Interpretazione e scrittura dell'Olocausto/1945-1960
Introduzione
modificaLa scrittura narrativa e testimoniale sull'Olocausto fu scarsa nei primi anni del dopoguerra. I sopravvissuti erano presi dalle difficoltà pratiche dell'emigrazione e dalla ricerca di lavoro, alloggio e parenti dispersi. Fu pubblicata solo una manciata di testimonianze, di solito in edizione limitata per un pubblico specializzato. Il primo romanzo di Elie Wiesel, pubblicato in yiddish con il titolo Un di Velt Hot Geshvign (און די וועלט האָט געשוויגן), venne letto diffusamente solo quando fu ristampato in una versione abbreviata in francese con il titolo La Nuit (La Notte) nel 1958.[1] Tuttavia, questa assenza di letteratura dei sopravvissuti e dell'Olocausto fu anche il risultato di profonde trasformazioni politiche in Europa e Palestina.
Dopo il 1945 sia la Germania occupata che gli Yishuv affrontarono problemi simili e subirono corrispondenti cambiamenti. La formazione dello Stato di Israele nel 1948, seguita dalle due Repubbliche tedesche, quella Democratica e quella Federale nel 1949, generò naturalmente questioni sull'identità nazionale e sul patrimonio culturale. Sebbene sia i tedeschi che gli ebrei avessero tradizioni culturali di lunga data, il clamore generale chiedeva un nuovo inizio e una nuova identità a cui il teatro e le arti erano chiamati a contribuire a modellare e articolare. Nella Germania orientale si cercava la continuità tra scrittori antifascisti sotto Hitler e scrittori del dopoguerra. Nei circoli letterari della Germania occidentale l'ardesia si ripartiva da zero col Nullpunkt o "Ora Zero", un tentativo di estirpare l'influenza corruttiva del nazismo.[2]
Una mobilitazione così forte verso il futuro richiedeva che il recente passato venisse rapidamente seppellito. Un nuovo ordine mondiale dominato da americani, sovietici e paesi produttori di petrolio del Medio Oriente sembrava imminente. C'era poco tempo per riflettere sul passato immediato, se si voleva approfittare dei rapidi cambiamenti economici e politici.
Inoltre, il recente passato rimaneva inarticolato a causa di vincoli fisici. Il teatro in entrambi i paesi affrontava una miriade di problemi, vale a dire la mancanza di edifici teatrali e nuove sceneggiature di scrittori indigeni. In Germania, novantotto teatri erano stati sventrati o distrutti dai bombardamenti. Vincoli finanziari, strutture di stampa inadeguate e interruzioni dei sistemi di comunicazione si aggiungevano ai problemi.[3] In Israele c'erano solo tre compagnie teatrali professionali: la Habima, la Ohel e, dal 1944, la Cameri.[4]Le finanze erano ristrette. Nel 1948, ad esempio, l'Habima doveva affrontare la liquidazione.[5]
La radio era l'unico mezzo in grado di raggiungere un vasto pubblico in entrambi i paesi. Era anche economico. La radio non richiede auditorium, costumi, design visivo, costi di prova elevati o collegamenti stradali e ferroviari. Il dramma radiofonico fu estremamente importante negli immediati anni del dopoguerra sia nel dare forma all'identità nazionale sia nel coltivare nuovi talenti letterari. La produzione fu enorme: in Germania, ad esempio, dei 200 drammi radiofonici pubblicati nel 1927-1970, 160 (80%) furono rappresentati e mandati in onda tra il 1945 e il 1960.[6]
In entrambi i paesi, la questione della lingua svolse un ruolo chiave nell'articolazione dell'identità nazionale. Era necessaria una lingua che fosse priva di associazioni col passato recente e fissasse programmi per il futuro previsto. Gli israeliani volevano prendere le distanze dall'immagine dell'ebreo come vittima indifesa e i tedeschi dalla loro eredità nazionalsocialista. In Germania Thomas Mann, Ernst Wiechert e altri scrittori avvertirono che la lingua tedesca era stata pervertita dall'eufemistico "tedesco-nazista".[7] Prendendo il loro spunto da Ludwig Wittgenstein,[8] credevano che, poiché il "pensiero" era determinato dalla lingua, la nazione tedesca doveva essere stata corrotta dalla retorica vuota e barocca del nazismo con la sua emotività iperbolica e la natura eufemistica del suo vocabolario: "liquidazione", "reinsediamento", "Soluzione finale", "parassiti".[9] Come reazione, ci fu uno slancio per ridurre il linguaggio al minimo indispensabile in uno stile simile hemingweiano. In particolare, il Gruppe 47 (Gruppo 47), una compagnia fluttuante di scrittori guidata da Hans Werner Richter, Walter Kolbenhoff e Alfred Andersch, erano in prima linea nella ricerca di tale nuovo linguaggio. Il primo stile di scrittura che svilupparono fu il Kahlschlag (radice e ramo) — uno stile volutamente anti-metaforico che cercava un realismo fotografico. Il suo obiettivo principale era quello di rappresentare la realtà in modo distaccato, promuovendo una risposta critica oggettiva tra il pubblico. Sopra ogni altra cosa si cercavano i "fatti". Molti di questi scrittori iniziarono la loro carriera nel giornalismo e nella radio.
Anche nello Yishuv, la radio contribuì alla diffusione della "nuova" lingua in cui l'ebraico sostituiva ufficialmente lo yiddish, la lingua della diaspora associata a sottomissione e vittimismo. In teoria, l'ebraico moderno, sebbene le sue radici siano profonde nelle Scritture, doveva essere il linguaggio lungimirante del nuovo Stato. L'ebraico era associato alle radici palestinesi dell'ebraismo: l'ebreo come eroe biblico piuttosto che vittima deprivata.
Inizialmente, le identità nazionali emergenti erano generate da una reazione contro immagini indesiderabili più vecchie piuttosto che dalla formulazione di nuovi concetti. La nuova identità tedesca, sia a Est che a Ovest, si sviluppò dal rifiuto del nazismo e delle sue associazioni culturali. Gli scrittori della Germania occidentale cercarono continuità tra loro e quelli dell'Illuminismo, mentre gli scrittori dell'Est erano visti come gli eredi della tradizione comunista antifascista. L'immagine sionista era articolata presentandola come l'antitesi di tutto ciò che la Diaspora rappresentava. Le nuove identità si definivano in relazione al loro "altro".
Il "divorzio" tedesco dal loro passato nazionalsocialista fu anche incoraggiato dai tentativi di rieducazione degli Alleati. I processi per crimini di guerra, in particolare quelli di Norimberga, furono progettati per avere un effetto pedagogico.[10] Si pensava che ai tedeschi dovessero essere mostrate nei crudi particolari le atrocità commesse dai loro capi, dall'esercito e dalla loro stessa apatia. I cinegiornali di BBC, British Movietone e American Fox Movietone sulla liberazione di Belsen e di altri campi vennero proiettati nei cinema. Ad esempio, Atrocities — the Evidence, girato a Buchenwald, fu distribuito nell'aprile del 1945 e mostrato per la prima volta a Berlino.[11] Coloro che vivevano vicino ai campi di concentramento furono fatti sfilare davanti ai cadaveri:
Der SS Staat: Das System der deutschen Konzentrationslager di Eugen Kogon, scritto quattro settimane dopo la sua liberazione da Buchenwald, fu pubblicato in Germania, nel dicembre del 1945.[13] In esso, descrisse sistematicamente il viaggio di un essere umano attraverso il mondo dei campi di concentramento. James Stern, nel 1945, registrò di aver visto dei poster con la didascalia "Who Is Guilty?" ("Chi è colpevole?") su vetrine, alberi e recinzioni. Sotto la frase c'erano fotografie di prigionieri emaciati dei campi di concentramento. A volte il poster rispondeva alla sua stessa domanda con la frase "You Are Guilty" ("Tu sei colpevole"). Questo accadeva meno di una settimana dopo la resa incondizionata della Germania. Stern registrò il silenzio e il vero shock dei gruppi di tedeschi che si radunavano attorno a questi manifesti.[14] Gli Alleati volevano infondere l'idea di "colpa collettiva", ma la reazione a questa campagna educativa degli Alleati fu mista. Martha Gellhorn, tornando in Germania, notò che molti tedeschi credevano che l'autenticità delle fotografie fosse dubbia; alcuni insistevano sul fatto che avevano avuto origine dall'intelligence russa e che in realtà fossero immagini di prigionieri di guerra tedeschi.[15] Christa Wolf afferma che molti tedeschi reagirono negando ciò che già conoscevano e puntarono il dito della responsabilità su una minoranza di funzionari governativi e psicopatici.[16] Nel 1947 Karl Jaspers (che era stato imprigionato a Dachau) pubblicò Die Schuldfrage (ed. ital. La colpa della Germania) che coinvolgeva i comuni tedeschi, a vari gradi di responsabilità, negli orrori:
La nozione di colpa collettiva divenne una questione avversa. Quando le truppe alleate liberarono i campi di concentramento, Thomas Mann osservò con vergogna che era stata necessaria una forza esterna per sconfiggere la Germania quando i suoi connazionali avrebbero dovuto liberarsi da soli. Si rammaricava che la fibra morale del suo popolo fosse stata collettivamente corrotta. Walter von Molo rispose a Thomas Mann in una lettera aperta stampata nell'agosto 1945 sul Münchner Zeitung, respingendo la sua accusa di responsabilità collettiva tedesca siccome il tedesco medio di strada (o addirittura, della Wehrmacht o Luftwaffe) aveva poco in comune con gli psicopatici che avevano gestito i campi.[18] Mann ripeté la sua tesi nel suo romanzo del 1947, il Doctor Faust:
L'evento più importante che accrebbe la foga del dibattito fu il processo di Norimberga iniziato nel 1946 e seguito da dodici processi minori. Questi dovevano fungere da lezione per tutti i cittadini tedeschi che erano stati coinvolti col nazismo a tutti i livelli.[20] Come aveva ammonito Sheldon Glueck, professore di diritto ad Harvard e membro di "La commissione per i processi e le pene dei criminali di guerra dell'Assemblea internazionale di Londra, Unione delle Nazioni Unite", a meno che i tedeschi "non vedessero puniti almeno i principali responsabili di brutalità, le basi stesse del loro benessere mentale e morale ne sarebbero minati."[21]
Norimberga, tuttavia, si dimostrò controproducente per il programma di rieducazione proposto dagli Alleati. Il processo iniziò compromettendo la propria credibilità con l'accusa iniziale che nell'atto stesso di iniziare una guerra la Germania aveva commesso un crimine. Tale accusa non aveva precedenti. Inoltre, i sovietici, che avevano essi stessi commesso atrocità, erano presenti sulla panchina dei pubblici ministeri.[22] Come sostenne Göring mentre testimoniava, il tutto sembrava un chiaro caso di storia e giustizia dei vincitori. Il fatto che non esistesse un precedente giudiziario per un simile processo, sostiene Jürgen Moltmann, incoraggiava la discussione popolare sulle ramificazioni legali più di ogni altra cosa e i tedeschi ordinari erano più assorti nei dibattiti sulla discutibile legalità del processo piuttosto che su questioni di responsabilità individuale.[23]
Ma l'aspetto più dannoso del processo risiedeva nella natura degli accusati. Il silenzioso e talvolta sconclusionato Rudolf Hess sembrava una figura particolarmente patetica. Julius Streicher venne considerato semplicemente come un maniaco demenziale. Ci fu anche una diffusa protesta per il fatto che il capo delle operazioni, Alfred Jodl, e il capo dell'esercito tedesco, il generale Wilhelm Keitel, dovessero essere condannati sulla stessa base di Streicher, Göring o Bormann. Furono tutti condannati a morte.[24] Per altri, la punizione sembrò indulgente: alcuni di coloro giudicati colpevoli ricevettero meno di quattro anni di reclusione. I britannici si erano opposti al processo in primo luogo, ritenendolo inutile. Non parteciparono ai dodici processi successivi,[25] poiché non davano credito alla nozione dei crimini di guerra, e il popolo tedesco si sentì giustificato nel seguirne l'esempio. Inoltre, i veri criminali, secondo il processo, furono una gruppetto di folli nei cui crimini l'uomo di strada non era implicato. I tedeschi comuni quindi potevano sentirsi giustificati. Avevano fatto la cosa giusta standosene da parte, aspettando che le nuvole della tempesta nazista passassero.
Un altro modo in cui le autorità di occupazione influenzarono il modo in cui gli anni della guerra vennero considerati fu attraverso politiche culturali. Nel 1945 la Germania, sebbene teoricamente divisa in quattro settori sotto le autorità di occupazione alleate, era in realtà divisa in due campi politici: est e ovest. Le varie autorità iniziarono a vedere i vantaggi del teatro come un mezzo per mobilitare e rieducare le masse. Tuttavia, erano anche consapevoli dei pericoli intrinseci del teatro. La natura pubblica del teatro con la sua reazione collettiva della platea era considerata una miscela potenzialmente pericolosa. Nei settori occidentali, era richiesta una licenza dalle forze d'occupazione per riaprire un teatro e una seconda licenza doveva essere ottenuta per ogni produzione e ogni spettacolo successivo.[26] La programmazione dei teatri tedeschi del dopoguerra era quindi controllata dalle forze d'occupazione. Il Generale del diavolo di Zuckmayer fu bandito dagli americani fino al 1947 perché la figura del generale Harras era considerata ambigua e troppo "simpatica". Fu anche bandito nel settore francese, come anche [[w:Draußen vor der Tür|Draußen vor der Tür (Fuori davanti alla porta) di Wolfgang Borchert — un dramma che era considerato troppo nichilista per servire a un qualsiasi fine costruttivo.[27]
Anche nello Yishuv, le autorità influenzarono il programma culturale offerto. Il grado in cui il palcoscenico era considerato un'utilità pubblica può essere visto confrontando il dramma di Aharon Megged del 1958 Hannah Senesh con il suo romanzo Fortunes of a Fool stampato solo un anno dopo.[28] Nella realtà, Hannah Senesh era un'ebrea ungherese, che era emigrata in Palestina. Durante la guerra si offrì volontaria per essere inviata dietro le linee nemiche come spia. Fu catturata, torturata e fucilata. Hannah Senesh presenta un ritratto idealizzato di Israele come un'utopia morale con soldati coraggiosi e giusti. Fortunes of a Fool, tuttavia, è un'accusa al militarismo israeliano. Particolarmente controverso è il confronto del romanzo tra arabi ed ebrei come vittime e israeliani e nazisti come oppressori. Il vocabolario che gli israeliani di Megged usano per riferirsi agli arabi (per esempio, "carogne" e "pagani") era inteso ad evocare l'uso da parte dei nazisti di termini simili ("parassiti"). Megged evidenzia gli arabi come vittime indifese e gli israeliani come persecutori. Una bambina araba è descritta come una gallina sacrificale che si dibatte nel suo stesso sangue.[29] I soldati israeliani, come i nazisti prima di loro, provano un sadico piacere nell'umiliare la popolazione araba:
Un simile parallelismo sul palco sarebbe stato impossibile. Recentemente, nel 1988, La Sindrome di Gerusalemme di Yehoshua Sobol fu costretto a chiudere all'Habima dopo proteste pubbliche per identiche analogie.[31] Il protagonista di Megged termina il romanzo con un appello e un avvertimento al suo collega israeliano:
La scrittura di Megged mostra che alcuni temi erano accettabili per la sfera privata del romanzo ma non per il pubblico dominio del teatro. Si pensava che il teatro dovesse presentare determinati messaggi. Le considerazioni artistiche erano subordinate. Come scrive Shosh Avigal, "Fino agli anni ’60 le recensioni teatrali si riferivano quasi esclusivamente al contenuto ideologico o al messaggio morale e nazionale delle opere teatrali".[33]
Gli anni 1945-1959 furono un periodo di silenzio sulla questione dell'Olocausto, un periodo di transizione in cui furono rimodellate le vecchie strutture politiche e ridisegnate le mappe dell'Europa e del Medio Oriente. C'era poco tempo per soffermarsi sul passato. Negli Stati Uniti e in Israele, dove la maggior parte dei sopravvissuti era emigrata, poca attenzione fu data alle loro storie. Come scrive Raul Hilberg:
Quando furono fatti tentativi di articolare la storia recente, dominavano questioni come "quale" passato e "come" presentarlo. In che modo l'Olocausto si inserì nelle storie della seconda guerra mondiale, della Germania e del popolo ebraico? L'Olocausto era al centro del conflitto europeo o era una trama secondaria? Chi erano i veri autori e chi erano le vere vittime? Tutte le parti interessate avevano interessi acquisiti in cui la storia doveva essere registrata. Ad esempio, come comunista, Eugene Kogon diede pochissimo spazio alla storia ebraica nella sua cronaca di Buchenwald.
In generale, le narrazioni emerse possono essere descritte come una fuga dal passato recente con un ritiro nel passato remoto. Per i tedeschi, la preferenza per la messa in scena di opere dell'Illuminismo accompagnata dal breve ritorno all'Espressionismo, al fatalismo romantico e ai temi "Piccolo Uomo" del primo dopoguerra nella nuova letteratura segnalava un ritiro nel passato. Nello Yishuv, l'adozione dell'ebraico si rivelò una mossa tipo Giano Bifronte. "L'ebraico è essenzialmente un linguaggio scritturale, la cui modernizzazione sorprendentemente rapida ha fatto ben poco per oscurare le sue radici bibliche", scrive Howard Needler. L'ebraico è irrevocabilmente legato "alla catena delle lamentazioni".[35] Quando furono fatti tentativi di scrivere sull'Olocausto in ebraico, l'evento fu comunque registrato cognitivamente come inserito nella tradizionale risposta lamentativa.
Tuttavia gli anni 1945-59 non possono essere liquidati come un periodo totalmente muto sull'Olocausto. Alcuni cambiamenti sono riconoscibili, risultanti da cambiamenti nelle arene economiche, intellettuali e politiche. Nel primo decennio successivo alla guerra, furono rapidamente formulate teorie politiche e storiografiche, accompagnate da ampi cambiamenti non solo nello Yishuv e in Germania, ma in Europa e nel Medio Oriente. Pertanto, questo Capitolo 2 è suddiviso in tre inquadrature temporali: 1945-1947/8; 1948-1954; 1955-1960.
Note
modifica- ↑ Hilberg, Perpetrators, Victims and Bystanders, p. 190.
- ↑ Siegfried Mandel, Group 47. The Reflected Intellect, con prefazione di Harry T. Moore, Southern Illinois University Press, 1973. Noto anche come Stunde Null, il termine "Nullpunkt" fu creato per la prima volta dallo scrittore tedesco Hans Werner Richter.
- ↑ L. Licht-Knight, Reconstruction in the West German Theatre from the Nulistunde to the Currency Reform, Warwick University: tesi Ph.D., 1986, p. 15.
- ↑ Nel 1945 l'Habima acquisì il suo primo edificio permanente. L'Ohel aveva dal 1940 una sala con 1100 poltrone. Il Teatro Cameri fu creato dal regista ceco Josef Millo a Tel Aviv nel 1944. Si vedano: Freddie Rokem, "Hebrew Theater From 1889 to 1948", in Ben Zvi, cur., Theater in Israel, pp. 5 1-84; p. 81.
- ↑ Levy, The Habima-lsrael's National Theatre 1917-1977, p. 242.
- ↑ Renate Usmiani, "The Invisible Theater: The Rise of Radio Drama in Germany after 1945", in Modern Drama, Vol. 13 (1970-71), pp. 259-69; p. 259.
- ↑ Sidra Dekoven Ezrahi, By Words Alone: the Holocaust in Literature, University of Chicago Press, 1980, p. 11: "Alcuni dei principali scritti postbellici in Germania sono stati letti come un tentativo di epurare, attraverso sottili parodie e ironiche inversioni di modi e di forme letterarie tradizionali, la lingua e la letteratura dalle loro implicazioni nei crimini del nazismo."
- ↑ La loro preoccupazione contemporanea nasceva dagli scritti di Wittgenstein sul linguaggio ed il pensiero negli anni ’20. Si veda: Ludwig Wittgenstein, Tractatus Logico-Philosophicus, trad. {{en}] D.F. Pears & B.F. Guinness con introduzione di Bertrand Russell, Routledge & Kegan Paul, 1961. (Pubblicato originalmente in Germania nel 1921).
- ↑ Raul Hilberg, The Destruction of European Jewry, Quadrangle Books, 1961, p. 216.
- ↑ Bradley F. Smith, The Road to Nuremberg, The Documentary Record 1944-1946, Hoover Institute Press, 1982, p. x.
- ↑ Filmati Pathé e Fox al British Film Institute, Londra.
- ↑ Constantine Fitzgibbon, Denazification, Michael Joseph 1969, p. 12.
- ↑ Eugene Kogon, The Theory and Practice of Hell, trad. (EN) Heinz Norcien, Octagon Books, 1973.
- ↑ James Stern, The Hidden Damage, Harcourt Brace, 1947, p. 95.
- ↑ Martha Gellhorn, "Ohne Mich: Why I Shall Never Return to Germany", pubblicato su Granta, Vol. 42 (Inverno 1992), Penguin Publications, p. 203.
- ↑ Wolf, A Model Childhood, p. 39: "Chiunque in seguito affermò di non essere a conoscenza dei campi di concentramento aveva completamente dimenticato che la loro creazione era stata riportata sui giornali... avevano davvero dimenticato. Completamente. Guerra totale: totale amnesia.
- ↑ Karl Jaspers, "The Question Of German Guilt", trad. (EN) A. B. Ashton, in Jaspers, Philosophy, Vol. 3, University of Chicago Press, 1970, p. 389.
- ↑ Krispyn, Anti-Nazi Writers in Exile, p. 152.
- ↑ Thomas Mann, Doctor Faustus: The Life of The German Composer Adrian Leverskuhn as Told by a Friend, trad. (EN) H.T. Lowe-Parker, Penguin, 1968, p. 462.
- ↑ Sebbene i processi di Dachau culminassero in 425 esecuzioni quasi tutte eseguite prima del 1947, furono i processi di Norimberga a catturare l'attenzione dei media perché erano i responsabili politici ad essere processati.
- ↑ Sheldon Glueck, War Criminals – Their Prosecution and Punishment, New York: Alfred A. Knopf, 1948. Citazione presa dal 1944 durante le fasi di pianificazione della struttura per i Processi dei Crimini di Guerra.
- ↑ Per esempio, i russi avevano assassinato 15.000 ufficiali polacchi nella foresta di Katyn durante la primavera 1940.
- ↑ Jurgen Moltmann, Forgiveness and Politics. Forty-Nine Years After the Stuttgart Confession, New World Publications, 1987, pp. 40-52.
- ↑ The Nuremberg Trial and International Law, curr., George Ginsburgs & V.N. Kudriavtsev, Martinus Nijhoff Publishers, 1990, p. 275.
- ↑ Peter Taylor, "Myths & Memories of World War Two", BBC2 (25 giugno 1995).
- ↑ Licht-Knight, Reconstruction in the West German Theatre, p. 29.
- ↑ Christopher Innes, Modern German Drama – A Study in Form, Cambridge: Cambridge University Press, 1979, p. 24.
- ↑ Aharon Megged, "Hannah Senesh", trad. (EN) Michael Taub, in Modern International Drama, Vol. 27.1 (Autunno 1993), pp. 101-134.
Aharon Megged, Fortunes of a Fool, trad. (EN) Aubrey Hodes, Random House & Gollancz, 1962. - ↑ Megged, Fortunes of a Fool, p. 247.
- ↑ Ibid., p. 253.
- ↑ Joshua Sobol, The Jerusalem Syndrome, Tel Aviv, 1988.
- ↑ Megged, Fortunes of a Fool, p. 271.
- ↑ Shosh Avigal, "Patterns and Trends in Israeli Drama and Theater, 1948 to Present", in Ben Zvi, cur., Theater in Israel, pp. 9-50; p. 10.
- ↑ Hilberg, Perpetrators, Victims and Bystanders, pp. 190-1.
- ↑ Howard Needler, "Red Fire upon Black: Hebrew in the Holocaust Novels of K. Tsetnik", in Writing and the Holocaust, cur., Berel Lang, Holmes and Meier, 1988, pp. 234-44.