Ispirazione mistica/Capitolo 10

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Frontespizio del Bahir, edizione del 1651

Medioevo: la Prima Cabala

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Il Bahir

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Negli ultimi anni, il movimento spirituale chiamato Cabala si è diffuso a livello globale ed è diventato popolare come percorso verso l'illuminazione. Il termine cabala, cabbala, qabbaláh, kabbalah (קַבָּלָה, letteralmente "ricevuta", "tradizione") significa infatti “ricevere”, implicando un insegnamento che è stato ricevuto o trasmesso di generazione in generazione. Ebbe origine nella Provenza del XII secolo, nel sud della Francia, con la comparsa di un'opera breve e anonima chiamata Sefer ha-bahir (Libro dello splendore). Il Bahir offre un'affascinante rappresentazione della natura di Dio, dell'anima e della creazione attraverso un simbolismo opaco incapsulato in brevi racconti e parabole.

La paternità del Bahir ha sconcertato gli studiosi per decenni, e anche oggi esistono solo teorie su come sia stato scritto e da chi. Alcuni lo considerano una versione stranamente troncata o mutilata di un testo molto più lungo, forse assemblato in ordine errato. Oggi molti studiosi ritengono che sia stato scritto in Provenza alla fine del XII secolo da uno o più mistici che rimodellavano materiali più antichi alla luce delle proprie esperienze spirituali, utilizzando una terminologia e un quadro concettuale tratti dallo gnosticismo dell'antichità e dalla filosofia neoplatonica. Si pensa che alcuni pezzi abbiano avuto origine a Babilonia nel IX e X secolo.

Lo studioso e cabalista ortodosso Aryeh Kaplan ha proposto un'origine diversa. Egli ritiene che la paternità del libro, o almeno alcuni dei suoi strati, provenga dalla cerchia del leggendario rabbino Nehuniah ben ha-Kanah, studioso del Talmud che fu discepolo di Rabbi Akiva nel secondo secolo. (Il suo nome significa "figlio del bastone" – il bastone è una metafora comune per il profeta o il leader messianico negli scritti profetici tardivi). Nel testo del Grande Heikhalot del periodo merkavah, uno dei discepoli di Rabbi Nehuniah descrive come il suo maestro lo guidò attraverso i reami superiori, insegnandogli i palazzi celesti e impartendogli il segreto dei nomi degli angeli a guardia delle loro porte. Kaplan scrive:

« A clear picture emerges of Rabbi Nehuniah as a master of the mystical arts and teacher of his entire generation. In one place, the Heikhalot describes how he taught the correct method for projecting oneself into the supernal universes. Sitting before him as disciples were the luminaries of his time: Rabbis Simon ben Gamaliel, Eliezer the Great, Akiva, Jonathan ben Uzziel, and many others. When there was a decree to kill the sages, it was Rabbi Nehuniah who ascended to heaven to ascertain the reason. »
(Aryeh Kaplan, trad., Bahir, p. xii)

Il nome di Nehuniah ricorre una sola volta nel Bahir, nel primo passo, in un messaggio velato per mantenere la segretezza degli insegnamenti discussi nel libro. Altrove nel testo si fa riferimento a un Rabbi Amorai. Storicamente non esisteva alcun Rabbi Amorai, ma poiché Amorai significa “oratori”, Kaplan conclude che questo fosse uno pseudonimo di Nehuniah. Altri importanti saggi menzionati nel testo furono Rabbi Rahumai e Rabbi Berakhia. Rahumai divenne il maestro del circolo dopo la morte di Nehuniah e Berakhia succedette a Rahumai. Secondo Kaplan, la scuola mistica di Nehuniah fu attiva durante tutto il periodo talmudico.

È significativo notare che chiunque fosse l'autore, questi utilizzò la formula del maestro nella discussione con il suo gruppo di discepoli come veicolo per spiegare la trasmissione dei suoi insegnamenti esoterici. Non si limita a pubblicare i principi che vuole trasmettere con il libro, ma li mette in bocca a un gruppo di mistici – grandi rabbini e mistici di epoche precedenti – alcuni reali, altri leggendari e altri forse immaginari. Questa era una tecnica comune nella letteratura spirituale dell'antichità, che probabilmente ebbe origine come un modo per evitare un controllo eccessivo degli insegnamenti che avrebbero potuto essere considerati eretici e per dare a questi testi la legittimità della tradizione. Era anche un modo per preservare la segretezza degli insegnamenti considerati pericolosi per le persone spiritualmente immature.

Esaminando il Bahir, ciò che risalta è l'uso di parabole e allegorie con un cast di personaggi che si ripete: il re, la regina, la principessa, il principe, il palazzo, il regno e così via. Troviamo anche nel Bahir, per la prima volta nell'ebraismo, una divisione della divinità in polarità maschile e femminile; così la Shekhinah, sinonimo della gloria come proiezione del potere divino, è ora chiaramente femminile. È ritratta come una principessa, la “figlia del re dal lato della luce”.

What is the meaning of “from its [the glory’s] place”? [1]
Because no one knows its place.
This is like a princess who came from afar, and nobody knew where she came from.
When they saw that she was a fine lady, beautiful, and just in all that she did, they said:
“She undoubtedly was taken from the side of the light, for her deeds give light to the world.” [2]
Then they asked her: “Where are you from?”
She answered: “From my place.”
They said: “If so, the people of your place must be great! Blessed are you and blessed is your place!” [3]

Una rivelazione importante ma semplice nel Bahir è che mentre le persone dicono di voler trovare Dio, non Lo cercano dove risiede, cioè dentro di loro. Questo è affermato in modo criptico:

« La gente vuole vedere il Re, ma non sa nemmeno dove trovare la Sua casa. Per prima cosa [devono] chiedere: “Dov’è la casa del Re?” Solo allora potranno chiedere: “Dov’è il Re?” »
(Bahir, §4, in Kaplan, Bahir, p. 2)

Altrove nel Bahir apprendiamo che il cuore ha “trentadue sentieri di sapienza” nascosti al suo interno.[4] Nel misticismo ebraico, il concetto dei trentadue sentieri è una rappresentazione simbolica delle fasi del viaggio spirituale verso la comprensione di Dio. Il numero 32 deriva dai 10 numeri e dalle 22 lettere dell'alfabeto ebraico. La sapienza, o hokhmah, è un riferimento alla parola divina, la proiezione della volontà di Dio. Quindi ci sono trentadue sentieri di sapienza dentro sé stessi, che conducono all'esperienza di Dio.

Altri simboli importanti usati nel Bahir, che potrebbero avere un'origine gnostica, sono l'albero vivificante e il Tutto (ebraico: malei, pienezza). Dan infatti commenta che il Tutto è una traduzione letterale del greco pleroma (gr. πληρωμα), che contiene tutto ed è la fonte di tutto. È da dove tutto emana ed è il reame spirituale più alto. Da esso le anime scendono sulla terra e alla fine vi ritornano. Da esso emanano in sequenza i poteri divini o gli stadi della Sua volontà. Man mano che si sviluppava il simbolismo della Cabala, per queste emanazioni veniva usato il termine sefirot.[5] Nel Bahir, questi poteri sono più frequentemente chiamati ma’amarot (espressioni) o midot (qualità) di Dio.

Sono Io che ho piantato quest'albero affinché tutto il mondo se ne diletti. E in esso ho diffuso Tutto. L'ho chiamato Tutto perché tutto dipende da esso, tutto emana da esso e tutti ne hanno bisogno. A lui guardano, a lui aspettano, e da lui le anime volano gioiose. Ero solo quando l'ho fatto. Che nessun angelo si alzi al di sopra di esso e dica: “Io ero prima di te”. Io ero solo anche quando ho steso la mia terra, nella quale ho piantato e radicato quest'albero. Li ho fatti rallegrare insieme, e ho gioito in loro.[6]

Rabbi Rehumei disse: Da quello che dici, il Santo, sia Egli lodato, si può dedurre che ciò che era necessario per questo mondo, fu creato prima dei cieli? Gli disse: Sì. A cosa si può paragonare questo? Ad un re che voleva piantare un albero nel suo giardino. Cercò in tutto il giardino una sorgente con acqua corrente per nutrirlo, ma non riuscì a trovarne una. Poi disse: “Scaverò l’acqua e farò uscire una sorgente per nutrire l’albero”. Scavò e fece scaturire una sorgente dove scorre acqua viva, poi piantò l'albero, che portò frutto. Fu radicato con successo, perché le radici venivano sempre annaffiate dalla sorgente.[7]

E cos'è quest'albero di cui parli? Gli disse: Si riferisce ai poteri del Santo Benedetto, in ordine graduale, uno sopra l'altro; e sono come un albero. Come un albero, quando è annaffiato, porta frutto, così il Santo, per mezzo dell'acqua, accresce i poteri dell'albero. E qual è l'acqua del Santo Benedetto, sia Egli lodato? È sapienza. E ciò si riferisce anche alle anime dei giusti. Volano dalla sorgente al grande canale, ascendono e si attaccano all'albero.[8]

Un altro principio introdotto dal Bahir è la reincarnazione, che sarà sviluppata più pienamente nella Cabala successiva. Sebbene l'argomento sia discusso solo brevemente nei testi rabbinici precedenti, è accennato nella mishnah rabbinica Pirkei Avot (Etica dei Padri) quasi nello stesso linguaggio del Bahir, che dice:

« Perché c'è una persona giusta che gode del bene e c'è una persona giusta che soffre l'afflizione? È perché in quest’ultimo caso quella persona giusta era precedentemente malvagia, e ora sta subendo la punizione... Non mi riferisco a misfatti avvenuti nel corso della vita della persona. Mi riferisco al fatto che quella persona preesisteva prima della sua vita presente... Per quanto tempo ciò va avanti? Disse loro: Per mille generazioni. »
(Bahir, §195)

Primi cabalisti in Provenza e Gerona

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Nello stesso periodo in cui i hasidim tedeschi condividevano i loro insegnamenti esoterici con i seguaci che vivevano nel nord Europa, ci fu un fiorire di attività mistica nelle grandi accademie talmudiche della Provenza. Narbonne, Posquieres e Lunel sono alcune delle città in cui gli ebrei si riunivano per studiare la Bibbia, il Talmud e altri testi dell'antichità e perseguire il percorso mistico. Gli studiosi non sanno ancora cosa scatenò questo intenso fermento mistico tra studiosi giuridici e biblici altamente rispettati come i rabbini Abraham ben David, Jacob di Lunel, Isaac il Cieco e Yehuda ben Yakar, ma ipotizzano che ci fosse una confluenza unica di interessi mistici e intellettuali, nonché influenze culturali che crearono il terreno giusto per la crescita di questo straordinario movimento.

Per prima cosa, i testi heikhalot, che raccontavano i viaggi mistici interiori delle precedenti generazioni di mistici merkavah, erano disponibili a questi studiosi grazie agli Hasidei Ashkenaz, che avevano anche diffuso il simbolismo delle glorie (kavod) nascoste e visibili e del cherub speciale, come anche le loro pratiche intensive di preghiera mistica e teurgia. In secondo luogo, l'arrivo del Bahir in Provenza iniettò il concetto rivoluzionario di un'emanazione dinamica e continua della potenza creativa dalla Divinità nascosta nella creazione materiale, simboleggiata dalle sefirot. E nel Bahir, la concezione di Dio cambiò da un potere strettamente patriarcale ad incorporare qualità sia femminili che maschili. Questi elementi sono alla base della teosofia cabalistica così come si sviluppò da quel momento in poi.

Fino a poco tempo fa, la maggior parte degli studiosi, tra cui Scholem e Dan, credevano che la comparsa della Cabala nel XII secolo "might best be regarded as an eruption of gnostic attitudes in the heart of rabbinic Judaism of southern Europe. But where did these gnostic symbols come from? How did they suddenly appear in the late twelfth century after languishing for more than a millennium in the labyrinths of obscure and largely ignored heikhalot and merkavah texts?"[9] Gli studiosi contemporanei di storia spirituale ebraica, tuttavia, riconoscono che quegli elementi di “gnosticismo” non sono estranei all'ebraismo, emergendo dal nulla. Sono aspetti di un lato mitico e nonlineare della vita ebraica che persisteva fin dall'antichità, forse anche prima, accanto a quello rabbinico e razionalista, nonostante i tentativi di repressione da parte delle autorità rabbiniche.

Resta però ancora la questione: perché la Cabala è apparsa in quel momento, perché questo lato mitico dell'ebraismo venne alla luce proprio in quel momento? Sembrerebbe che ci debba essere stata un'influenza esterna ad innescare un cambiamento epocale nell'orientamento spirituale ebraico che avrebbe consentito di bilanciare la dimensione intellettuale e rabbinica con quella mistica. Diversi importanti studiosi hanno ipotizzato che la stretta vicinanza dei catari ai primi centri della Cabala in Provenza avrebbe potuto fungere da catalizzatore. I catari, una setta le cui origini sono spesso legate agli gnostici manichei dell'Iran e ai bogomili della Bulgaria, erano piuttosto influenti a quel tempo, nonostante i tentativi di repressione da parte della Chiesa cattolica. Gershom Scholem sottolinea che lo stile di vita di rinuncia e di scrupolosa onestà dei catari, la loro condanna del clero corrotto e la loro visione mistica di Dio e della creazione avrebbero potuto creare uno stato d'animo e un'atmosfera che avrebbe risuonato con le tendenze mistiche ebraiche e convalidato molte degli elementi negli antichi documenti esoterici. E sebbene non siano state trovate influenze dirette in termini dprecisi i terminologia o dottrina, alcuni studiosi presumono che ci sia stata una sorta di rafforzamento e apprezzamento reciproco.[10]

Scholem scrive delle possibili influenze incrociate dei catari e di altri mistici cristiani con i primi cabalisti:

« The revival of mythical elements in the faith of the Cathars has been noted by many scholars. In this regard, one can perhaps speak of a common mood. In the early phases of the Kabbalah, one also sees a religious movement that transcends the boundaries separating Judaism from Christianity and breathes new life into such elements. This tendency gained strength in certain circles of Provençal and, later, Spanish kabbalists, up until the Zohar. There is no uniform and simple answer to the question of the origin of these elements. . . . On the other hand, we must take into consideration the possibility of one-way [Cathar-Jewish] influence, or a reciprocal influence of Cathar and Jewish ascetics upon one another. »
(Scholem, Origins of the Kabbalah, p. 238)

Come vivevano i mistici? Rinuncianti e asceti

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I primi cabalisti apportarono un'intensità particolare alla trasmissione della pratica mistica e si riferivano consapevolmente ai loro insegnamenti come Cabala. Erano conosciuti tra loro come mekubalim (letteralmente "coloro che avevano ricevuto gli insegnamenti", cioè gli iniziati), e sembravano uniti da un comune senso di dedizione al percorso mistico, ai segreti che condividevano.

Che tipo di vita vivevano questi mistici? I mistici della Provenza erano studiosi della Torah e del Talmud; molti vivevano come rinuncianti, chiamati perushim (sing. parush, che significa letteralmente separato, dedicato), nome dato nella Mishnah agli studiosi che si dedicavano esclusivamente allo studio della Torah. Erano chiamati anche nezirim (sing. nazir, che significa nazareo, asceta), termine biblico per indicare coloro che si dedicavano al Tempio o a Dio.[11] Sembravano costituire un sottogruppo dedito alla vita religiosa e mistica. Infatti, alla fine del XII secolo o all'inizio del XIII secolo fu approvata una legge che autorizzava le comunità a "nominare studiosi la cui vocazione è quella di occuparsi incessantemente della Torah, in modo che la comunità possa adempiere al dovere dello studio della Torah, e in affinché il regno dei cieli non subisca perdite, . . . e questo distacco [dagli affari mondani] conduce alla purezza".[12]

Naturalmente, lo studio della Torah per questi mistici significava qualcosa di più della semplice lettura e ripetizione delle Scritture; attribuivano equivalenze simboliche e mistiche alle narrazioni e alle personalità della Bibbia e investivano i suoi mitsvot (comandamenti) di importanza mistica. Praticavano anche la contemplazione interiore del mistero di Dio meditando sulle varie qualità di Dio e sui Suoi santi nomi. Questi perushim vivevano uno stile di vita puro, alcuni si astenevano almeno dal mangiare carne e dal bere alcolici. Scholem scrive dell'ambiente che alimentò il fenomeno dei perushim e traccia paralleli con il monachesimo cristiano, i catari (anche loro non mangiavano carne) e il hasidismo ashkenazita:

« The origin of the perushim is, rather, connected with the religious enthusiasm that gripped France in the twelfth century, finding expression in the Jewish milieu as well as in the surrounding Christian world, including the reform movements and their religious heresies. Naturally, the very choice of words already reflects the spirit of asceticism that characterized the period. These perushim took upon themselves the “yoke of the Torah” and completely detached their thoughts from the affairs of this world. They did not engage in commerce and sought to attain purity. The similarities between this phenomenonand Christian monasticism on the one hand and the condition of the perfecti or bonshommes among the Cathars on the other, are especially striking. . . . What is important for us is the existence of a stratum within society that by its very definition and vocation had the leisure for a contemplative life. It goes without saying that such a stratum could give rise to men with mystical tendencies. »
(Scholem, Origins of the Kabbalah, pp. 229–230)

Jacob il Nazarita di Lunel fu solo il primo ad essere menzionato nelle prime fonti cabalistiche come rappresentante di una tradizione o lignaggio mistico. Nel 1165, Rabbi Asher ben Meshulam ha-Parush fu descritto dal famoso viaggiatore Beniamino di Tudela come qualcuno "che si è ritirato dagli affari del mondo e che dedica giorno e notte allo studio, pratica l'ascetismo e non mangia carne".[13]

Isaac il Cieco, noto come Sagi Nahor (che letteralmente significa "ricco di luce"), era il principale discepolo di suo padre, Rabbi Abraham ben David, uno dei principali studiosi e mistici di Posquieres, conosciuto con l'acronimo del suo nome, come il Rabad. Isaac aveva la reputazione di essere in sintonia spirituale, capace di vedere la condizione dell'anima di una persona e leggere i suoi pensieri. Secondo la tradizione Isaac era cieco dalla nascita. Tuttavia, alcuni studiosi moderni ritengono che non possa essere nato cieco perché i suoi scritti utilizzano immagini visive e cromatiche evocative. È possibile che le sue descrizioni indichino vivide esperienze spirituali interiori. È anche possibile che la sua cecità possa essere stata un riferimento al suo essere cieco alle distrazioni della vita, al mondo materiale, e che avesse una visione chiara dei reami spirituali.

Isaac fu il primo cabalista “a tempo pieno” di cui siamo a conoscenza, ed era considerato il mistico fondamentale del suo periodo. Apparteneva senza dubbio al gruppo dei perushim, poiché lui e i suoi discepoli sostenevano la vita del rinunciante per chiunque cercasse di rafforzare il proprio impegno spirituale. Nel suo commentario al Sefer yetsirah, elogiò il discepolo “che rinuncia alle sue [altre] qualità e si dedica esclusivamente al pensiero, combinando tutto nel pensiero, elevando il pensiero e abbassando il corpo, per dare così il predominio alla propria anima”.[14]

Naturalmente, una vita pura, disciplinata e devota fu importante per i mistici in tutta la storia ebraica – dal periodo della merkavah, agli Hasidei Ashkenaz, e continuando attraverso lo sviluppo della Cabala come percorso mistico – anche se le forme o i requisiti particolari variavano a seconda dei diversi periodi. Un termine comune per indicare il gruppo di discepoli con il loro maestro era havura o hevra, e i membri erano chiamati compagni, haverim. Dovevano trattarsi a vicenda con amore, come membri di una famiglia, e avevano il dovere di aiutarsi a vicenda in tutti gli aspetti della vita. Isaac Luria nel XVI secolo sottolineò soprattutto l'importanza di relazioni amorevoli tra i suoi discepoli.

Per i cabalisti di tutti i periodi, i prerequisiti per una vita spirituale includono un alto livello di integrità morale, compassione per gli altri, sincerità, umiltà e controllo su ira, avidità, orgoglio, lussuria e gola. Un cabalista italiano del XVII secolo scrisse: "E la purezza del cuore è importante per il Benedetto più di qualsiasi saggezza e scienza che non siano perseguite fine a se stesse, il cielo non voglia. Ma uno dovrebbe rimuovere l’orgoglio, l’arroganza e la via malvagia (cfr. Proverbi 8:13) dal suo cuore, e dovrebbe ministrare ai maestri e consultarsi con coloro che la conoscono [la Cabala]".[15] Il cabalista doveva inoltre aderire fedelmente alla halakhah, la legge religiosa, che assicurava che non si dedicasse all'eresia o si discostasse dalla tradizione nonostante la sua immersione nella pratica mistica. Doveva essere di alto livello intellettuale ed essere capace di impegnarsi in discussioni legali. La linea guida generale era che il praticante dovesse avere almeno quarant'anni ed essere sposato, ma su questo non tutti erano d'accordo: c'erano discepoli di vent'anni o anche meno. Lo stesso Isaac Luria era un maestro della Cabala e tuttavia morì all'età di trentotto anni, quindi dovette essere stato iniziato alla pratica in età molto più giovane.

I cabalisti dovevano coltivare la solitudine e il silenzio, l'equanimità della mente, il digiuno periodico, la purificazione del corpo attraverso la pulizia ed essere disposti a compiere grandi sforzi nelle loro pratiche di meditazione. I mistici ebrei di tutti i periodi avevano la pratica delle “veglie notturne”. Si alzavano a mezzanotte, meditavano e studiavano. Nella loro meditazione, probabilmente usavano la postura descritta nella storia di Elia in meditazione mentre si nascondeva sul Monte Carmelo, e nelle descrizioni dei mistici della merkavah seduti con la testa tra le ginocchia.

Selezioni da un resoconto anonimo che risale al XVI secolo ci forniscono un quadro dettagliato dello stile di vita dei cabalisti e delle loro pratiche di meditazione. Alla fine rivela anche che la vera “profondità della questione” non può essere scritta; deve essere impartita oralmente, da una persona direttamente all'altra. Riporto il testo in lingua inglese come originalmente trascritto in Hallamish, Introduction to the Kabbalah, pp. 66–68:

In clarifying the ways of solitude and devekut [devotion, adhering to God] and the appropriate preparation required of the recluse, suffice it [to state] that he should reach the essence of devotional intention and actually attach his soul to the Intellect, so that the holy spirit rests upon him. Know that the proper preparations required of the recluse in order for him to find precious things by divesting his intellect of corporeality are diverse and numerous. First of all, as far as the body is concerned, he ought to diminish his corporeal desires. Eating must be restricted to food of little quantity and high quality, including small intakes of cooked portions and wine. . . . What is proposed here is that even if he possesses great wealth, he should enjoy it only for the purpose of maintaining the soul in his body. And he should aggravate his beastly powers, depriving them of what they desire, for by enfeebling them the soul is strengthened and the intellect is set free from the imprisonment of the instinctual powers and cleaves to its Maker. . . .

In this way he will reach the level of equanimity . . . [which] brings him to the solitude of the soul, and solitude leads to the Holy spirit, which in turn leads to prophecy, which is the highest rung. Thus, one of the principles that the recluse needs to follow is that first he must attain the level of equanimity, namely not to be impressed by anything. On the contrary, he must experience spiritual joy and be content with his lot and consider himself the sole ruler of this base world, having no one, near or far, to either care for him or pay him homage or do him any good. For all the world’s prosperity and abundance is in his hands. So that there is nothing that he needs. . . .

And after having made all these preparations, then, while you prepare yourself to talk with your Maker, make sure you empty your thoughts of all the vanities of the world, wrap yourself in your prayer shawl and place the phylacteries [tefillin, prayer containers] on your arm and around your head so as to be awestruck and fearful of the Shekhinah, which keeps you company at that time. Then sit down and take ink and pen and paper and start combining letters quickly and zestfully . . . in order to separate the soul and purify it of all material forms and things that preceded it and to divest yourself of them so as to focus your heart and thought and intellect and soul on the mental image. . . .

And in this state he [the mystic] should prepare his true thought to imagine in his heart and intellect that he is sitting above in heaven before God, amidst the splendor and glory of His divine presence and that the Holy One, blessed be He, is sitting on His throne like an exalted king and the hosts of heaven are all standing before Him in awe and fear and trembling and he too is amongst them. . . . And precisely in this state, he will firmly close his eyes and in fear and trembling will shake his entire body and will take deep breaths as far as possible for him, until all the parts of his body, the external and the internal ones alike, will weaken. Then he will ascend, attaching and cleaving his soul and thought from one rung to another in those spiritual matters as far as it is possible for him to bring it up, . . . to the hidden supernal world of emanation, so that he will be almost like a virtual intellect without any sensation of the material things, for he has emerged from the human realm . . . and entered the divine realm.

It is then that his soul expands and is refined by cleaving to the root of the Source from which it was hewn. . . . But know that permission is not given to every man – though it is worthwhile to draw everyone nearer to the holy labor of uttering the holy name – unless he is well accustomed and experienced in this practice, . . . and know that the matter of devekut, which is mentioned in this chapter, is a wonderful thing, serving as a ladder to the rung of prophecy. When the pious and the pure man attaches his soul to the supernal world and meditates and brings up his soul and intellect, divesting his thought of material things, . . . then, know that every thing and every matter upon which he concentrates his mind and soul at that moment immediately comes true as he willed, for better or worse. . . . And comprehend this matter because it requires subtle consideration. For it is impossible to write about it in a precise manner that conveys the depth of the matter – this must be imparted orally.[16]

I cabalisti del sedicesimo secolo a Safed, in Palestina, si impegnarono in molte penitenze, rigorose automortificazioni e altre austerità. Influenzati dai Hasidei Ashkenaz, come anche dai sufi musulmani che vivevano nelle immediate vicinanze, si impegnavano nel digiuno intenso, nel pianto, nell'indossare sacchi e cenere, nell'autoflagellazione e così via. Come individui, stavano tentando di espiare il comportamento peccaminoso che avevano tenuto prima di iniziare la loro vita di discepolato, ma come membri della comunità ebraica, chiedevano perdono per i peccati comuni che secondo loro avevano accelerato la sofferenza degli ebrei durante l'Inquisizione spagnola. Questo aspetto della vita a Safed sarà discusso ulteriormente nella Sezione sui mistici di Safed e Isaac Luria.

Come furono rivelati e tramandati gli insegnamenti

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Rivelazione: Dall'alto al basso

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Abraham ben Isaac di Narbonne, presidente della corte rabbinica ed eminente talmudista, fu il primo anello della catena dei cabalisti provenzali. Abraham ben Isaac attribuì la sua comprensione superiore a una rivelazione del profeta Elia, che gli fu incanalata tramite il suo maestro del Talmud, lo studioso molto venerato, Yehuda ben Barzillai di Barcellona. Yehuda possedeva un'ampia collezione di manoscritti esoterici, che incorporò in un commentario al Sefer yetsirah; si pensa che praticasse segretamente il sentiero mistico, guidato dalle rivelazioni di Elia dall'alto verso il basso, e che trasmettesse gli insegnamenti esoterici al suo allievo Abraham ben Isaac.

Nello stesso periodo in cui Abraham ben Isaac era presidente della corte (Av Beth Din) di Narbonne, suo genero, Rabbi Abraham ben David (il Rabad) era attivo come studioso e mistico a Posquieres, una città vicina. Anche Abraham ben David e il suo stretto collega Rabbi Jacob di Lunel attribuirono la loro comprensione mistica a giluy Eliyahu – la rivelazione di Elia – un'indicazione che avevano scoperto fonti interiori di conoscenza e saggezza mistica.

Tra gli insegnamenti segreti attribuiti ad Abraham ben Isaac e al Rabad c'erano tecniche di preghiera mistica, in cui venivano usati nomi di Dio e combinazioni segrete di lettere e parole. Questi metodi furono rivelati nella comunione interiore con lo spirito di Elia, riferentesi alle pratiche degli Hasidei Ashkenaz, in particolare Eleazar di Worms e i suoi discepoli diretti, che avevano anche loro sperimentato il giluy Eliyahu.

In effetti, il giluy Eliyahu non era un fenomeno isolato. La maggior parte dei Hasidei Ashkenaz e dei cabalisti, come anche molti mistici precedenti, attribuirono la loro illuminazione a Elia. Scholem osserva: "it is by no means the mystics alone who encounter him; he may just as well reveal himself to the simple Jew in distress as to one perfect in saintliness and learning. As the zealot of God in the Bible, he was the guarantor of tradition".[17]

Elia era il profeta biblico la cui ascesa al cielo su un carro di fuoco, mentre era ancora in vita, fu testimoniata dal suo discepolo Eliseo. Elia fu trasformato nella tradizione mistica ebraica in una figura quasi mitica che porta conoscenza interiore e illuminazione.[18] Così un'illuminazione avvenuta attraverso una rivelazione di Elia dava il marchio di autorità tradizionale a insegnamenti che potevano invece essere completamente nuovi, senza precedenti in i testi accettati. Rendeva anche l'insegnamento più radicale immune dalla minima accusa di influenza straniera o di eresia.

Anche altri mistici del periodo, come Jacob di Marvège (spesso associato ai hasidim ashkenaziti), attribuirono le loro visioni interiori ed esperienze profetiche all'apparizione dello spirito santo (ruah ha-kodesh) del profeta Elia. Ciò non vuol dire che questi mistici usassero semplicemente la nozione di giluy Eliyahu per garantire che i loro insegnamenti sarebbero stati accettati. Al contrario, è ben attestato che questi cabalisti e hasidim avevano una vera illuminazione mistica che li ispirò a innovare le tecniche di preghiera mistica e ad acquisire così una comprensione più profonda dei misteri celesti. Joseph Dan osserva: "It is clear that Rabad was a leader of a group of esotericists, and that he was not the first to lead such a group in Provençe. The kabbalists describe a chain of tradition in the rabbinic academies of Provençe, expressed sometimes as a series of revelations from the prophet Elijah, of which Rabad and his son are later links".[19]

« Poiché egli [Elia] si rivelò a Rabbi David, capo della corte rabbinica e gli insegnò i misteri della Kabbalah. Lo trasmise, da parte sua, a suo figlio, il Rabad [Rabbi Abraham ben David], e lui [Elia] si rivelò anche a lui, e lo trasmise a suo figlio, Isaac il Cieco, cieco dalla nascita, e anche a lui si rivelò. Quest'ultimo, a sua volta, trasmise questi insegnamenti a due suoi discepoli, Rabbi Ezra, autore di un commentario al Cantico dei Cantici, e Rabbi Azriel, dopodiché fu trasmesso al Ramban [Nahmanide di Gerona]. »
(Menahem Recanati, Perush al ha-torah (Discorso sulla Torah) (Gerusalemme, 1961), Parashat naso (Porzione: “Elevazione”).[20])

Rabad attribuì tutta la sua saggezza – sia la sua comprensione del Talmud che la conoscenza mistica – alla rivelazione del profeta Elia. Scrisse: "Lo spirito santo è già apparso nella nostra scuola e mi è stato rivelato dai misteri di Dio, che egli [Elia] comunica a coloro che lo temono".[21] Tra i talmudisti, queste erano espressioni accettate di diretta ispirazione divina. Rabad scrisse anche che "tutto ciò che c’è qui di buono e di vero viene dal mistero".[22]

Alcuni mistici si riferivano in modo criptico alla fonte della loro illuminazione interiore come a una rivelazione proveniente dall’“accademia celeste”, un termine metaforico per il loro concetto di paradiso, dove i rabbini si riuniscono per discutere della Bibbia e del Talmud come fanno sulla terra. Alcuni, come Abraham Abulafia, l'importante cabalista castigliano della fine del XIII secolo, menzionano un improvviso lampo di illuminazione spirituale. Altri, come Joseph Karo di Safed nel XVI secolo, menzionano un maggid (un messaggero celeste, un angelo) che usa il mistico come canale per comunicare con gli uomini. Tuttavia c'era un atteggiamento ambivalente nell'accettare questo tipo di rivelazione.

Sebbene fosse riconosciuto che i cabalisti ricevessero l'illuminazione spirituale dai reami celesti, si poneva anche l'accento sulla comunicazione personale dei maestri viventi ai loro discepoli in merito ai segreti della meditazione e ai reami divini. Si dice che Nahmanide, il principale studioso del Talmud di Gerona, abbia detto:

« Queste cose e simili non possono essere comprese con la propria conoscenza, ma attraverso la Kabbalah [tradizione ricevuta]. . . e questa è la catena della tradizione che si estende, ricevente da ricevuto, fino a Mosè [che l'ha ricevuto] dalla bocca dell'Onnipotente. »
(Nahmanide, Derashah ‘al kohelet (Interpretazione di Ecclesiaste)[23])

La trasmissione della tradizione attraverso una tale catena, da maestro a discepolo, era molto più attendibile rispetto ad altri metodi soggettivi di trasmissione. Lo studioso israeliano contemporaneo Moshe Hallamish, nel suo libro An Introduction to the Kabbalah, cita Shem Tov ibn Gaon, un cabalista spagnolo del XIV secolo che si stabilì a Safed:

« E il saggio non può conoscerli attraverso la sua saggezza, e chi capisce non può capirli con la sua comprensione, e chi indaga non può farlo con la sua indagine, tranne che per il mekubal, il ricevente, poiché li ha ricevuti da una tradizione orale che risale alla catena delle più grandi di tutte le generazioni, le quali, a loro volta, hanno ricevuto dai loro maestri e dai loro antenati fino a Mosè.[24] »

Nonostante l'enfasi sulla tradizione ricevuta, che sia dall'alto dei cieli, da Elia, o da maestro a discepolo, i cabalisti sottolineavano anche che avevano l'obbligo di elaborare gli insegnamenti, di innovare e di applicare creativamente il loro intelletto al simbolismo. Veniva visto come un modo per mantenere vivi gli insegnamenti e permeare il fervore dei partecipanti. Dicevano di star semplicemente scoprendo verità nascoste che erano già incorporate nella Torah o nella Cabala. Hallamish cita Rabbi Jacob ben Sheshet, che era un membro del circolo di Gerona:

« Sappiate che i pronunciamenti dei nostri rabbini, sia benedetta la loro memoria, sono parole del Dio vivente e non bisogna mai contraddirli. Ma è anche dovere religioso di ogni uomo saggio apportare innovazioni alla Torah secondo le proprie capacità. »
(Rabbi Jacob ben Sheshet, Ha-emunah ve-ha-bitahon (Fede e Fiducia), in Kitvei ha-Ramban, Chavel, 1:364)

Trasmissione: Dalla segretezza all'apertura

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La maggior parte dei primi cabalisti erano studiosi religiosi e insegnanti di professione; la Torah e il Talmud rimasero il fulcro principale del loro insegnamento. Pertanto, non sorprende che la prima generazione di cabalisti provenzali non scrivesse direttamente i propri insegnamenti esoterici; e ritenevano questa eredità troppo nobile, intima e importante per poterla sperperare con un pubblico sconosciuto. Doveva essere impartito da maestro a discepolo. Ci sono, tuttavia, alcuni accenni alle loro attività mistiche e ai loro insegnamenti sepolti nel contesto dei loro scritti halakhici (religiosi e legali), commentari alle scritture e corrispondenza. Abraham ben Isaac, ad esempio, scrisse testi giuridici con oscuri riferimenti mistici che sono piuttosto opachi, rivelando meno di quanto nascondono.

Shem Tov ibn Gaon, un secolo dopo, vide gli appunti di Abraham (che da allora sono andati perduti) e scrisse che “il presidente della corte rabbinica si era impegnato a scrivere solo le parole chiave, rashei perakim. . . . Fanno conoscere una serie di parole eccellenti, allo scopo di stimolare ogni cabalista affinché la sua attenzione venga risvegliata in ogni passo della Bibbia o del Talmud dove trova tale parola.”[25] In breve, per chi ha familiarità con l'insegnamento, le parole chiave favorirebbero la comprensione del significato esoterico di molti brani biblici o talmudici.

Il nipote di Abramo, Isaac il Cieco, il più importante cabalista della sua epoca, scrisse che i suoi antenati erano esperti nella conoscenza esoterica, che custodivano con grande segretezza. Scholem cita una lettera di Isaac, in cui dichiara che “no word on this subject ever escaped their lips and that they conducted themselves with them [those not initiated into the secret doctrine] as with men who were not versed in the [mystical] science, and I saw [this conduct] of theirs, and I learned a lesson from it”.[26]

Gli insegnamenti esoterici di Jacob di Lunel erano mascherati da una terminologia ambigua, in cui la sua discussione sul significato di una preghiera, ad esempio, poteva essere compresa a due livelli, il livello più profondo compreso dagli iniziati e un significato più superficiale accessibile agli estranei. Poiché i riferimenti mistici sono così criptici, scrive Scholem, "only the traditions preserved among the earliest Spanish kabbalists can reveal to us the esoteric, truly kabbalistic statements made by the . . . Provençal teachers".[27]

Isaac il Cieco pubblicò trattati dedicati alla spiegazione della sua conoscenza esoterica, e sotto questo aspetto fu più esplicito dei suoi antenati spirituali. Tuttavia, mantenne il codice della segretezza scrivendo in modo molto oscuro e non diffuse pubblicamente i suoi insegnamenti, al di fuori della sua cerchia di discepoli. In effetti, rimase molto turbato quando Ezra e Azriel, i suoi discepoli di Gerona, nel nord della Spagna, tornarono a casa dalla Provenza e iniziarono a pubblicizzare segreti che Isaac credeva fossero destinati solo agli iniziati al sentiero mistico. Secondo Isaac la tradizione esoterica doveva e poteva essere trasmessa solo personalmente da maestro a discepolo.

Abbiamo la fortuna di avere lettere autentiche scritte dai rabbini Azriel ed Ezra sulle loro intenzioni di pubblicizzare gli insegnamenti, trasformando la Cabala in un serbatoio di conoscenza esoterica più ampiamente accessibile. Ezra aveva predetto che la “fine” o tempo messianico della redenzione sarebbe arrivato nell'anno 1240, e tutti gli ebrei avrebbero dovuto essere pronti per questo. I segreti della Cabala avrebbero aiutato a preparare la comunità per questo momento apocalittico. Nell'anno 1230, Azriel inviò un trattato mistico alla comunità di Burgos, nel nord della Spagna. Scrisse: "La Kabbalah dovrebbe essere resa disponibile a coloro che sono al di fuori della nostra cerchia. Io stesso ho avuto corrispondenza con i cabalisti di Burgos. Inoltre, ho scritto una breve opera che spiega chiaramente i principi della Kabbalah al pubblico più ampio".[28]

Isaac scrisse una dura lettera a Nahmanide,[29] lamentandosi del comportamento problematico di Ezra e Azriel:

« Ho visto uomini saggi, uomini di intelligenza e di pietà impegnati in lunghi discorsi, che hanno scritto cose grandi e terribili nei loro libri e nelle loro epistole. E una volta che una cosa è scritta non può più essere nascosta, perché spesso si perde o l'autore muore e le lettere passano nelle mani di schernitori e di idioti, e il nome di Dio viene profanato. . . . Ho sentito dalle terre che ti circondano, e dalla gente di Burgos, che parlano pubblicamente nei mercati e nelle strade in modo confuso e frettoloso, e dalle loro parole è chiaro che i loro cuori sono stati allontanati dal Tutto Altissimo.[30] »

Allora perché i cabalisti di Gerona decisero di rendere disponibile al pubblico questo insegnamento segreto? Harvey Hames dell'Università Ben Gurion in Israele, nel suo penetrante studio “Exotericism and Esotericism in Thirteenth Century Kabbalah”, offre una prospettiva interessante. Propone che l'esternalizzazione della Cabala servisse a uno scopo particolare per i cabalisti, che si consideravano riformatori della vita ebraica e guardiani di un legame tra Dio e Israele. Sentivano una duplice missione nella vita e credevano che fosse giunto il momento di passare dalla sfera privata a quella pubblica, perché le condizioni lo richiedevano. Era giunto il momento che gli insegnamenti mistici esoterici venissero tradotti in un fondamento e una guida per la vita di tutti i giorni. Tuttavia, Hames sottolinea che sebbene rivelassero la loro teosofia esoterica – il simbolismo di Ayn-Sof e delle sefirot, il funzionamento interiore della Divinità e la creazione – non rivelarono mai le loro tecniche esoteriche di meditazione attraverso le quali avevano l'esperienza mistica su cui si basavano i loro scritti. Quei segreti dovevano essere ottenuti da un insegnante vivente semplicemente perché non era possibile trasmetterli altrimenti. Dovevano essere passati da maestro a discepolo individualmente o in piccoli gruppi. Hames scrive:

« However, the importance of the [published] texts is also in what they do not reveal: the esoteric techniques and path to mystical experience which could only be attained if one was a disciple of a recognized teacher. Thus the texts perform two main functions: on the one hand, to inform and enrich the Jewish way of life; and on the other, to emphasize the barrier between the general audience and the initiate. »
(Hames, “Exotericism and Esotericism in Thirteenth Century Kabbalah,” p. 106)

Hames prosegue dimostrando che Nahmanide credeva che esistessero alcuni insegnamenti cabalistici che potevano essere usati a beneficio dell'intera comunità, e altre pratiche adatte solo agli iniziati, che avrebbero avuto il livello di comprensione per apprezzarli. Nahmanide intendeva conservare alcuni insegnamenti per i suoi discepoli più intimi, e ci riuscì. Oggi si sa poco delle sue tecniche o delle sue esperienze interiori. I suoi successori andarono ancora oltre e pubblicarono commentari volutamente fuorvianti o rivelarono solo alcuni dei suoi segreti in un linguaggio velato.

La questione se i segreti potessero essere rivelati per iscritto continuò ad essere discussa tra i cabalisti successivi. Nel XVI secolo Rabbi Moses Cordovero riassunse così la necessità della segretezza:

« Nessuno che studi i libri della saggezza della Kabbalah dovrebbe pensare che sia possibile per un saggio cabalista scrivere in un libro tutto ciò che gli è noto, poiché un'inevitabile riduzione avviene nel percorso dal pensiero alla parola e dalla parola alla scrittura. Pertanto, nessuno che possieda una qualche conoscenza della Kabbalah dovrebbe immaginare di aver approfondito i tre libri di questa saggezza (Shiur Komah, par. 11). . . . È improprio rivelarlo anche oralmente [lett., di bocca in bocca]. Se lo merita, esplorerà da solo il segreto divino. E chi ha il privilegio di farlo non dovrebbe verbalizzarlo. »
(Moses Cordovero, Shiur komah (Warsaw, 1883), folio 17a[31])

Cordovero scrisse diversi libri importanti discutendo sistematicamente il simbolismo cabalistico. Quindi quando dice che il segreto divino non può essere espresso né per iscritto né con la parola, deve riferirsi a una conoscenza ancora più esoterica, che non può essere appresa attraverso l'intelletto – forse il metodo attraverso il quale si può avere un’esperienza del segreto divino – la vera conoscenza spirituale.

In un Capitolo successivo esploreremo gli scritti di Isaac Luria, contemporaneo di Cordovero, il quale affermava di non poter esprimere a un'altra persona ciò che traboccava dentro di lui, tanto meno impartire i suoi insegnamenti in un libro. Per Luria, la relazione maestro-discepolo era fondamentale per la crescita spirituale, e anche questa aveva i suoi limiti.

Simbolismo della prima Cabala

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I Quattro Mondi, a cui si deve aggiungere Adam Qadmon per completare le categorie dei reami spirituali della Cabala ebraica nella catena discendente dell'Esistenza
I Cinque mondi
nella Cabala
 

I cabalisti volevano spiegare come il Signore trascendente potesse manifestarsi nella creazione; come l'Uno astratto e informe poteva chinarsi e farsi coinvolgere nella vita degli uomini e rispondere alle loro preghiere. Si trovavano di fronte alla sfida intellettuale secondo cui se Dio era infinito e illimitato, autonomo, allora era inconcepibile che avrebbe potuto avere un qualche legame con l'umanità. La creazione non sarebbe potuta provenire da Lui poiché non ci sarebbe stato nulla aldifuori di Lui. Niente può venire dal nulla.

C'erano stati tentativi di spiegare questo in precedenza nella storia mistica ebraica: Saadya Gaon aveva proposto che la gloria di Dio, il logos, fosse una sorta di intermediario etereo, un'"aria più sottile", che trasportava lo spirito divino nella creazione. Allo stesso modo, gli Hasidei Ashkenaz insegnavano che la gloria era un'estensione di Dio nella creazione; immaginavano una gloria interiore ed una esteriore. Solomon ibn Gebirol nell'XI secolo scrisse della creazione che avviene attraverso una serie di emanazioni della Luce divina primordiale, sebbene non usasse il termine sefirot per queste emanazioni. Molti filosofi e mistici ebrei del periodo avevano letto gli scritti dei neoplatonici musulmani che discutevano dell'emanazione dei molti dall'Uno e del ritorno all'Uno.

Il segno distintivo dei primi cabalisti fu lo sviluppo di un simbolismo nuovo, unico e onnicomprensivo basato sulla continua emanazione dinamica delle sefirot. Nonostante il fatto che il termine sefirot fosse apparso nel Sefer yetsirah nel primo secolo, in quell'opera designava cifre o numeri, simboleggiando poteri statici. Nel Bahir, i poteri divennero dinamici, fluendo sempre verso l'esterno e verso il basso dalla Divinità e ritornando alla Divinità, muovendosi secondo uno schema naturale dall'uno all'altro; erano concepiti come se si influenzassero a vicenda e influenzassero l'equilibrio tra loro e la Divinità da cui erano emanati.

In molti testi antichi le sefirot venivano chiamate midot, qualità o attributi divini attraverso i quali Dio realizzò la creazione: sapienza, comprensione, ragione, forza, rimprovero, potenza, rettitudine, giudizio, gentilezza amorevole e compassione. Queste qualità erano intese come strumenti o espressioni di Dio. Erano le stesse dieci espressioni (ebraico: ma’amarot, greco: logoi) a cui fa riferimento la Bibbia quando dice che Dio “parlò” e l'universo venne ad esistere. Nella Genesi, Dio parla dieci volte mentre crea i vari aspetti e livelli della creazione, iniziando con "E Dio disse: Sia la luce". Secondo un'interpretazione mistica rabbinica della Genesi, ciò significa che Egli realizzò la creazione attraverso dieci espressioni o suoni.

I cabalisti adottarono gradualmente il termine sefirot per queste espressioni e le concepirono come una serie di emanazioni graduali attraverso le quali il potere creativo divino fluiva nella creazione in modo ordinato. Credevano che la volontà, l'energia o la luce divina primordiale, nella sua purezza e unità, dovessero essere “abbassate” e incanalate affinché il processo di creazione avesse luogo. Pertanto le sefirot erano concepite anche come gradazioni di luce spirituale come anche di suoni o espressioni.

Isaac il Cieco prese questi simboli dinamici come venivano introdotti nel Bahir e li cristallizzò in un sistema per spiegare il processo di creazione, sul quale si poteva dirigere la propria attenzione durante la contemplazione e la preghiera. Isaac diede i nomi alle sefirot e spiegò la loro relazione reciproca, sebbene i suoi scritti non siano sempre molto chiari. Concepiva la Divinità nascosta come esistente oltre il livello di emanazione delle sefirot, anche oltre la volontà primordiale o il “pensiero” del creare. Lo chiamò Ayn-Sof, l'Illimitato, l'Infinito. C'era una certa confusione nei suoi scritti riguardo alla precisa relazione tra Ayn-Sof e le sefirot, e alcuni dei suoi discepoli differivano da lui. Ogni generazione di cabalisti da allora in poi continuò ad abbellire e perfezionare il sistema dell'Ayn-Sof e delle sefirot per corrispondere più precisamente alla propria visione ed esperienza dei reami divini.

I nomi che Isaac diede alle sefirot sono: keter (corona), hokhmah (sapienza), binah (comprensione), hesed o gedulah (amore, misericordia/grandezza), din o gevurah (giudizio/potenza), tiferet (bellezza), netsah (perseveranza), hod (splendore), yesod (fondamento) e malkut (regalità). Le sefirot sono generalmente disposte secondo uno schema che mostra come il potere creativo fluisce dall'una all'altra. Oltre all'immagine a lato, una serie di diagrammi è inclusa nell'Appendice 2.

Isaac scrisse commentari sul Sefer yetsirah e sul primo capitolo del libro della Genesi, spiegando le sue teorie. Insegnò che la creazione del mondo fisico, come descritto nella Bibbia, deve aver avuto luogo in una fase successiva del processo. La prima fase avvenne a livello spirituale, all'interno della Divinità eterna e nascosta, al di là del tempo, come la prima volontà o pensiero del creare. Da quella volontà divina emanarono, sempre a livello spirituale, le dieci sefirot o ma’amarot dalla cui attività, infine, fu creato il mondo fisico.

Scholem spiega gli insegnamenti di Isaac: "The Ayn-Sof and the first sefirah of keter (crown) were beyond the utterance, above the expression of the divine will. Hokhmah (wisdom), as the second sefirah, is in any case the ‘beginning of being’ as it is also the ‘beginning of the dibur [utterance].’ From hokhmah, the rest of the sefirot proceed in a clear chain of emanations leading to all existence below. Isaac taught that all things are linked to one another and intertwined like a chain: ‘one from another, the inward from the still more inward’."[32]

Nella Bibbia c'è un brano che dice che esiste un fiume che esce dal Giardino dell'Eden (Genesi 2:10). Questo fu inteso da Isaac e dai suoi discepoli come un simbolo dell'emanazione delle sefirot; quando il fiume lascia il giardino e scorre nella creazione al livello di malkut (la sefirah più bassa), le sefirot si separano dalla loro sorgente, mentre fluiscono nel “mondo della separazione”, il reame della dualità. L'idea del flusso infinito attraverso la catena delle sefirot presuppone un principio divino sottostante, che unisce tutto in sé. Isaac dice: “Egli è unito in tutto e tutto è unito in Lui”. Ciò preserva l'idea dell'esistenza di un Dio unico, immanente. Secondo Isaac, attraverso hitbonenut (contemplazione) si può trovare il divino in tutto il mondo della separazione e ascendere nella catena dal materiale allo spirituale, all'informe e all'interiore, infine allo stato del pensiero o volontà divina (hokhmah, mahshavah) e causa infinita.[33]

Uno dei discepoli di Isaac scrisse simbolicamente dell'emanazione della seconda sefirah hokhmah, che è dove si manifesta la volontà divina, seguita dall'emanazione delle sefirot inferiori, che alla fine porta alla creazione fisica. Dice che tutto esisteva in uno stato potenziale in hokhmah. Quando l'essenza divina di hokhmah si riversò nella terza sefirah di binah (comprensione), la creazione materiale venne ad esistere.

« Prima che Dio creasse il Suo mondo, era solo con il Suo nome, e il Suo nome equivale alla Sua sapienza. E nella Sua sapienza tutte le cose erano mescolate insieme e tutte le essenze erano nascoste, perché non le aveva ancora portate dalla potenzialità alla realtà, come un albero nella cui potenza è già presente il frutto, ma che non ha ancora prodotto. Quando contemplò la sapienza, trasformò in montagne ciò che era in radice e scisse i fiumi (Giobbe 28:9-10), cioè: Egli trasse fuori tutte le essenze nascoste nella sapienza e le portò alla luce per mezzo della Sua binah.[34] »

Il simbolismo delle sefirot fu esteso dai cabalisti successivi ai patriarchi e ai profeti della Torah, e le narrazioni della Torah furono viste come una metafora del processo di emanazione. Anche le parti del corpo umano erano viste come corrispondenti alle sefirot, e quindi ogni azione compiuta da un individuo sul piano materiale era intesa come avente una connessione con l'attività delle sefirot nei reami divini, un concetto correlato introdotto da Isaac il Cieco.

Secondo Isaac, i reami divini sono una serie di mondi interiori in cui si svolge l'attività delle sefirot. Ciascuno di questi mondi è una proiezione di quello superiore. Il più elevato di questi mondi è chiamato atsilut (emanazione), il reame spirituale in cui esiste il potenziale per l'emanazione primordiale delle qualità divine, ma in realtà non si esprime. Sotto atsilut c'è briah (creazione), il reame causale (archetipo) dove la volontà divina diventa attiva nel creare i prototipi della creazione sottostante. Questo è seguito da yetsirah (formazione) – il livello astrale. Il mondo più basso è il reame fisico di assiyah (attualizzazione, creazione).

Isaac insegnò anche che esistono diversi livelli nell'anima umana, che ha una natura divina. Divise l'anima nel livello di nefesh (le passioni o percezione sensoriale) che era il più basso, e nei livelli progressivamente più spirituali di ruah (spirito, respiro) e neshamah (anima). Isaac insegnava che l'emanazione delle sefirot avviene al livello di neshamah, il livello più alto o più interiore, ma non spiega chiaramente il suo insegnamento. Queste divisioni troverebbero eco nelle opere dei cabalisti successivi che aggiunsero altri due livelli.

Kavanah e devekut

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  Per approfondire, vedi Kavanah, Devekut (en) e Devekut (it).

L'argomento della preghiera contemplativa o, come venne chiamata, preghiera mistica, fu una preoccupazione dei cabalisti fin dall'inizio, come lo era stata per gli Hasidei Ashkenaz. Kavanah era il mezzo sviluppato dai cabalisti per colmare il divario tra la preghiera esterna ripetitiva e il desiderio di una comunione personale più immediata con il divino. Il termine era usato nel contesto delle preghiere teurgiche dei Hasidei Ashkenaz che insistevano sulla recitazione precisa di preghiere esteriori e sulla recitazione di formule numeriche e alfabetiche per influenzare i reami divini, e nelle preghiere dei primi cabalisti provenzali come Jacob di Lunel e Isaac il Cieco, che tentarono di dirigere interiormente le loro preghiere verso particolari sefirot.

Kavanah significa la mente focalizzata o concentrata nella preghiera o nella meditazione ed è un aspetto del processo di devekut, una "pia comunione interiore... con il divino", come spiega Scholem:

« The kavanah of meditation is the tension with which the consciousness (of a person performing a prayer or another ritual act) is directed to the world or object before him. Nothing is pronounced but the words of the statutory prayers, as they had been fixed of old, but the mystical meditation mentally accompanies the current of words and links them to the inner intention of the person who is praying. . . . Among the kabbalists of Provençe these initial stages led to a comprehensive discipline of contemplation concerned with man’s communication with God. »
(Scholem, Origins of the Kabbalah, pp. 243–44)

Il Rabad, il padre di Isaac, distingueva tra il Dio Creatore (yotser bereshit), che è “la Causa delle Cause”, e la Divinità trascendente nascosta. Come nel Bahir, il Creatore era inteso come la fonte o grembo (pleroma) di tutte le qualità o poteri divini, le sefirot. Rabad insegnò che non si possono rivolgere le proprie preghiere alla Divinità nascosta, poiché è occultata e trascendente. Il devoto deve rivolgere la sua preghiera al Creatore, dal quale emanano le midot (qualità). Non tutti i cabalisti di questo periodo erano d'accordo con lui, e la dottrina fu tenuta segreta perché suscitò tanta ostilità tra coloro che pensavano significasse che ci fossero due dei in cielo, uno dei quali aveva un corpo e riceveva le preghiere dei fedeli. Al tempo di Isaac il Cieco, questa dottrina era già scomparsa.

Jacob di Lunel e la sua cerchia insegnarono un diverso tipo di preghiera mistica, in cui il mistico dirigeva mentalmente certe parole o frasi delle preghiere verso particolari midot. Scholem sottolinea che mentre il Bahir forniva il simbolismo e il principio delle sefirot e la loro emanazione dinamica del potere creativo, la preghiera mistica a particolari sefirot era un'applicazione logica e pratica di questo principio. Fu tale modello a diventare comune tra i cabalisti, sebbene suscitasse molti sospetti anche tra i non-cabalisti che lo vedevano come il culto di numerosi dei.

Il concetto proposta da Isacco della catena delle sefirot che funge da veicolo per il flusso discendente della volontà o del pensiero divino, era rispecchiato dall'immagine corrispondente di un flusso ascendente di energia divina, dal piano materiale alla sua fonte in Dio. “Tutte le cose [o le espressioni] ritornano alla radice del loro vero essere”[35] era la sua affermazione di questo principio. Poiché l'uomo ha dentro di sé l'elemento divino o anima, ritornerà quindi naturalmente alla sua radice in Dio, attraverso una sorta di attrazione magnetica. Il suo viaggio si completa attraverso il percorso del misticismo contemplativo, utilizzando kavanah e devekut.

Lo scopo della propria preghiera e meditazione era unirsi alle midot stesse. Attraverso la contemplazione delle midot inferiori si raggiungono quelle superiori. Ciascuna è un riflesso di quella superiore e funge da intermediaria nel flusso della sostanza divina. Così il pensiero umano può elevarsi al livello del puro pensiero divino, che poi si eleva allo stesso Ayn-Sof. Isaac scrive:

« Poiché ogni midah [singolare di midot] è piena di ciò che è al di sopra di essa, e viene data a Israele. . . per meditare dalla midah visibile nel cuore, per meditare fino all'Infinito. Perché non c'è altra via verso la preghiera [vera] che questa: per mezzo delle parole limitate l'uomo vien fatto entrare [nel loro interno] e si eleva con il pensiero all'Infinito. »
(Isaac, commentario allo Sefer Yetsirah[36])

C'era una tradizione esoterica su come applicare la propria kavanah a particolari parole delle preghiere, che corrispondevano (ed erano collegate con) le varie midot. Scholem spiega poeticamente che attraverso la meditazione sulla parola detta si può ascendere alla parola primordiale – la qualità divina stessa, la midah superiore a cui corrisponde la parola detta – e da lì al pensiero divino (la fonte di tutte le midot), attraverso il quale si può raggiungere l'Ayn-Sof:

« In his concentrated reflection on the word he finds the “primordial word” and through it the contact with the infinite movement of the divine mahshavah [thought] itself, in which he raises himself to Ayn-Sof. Therefore, in the word, the mystical kavanah reveals a spiritual inner space where the word soars up to the divine. »
(Scholem, Origins of the Kabbalah, p. 301)

Isaac dà istruzioni per una kavanah (esercizio di concentrazione) in cui il mistico “attraversa il mondo delle sefirot dal basso verso l'alto durante la dichiarazione dell'unità divina, lo Shema Yisrael, e poi, nella sua meditazione sulla parola ehad, ‘uno !’ completa e chiude il cerchio della sua kavanah, dall'alto verso il basso".[37]

Un aspetto unico degli insegnamenti di Isacco è l'immagine grafica che usa per descrivere l'esperienza del pensiero divino – quello di succhiare (yenikah) l’essenza divina, che paragona alla linfa di un albero. Questo termine crudo era il modo evocativo di Isaac per descrivere il trasferimento della conoscenza spirituale, l'esperienza dell'effusione della volontà divina, a un livello molto al di sopra della comprensione intellettuale. Scholem presenta il passaggio in cui Isacco discute il termine “meravigliosi sentieri di hokhmah (sapienza)”, che appare nello Sefer yetsirah:

« The “marvelous paths of hokhmah” are, according to him, “inward and subtle essences” that exist in the hokhmah as the root in the tree, and that proceed from it like sap passing through the trunk. The secret arteries, by way of which the sap circulates throughout the tree, are themselves these paths. “No creature can know them by meditating, apart from he who sucks from it [from hokhmah itself], on the path of meditation through his sucking and not through knowledge.” These enigmatic words seem to suggest that Isaac knew of a way to connect with these hidden essences, obtained not through knowledge but by means of another process, a contemplation without language, which he names “sucking”, yenikah»
(Scholem, Origins of the Kabbalah, p. 279–80)

Isacco insegnò che il mistico, attraverso la sua kavanah, controllando e dirigendo il proprio pensiero, può sperimentare la comunione con Dio. Questo è il significato di devekut, che deriva dal verbo biblico dabhak (aderire, attaccarsi) “per esprimere il contatto dell’anima con Dio o la luce divina”.[38] Isaac e i suoi discepoli paragonarono lo stato di devekut raggiunto attraverso la preghiera contemplativa o meditazione con lo stato profetico vissuto dai profeti biblici. Infatti, gli stessi discepoli di Isaac, Ezra e Azriel, collegarono questo stato con l'estasi di Mosè. Ezra commentò che attraverso devekut, due diventano uno.

Isacco esortò all'adempimento dei comandamenti (i 613 comandamenti positivi e negativi inclusi nella Bibbia), come un altro aspetto della kavanah. È un'espressione esterna del concetto di servizio divino. Equiparò la kavanah interiore al servizio interiore di Dio.

Il Circolo di Gerona

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Questa piccola comunità di ebrei nel nord della Spagna aveva mandato i suoi giovani brillanti in Provenza per studiare il Talmud nelle accademie locali. Si impregnarono degli insegnamenti mistici, che portarono a casa a Gerona. La maggior parte di loro erano discepoli di Isaac il Cieco. Nei loro scritti si impegnavano profondamente nella discussione delle sefirot. Cominciarono ad apparire trattati anonimi in cui il simbolismo di ciascuna sefirah veniva discusso sistematicamente. Naturalmente, c'erano molte variazioni nella loro comprensione del simbolismo poiché ogni cabalista contribuiva con le proprie interpretazioni.

I cabalisti più importanti di questo gruppo furono Nahmanide, Ezra ben Solomon e Azriel. Gli scritti di Azriel erano molto sistematici. Fu in grado di sviluppare con eleganza le idee di Isaac il Cieco e di dare loro una formulazione e una direzione più chiare. Ad esempio, ecco cosa scrisse Azriel sull'Ayn-Sof (anche qui lascio la traduzione originale):[39]

Anything visible, and anything that can be grasped by thought, is bounded. Anything bounded is finite. Anything finite is not undifferentiated. Conversely, the boundless is called Ayn-Sof, Infinite. It is absolute undifferentiation in perfect, changeless oneness. Since it is boundless, there is nothing outside of it. Since it transcends and conceals itself, it is the essence of everything hidden and revealed. Since it is concealed, it is the root of faith and the root of rebellion. As it is written, “One who is righteous lives by his faith.” The philosophers acknowledge that we comprehend it only by way of no.

Emanating from Ayn-Sof are the ten sefirot. They constitute the process by which all things come into being and pass away. They energize every existent thing that can be quantified. Since all things come into being by means of the sefirot, they differ from one another, yet they all derive from one root. Everything is from Ayn-Sof; there is nothing outside of it.

One should avoid fashioning metaphors regarding Ayn-Sof, but in order to help you understand, you can compare Ayn-Sof to a candle from which hundreds of millions of other candles are kindled. Though some shine brighter than others, compared to the first light they are all the same, all deriving from that one source. The first light and all the others are, in effect, incomparable. Nor can their priority compare with its, for it surpasses them; their energy emanates from it. No change takes place in it – the energy of emanation simply manifests through differentiation.

Ayn-Sof cannot be conceived, certainly not expressed, though it is intimated in everything, for there is nothing outside of it. No letter, no name, no writing, no thing can confine it. The witness testifying in writing that there is nothing outside of it is: “I am that I am.” Ayn-Sof has no will, no intention, no desire, no thought, no speech, no action – yet there is nothing outside of it.

Azriel era fortemente influenzato dal neoplatonismo e credeva che tutto provenisse dall'Uno e ritornasse naturalmente all'Uno, ma il processo era accelerato dalla partecipazione dell’uomo attraverso la kavanah. Scholem riassume gli insegnamenti di Azriel a questo proposito:

« All things egress from the One and return to the One, according to the formula borrowed from the Neoplatonists; but this movement has its goal and turning point in man when, turning inward, he begins to recognize his own being and, from the multiplzicity of his nature, strives to return to the unity of his origin. No matter how the coming forth of the creature from God is conceived, there is no doubt here concerning the manner of its return. It is accomplished in the elevation of the kavanah, in the introversion of the will that, instead of spending itself in multiplicity, “collects” and concentrates itself and, purifying itself of all selfishness, attaches itself to the will of God, that is, joins the “lower will” to the “higher will.” The commandments and their fulfillment are the vehicles of this movement of return to God. Inherent in them is a spiritual element of which man can and must take hold and through which he is joined to the sphere of the divine. For the commandments, in their spiritual element, are themselves part of the divine kavod»
(Azriel sulle Aggadoth, 38; cit. in Scholem, Origins of the Kabbalah, p. 415)

“La Porta dell'Intenzione dei Primi Cabalisti”

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La preghiera mistica era praticata anche dai cabalisti di Gerona, poiché usavano le tecniche e la teoria della kavanah per dirigere le loro preghiere verso la Divinità, l'Ayn-Sof, e non verso particolari sefirot. Esiste un notevole testo anonimo, chiamato dai suoi traduttori "La Porta dell'Intenzione dei Primi Cabalisti", che si presume sia un'opera segreta di Azriel. Combina la teoria della kavanah con il simbolismo della luce e una pratica di meditazione su diversi gradi di luce. Ciò che era così rivoluzionario nel testo, e probabilmente il motivo per cui fu tenuto segreto, è che parlava dell'obiettivo di unione mistica totale nell'essere divino. Chiunque fosse il mistico che lo scrisse, fu abbastanza cauto da inquadrarlo nella tradizione dei primi hasidim del III e II secolo AEV, che erano soliti meditare in silenzio per un'ora prima di impegnarsi nelle loro preghiere liturgiche. Joseph Dan riassume l'opera:

« The writer interpreted this [meditation] period as one in which the worshipper-mystic has to transform himself, to shed his material body and become purely spiritual, immersed in divine light surrounding him and becoming himself light rather than matter. When in this state, the mystic envisions the components of the spiritual world as pillars of light, of different colors, surrounding him. The mystical goal of this prayer is a very ambitious one – it is to reach the realm of the infinite, unbound Godhead beyond the limited manifestations of the divine realm, and be united with it – “so that the higher will is clothed in his will.” »
(Dan, cur., The Heart and the Fountain, p. 117)

Unirsi alla Divinità come obiettivo della meditazione non è molto comune nella letteratura cabalistica, forse a causa del sospetto che avrebbe suscitato dalla credenza rabbinica tradizionale secondo cui nessuno può “vedere” il volto di Dio e vivere (cioè essere uguale o unirsi a Lui). Eppure di tanto in tanto appare come una forma valida di espressione mistica, specialmente nei testi nonmediati da editori successivi che potrebbero aver cancellato tali riferimenti. Ecco alcune righe del testo originale, in traduzione (EN) :

He who resolves upon something in his mind with a perfect firmness, for him it becomes the essential thing. Therefore if you pray and pronounce the benedictions or otherwise truly wish to direct the kavanah to something, imagine that you are light and that everything around you is light, light from every direction and every side; and in the light a throne of light, and on it, a “brilliant light,” and opposite it a throne and, on it, a “good light.” . . . [More aspects of light are described; the distinctions among them have been lost.] And between them and above them the light of the kavod, and around it the light of life. And above it the crown of light that crowns the desires of the thoughts, . . . And this illumination is unfathomable and infinite, and from its perfect glory proceed grace and benediction, peace and life for those who observe the path of its unification. . . .

For according to the intensity of the kavanah, with which it draws strength to itself through its will, and will through its knowledge, and representation through its thought, and power through its reaching [to the primordial source of the will], and firmness through its contemplation, if no other reflection or desire is mixed in it, and if it grows in intensity through the power that guides it, in order to draw to itself the current that proceeds from Ayn-Sof, . . . everything and every act is accomplished according to its spirit and its will. . . . Then, it must elevate itself above them through the power of its kavanah and go into the depths . . . to pave a new way according to his own will: through the power of his kavanah, which stems from the perfect glory of the withdrawing light, which has neither figure nor image, . . . and which is in no respect finite. . . .

And he who elevates himself in such a manner, from word to word, through the power of his intention, until he arrives at Ayn-Sof, must direct his kavanah in a manner corresponding to his perfection, so that the higher will is clothed in his will, and not only so that his will is clothed in the higher will. For the effluence . . . is like the inexhaustible source that is never interrupted. . . .

In this manner the ancients used to spend some time in meditation, before prayer, and to divert all other thoughts and to determine the paths of their kavanah [during the subsequent prayer] and the power that was to be applied to its direction. . . . And this is the path among the paths of prophecy, upon which he who makes himself familiar with it will be capable of rising to the rank of prophecy.[40]

Quando parla di arrivare a uno stato in cui “the higher will is clothed in his will”, si è raggiunto lo stato di unione mistica. Descritto altrimenti, non si può sapere chi è l'Amato e chi è l'amante; i due sono diventati indistinguibili; si sono fusi in un'unica identità. Dice che in quello stato “the effluence is like the inexhaustible source that is never interrupted”.

Scholem sottolinea che il testo mostra che il vero stato della profezia si raggiunge attraverso la kavanah, e questo definisce il mistico perfetto:

« The true kavanah described in this text is therefore identical with the path of prophecy, which passes through the realization of the perfect devekut with God, that is, the cleaving of human thought and will to the thought and will of God. . . . The illumination, which is to be obtained through devekut, can therefore be distinguished from prophecy only by its degree and not by its nature. The prophet is here, as so often in medieval thought, none other than the perfect mystic. »
(Scholem, Origins of the Kabbalah, p. 419)

E in che modo questa forma di preghiera mistica era diversa dalle preghiere magiche degli Hasidei Ashkenaz? La distinzione più semplice è che quando gli Hasidei Ashkenaz creavano formule magiche da parole e nomi sacri, le pronunciavano ad alta voce come parte del testo della preghiera. Ma tra i primi cabalisti, la kavanah o intenzione ha luogo nella mente, mentre la bocca potrebbe essere impegnata nella recitazione esterna di preghiere fisse.

La differenza tra il mistico e il magico non stava solo nel modo di pregare – nella mente o ad alta voce. C'era anche una differenza nelle intenzioni, nello scopo, anche se in pratica il confine era spesso sfumato. Nella pura preghiera mistica, secondo Scholem, il praticante si eleva spiritualmente di livello in livello per essere assorbito nella fonte divina o nelle midot più alte (le sefirot); nella preghiera teurgica o magica i mistici cercavano di “attirare” a sé i poteri del reame divino. Inizialmente, tra i primi cabalisti della Provenza, la preghiera non era usata per scopi magici o teurgici. Tuttavia, dalla generazione successiva i cabalisti spagnoli, tra cui i discepoli di Isaac il Cieco, furono decisamente inclini alla preghiera teurgica.

In alcuni casi, la preghiera mistica sarebbe legata a un giorno specifico, come Yom Kippur (il santo Giorno dell'Espiazione), o a una potenza superiore come il Principe della Torah (un essere angelico che, si credeva, poteva aiutare un persona ad imparare velocemente i segreti della Torah). Poteva anche consistere in richieste allo spirito santo o a Elia di concedere il perdono.

Così i cabalisti di Gerona, basandosi sugli insegnamenti di Isaac il Cieco, crearono una mitologia e un simbolismo pienamente sviluppati su cui costruirono forme di culto e di meditazione che li portavano lontani dalle forme rabbiniche dell'ebraismo praticate solo un secolo prima.

Il Circolo Iyun

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Il Circolo Iyun era un altro gruppo significativo di praticanti mistici attivi in Provenza o in Castiglia, in Spagna, durante la prima metà del XIII secolo, parallelamente agli altri primi cabalisti. Sembra che ci siano state alcune influenze incrociate con la scuola di Gerona, con la quale condividevano una certa terminologia e dottrine comuni, e gli studiosi non sono veramente sicuri di chi abbia influenzato chi.

Il termine iyun deriva dalla parola ‘ayin (occhio) e significa contemplazione visiva concentrata; sembra suggerire una tecnica di meditazione. Questo nome fu dato al circolo da Gershom Scholem, che per primo studiò i loro scritti più significativi, tra cui il Libro della Contemplazione (Sefer ha-iyun), che esiste in numerose versioni. Il tema del Libro della Contemplazione è la natura della Divinità: esplora il concetto che ci sono reami spirituali all'interno della Divinità e altri reami che emanano da essa. Gli altri loro libri importanti sono Ma’ayan ha-hokhmah (Fontana della Sapienza),[41] che racconta come il cosmo venne ad essere. Un terzo testo, che esiste solo come frammento, è chiamato Libro dell'Unità e si concentra sulla triade di poteri o luci all'interno della Divinità. Ci sono numerosi altri brevi trattati e frammenti. Nelle parole di Mark Verman, uno studioso moderno che ha esaminato intensamente i testi del Circolo Iyun, "together they offered a potent combination of radical theology and speculative science, which profoundly influenced those mystics active in Spain in the latter half of the thirteenth century."[42]

Le influenze letterarie che troviamo nei loro scritti includono il Sefer yetsirah e i suoi numerosi commentari, i testi merkavah e heikhalot e gli insegnamenti degli Hasidei Ashkenaz. Ma, secondo studiosi come Joseph Dan, fu l'impulso dell'esperienza mistica diretta che spinse questi mistici a scrivere delle loro visioni interiori. Alla stesura di tali documenti contribuì anche il fatto che il codice di segretezza relativo alla conoscenza esoterica cominciava a venir meno tra i mistici ebrei. Questa tendenza sarebbe continuata per tutto il periodo cabalista, ma va ricordato che tali opere esoteriche non furono mai studiate isolatamente, dai soli libri: c’erano sempre circoli di maestri e discepoli che si incoraggiavano a vicenda nella pratica mistica.

Per dare un senso della bellezza e della sublimità dei loro scritti, di seguito viene riportata uno stralcio dal Libro della Contemplazione, che descrive lo stato nascosto della Divinità prima della creazione (lo stato di unità equilibrata) e l'emanazione della luce primordiale, gloria, fede, potere creativo e sapienza.

This is the Book of Contemplation that Rabbi Hammai, the principal spokesman, composed on the topic of the Innermost [most hidden]. In it he revealed the essence of the entire existence of the Glory, which is hidden from sight. No creature can truly comprehend the essence of His existence and His nature, since He is in the state of balanced unity; for in His completeness the higher and lower beings are united. He is the foundation of everything that is hidden and revealed. From Him issues forth all that is emanated from the wondrousness of the Unity and all the powers that are revealed from the Supreme Hiddenness, which is called aman [artisan].[43] The explanation is that from Him the sustaining power emanated, which is called Father of Faith, since faith was emanated from its power.

He is the primal emanator, for He preceded all the primordial elements that were emanated from the wondrousness of His Unity. Furthermore, all of them are revealed by the process of emanation, like a scent from a scent or a candle-flame from a candle-flame; since this emanates from that and that from something else, and the power of the emanator is within that which was emanated. The emanator, however, does not lack anything. Thus, the Holy One, blessed be He, generated all of His powers – these from those, by the process of emanation. Moreover, He is united with them like the flame of fire, which is united with its colors, and he ascends above in His Unity and is exalted, such that there is no end to His exaltedness.

When it arose in His mind to create all His actions and display His power and produce all of His creations, He created one power. This power is called Primordial Wisdom, which is called mystery. Before He created this power, His power was not discernible, until His radiance was seen, and His glory was revealed in this wisdom. . . . The quality of His truth, may He be blessed, that we are able to perceive, entails the pure light of life. It is pure gold, written and sealed in the radiance of His beauteous canopy. It consists of a brightly shining radiance, like the image of the form of the soul that is entirely imperceptible – an entirely imperceptible brightness.

He is united with the Primordial Wisdom. From this Wisdom that is called mystery, the Holy One, blessed be He, generated all the spiritual powers simultaneously. All of them vibrated and whirred in their brightness and were exalted above, until the Holy One, blessed be He, bound all of them together.[44]

Il tema di fondo è l'origine del cosmo attraverso l'emanazione dei poteri divini (kohot) dalla fonte, il Santo, la Sapienza Primordiale. Le dieci potenze emanano l'una dall'altra in una catena organica, l'una congiunta o “legata” all'altra, “unite nel reame eccelso”, ciascuna derivante individualmente dalla potenza precedente.

L'autore chiama Luce Meravigliosa la prima potenza emanata dalla Sapienza Primordiale. Dalla Luce Meravigliosa, la Sapienza Primordiale creò hashmal, electrum.[45] Tra le emanazioni successive ci sono il trono di luce, la ruota della grandezza e il cherub, che viene descritto come “una cortina (velo) che ruota nella rivoluzione della sua brillantezza". L'opera si conclude con l'apparizione dell'angelo Metatron, che nella letteratura heikhalot è spesso raffigurato seduto sul trono divino.

Il significato esoterico di gran parte di questo simbolismo è sfuggente, tuttavia il documento trasmette l'estasi delle loro esperienze visive interiori della luce e dello splendore divini. La vibrazione e il ronzio delle potenze si riferiscono a un’esperienza di “suono” spirituale silenzioso. I testi rivelano un misticismo unico e altamente esperienziale.

Significativo per il nostro studio è il fatto che, come sottolinea Dan: “The series of powers are usually described in rhythmic prose, reflecting enthusiastic, experiential expression. It seems that unlike most kabbalistic texts, the works of the Iyun circle did not undergo a stage of theologization and systemization, so that the enthusiastic elements connected with first-hand mystical experience are not completely erased”.[46]

Poiché il loro lavoro ci arriva senza la mediazione di editori che cercano di conformarsi alle teologie accettate, possiamo ancora trovare prove delle loro esperienze mistiche personali. Questo è importante perché implica che le opere di altri mistici, che sono state pubblicate, possono darci solo uno sguardo parziale sugli aspetti mistici ed esperienziali dei loro insegnamenti.

La Fontana della Sapienza ha due sezioni distinte: la prima parte riguarda una pratica meditativa basata sulla derivazione dei nomi divini dagli schemi interni della lingua ebraica; nella seconda l'autore descrive la creazione come un processo di emanazione di luci superne. Per quanto riguarda la citazione susseguente, Verman sottolinea che il termine tikun è qui usato per indicare la meditazione, non il ripristino o il perfezionamento degli aspetti divini della Divinità e dei reami superni, come usato negli insegnamenti lurianici del XVI secolo.

This is the tikun, by directing your heart upon these four letters which constitute the Ineffable Name. In them is hidden a flowing stream and an overflowing fountain. They divide into several parts and run like lightning. Their light continues to increase and grow stronger.

The root-principle of all of them is YHWH. It has the numerical value twenty-six, corresponding to the twenty-six movements that emerged from the Primal Ether which divided into two parts – each part separate unto itself. Each part has the numerical value thirteen, corresponding to the thirteen sources that separated from the letter “A” [Aleph].[47]

Una delle dottrine del Circolo Iyun era l'emanazione delle tredici potenze o luci dall'Uno primordiale, qui chiamato Aleph, che è la prima lettera dell'alfabeto. E continua:

This matter will be elucidated and clarified by means of its tikun. The tikun about which we have spoken is the start of everything. It is the direction of the heart, intention of the thought, calculation of the viscera, purification of the heart, until the mind is settled and logic and language are formed. From language [stems] clarification, and from clarification the word is formed. From the word is the utterance and from the utterance is the deed. This is its beginning.[48]

Verman, nel tentativo di capire cosa significhi questo passo oscuro, presuppone che si tratti di qualcosa di più basilare e tuttavia più trascendente delle banali permutazioni di lettere. Ovviamente, i tentativi di mettere per iscritto i profondi insegnamenti che questi mistici condividevano tra loro non possono render loro giustizia. Forse questo è dovuto al fatto che tali insegnamenti – sulla meditazione, sul suono e sul linguaggio primordiali, sui poteri divini e così via – non possono essere trasmessi a livello dell'intelletto attraverso un qualche linguaggio umano. L'autore, tuttavia, sembra voler raggiungere le origini spirituali e nonfisiche del linguaggio.

Il documento include anche l'interessante affermazione sulla Divinità – che Egli ha causato la nascita di Se stesso:

Know that the Holy one, blessed be He, was the first existent being. Only that which generates itself is called an existent being. Since He generated himself, we can comprehend and conduct an investigation into His existence.[49]

L'identità dei mistici Iyun è rimasta oscura, poiché scrivevano sotto nomi fittizi di mistici leggendari delle epoche passate. La contemplazione, ad esempio, è attribuita a un certo Rabbi Hammai, che non è mai esistito. Hammai significa visionario in aramaico. La Fontana della Sapienza è attribuita a un angelo di nome Pe’eli. Verman, attraverso i suoi studi linguistici e storici, ha attribuito alcune opere del Circolo a Rabbi Isaac ha-Cohen, un cabalista di Castiglia, ma ciò non è stato dimostrato. Scholem e Dan li datano prima e Scholem li individua in Provenza. Verman postula che la ragione per cui i mistici autori di queste opere si nascondevano sotto il mantello dell'anonimato era a causa dell'opposizione della comunità rabbinica conservatrice che considerava eretici alcuni aspetti degli insegnamenti. All'epoca infuriavano le polemiche sulle opere di Maimonide, accusate di essere troppo filosofiche e scientifiche; pressioni simili furono avvertite tra i cabalisti.[50] E nonostante la loro importanza per comprendere le origini della Cabala, queste opere esistono ancora per lo più in forma manoscritta nelle biblioteche di tutto il mondo.[51]

Una logica mistica per i comandamenti

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La Provenza era un crocevia intellettuale, situato tra il mondo arabofono della Spagna, dominato dai musulmani, e il mondo latino e francese, dominato dai cristiani. Divenne una finestra attraverso la quale gli scritti arabi di filosofi ebrei come Saadya Gaon e Maimonide furono trasmessi al nord Europa in traduzione ebraica. La reinterpretazione razionalista dell'ebraismo da parte di Maimonide in termini aristotelici e la sua impavida innovazione intellettuale crearono una reazione di grande ostilità nelle comunità ebraiche europee, poiché si riteneva che le sue idee indebolissero l'autorità delle Scritture come base per l'esecuzione del rituale. Alcuni scritti di Maimonide furono banditi dalle autorità religiose. Era naturale che anche un insegnamento radicale come la Cabala potesse creare ondate di ansia o paura nelle menti delle autorità religiose. Ma per la maggior parte non fu così.

Ta’amei ha-mitsvot, ovvero le ragioni o le giustificazioni per i comandamenti religiosi, era una preoccupazione popolare tra i cabalisti del XIII secolo ed essi scrissero molti trattati su tale argomento. Ma non furono ragioni razionali che loro proposero: furono invece mistiche e simboliche. I cabalisti presumevano che quando le persone eseguivano i rituali e le cerimonie comandate dalla Torah, ciò avesse un effetto teurgico sul reame del divino – aumentava la potenza divina, che dava protezione agli ebrei. Ad esempio, i cabalisti credevano che la mitsvah (comandamento biblico) dei tefillin (filatteri) e l'uso del lulav (ramo di palma) nella festa di sukkot avessero significati speciali e un impatto sui poteri superni. Se questi comandamenti non fossero stati rispettati, l'essere divino si sarebbe ritirato in se stesso e il flusso (shefa) del suo potere nutritivo, della sua grazia, dello spirito santo, ne verrebbe diminuito. I comandamenti avevano il potere di unire l'uomo a Dio, elevandolo al livello divino. In un gioco di parole, i cabalisti insegnavano che la ragione mistica (ta’am) per eseguire una mitsvah è il suo gusto (ta’am), la cui conoscenza poteva essere acquisita leggendo attentamente il testo biblico. Eseguendo la mitsvah, il devoto poteva degustare la dolcezza divina e l'essenza insita in essa.

I cabalisti credevano che nessuna azione avesse semplicemente luogo nel mondo fisico. Ogni azione ha il suo impatto corrispondente nei piani superiori. Pertanto la visione cabalistica del mondo forniva una motivazione per osservare i comandamenti e vivere una vita retta e morale. Joseph Dan spiega:

« The commandments reflect essences and processes within the divine world, and by their observance the mystic is able to take part in these processes. That some mitsvot did not have logical explanations did not in any way diminish their attraction as symbols – on the contrary, the symbol became more powerful because of its mysterious nature on the literal level. . . . In this way the Kabbalah completely transformed the everyday lives of its believers on the spiritual level, without changing anything on the practical level...
It is clear that a rationalistic explanation of the reasons of the mitsvot might make the commandments subject to change as circumstances change; whereas a mystical interpretation on the symbolic level – claiming that the real reasons are completely hidden and beyond human comprehension and that the symbol dimly denotes something concerning an esoteric meaning – cannot be used to bring negation or change. »
(Dan, Early Kabbalah, p. 12)

Pertanto, un tipo di pratica mistica e un sistema di credenze che avrebbero potuto sembrare piuttosto radicali e destabilizzanti per una religione tradizionale divennero in realtà una forza conservatrice nel mantenere l’autorità della legge e della tradizione religiosa. Allo stesso tempo, però, ci furono delle obiezioni. Per alcuni pensatori, il simbolismo delle sefirot rasentò sempre il politeismo, perché era percepito come l'adorazione di molti dei, non dell'unico vero Signore.

  Per approfondire, vedi Serie misticismo ebraico, Serie delle interpretazioni e Serie maimonidea.
  1. (EN) A reference to the passage from the Bible, in Ezekiel: “Blessed be the Glory of God from its place” (Ezekiel 3:12). Joseph Dan explains that “in its place” in this parable means that “the Glory itself is known and present among the people . . ., only her place of origin is hidden. They bless the princess in her presence, and they refer to her origin as ‘wherever she comes from.’” (Dan & Kiener, Early Kabbalah, p. 64.)
  2. Dan scrive: “The Gnostic character of the Bahiric symbolism is apparent here more than in almost all other sections of the book. The picture of the ‘daughter of light,’ in exile in the material world, representing her hidden, unknowable place of origin ‘on the side of the light’ is a stark Gnostic one.” (Dan & Kiener, Early Kabbalah, p. 64.)
  3. Bahir, §132, in Dan & Kiener, Early Kabbalah, p. 64, con riferimento alla traduzione (EN) di Kaplan, Bahir, pp. 48–49. Lascio i brani nella traduzione (EN) per mantenerne la semantica al 2° livello.
  4. Bahir, §98, in Kaplan, Bahir, p. 46. For a complete discussion of the thirty-two paths of wisdom, see also Kaplan, trans., Sefer Yetzirah.
  5. Il termine sefirot divenne il simbolo più importante della Cabala. Qui lo si ritrova per la prima volta con il senso di una sequenza di emanazioni graduate. Il termine fu usato per la prima volta nel Sefer yetsirah, ma solo per indicare numeri fissi, che simboleggiavano poteri statici e non interagivano tra loro. Nel Bahir sono disposti in sequenza, uno sopra l'altro. Successivamente, i cabalisti svilupparono ulteriormente il concetto e immaginarono che le sefirot interagissero tra loro, con il potere divino che scorreva perpetuamente tra di loro.
  6. Bahir, §22, in Kaplan, Bahir, p. 9.
  7. Bahir, §23, in Kaplan, Bahir, p. 9, e Bokser, trad., Jewish Mystical Tradition, p. 84.
  8. Bahir, §119, in Kaplan, Bahir, p. 45 e Bokser, Jewish Mystical Tradition, p. 84.
  9. Dan, Early Kabbalah, p. 5.
  10. Cfr. Scholem, Origins of the Kabbalah, pp. 14–18, 233–238.
  11. Nel primo periodo rabbinico, i perushim erano uno dei sottogruppi riformisti dell'ebraismo, conosciuti come farisei. Nella Bibbia i nezirim erano coloro che rinunciavano alle indulgenze fisiche per dedicarsi al Tempio o a Dio. I profeti Samuele e Sansone sono descritti come nazirei. È stato anche suggerito che Giovanni Battista fosse un nazireo e che anche Gesù potrebbe essere stato un nazireo e non originario di un luogo chiamato Nazareth. Nel periodo medievale i termini sembrano essere stati applicati in modo più generale.
  12. Citazione presa dagli importanti statuti Hukei torah (leggi della Torah), pubblicati da M. Güdemann in Geschichte des Erziehungswesen und der Kultur der Juden in Deutschland und Frankreich (Vienna, 1880), 268. Cit. Scholem, Origins of the Kabbalah, p. 229.
  13. Scholem, Origins of the Kabbalah, p. 231.
  14. Sefer yestsirah, 1:6, cit. Scholem, Origins of the Kabbalah, p. 307.
  15. Citato in Hallamish, Introduction to the Kabbalah, p. 40.
  16. Cfr. anche Scholem, Kitvei yad (Writings of the Hand), pp. 227–29. Citato in Hallamish, Introduction to the Kabbalah, pp. 66–68.
  17. Scholem, Origins of the Kabbalah, p. 36.
  18. Scholem, Origins of the Kabbalah, pp. 35–36. Scholem condivide anche un'interessante osservazione su una fonte parallela di rivelazione nell'Islam mistico: "A notion analogous to that of giluy Eliyahu can be found in Sufi mysticism in the accounts of revelations of Khidr (the Muslim metamorphosis of Elijah). Reports or testimonies concerning such revelations exist with regard to Muhi al-din ibn Arabi (1165–1240) of Andalusia, who shortly before 1200 – the time of Rabad and Isaac the Blind – was still wandering about in Spain.” (Cfr. G. Husaini, The Pantheism of Ibn Arabi, 28, citato in Origins of the Kabbalah, p. 246).
  19. Dan, Early Kabbalah, p. 31.
  20. Cfr. anche Fine, Physician of the Soul, p. 103.
  21. Citato in Scholem, Origins of the Kabbalah, p. 206.
  22. Citato in Scholem, Origins of the Kabbalah, p. 207.
  23. Parte 1 di Kitvei ha-Ramban (gli Scritti del Ramban), H. D. Chavel, cur., p. 190, cit. Hallamish, Introduction to the Kabbalah, p. 108.
  24. Shem Tov ibn Gaon, Baddei ha-aron u migdal Hanan’el (Linens of the Ark and the Tower of Hananel) (Gerusalemme, 1978), p. 27; citato in Hallamish, Introduction to the Kabbalah, p. 108.
  25. Citato da Scholem, Origins of the Kabbalah, p. 202.
  26. Scholem, Origins of the Kabbalah, p. 200.
  27. Scholem, Origins of the Kabbalah, p. 207.
  28. Citato da S. Blickstein, Between Philosophy and Mysticism (Jewish Theological Seminary of America [JTSA], 1983), 17, n. 45; cfr. anche Verman in Books of Contemplation, p. 188.
  29. Nahmanide era il leader della comunità ebraica di Gerona e, a differenza di Ezra e Azriel, era un cabalista che mascherava i suoi insegnamenti esoterici in documenti exoterici. Cfr. il mio Nahmanide teologo.
  30. Citato in Hames “Exotericism and Esotericism in Thirteenth Century Kabbalah.” Riprodotto anche in Hames, The Art of Conversion: Christianity and Kabbalah in the Thirteenth Century, p. 51. Hames scrive in una nota alla lettera: “I have compared between MS. Vatican Ebr. 202, ff. 59a–60a and G. Scholem’s transcription in ‘A New Document for the History of the Origins of the Kabbalah’ (Hebrew), in J. Fichman, ed., Sefer Bialik, (Tel Aviv 1934), pp. 143–4. A translation of part of the letter is to be found in Scholem’s Origins of the Kabbalah (Princeton 1987), pp. 394–95. My translation and interpretation differ somewhat from Scholem’s in both the aforementioned places.”
  31. Cit. da Hallamish, Introduction to the Kabbalah, p. 25.
  32. Scholem, Origins of the Kabbalah, p. 277. Isaac il Cieco viene discusso in Scholem, Origins of the Kabbalah, p. 282.
  33. Scholem, Origins of the Kabbalah, p. 284.
  34. Così in MS. British Museum, Margoliouth 752, folio 36a. Un brano molto simile anche in Keter shem tov (Corona del Buon Nome), in Jellinek, Auswahl kabbalistischer Mystik, 41. Citato in Scholem, Origins of the Kabbalah, pp. 451.
  35. Scholem, Origins of the Kabbalah, p. 299. Scholem cita dal commentario di Isaac al capitolo 3 dello Sefer yetsirah. (HE) “Kol ha-devarim hozrim le-shoresh ikaram”.
  36. Tradotto dalla versione di Scholem, Origins of the Kabbalah, pp. 300–301.
  37. Questa importante preghiera viene recitata in ogni servizio: “Ascolta, O Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è Uno [ehad]”. Cfr. anche Scholem, Origins of the Kabbalah, p. 309.
  38. Scholem, Origins of the Kabbalah, pp. 301–302. Sebbene Scholem preferisse insistere sul fatto che l'obiettivo della meditazione cabalistica non era l'unione con Dio, o unio mystica, ma piuttosto la comunione mistica – un contatto non totale o una fusione incompleta con la fonte divina – gli studiosi successivi non sono d'accordo e sottolineano che Scholem ignorò prove di unio mystica in alcuni testi cabalistici e suggeriscono che avesse un pregiudizio tradizionalista contro la possibilità di un'unione mistica totale. (Scholem si riferisce al disaccordo di Tishby con lui in nota 206, p. 303. Anche Moshe Idel non è d'accordo, come attestato nel suo Mystical Experience in Abraham Abulafia, pp. 124 ss.)
  39. Azriel di Gerona (XIII sec.), “Commentary on the Ten Sefirot,” in Meir ibn Gabbay, Derekh emunah (The Path of Faith) (Warsaw, 1850), 2b-c, {167} 3a-d; cfr. Dan & Kiener, Early Kabbalah, 89–91, 93–94. Come resa da Matt, Essential Kabbalah, pp. 29–30.
  40. Citato in Dan, cur., The Heart and the Fountain, pp. 117–120.
  41. C’è qui un gioco di parole, poiché le parole ma‘ayan (fontana) e ‘iyun derivano dalla parola ‘ayin (occhio o fonte).
  42. Verman, Books of Contemplation, p. 3.
  43. Anche qui c'è un gioco di parole, poiché la parola aman può significare artigiano, creatore o nutritore. È anche legato alla parola fede, emunah. Pertanto, “Father of Faith” nella frase successiva potrebbe anche significare “Father of Creativity” (il Creatore), e la frase potrebbe esser resa: “The explanation is that from Him the sustaining power emanated, which is called Father of Creativity, since creativity was emanated from its power”.
  44. Verman, Books of Contemplation, pp. 37–42.
  45. Electrum (Elettro): un termine non identificato per luce o splendore che ricorre nella letteratura esoterica ebraica.
  46. Dan, Early Kabbalah, p. 27–28.
  47. Verman, Books of Contemplation, p. 61.
  48. Verman, Books of Contemplation, p. 62.
  49. Verman, Books of Contemplation, pp. 55–56.
  50. Cfr. Verman, Books of Contemplation, pp. 142–144.
  51. Lo studio dettagliato di Mark Verman citato in questa sezione porta alla luce, in ebraico con la traduzione inglese di accompagnamento, diverse versioni del Libro della Contemplazione, della Fontana della Sapienza, del Libro dell'Unità e altri frammenti. Verman presenta anche una panoramica storica dettagliata dei circoli mistici del periodo e un'analisi dei loro insegnamenti e simbolismi.
  Serie misticismo ebraico  
Libri nella serie: Messianismo Chabad e la redenzione del mondo  •  Introduzione allo Zohar  •  Isaac Luria e la preghiera  •  Il Nome di Dio nell'Ebraismo  •  Rivelazione e Cabala  •  Storia intellettuale degli ebrei italiani  •  Abulafia e i segreti della Torah  •  Israele – La scelta di un popolo  •  Nahmanide teologo  •  Evoluzione del monoteismo  •  Etica della salute  •  Il Chassidismo di Elie Wiesel  •  La teologia di Heschel  •  Ebraismo chassidico  •  Questo è l'ebraismo!  •  I due mondi dell'ebraismo  •  Ispirazione mistica  •  Tradizione ebraica moderna  •  Simchah: nozioni di felicità  •  Sefer כותב ישוע  •  Melekh Ha-Mashiach
Bibliografie & Glossari: 1  •  2  •  3  •  4  •  5  •  6  •  7  •  8  •  9  •  10  •  11  •  12  •  14  •  15  •  17  •  18