Ispirazione mistica/Capitolo 2

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Il rapimento di Elia, di Duilio Corompai (1934). Il rapimento di Elia su un carro di fuoco è un episodio biblico raccontato nel Secondo libro dei Re (2 Re 2:9-13). Il mantello, caduto ad Elia e raccolto da Eliseo, rappresenta la continuazione della missione profetica

I primi profeti

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E, dopo il fuoco,
un mormorio di vento leggero.

1 Re 19:12

Alla fine, sotto la guida di Giosuè e dei suoi successori, gli israeliti si stabilirono nella “terra promessa”. Di tanto in tanto apparivano dei profeti per portare la parola di Dio e ricordare loro l'importanza di obbedire ai comandamenti di Dio e di vivere eticamente e moralmente.

Il fenomeno della profezia non era raro nel Vicino Oriente antico e comprendeva diversi tipi di comportamento.[1] Nella Bibbia, il termine più frequentemente usato per “profeta” è navi, che probabilmente deriva dall'accadico nabi’um – “il chiamato”, indicando l'esperienza dei profeti di essere chiamati da Dio.[2] Il termine era generalmente utilizzato per discorsi profetici in nome di Dio, e talvolta per il comportamento estatico dei gruppi di profeti associati ai primi profeti Samuele ed Elia, nell'XI e nel IX secolo AEV. Altri termini usati nella Bibbia per il profeta sono hozeh (veggente), ro’eh (veggente), ish elohim (uomo di Dio), eved (schiavo o servitore di Dio) e ro‘eh (pastore),[3] ma navi divenne il termine più utilizzato e onnicomprensivo.

I nevi’im (plurale di navi) dell'antico Vicino Oriente generalmente sostenevano le forme di culto prevalenti nelle loro comunità e fornivano previsioni ottimistiche per le aristocrazie. Rassicuravano i monarchi, i sacerdoti e i capi militari pronunciando oracoli, interpretando i sogni, “divinando” e simili. Gli scritti biblici rivelano che probabilmente anche alcuni profeti israeliti iniziarono la loro carriera in questo modo, ma una volta che furono veramente chiamati da Dio e fecero esperienza personale della ruah ha-kodesh, la parola di Dio, si staccarono dalle loro origini e adottarono la trasmissione della divina volontà come unico scopo.[4]

Inevitabilmente, una volta fatta l'esperienza diretta del divino, esercitavano un'influenza destabilizzante sulla gerarchia sociale. Non esitarono ad esprimere il loro disgusto per lo sfruttamento degli oppressi e la corruzione delle classi aristocratiche e benestanti. Criticando i sacrifici, i pellegrinaggi e altre forme di culto, sollecitavano una maggiore azione morale come modo di aderire a Dio, concentrandosi sui diritti della vedova, dell'orfano, del povero e degli svantaggiati. Predicavano anche contro i culti sincretistici che combinavano la devozione a YHWH con l'adorazione della dea della fertilità Asherah e di altre divinità. È stato detto che la missione dei profeti ebrei era una missione di verità, non di convalida o di adulazione. Agivano come coscienza della comunità. La loro voce era cacofonica, come tuoni e fulmini che disturbano una tranquilla serata estiva. Questo perché erano galvanizzati dalla loro esperienza personale di Dio che non li lasciava riposare. Parlando del potere del discorso del profeta, Abraham Joshua Heschel, noto filosofo e insegnante del ventesimo secolo, scrisse nella sua opera ispiratrice The Prophets: "The prophet not only conveys; he reveals; . . . in his words, the invisible God becomes audible. . . . Divine power bursts in the words. The authority of the prophet is in the Presence his words reveal".[5]

Gli scritti dei profeti sono pieni di riferimenti alla loro esperienza personale del divino, della parola o spirito santo di Dio. È stato suggerito da studiosi come Aryeh Kaplan che queste esperienze siano arrivate loro attraverso la pratica di varie forme di meditazione, che li elevarono a uno “stato profetico”. Senza dubbio gli stadi raggiunti in questo stato meditativo possono essere diversi da individuo a individuo, ma si può dire con certezza che abbiano raggiunto un certo grado di realizzazione spirituale. È possibile concludere, anche da una lettura casuale dei testi, che ebbero esperienze interiori di luce e suono, di fuoco e tempesta, visioni di angeli e altri esseri nonfisici, e persino di Dio seduto sul Suo trono.

Quindi, mentre sembra evidente che i profeti biblici si impegnassero nella pratica spirituale interiore, è difficile determinare in cosa consistessero le loro tecniche di meditazione. Il termine hitbodedut è più comunemente associato alla forma di meditazione dei profeti. Questo termine venne usato, ad esempio, in relazione alla meditazione interiore di Mosè e Giosuè. Un altro termine utilizzato è hagut o hagah, che può riferirsi a un tipo di “meditazione mantra, in cui una parola o un suono viene ripetuto più e più volte”.[6] Hagah può anche significare contemplare, ed era usato in associazione all'esperienza della luce e del suono spirituale, come nella visione del profeta Ezechiele.

La difficoltà nell'identificare le tecniche precise utilizzate dai profeti è che nel tempo i termini usati per descrivere la loro meditazione sono stati usati per vari tipi esterni di culto o contemplazione, e quindi hanno perso il loro significato mistico nel contesto moderno. Sono pochi gli studiosi che si sono impegnati a risalire ai significati originari, autentici, di questi termini. Uno di questi studiosi è stato Aryeh Kaplan (1934–1983), un rispettato rabbino e scienziato del XX secolo, mistico praticante, che si concentrò sulla dimensione mistica degli scritti dei profeti. Pertanto, mentre molte autorità religiose contemporanee enfatizzano solo gli insegnamenti morali dei profeti, studiosi come Kaplan rivelano il forte focus spirituale interiore dei profeti. Kaplan ha osservato:

« Many people consider the prophets of the Bible to be nothing more than spokesmen and agitators, who spoke out against the wrongs of their people and governments. What is not generally known is the fact that these prophets were among the greatest mystics of all times, actively engaged in the loftiest meditative techniques. »
(Kaplan, Meditation and the Bible, p. 27)

I testi biblici, con poche pennellate audaci, dipingono i profeti come persone straordinarie, rivelandone emozioni intime e aneliti spirituali, i loro stati di coscienza superiore e comunione interiore con il divino, la loro angoscia e frustrazione per la resistenza che incontravano mentre si sacrificavano nel compiere la missione di Dio. E in questi testi abbiamo il senso della presenza divina che si rivela a loro e, attraverso di loro, ai loro seguaci e, in definitiva, a noi.

Gli studiosi dei testi hanno scoperto che i detti e gli scritti poetici dei profeti sono le parti più autentiche dei libri profetici della Bibbia. Hanno dimostrato che le narrazioni, influenzate dalle previsioni di imminenti disastri naturali e sconvolgimenti politici, furono pesantemente alterate da compilatori ed editori successivi che cercarono di rafforzare l'agenda dell'establishment politico e religioso. Fortunatamente, attraverso l'eloquenza potente e ispiratrice degli scritti poetici dei profeti, la dimensione spirituale dei loro insegnamenti si rivela, e la realtà del loro rapporto con il divino può diventare per noi tanto immediata quanto lo è stata per i loro discepoli.[7]

Dei primi profeti, tuttavia, abbiamo a disposizione poco del loro insegnamento autentico, mentre dei profeti successivi abbiamo i testi delle loro parole originali, pubblicati a loro nome. I primi profeti, vissuti tra l'XI e il IX secolo AEV, ci sono conosciuti principalmente attraverso leggende e storie di miracoli raccontate nei libri di Samuele e dei Re. Ma nonostante ciò, quello che emerge è la loro esperienza intensa e spesso estatica di Dio, e la loro estrema lealtà nei Suoi confronti nonostante il pericolo per se stessi.

Samuele

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Solo temete il Signore e servitelo fedelmente,
con tutto il vostro cuore.

1 Samuele 12:24

Nell'XI secolo AEV, il bambino Samuele, che serviva Eli, il sommo sacerdote della città di Shiloh (un santuario settentrionale), sentì Dio chiamarlo per nome. Ciò avvenne in un periodo in cui “la parola del Signore era rara” tra gli Israeliti (1 Samuele 3:1), il che implica che la comunità aveva perso il contatto con gli insegnamenti spirituali. Nella storia, Samuele non si rende conto che Dio lo sta chiamando, ma alla fine Dio chiama di nuovo e Samuele risponde: "Parla; perché il Tuo servo ascolta. . . . Samuele intanto cresceva e il Signore era con lui e non lasciò andare a vuoto nessuna delle sue parole" (1 Samuele 3:19).

Tutto Israele, da Dan fino a Beer-Sceba, riconobbe
che Samuele era stabilito come profeta del Signore.
E il Signore continuò ad apparire a Silo,
poiché a Silo il Signore si rivelava a Samuele
mediante la parola del Signore.
1 Samuele 3:20-21

I profeti erano gli emissari di Dio al popolo con la missione divina di trasmettere la Sua volontà. Erano i leader nei reami spirituali e mondani. Ma dopo qualche tempo il popolo reclamò a gran voce un re. La Bibbia narra che Dio alla fine acconsentì e ordinò che il re condividesse la responsabilità profetica. Il profeta unse il re e così facendo condivise il suo potere e la sua influenza con il sovrano mondano. L'unzione simboleggiava la sua selezione divina. Samuele unse i primi re d'Israele: Saul e Davide.

Pertanto anche i compiti mondani del re erano divinamente ordinati, e il re doveva essere spiritualmente preparato per intraprenderli. Questo perché la guida temporale del popolo derivava dall'esperienza spirituale. Dio guidò i profeti e, una volta instaurata la monarchia, guidò anche i re, attraverso i profeti. L'unzione di Saul da parte di Samuele sarebbe diventata il segno distintivo della scelta divina del profeta, del re e del sacerdote nella primitiva religione israelita, che sarebbe stata trasferita nel concetto del messia – l'unto. Il re diventa un leader o maestro spirituale, almeno potenzialmente o simbolicamente. In pratica, come vediamo leggendo la Bibbia, spesso non furono all'altezza della loro unzione.

Il racconto storico sottolinea che Samuele fornì guida spirituale al popolo in un momento in cui stava diventando una nazione e acquisendo un’identità politica e nazionale. Ricordò loro di non dimenticare chi era il vero Re e il loro rapporto profondo e duraturo con Lui.

L'essenza dell'insegnamento profetico è la guida spirituale che il profeta fornisce al popolo. Samuele parlò con umiltà del suo ruolo di profeta nell'insegnare al popolo e nell'intervenire a suo favore: {{citazione|Quanto a me, non sia mai che io pecchi contro il Signore, tralasciando di supplicare per voi e di indicarvi la via buona e retta. Vogliate soltanto temere il Signore e servirlo fedelmente con tutto il cuore, perché dovete ben riconoscere le grandi cose che ha operato con voi. Se invece vorrete fare il male, voi e il vostro re sarete spazzati via.|1 Samuele 12:23-25 Ma Saul era debole e disobbediente, diffidava di Samuele e poi si deprimeva. Lo spirito di Dio lasciò Saul e andò da Davide, amico di suo figlio e compagno di guerra, e uno spirito maligno si impadronì di Saul. Saul divenne geloso di Davide e cercò di ucciderlo. Alla fine, quando si sentì incapace di ottenere la guida del profeta o direttamente di Dio stesso, cercò l'aiuto di una medium spiritica, cosa proibita dalla legge dell'alleanza che consentiva solo l'adorazione di YHWH.

Quando Saul mandò i suoi messaggeri a cercare Davide per ucciderlo, lo trovarono in compagnia di Samuele e del suo gruppo di discepoli, tutti “profetizzanti” – ispirati e trasformati dallo spirito del Signore. Così profetizzarono anche i messaggeri di Saul: tutti entrarono nello stato estatico profetico, sopraffatti dalla coscienza della presenza divina. Alla fine, Saul stesso andò da Samuele, e anche lui sperimentò l'estasi divina. Questo era il modo in cui Samuele distoglieva la coscienza di Saul dall'atto negativo che stava per perpetrare e lo teneva entro la volontà di Dio. E Saul venne trasformato dalla sua esperienza interiore durante la meditazione:

« Allora Saul spedì messaggeri a catturare Davide, ma quando videro profetare la comunità dei profeti, mentre Samuele stava in piedi alla loro testa, lo spirito di Dio investì i messaggeri di Saul e anch'essi fecero i profeti. Annunziarono a Saul questa cosa ed egli spedì altri messaggeri, ma anch'essi fecero i profeti. Saul mandò di nuovo messaggeri per la terza volta, ma anch'essi fecero i profeti. Allora venne egli stesso a Rama e si portò alla grande cisterna che si trova a Secu e domandò: "C'è qui forse Samuele con Davide?". Gli risposero: "Eccoli: sono a Naiot di Rama". Egli si incamminò verso Naiot di Rama, ma cadde anche su di lui lo spirito di Dio e andava avanti facendo il profeta finché giunse a Naiot di Rama. Anch'egli si tolse gli abiti e continuò a fare il profeta davanti a Samuele; poi crollò e restò nudo tutto quel giorno e tutta la notte. Da qui è venuto il detto: "Anche Saul è tra i profeti?" »
(1 Samuele 19:20-24)

È interessante notare che in questa toccante storia di profeta e re, possiamo vedere da vicino il ruolo del profeta con i suoi discepoli: come mediatore con Dio, come insegnante, portatore dello spirito santo, guida spirituale, untore del re, e come consolatore.

Davide: il Re-Profeta

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Di giorno l'Eterno mi largisce la sua benignità,
e di notte innalzo a lui un cantico,
una preghiera al Dio della mia vita.
Salmi 42:8

In Davide, i ruoli di profeta e re si uniscono, ed è la sua unzione come re che in seguito diventa una metafora del messia nell'immaginario ebraico.

Quali erano le qualità combinate in Davide che lo rendevano il re-profeta ideale? Nella sua giovinezza viene descritto come sensibile e dalla mentalità spirituale, un pastore che suona l'arpa, "l'amato di Dio". Pascolare le pecore, come abbiamo visto, era un'occupazione comune dei profeti poiché li manteneva umili, addestrati a prendersi cura del loro gregge di discepoli e concedeva loro ampio tempo per la meditazione. Davide è ritratto come bello, con un cuore puro. Con la sua unzione, "lo spirito del Signore scese su Davide da quel giorno in poi". Da allora in poi fu il ricettacolo della ruah ha-kodesh, lo spirito santo.

La statura spirituale di Davide è sottolineata in un altro bellissimo brano del libro di Samuele, in cui Davide parla al suo popolo poco prima della sua morte. Il narratore utilizza tre metafore per la chiamata spirituale di Davide: “l'uomo che fu elevato in alto”, “l'unto del Dio di Giacobbe” e “il dolce cantore d'Israele” (2 Samuele 23:1). Davide si rivolge al popolo, dichiarando che era lo spirito del Signore, la parola di Dio, a parlare attraverso di lui governandolo. Fu questo spirito a stabilire certi principi e qualità spirituali necessari a un governante nominato da Dio:

Queste sono le ultime parole di Davide:
"Parola di Davide, figlio di Iesse,
parola dell'uomo che fu elevato ad alta dignità,
dell'unto del Dio di Giacobbe,
del dolce cantore d'Israele:
lo Spirito del Signore ha parlato per mio mezzo
e la sua parola è stata sulle mie labbra.
Il Dio d'Israele ha parlato,
la Rocca d'Israele mi ha detto:
‘Colui che regna sugli uomini con giustizia,
colui che regna con timore di Dio,
è come la luce mattutina,
quando il sole si alza in un mattino senza nuvole
e con il suo splendore, dopo la pioggia,
fa spuntare l'erbetta dalla terra’".
2 Samuele 23:1-4

I Salmi biblici sono un ampio corpus di inni attribuiti a Davide e contribuiscono alla tradizione del suo essere un re-profeta, appropriatamente chiamato il “dolce cantore d’Israele” che suonava l'arpa e danzava per Dio.[8] Molti salmi hanno una forza mistica e sembrano collegati alla pratica della meditazione e all'esperienza della luce spirituale e della fonte della vita interiore. Per esempio:

Fermatevi e riconoscete che io sono Dio.
Salmi 46:11

Di Te mi ricordo nel mio letto,
a Te penso nelle veglie notturne.
Salmi 63:6

Poiché in Te è la fonte della vita
e per la Tua luce noi vediamo la luce.
Salmi 36:10

In altri salmi fa appello a Dio affinché lo protegga dai suoi nemici, che possono essere intesi simbolicamente come le sue stesse debolezze che lo assalivano. Ecco un salmo molto amato da persone di tutte le culture e religioni poiché parla della pace interiore e della forza che provengono dal Signore:

Salmo di Davide.
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla;
su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino,
per amore del suo nome.
Se dovessi camminare in una valle oscura,
non temerei alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici;
cospargi di olio il mio capo.
Il mio calice trabocca.
Felicità e grazia mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
e abiterò nella casa del Signore
per lunghissimi anni.
Salmi 23:1-6

I Salmi venivano generalmente cantati nel Tempio, e in seguito venivano anche recitati da singoli individui in casa. La musica devozionale era associata allo stato di profezia, e quindi il collegamento di Davide con i Salmi lo stabilisce non solo come un monarca mondano ma come un adepto spirituale che si immergeva nella propria mente e nella propria anima e attingeva alla musica divina e alla luce che percepiva. Joseph Blenkinsopp sottolinea che esiste una tradizione secondo cui Davide fondò la corporazione dei musicisti del Tempio, che adempivano alle loro funzioni "by virtue of prophetic inspiration . . . the composition and rendition of liturgical music was a form of prophecy. In the act of worship, prophetic and poetic inspiration came together".[9]

Le storie bibliche sulla vita di Davide sono contraddittorie: alcune lo presentano come un’anima spiritualmente elevata, un profeta, altre come un uomo che lottava con le proprie debolezze. C'è una storia piuttosto sincera, ad esempio, secondo cui egli peccò a causa della lussuria per la moglie di un altro uomo, fece uccidere il marito e poi si pentì profondamente delle sue azioni. Ci sono molti casi in cui soffrì molto a causa delle sue debolezze e cercò il perdono di Dio. Poiché queste storie furono compilate almeno quattro secoli dopo la vita di Davide, è possibile che le leggende attribuite a diverse persone siano state combinate, creando contraddizioni. O forse le storie sono intese come racconti morali per dimostrare che nessuno, nemmeno un re, è al di sopra delle leggi morali. Anche il re deve pagare per le sue azioni.

Il re israelita doveva essere un'estensione della volontà divina nella sfera temporale. Dopotutto, era unto dal profeta per estendere la sua influenza nella sfera mondana, per compiere la volontà di Dio nel mondo. Tale fu l'origine della monarchia in Israele.

Come re, Davide era considerato il punto di partenza di una stirpe perpetua stabilita da Dio, ma pochi dei suoi successori potevano essere all'altezza dello standard di spiritualità richiesto da Dio e dai profeti. Poiché Davide conquistò la città di Gerusalemme sottraendola alla tribù di Jebus e ne fece la sua capitale, Gerusalemme in seguito fu associata all'idea di un re-profeta-messia – un leader spirituale che avrebbe liberato il suo popolo dall'esilio e avrebbe governato da Gerusalemme, un profeta che avrebbe non solo influenza spirituale ma anche potere mondano.

È in corso un dibattito continuo tra gli studiosi sulla questione se i riferimenti nei libri profetici all'alleanza davidica, in cui Dio promette la guida eterna di Israele a un re-messia della stirpe di Davide, possano essere stati aggiunti a questi testi dopo i fatti. Sembrerebbe che la reputazione di Davide sia stata notevolmente abbellita dagli scrittori successivi che desideravano stabilire la sua statura sia nella sfera spirituale che in quella mondana, e anche per convalidare le pretese dei re successivi alla nomina e all'approvazione divina. Nonostante ciò, però, possiamo ancora farci un'idea del tipo di maestro spirituale vivente proiettato nella Bibbia attraverso la figura di Davide.

Profeti e loro discepoli

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Gli studiosi concordano sul fatto che esistessero linee di successione tra i profeti israeliti anche laddove essi non si riferivano per nome ai loro predecessori.[10] I “figli dei profeti” è un termine usato per gruppi di profeti in formazione o profeti giovani associati ai primi profeti estatici come Samuele, Elia ed Eliseo. Mentre i profeti vagavano da un luogo all'altro tra la gente, i loro “figli” o discepoli li accompagnavano. Parimenti, molti secoli dopo, “scuole” di profeti si raccolsero attorno agli anonimi visionari i cui scritti sono giunti fino a noi sotto il nome di Isaia.

Il cabalista italiano del XVIII secolo, Rabbi Mosè Luzzatto, scrisse riguardo a ciò che veniva richiesto a un profeta biblico:

Bisogna rendersi conto che un profeta non raggiunge questo livello più alto tutto in una volta. Deve elevarsi passo dopo passo finché non raggiunge effettivamente la piena profezia.
La profezia richiede quindi un corso di apprendistato, proprio come altre discipline e mestieri, in cui si deve avanzare passo dopo passo fino a padroneggiare completamente la materia. Questo spiega cosa intende la Bibbia quando parla dei “figli dei profeti”. Questi erano coloro che si facevano apprendisti presso profeti riconosciuti per apprendere le necessarie tecniche di profezia.
Coloro che si addestrano alla profezia devono farlo attraverso una serie di discipline specifiche. Lo scopo di queste è quello di esercitare su di loro l'Influenza Suprema, annullando gli effetti della loro natura fisica, che le limita. In questo modo si attaccano a Dio e portano su di sé la rivelazione della Sua luce.
Queste discipline possono includere varie meditazioni, recitare alcuni nomi divini e lodare Dio con preghiere contenenti tali Nomi, combinati in modo specifico.
La principale iniziazione alla profezia, tuttavia, dipende dalla devozione del neofita a Dio. Nella misura in cui si rendono degni con le loro opere e si purificano continuamente attraverso le discipline sopra menzionate, si avvicinano sempre di più a Dio. L'influenza profetica comincia a manifestarsi su di loro e alla fine ottengono la vera profezia.
Tutto ciò, però, richiede la guida di un maestro profeta. Deve avere una conoscenza adeguata dei metodi profetici, ed essere in grado di insegnare ai suoi discepoli cosa deve fare ciascuno per raggiungere il risultato desiderato, secondo il proprio particolare livello di preparazione.
(Mosè Luzzatto, Derekh ha-shem, pp. 3:4:2,4)

Blenkinsopp scrive che “Samuel was the leader or ‘father’ of an ecstatic brotherhood, not unlike the sheik presiding at a later date over the Sufi dervish community”.[11] Il filosofo e commentatore Abarbanel scrive dell'Accademia dei Profeti che erano legati a Samuele e seguivano una pratica di meditazione: “It appears that Naioth was a place near Ramah, where the prophets stayed. It was a place set aside for their meditations, where they would go and seek the word of God. The Targum (Commentary) therefore states that it was the ‘Academy of the Prophets’”.[12] E Kaplan scrive inoltre che “Samuel taught and directed the ‘sons of the prophets,’ his disciples, . . . preparing them to perceive the prophetic influx. They would go to this hill to meditate (le-hitboded) and seek prophecy because of the influence of the Ark of God, which was kept there”.[13]

Elia ed Eliseo: gli estatici

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  Per approfondire su Wikipedia, vedi le voci Elia e Eliseo (profeta).

Quasi due secoli dopo Samuele e Davide, all'inizio del IX secolo AEV, apparvero nel nord i profeti Elia ed Eliseo. Molte delle leggende su di loro e sui loro miracoli furono raccontate anche da altri “santi uomini” che li avevano preceduti, quindi è difficile avanzare pretese di accuratezza storica. Queste erano le leggende correnti in quel periodo sui maestri spirituali del mito e della preistoria. Detto questo, Elia ed Eliseo rimangono profeti importanti nella storia israelita e nella coscienza ebraica.

Elia è ritratto come un estatico appassionato e un operatore di miracoli. Nel racconto scritturale, è in perenne conflitto con il re israelita Achab, la malvagia regina Jezebel e tutti i profeti di Ba’al, il cui culto implicava la prostituzione nel tempio e altri comportamenti immorali. Elia è colui che dice la verità, lo sfidante dell'autorità; è carismatico e senza paura. Egli avverte il popolo di riaffermare la propria devozione a Dio e la vita morale incarnata nell'Alleanza. Trae la sua forza dalla comunione diretta con Dio, dall'esperienza del santo nome o parola.

Nel testo Elia è chiamato il “servo” di Dio. Cosa rivela questo termine riguardo al suo rapporto con il divino?

« Al momento dell'offerta si avvicinò il profeta Elia e disse: "Signore, Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, oggi si sappia che tu sei Dio in Israele e che io sono tuo servo e che ho fatto tutte queste cose per tuo comando". »
(1 Re 18:36)

La Bibbia dice che il vero servitore di Dio è colui che "cammina davanti a Lui con tutto il cuore"(1 Re 8:23), in altre parole, colui che segue la via che Dio gli ha indicato, in totale dedizione. Il servitore di Dio è colui che ha "fatto tutte queste cose secondo la tua [di Dio] parola". Si è arreso totalmente alla volontà divina. Le sue azioni sono solo l'attuazione della Sua volontà.

In tutto il racconto leggiamo che la parola di Dio “viene” a Elia. Ciò significa che la ruah ha-kodesh si manifesta dentro di lui; che egli si eleva al livello di coscienza saturo della presenza divina, e che essa guida i suoi insegnamenti e le sue azioni.

Dopo un incidente in cui prevalse sui 450 profeti del dio cananeo Ba’al, corse al monte Horeb. Lì si nascose in una grotta dove meditò a lungo, e “la parola del Signore venne a lui” e gli chiese cosa stesse facendo. Spiegò che stava difendendo l'alleanza, l'insegnamento divino, e ora i profeti di Ba’al cercavano di ucciderlo. Allora la potenza di Dio gli si manifestò sotto forma di terremoto, vento forte, fuoco e suoni violenti. Questi possono essere riferimenti simbolici alle luci e ai suoni dei piani interiori di coscienza, sperimentati nello stato di consapevolezza mistica. Alla fine, nel potere di queste luci e suoni spirituali, udì chiaramente “la voce sommessa”, la voce di Dio – la volontà di Dio.

« Gli fu detto: "Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore". Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. »
(1 Re 19:11-12)

Kaplan scrive che le visioni dei profeti biblici, le loro esperienze di Dio, avvenivano attraverso la profonda meditazione e tranquillità raggiunte con lo stato di hitbodedut:

« The spiritual power and enlightenment that is the most important element of the prophetic experience is not found in the whirlwind or earthquake, but in the “still small voice” of utter tranquility. This is a state that is attained through deep meditation. »
(Kaplan, Meditation and the Bible, p. 87)

Al momento della morte, Elia non sostenne una morte fisica. Piuttosto, ci viene detto che ascese al cielo su un carro di luce e suoni. Questa visione fu interpretata dai mistici ebrei successivi come un viaggio spirituale interiore verso i reami o gli stadi superiori della coscienza, non come un'ascesa fisica. Insieme alla visione ultraterrena del carro del profeta Ezechiele (VI secolo AEV), divenne il punto di riferimento o paradigma per la pratica della meditazione e il viaggio spirituale interiore delle generazioni successive di mistici ebrei. Eliseo, discepolo di Elia, ebbe la visione dell'ascesa di Elia sul carro. Il potere di Elia – una doppia porzione del suo spirito – venne a Eliseo. Eliseo assunse il ruolo di profeta che aveva avuto Elia; a simboleggiare la sua successione, prese il mantello di Elia, che era caduto a terra. Il testo dice anche che Eliseo versò dell'acqua sulle mani di Elia, metafora poetica del suo rapporto di devozione e servizio verso il suo padrone (2 Re 3:11). Al momento della morte di Elia, Eliseo lo vide ascendere corporalmente sul carro di fuoco.

« Mentre camminavano conversando, ecco un carro di fuoco e cavalli di fuoco si interposero fra loro due. Elia salì nel turbine verso il cielo. Eliseo guardava e gridava: "Padre mio, padre mio, cocchio d'Israele e suo cocchiere". E non lo vide più. Allora afferrò le proprie vesti e le lacerò in due pezzi. Quindi raccolse il mantello, che era caduto a Elia, e tornò indietro, fermandosi sulla riva del Giordano. Prese il mantello, che era caduto a Elia, e colpì con esso le acque, dicendo: "Dove è il Signore, Dio di Elia?". Quando ebbe percosso le acque, queste si separarono di qua e di là; così Eliseo passò dall'altra parte. Vistolo da una certa distanza, i figli dei profeti di Gerico dissero: "Lo spirito di Elia si è posato su Eliseo". Gli andarono incontro e si prostrarono a terra davanti a lui. »
(2 Re 2:11-15)

La narrazione biblica non fornisce molti dettagli su ciò che insegnarono questi primi profeti o sul loro rapporto quotidiano con i rispettivi discepoli. Li vediamo più come taumaturghi, chiaroveggenti, sfidanti il male morale manifestato nel mondo fisico. Molte delle storie su Elia ed Eliseo, come la rianimazione di un bambino morto, sono antiche leggende a loro attribuite. Tuttavia, qua e là, nelle descrizioni delle loro visioni interiori ed esperienze della parola o voce di Dio, si intravedono che è stata la loro comunione interiore con Dio a guidarli nel ministero alla loro comunità.

  Per approfondire, vedi Serie misticismo ebraico, Serie delle interpretazioni e Serie maimonidea.
  1. Secndo Fishbane in “Biblical Prophecy as a Religious Phenomenon,” Jewish Spirituality: From the Bible Through the Middle Ages, Green, ed., vol. 1, p. 62, "contemporary scholars have attempted to locate the phenomena of biblical prophecy within the context of the larger contemporary ancient Near Eastern environment in which it occurred... There are valuable studies that trace (or relate) the origins of Israelite prophecy to comparable phenomena in ancient West Asia (like the mantic-ecstatic type of prophet known from twelfth-century [bce] Byblos or ninth-to-eighth century bce Aram) or in Mesopotamia proper (like the messenger type known from eighteenth-century [bce] Mari).” Cfr. anche Wilson, Prophecy and Society in Ancient Israel, 98–115, 129–34, e Bibliografia.
  2. la discussione in questa sezione si basa su Blenkinsopp, History of Prophecy in Israel, pp. 36–37.
  3. Ci sono due parole roeh, che sono scritte diversamente in ebraico. Ro’eh con un aleph significa veggente, visionario, e ro’eh con un ayin significa pastore. Entrambi i termini sono usati per il profeta.
  4. "In Israel, as everywhere else in the Near East, ecstatic prophets were attached to temples and carried out specific functions there including intercessory prayer and the giving of oracles, especially in critical situations. Apart from explicit attestations, some aspects of their activity can be cautiously deduced from prophetic oracles in the hymns and the attribution of psalms to prophets. We have seen that one or another of the canonical prophets may have belonged to the ranks of these temple ecstatics, while others may have begun their career, but not ended it, in that capacity". Discussione in Blenkinsopp, History of Prophecy in Israel, pp. 252–253.
  5. Heschel, The Prophets, p. 27.
  6. “It appears that the word hagah has the primary connotation of ‘directed existence.’ The individual quiets his mind to a state of pure existence, while at the same time directing it toward a single goal. The methods of hagah meditation involve the repetition of sounds, words, phrases or melodies, and it is therefore closely related to the various forms of mantra meditation” (Kaplan, Meditation and the Bible, p. 115).
  7. Cfr. Blenkinsopp, History of Prophecy in Israel, p. 30 e in tutto il libro.
  8. La ricerca ha dimostrato che alcuni Salmi sono antecedenti a Davide, alcuni probabilmente hanno avuto origine come inni di altre religioni cananee adattati dagli israeliti. Alcuni furono probabilmente scritti nei secoli successivi alla morte di Davide. Alla fine furono assemblati intorno al 400 AEV, circa 600 anni dopo la vita di Davide.
  9. Blenkinsopp, commentando il libro delle Cronache, scritto nel secondo secolo AEV, in History of Prophecy in Israel, p. 254.
  10. Blenkinsopp, History of Prophecy in Israel, p. 124.
  11. Blenkinsopp, History of Prophecy in Israel, p. 66.
  12. Citato in Kaplan, Meditation and the Bible, p. 88.
  13. Kaplan, Meditation and the Bible, p. 90.
  Serie misticismo ebraico  
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