli haverim [iniziati] paragonano questo a un uomo che ha una scala in mezzo alla sua casa, che sale e scende su di essa e non c'è creatura che lo fermi. Benedetto sei tu, Signore, Dio che conosce tutti i segreti ed è il Signore delle cose nascoste. Amen. Amen. »
(Heikhalot rabbati 22:2,3)

Leggiamo poi la travolgente descrizione dell’esperienza dell'iniziato al settimo palazzo. L'immagine dello splendore della luce proveniente dagli occhi delle sante hayot potrebbe essere un modo simbolico per descrivere la luce guizzante che egli cerca, come lampi di fulmini.

« Non appena quell'uomo [l'iniziato] implora di scendere alla merkavah, Anaphiel il principe apre le porte del settimo palazzo e quell'uomo entra e si ferma sulla soglia della porta del settimo palazzo e le sante hayot lo sollevano. Cinquecentododici occhi, e ciascuno degli occhi delle sante hayot è cavo come i buchi di un setaccio intrecciato di rami. Questi occhi sembrano fulmini e sfrecciano avanti e indietro. Inoltre ci sono gli occhi dei cherubim della potenza e le ruote della Shekhinah, che sono simili a torce di luce e fiamme di carboni ardenti.
Quest'uomo poi trema, si agita, si muove avanti e indietro, va nel panico, è terrorizzato, sviene e crolla all'indietro. Lo sostengono Anafiel, il principe, e sessantatré sentinelle delle sette porte del palazzo, e tutti lo aiutano e dicono: "Non temere, figlio della discendenza diletta. Entra e guarda il Re nella Sua magnificenza. Non sarai trucidato e non sarai bruciato". »
(Heikhalot rabbati 24:2,3)

Prorompe in un inno di lode, che è un acrostico dal ritmo ipnotico. Lo porta in uno stato di trance. Forse questo duplica una delle pratiche di ripetizione che creava la concentrazione necessaria per elevare la propria coscienza entrando nei reami interiori. L'inno è una ripetizione infinita di lodi a Dio come re.

« Re illustre, Re glorioso, Re magistrale, Re beato, Re eletto, Re luminescente, Re illustre, Re eroico, Re sublime, Re onnisciente, Re notevole, Re disciplinare, Re splendido, Re maestoso, Re opulento, Re eterno, Re aristocratico Re infinito, Re memorabile, Re degno, Re irradiante, Re vivente Re misericordioso, Re pio, Re prezioso, Re casto, Re giusto, Re stimato, Re redentore, Re stupefacente, Re adornato, Re adorato, Re comprensivo, Re comandante Re fervente, Re comprensivo, Re possidente, Re prospero, Re dorato, Re fedele, Re splendente, Re segreto, Re saggio, Re modesto, Re benevolo, Re paziente, Re abbellito, Re salvatore, Re virtuoso, Re gioioso, Re radioso Re, Re santificato, Re esoterico, Re lodato, Re venerato, Re compassionevole, Re moderato, Re attento, Re tranquillo, Re sereno, Re ornato, Re perfetto, Re solidale. Benedetto sia Lui.
Gli danno forza. Immediatamente suonano una tromba "al di sopra del firmamento che era sopra le teste delle hayot" (Ezechiele 1:25). E le sante hayot coprono i loro volti e i cherubim e le ruote girano il viso dall'altra parte e lui si alza in piedi, si gira e si pone davanti al Trono della Gloria. »
(Heikhalot rabbati 24:4,5)

Dio è un “re adorno e ornato di ricami di inni”. La descrizione dei canti degli angeli che segue, e l'amore e la devozione che li ispira a cantare questi inni, sembrano essere un tentativo di descrivere a parole la grande gloria e la meraviglia dell'esperienza della presenza ineffabile di Dio. I canti probabilmente hanno lo scopo di imitare la musica spirituale udita interiormente. Forse si trattava anche di frasi criptate utilizzate nelle pratiche di meditazione. Il testo di Heikhalot rabbati potrebbe essere stato utilizzato come manuale di meditazione oltre che come descrizione del viaggio interiore. Diamo di seguito un altro esempio di questi inni di lode.

Appena egli si trova davanti al Trono di Gloria, comincia a cantare l'inno che il Trono di Gloria recita ogni giorno: preghiera, lode, canto, benedizione, plauso, esaltazione, esultanza, apprezzamento, riconoscimento, vittoria, melodia, meditazione, omaggio, letizia, celebrazione, esultanza, adorazione, grazia, modestia, splendore, ingrandimento, fedeltà, giustizia; virtuoso, prezioso, decorato, valoroso, giubilante, euforico, superiore, contento, riposante, consolato, tranquillo, sereno, pacifico, benevolo, invincibile, apprezzato, avvincente, compassionevole, aggraziato, magnanimo, elegante, abbellito, adorato, venerato, misericordioso, luminescente, risplendente, privilegiato, brillante, fenomenale, coronato, scintillante, lungimirante, ansioso, miracoloso, liberatorio, profumato, illuminante, reale, riparatore, audace, dinamico, grandioso, prezioso, potente, imponente, valoroso, piacevole, maestoso, splendido, coraggioso, eroico, santificato, casto, puro, orgoglioso, eminente, magnifico, regale, dignitoso; onore e splendore ad Harariel-YHWH, Signore d'Israele, un Re che è adornato e ornato con ricami di inni, Colui che è abbellito nello splendore, stimato in gloria, riverenza e bellezza, abbondante in maestà, una corona tremenda il cui nome è a Lui dolce e il cui ricordo è gradito, e una bella corona. A Lui rendono grazie. Egli è squisito e il Suo palazzo Lo glorifica. I Suoi servitori Gli cantano in modo gradevole, e i giusti [cantano piacevolmente] della Sua potenza e dei Suoi prodigi:

Re del re dei re, Dio degli Dei e Signore dei Signori,
Che è circondato da catene di corone,
Che è circondato dal gruppo dei governanti lo splendore,
Che copre i cieli con l'ala della Sua magnificenza,
E nella Sua maestà apparve dall'alto,
Dalla Sua bellezza si accendono gli abissi,
E dalla Sua statura sprizzano scintille nei cieli.
La Sua statura fa risaltare gli eccelsi,
E la Sua corona risplende sui potenti,
E la Sua veste scorre con il prezioso.
E tutti gli alberi si rallegreranno della Sua parola,
E le erbe esulteranno nella Sua gioia,
E le Sue parole scenderanno come profumi,
Scorrendo in fiamme di fuoco,
Donando gioia a chi le cerca,
E serenità a coloro che le realizzano.

Heikhalot rabbati 25:1

Seguono descrizioni sempre più poetiche dell'amore, della grandezza e della perfezione di Dio. È un peccato non poterli includere qui, ma queste citazioni danno un buon esempio del tipo di pratica mistica in cui erano impegnati questi havura di rabbini.

I rotoli di Nag Hammadi scoperti in una grotta in Egitto nel 1945 rivelano che c'erano alcune influenze reciproche e prestiti tra il misticismo della merkavah e l'antico gnosticismo. Ma non è noto se i mistici stessi si siano mai incontrati. La paura delle “eresie” gnostiche tra i cristiani diede l'impulso alla soppressione delle pratiche mistiche nel cristianesimo, e si pensa che la stessa atmosfera di repressione e segretezza influenzò anche l'atteggiamento ebraico nei confronti di queste pratiche mistiche. Gershom Scholem, considerato il più grande studioso ebreo di misticismo del XX secolo, spiega perché prevaleva un clima di segretezza:

« We are dealing with organized groups which foster and hand down a certain tradition: with a school of mystics who are not prepared to reveal their secret knowledge, their “Gnosis,” to the public. Too great was the danger, in this period of ubiquitous Jewish and Christian heresies, that mystical speculation based on private religious experience would come into conflict with that “rabbinical” Judaism which was rapidly crystallizing during the same epoch. The Greater Heikhalot show in many and often highly interesting details that their anonymous authors were anxious to develop their Gnosis within the framework of halakhic [legal] Judaism, notwithstanding its partial incompatibility with the new religious spirit; the original religious impulses active in these circles came, after all, from sources quite different from those of orthodox Judaism. »
(Scholem, Major Trends in Jewish Mysticism, p. 47)

Tuttavia, gli insegnamenti si diffusero, attraverso i viaggi di persone e manoscritti. È noto che copie dei testi heikhalot e degli scritti dei mistici merkavah furono portati da Babilonia in Italia e Germania nell'VIII e IX secolo, dove avrebbero ispirato altri lignaggi di mistici ebrei.

Sefer Yetzirah

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La "Ruota della Creazione" illustrata nel Sefer Yetzirah; essa contiene una sequenza numerica di 3-7-12[16] nascosta nelle lettere dell'alfabeto ebraico
 
Frontespizio dell'edizione sfogliabile dello Sefer Yetzirah su Commons
  Per approfondire su Wikipedia, vedi la voce Sefer Yetzirah.

Sefer yetsirah (Il Libro della Formazione) è una delle opere più importanti del misticismo ebraico, sebbene sia molto breve e criptica: solo duemila parole in tutto. Il libro fu probabilmente scritto nel I o II secolo EV (anche se alcuni studiosi lo datano addirittura al IX secolo) da un mistico ebreo anonimo che voleva presentare un'alternativa mistica alla storia della creazione della Genesi. Fornisce anche la logica concettuale dietro l'uso delle lettere e dei nomi nell'ascesa mistica.

L'autore spiega che la creazione avvenne attraverso trentadue percorsi, costituiti dai dieci numeri e dalle ventidue lettere dell'alfabeto ebraico, che derivano tutti dalla Sapienza, che è il nome, la parola o l'espressione primordiale e inesprimibile. È questo spirito che da solo permea tutti i mondi della creazione e dà loro la vita. Questi sono anche i percorsi attraverso i quali si può tornare a Dio e raggiungere l'unione e la conoscenza divina. Collegano il divino con l'umano e l'umano con il divino. A volte questo viene spiegato come il flusso dell'energia divina dal Nulla (ayin, oltre la sostanza, lo spirito) all'Essere (yesh, la sostanza, l'essere fisico); l’inverso del flusso è l'ascesa del mistico dal livello dell’Essere al Nulla.

Con trentadue percorsi mistici della Saggezza incisi Yah [17]
il Signore degli eserciti
il Dio d'Israele
il Dio vivente
Re dell'universo
El Shaddai
Misericordioso e Gentile
Alto ed Eccelso
Dimorante nell'eternità
Il cui nome è Santo –
È eccelso e santo –
E ha creato il Suo universo
Con tre libri [sefarim], vale a dire:
con testo [sefer]
con numero [sefar/cifra]
e con la narrazione/comunicazione [sippur].[18]

Tramite un gioco di parole con la radice ebraica s-f-r, afferma che il Signore ha creato l'universo attraverso tre “libri” o dimensioni: lettere, numeri e narrazione. La narrazione suggerisce il flusso o l'immanenza della volontà divina nella creazione, come nel brano dei Salmi, “E i cieli raccontano (mesaprim) la gloria di Dio” (19:1). Sono impliciti anche altri aspetti del significato di s-f-r: sfere o dimensioni, e la luminosità dello zaffiro (sapir), usato nella Bibbia per trasmettere il senso di luce spirituale.

Ventidue
lettere di fondazione:
Le ha incise, le ha scolpite,
Le ha permutate, le ha pesate,
Le ha trasformate,
E con loro, Egli ha raffigurato tutto ciò che si era formato
e tutto ciò si sarebbe formato. [19]

Egli [Dio] fece un patto [con Abramo]
tra le dieci dita delle sue mani,
E questa è la lingua santa [la lingua ebraica].
Legò le ventidue
lettere sulla sua lingua,
E il Santo Benedetto gli rivelò il loro mistero:
Le disegnò nell'acqua,
le accese con il fuoco,
le agitò col fiato,
le bruciò con i sette pianeti,
e le diresse con le dodici costellazioni
[i segni dello zodiaco].[20]

Si riteneva che l'alfabeto e i numeri ebraici avessero una fonte divina. Ogni lettera ha la sua controparte sul piano spirituale; la lettera fisica è un accenno ad una particolare vibrazione spirituale. Pertanto, il linguaggio umano è un riflesso inferiore del “linguaggio”, della parola o dell’espressione divina astratta attraverso la quale ha avuto luogo la creazione. ("E Dio disse: Sia la luce", come afferma Genesi 1:3, per esempio). L'alfabeto ebraico che possiamo vedere o parlare nasconde e allude a una forma spirituale più elevata di quelle lettere e numeri. In questo modo criptico, il Sefer yetsirah spiega la fonte divina del linguaggio: che ogni lettera e numero nella sua “forma” spirituale e immateriale è correlata al linguaggio umano.[21]

Ciò che è potente e importante è che attraverso questo simbolismo l'autore non sta solo descrivendo come l'essere divino ha portato alla luce la creazione attraverso la sua “espressione” di lettere o suoni spirituali o causali (archetipici). Ci sta anche informando che le lettere fisiche forniscono una connessione con la realtà superiore e possono fornire un percorso che riconduce ad essa. Meditando sulle lettere o sillabe ricavate dalle lettere si credeva che ci si potesse connettere con la vibrazione più alta o fonte spirituale delle lettere. La decostruzione dei nomi nelle lettere che li compongono era un modo per elevarsi oltre il significato, oltre il linguaggio fisico.

Più tardi, il Ba’al Shem Tov, il primo dei maestri chassidici del XVIII secolo, insegnò che "in ogni lettera ci sono mondi, anime e divinità", e che è necessario creare un'apertura o una finestra nelle lettere fisiche attraverso le quali la luce spirituale può risplendere e consentire di raggiungere lo spirituale.[22]

I rabbini adottarono questi metodi per ascendere dal linguaggio fisico al reame spirituale, decostruendo e ricombinando le lettere dei vari nomi di Dio e meditando sulle combinazioni e permutazioni. Mediante queste tecniche, raggiungevano la concentrazione e sperimentavano vari gradi di trasporto mistico, come abbiamo visto con i mistici merkavah.

In termini che sembrano una continuazione diretta del Sefer yetsirah ma scritti diciannove secoli dopo, anche un altro maestro chassidico, Meshulam Feibush di Zbarazh, scrive della connessione e della relazione tra le tecniche delle lettere usate dai mistici e il potere creativo di Dio:

« Quando un essere umano richiama le lettere, egli scuote la vitalità superiore. E quando si attacca totalmente nella sua mente al Nome, benedetto sia Lui, rianima la vitalità che è stata emanata dal Pensiero più alto finché non è pronta per essere pronunciata e messa nella bocca dell'umano, e attraverso le parole della preghiera desidera ardentemente il nome, benedetto sia Lui, e con esso fa risalire le lettere alla loro fonte. »
(Likutim yekarim, 132b, cit. in Elior, Jewish Mysticism, p. 110 - mia trad)

Il Sefer yetsirah contribuì allo sviluppo di un vocabolario e di una terminologia mistici che avrebbero avuto un profondo impatto sulle generazioni successive. Il termine sefirot in tutti i suoi significati divenne la pietra angolare del simbolismo cabalistico. Gli insegnamenti dei mistici successivi furono spesso presentati sotto forma di commentari al Sefer yetsirah.

  Per approfondire, vedi Serie misticismo ebraico, Serie delle interpretazioni e Serie maimonidea.
  1. Neusner, There We Sat Down, p. 95.
  2. Cohen, 'From the Maccabees to the Mishnah, p. 201.
  3. Neusner, There We Sat Down, p. 85.
  4. Neusner, There We Sat Down, pp. 86, 102.
  5. I rabbini erano scontenti dell’“uso” o “abuso” di questi nomi per scopi magici; da qui il divieto.
  6. Come citato nel Talmud, in Tractate Berakhot 55a, riportato in Trachtenberg, Jewish Magic and Superstition, p. 82. Cfr. anche la sezione su Sefer yetsirah, pp. 202–205.
  7. Trachtenberg, Jewish Magic and Superstition, p. 90.
  8. Jacobs, Schocken Book of Jewish Mystical Testimonies, p. 32.
  9. Nella successiva letteratura mistica ebraica, la figura dello Shiur Komah appare come il cherubino o angelo divino, la gloria “visibile” seduta sul Trono divino (la gloria “invisibile”). Egli è il progetto dell'uomo, l'“immagine di Dio” nella quale l'uomo è stato creato; l'Adam Kadmon (l'Adamo primordiale); la Causa Prima che contiene con sé l'intera creazione. È identico a Metatron, la figura la cui visione suscitò dubbi in Elisha ben Abuyah nel suo viaggio interiore, quando pensò di aver assistito a due poteri in cielo. In parte della letteratura mistica ebraica è identificato con il proprio sé spirituale – il proprio potenziale divino.
  10. Cfr. Talmud, Mishnah Yadayim, 3:5.
  11. Nathan ben Yehiel, Sefer he-arukh: Aruch Completum 1:14, cit. in Wolfson, Through a Speculum That Shines, p. 146. Secondo Wolfson, nel suo studio dettagliato sulla natura delle esperienze visionarie tra i mistici ebrei, Hai Gaon paragonò questa visione mistica alla natura della profezia in generale.
  12. Un'altra spiegazione per l'uso del termine "discesa" deriva da una possibile influenza dei mistici greci del VI secolo AEV, che registrarono la loro discesa negli inferi su un carro, dove furono accolti da varie dee. Altri ipotizzano che ascesa e discesa significhino diverse tecniche di meditazione.
  13. Jacobs, Schocken Book of Jewish Mystical Testimonies, p. 30. Rashi tradusse pardes con cielo, sebbene il significato sia più strettamente giardino o frutteto.
  14. Heikhalot rabbati 1:2–5, in Bokser, Jewish Mystical Tradition, p. 57 – mia trad.
  15. Heikhalot rabbati 6:3–5, in Bokser, Jewish Mystical Tradition, p. 59 – mia trad.
  16. Come evidente nel testo in questione 3 richiama Abba, Ima..., rappresentanti Adam Kadmon; 7 è lo Shabbat: l'anno, testimone ipostatico assieme al mondo ed all'uomo; infine 12 è il numero delle tribù d'Israele.
  17. Yah è la forma abbreviata di YHWH; El Shaddai è un altro nome di Dio.
  18. Sefer yetsirah 1:1, in Sefer Yetzirah, Kaplan, cur., p. 5 - mia trad.
  19. Sefer yetsirah 2:2, in Sefer Yetzirah, Kaplan, p. 100 - mia trad.
  20. Sefer yetsirah 6:8, in Sefer Yetzirah, versione lunga, Kaplan, p. 281 - mia trad.
  21. Vale la pena notare che esiste una credenza parallela riguardo alle cinquantadue lettere dell'alfabeto sanscrito. Ogni lettera è associata ad un suono spirituale e non fisico. Nei centri spirituali attraversati interiormente in un viaggio mistico, il mistico vede fiori di loto composti da vari numeri di petali. Ad ogni petalo del loto è associata una lettera unica. Si ritiene che la creazione sia avvenuta attraverso le lettere.
  22. Ba’al Shem Tov, in Tsava’at harivash (il testamento del Besht) §75, cit. in Elior, Jewish Mysticism, p. 107.
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