Prontuario di diritto romano/L'invalidità del negozio
L'invalidità del negozio
modificaL'invalidità dei negozi giuridici poteva dipendere da varie cause:
- mancanza di qualche requisito essenziale
- contrasto con la legge
- incapacità del soggetto
- indisponibilità del diritto
- inosservanza delle forme prescritte
- vizi della volontà
A seconda della gravità del difetto, il negozio poteva essere ipso iure nullo o annullabile o rescindibile.
Annullabilità
modificaAl diritto romano era sconosciuto il concetto di annullabilità, perché non era ammissibile che un negozio si potesse trovare in una situazione di efficacia precaria: quod initio vitiosum est, non potest tractu temporis convalescere.
Tuttavia, l'ordinamento romano non poteva ignorare i casi in cui il negozio, pur essendo valido, fosse iniquo; questo problema fu affrontato come al solito dal diritto pretorio, che concesse al danneggiato l'esperibilità di alcune exceptiones.
Nullità
modificaIn età classica, l'invalidità assunse il duplice aspetto della nullità ipso iure e della contestabilità ope exceptiones (se l'excepio non veniva opposta, si mutava l'efficacia del negozio da contestabile in definitivo).
Se l'exceptio veniva opposta con successo, non poneva nel nulla il negozio ma ne paralizzava gli effetti sul terreno del diritto pretorio, escludendo una condanna del convenuto. Vi era quindi differenza con l'attuale azione di annullamento (che pone nel nulla l'atto).
Questa in sintesi la teoria dominante di Arangio-Ruiz, suffragata da riscontri storici. Merita tuttavia un accenno la teoria di Guarino, che ritiene sorgere il concetto di annullabilità dalla fusione dello ius civile con lo ius honorarium.
Argomentando dala casistica, Guarino distingue tra invalidità ipso iure e invalidità ope magistratuus; inoltre, distingue tra invalidità totale e parziale, perché non sempre la mancanza o il vizio di un requisito sono tali da far venir meno tutto il negozio (utile per inutile non vitiatur), e il negozio invalido poteva essere reintegrato nella totalità dei requisiti o ridotto ai requisiti utilizzabili, o convertito in altro negozio alla cui esistenza giuridica fossero sufficienti i requisiti validi esistenti. Così, il legatum per vindicationem (invalido) fu convertito da una legge in un legatum per damnationem (valido).
Principio di conservazione del negozio
modificaUno dei principi fondamentali del nostro ordinamento è il principio di conservazione, che trova la sua massima espressione nell'istituto della conversione del negozio nullo.
Tale istituto era noto anche ai Romani, ma in pratica, per la tipicità dei negozi (che mal si conciliava con il passaggio da una categoria all'altra) i casi di conversione ammessi furono pochi.
Talora un negozio formale e astratto poteva valere come negozio causale, caratterizzato da una causa identica o analoga allo scopo avuto di mira dalle parti; a tal fine era però richiesto che il negozio invalido potesse essere riutilizzato (avesse cioè gli elementi di una diversa stipulazione), che il nuovo negozio anche se non espressamente voluto dalle parti rientrasse nello scopo pratico avuto di mira dai contraenti, e che la conversione risultasse opportuna.
Sanatoria della invalidità
modificaLa nullità degli atti giuridici poteva essere sanata dalla conferma o ratifica, detta ratihabitio, istituto piuttosto complesso in cui si comprendeva tanto la convalida di un negozio annullabile (o anche radicalmente nullo) mediante un atto posteriore, quanto la perfezione di un atto non propriamente nullo, ma piuttosto incompleto, cioè che aspetta di essere reso efficace.
Tale è la funzione della ratifica nel riconoscimento della gestione esercitata circa gli affari altrui, senza averne mandato (negotiorum gestio).
Casi analoghi erano quelli in cui si richiedeva per la validità del negozio tra le parti il consenso di un terzo: ad esempio, il mutuo stipulato da un filiusfamilias diventava pienamente valido e inattaccabile solo quando il paterfamilias anche in seguito vi avesse consentito; l'alienazione compiuta dal minore diventava valida solo quando il curatore l'avesse ratificata.
La ratifica non era un istituto organico e riducibile ad un principio. In qualunque funzione, essa valeva soltanto nei casi espressamente riconosciuti dalla legge: ma in quei casi aveva pure effetto retroattivo, nel senso che (salvi i diritti acquistati dai terzi) le conseguenze giuridiche del negozio non avevano data dalla ratifica, bensì dal momento iniziale in cui fu stipulato.