Torah per sempre/Quattro difese della Fede tradizionale
Tra il 1997 ed il 1999 David Weiss Halivni, Louis Jacobs (1920-2006) e Menachem Kellner pubblicarono, tutti e tre, specifiche difese della fede tradizionale.[1]
Tutti e tre provengono da basi tradizionali ortodosse. Tutti e tre hanno forte attaccamento alle loro origini. Ognuno si è distinto nel campo degli studi ebraici. Hanno in comune il fatto che sia proprio il loro studio dell'ebraismo che li ha condotti, in primo luogo, ad avere dubbi sull'autenticità e integrità del modo in cui l'ebraismo vienne attualmente presentato in circoli ortodossi, che siano ḥaredi o Ortodossi Moderni. Tali dubbi sono stati intensificati dallo studio storico e scientifico e dalla riflessione filosofica.
Accanto ai tre abbiamo posto Tamar Ross, il cui libro Expanding the Palace of Torah, sull'Ortodossia ed il femminismo, è apparso nel 2004 ed è stato citato al Cap. 3 di questa PARTE IV.
Tutti e quattro i libri dimostrano una grande profondità di erudizione e ricerca, ciascuno degno di essere letto solo per il rispettivo contenuto letterario. Tuttavia ancora di più è in ballo. Ciascuno dei primi tre autori ha un forte interesse a difendere il proprio impegno religioso contro la presupposta accusa che esso sia inconsistente con la ricerca moderna e la ragione da una parte nonché con l'ebraismo tradizionale dall'altra. Per Halivni e Jacobs l'apologia ha un'importanza sia istituzionale che personale. Halivni ha insegnato Talmud per molti anni al Jewish Theological Seminary, dove ebbe ad ricoprire un ruolo direttivo nella formulazione dell'Halakhah Conservatrice; nel 1983 si separò dal movimento Conservatore a causa della sua posizione sull'ordinazione delle donne e fu successivamente il cofondatore dell'Association for Traditional Judaism, associazione che si considera la vera promotrice dell'"ebraismo storico-positivo" di Zacharias Frankel. Jacobs venne escluso dalla United Synagogue (Ortodossa) britannica nel 1963 e sebbene continuasse a considerarsi un "ortodosso moderno",[2] non solo collaborò strettamente con il movimento conservatore della Rabbinical Assembly americana, ma venne considerato il mentore spirituale di un movimento parallelo nel Regno Unito. Kellner, professore di Pensiero Religioso Ebraico all'Università di Haifa, non si è formalmente separato dall'Ortodossia; la sua situazione è quella di molti intellettuali ebrei ortodossi che sono allarmati dal fondamentalismo aggressivo ma ingenuo degli ḥaredim, che considerano una distorsione, persino una parodia, della tradizione. Ross, professore presso l'Università Ortodossa Bar-Ilan, si colloca solidamente nell'ambito dell'ebraismo ortodosso moderno; si occupa delle problematiche generate dal movimento delle donne in merito all'accettazione della Torah come divinamente rivelata ed eternamente valida.
I quattro studiosi affrontano i rispettivi problemi con enfasi e metodi differenti. Halivni, come conviene ad un erudito autore di alcune tra le più importanti e recenti opere critiche sul Talmud, si preoccupa delle imperfezioni del testo ricevuto, che sia la Scrittura o la Torah Orale che "corregge" la Scrittura. Jacobs si preoccupa della natura della rivelazione: in che senso la Bibbia, nonostante le sue apparenti carenze morali ed errori effettivi, può essere considerata la parola di Dio? Se abbandoniamo la dottrina storica che Mosè ricevette le due Torah da Dio nella loro forma corrente e ci vennero fedelmente trasmesse, perché allora dovremmo seguirne gli insegnamenti? Qual è la base dell'autorità della Scrittura, o dei rabbini come suoi interpreti? Kellner dubita se tutte queste argomentazioni sulla giusta fede e giusta dottrina siano affatto appropriate nell'ambito dell'ebraismo; la formulazione dei Tredici Principi della Fede da parte di Maimonide fu, secondo lui, un'anomalia. Ross prende posizione in prospettiva di critica femminile: come possiamo asserire divinamente ispirati testi ricolmi dei pregiudizi maschili delle società in cui furono formulati?
David Weiss Halivni: La Torah Maculata
modificaPeter Ochs, nell'introdurre il volume di Halivni, lo presenta come un esercizio in "teologia postcritica", il cui scopo è di "salvare i documenti fondativi, cioè leggerli in modo tale da renderli significativi e rilevanti ai giorni nostri". Questa è una benevola, anche se in qualche modo ingannevole, caratterizzazione dei tentativi dei teologi di conservare un vocabolario stabile ma assegnandogli significati differenti. Halivni vuole certamente conservare il modo tradizionale di narrare, che afferma che Dio rivelò la Torah a Mosè sul Monte Sinai, ma la sua accettazione della critica storica testuale significa che non sta usando le parole con lo stesso significato che avevano nella tradizione. Far ciò è legittimo, ma deve essere reso chiaro che ciò è quello che sta facendo, invece di confermare la lettura tradizionale.
Potrebbe sembrare strano che Halivni, il quale è così preoccupato delle "imperfezioni del testo ricevuto", abbia talmente poco da dire sui problemi morali che tanto disturbano Jacobs e altri, del tipo come può un testo che raccomanda il genocidio delle nazioni cananee essere considerato sacro? La sua autobiografia fornisce un indizio. In una lettera scritta prima del voto sull'ordinazione delle donne nell'ottobre 1983, Halivni commenta:
Ciò è sconcertante, anche perché Halivni separa così nettamente la ragione dalla morale. La sua mancanza di fiducia nel giudizio morale si origina forse dalla sua riflessione sull'apparente fallimento del ragionamento morale nell'arginare l'Olocausto? Ma sicuramente la maggioranza delle persone, incluso Halivni, sarebbe stata più disposta ad affermare, per esempio, che il genocidio è male piuttosto che asserire (prendendo un esempio di Halivni) che il testo "originale" di Esodo non diceva "occhio per occhio".[4] Non è facile vedere come la ragione possa dimostrare quale fosse il testo "originale" di Esodo, oppure vedere come qualsiasi argomentazione critico-testuale possa dare una maggiore certezza della certezza che abbiamo in merito ad una questione morale come il male del genocidio.
La questione del "testo originale" ci porta a considerare la posizione basilare di Halivni. Include quattro affermazioni:
- Dio ha rivelato una Torah perfetta: "Dio entrò nella storia umana per rivelare la sua volontà una volta per tutte — una rivelazione reale".[5]
- Gli Israeliti, a causa dei loro peccati, la "macularono". ("Maculare" è un gergo tecnico. Halivni non spiega perché usi questo termine invece di "corrompere" o "falsificare", che è ciò che intende, e quello che i mussulmani hanno spesso asserito gli ebrei ed i cristiani abbiano fatto al testo rivelato. È una nozione seriamente scomoda.)
- Esdra cercò di ripristinare il testo rivelato originale, ma non completò l'opera.
- L'opera di Esdra è continuata attraverso la tradizione rabbinica fino ai giorni nostri. Alterazioni testuali non possono più essere effettuate, poiché il testo di Esdra è stato accettato come sacrosanto. Ma dove la tradizione rabbinica differisce radicalmente dal testo accettato, come nel caso della lex talionis, abbiamo testimonianza di una "reintegrazione" del significato originale.[6]
Il primo pilastro di questa struttura è che un testo "corretto" fu veramente rivelato da Dio a Mosè. Tale posizione differisce da un fondamentalismo ingenuo ultra-ortodosso, dato che Halivni non asserisce che noi possediamo il vero testo, ma solo che esisteva una volta. Sostiene questa ipotesi con un ragionamento basato su due premesse:
- La tradizione ebraica afferma che la Torah fu rivelata da Dio a Mosè.
- Nessuna teoria critica delle origini del Pentateuco è stata comprovata.
Da queste premesse Halivni arriva ad una conclusione:
- Il resoconto tradizionale non è stato escluso e quindi rimane disponibile.[7]
Tale ragionamento ha almeno tre punti deboli:
Ciò che è in discussione è l'affidabilità della tradizione, non la sua esistenza. Il fatto indubitabile che esista una tradizione non dimostra la validità di tale tradizione. Questo è particolarmente vero qui, dove (a) non c'è evidenza (al di fuori della tradizione stessa) che la tradizione si originò nei giorni di Mosè e (b) siamo interessati ad un evento che, se ebbe luogo, fu soprannaturale e che quindi richiederebbe una maggiore testimonianza di quanto un "normale" evento storico richiederebbe, punto fatto enfaticamente da David Hume nel suo famoso capitolo sui miracoli.[8]
È vero che nessuna teoria critica nel suo complesso sia stata provata. Ciononostante la teoria tradizionale è stata screditata. La questione potrebbe essere paragonata all'evidenza dell'evoluzione darwiniana. Per esempio, esistono numerose teorie concorrenti sull'origine dell'homo sapiens. Una o tutte potrebbero essere errate. Ma la teoria "tradizionale" che gli esseri umani vennero ad esistere improvvisamente come risultato di un evento soprannaturale meno di 6000 anni fa è di certo errata.
Halivni stesso ammette che il testo in nostro possesso è "maculato", un prodotto della fallibilità umana, un documento con una storia complessa e non la Torah "originale". Ciò è ovviamente contrario alla tradizione, che non ammette mai siano occorsi se non minimi cambiamenti. Tuttavia, se si ammette che la tradizione è inaffidabile, perché dobbiamo basarcisi quale testimonianza di un evento metafisico che ha generato la produzione di un testo ignoto ma perfetto di cui noi possediamo scarse rimanenze maculate? Di certo devono esserci modi più semplici per spiegare i testi che abbiamo!
Halivni fa un parallelo con una discussione di Maimonide, che rifiutò la teoria dell'eternità dell'universo affermando che le prove della sua eternità erano inconcludenti e pertanto dovevamo seguire il significato semplice della Scrittura. Questo non è però un parallelo adatto, poiché la questione confrontata da Maimonide non era la veracità della Scrittura; dava per scontato, nella sua discussione dell'eternità dell'universo, che la Scrittura fosse autorevole e da comprendersi prima facie nel senso letterale. La sua questione era (a) se ragionamenti razionali dimostrassero l'eternità dell'universo e (b) se, in tale caso, la Scrittura potesse essere interpretata secondo quella dimostrazione, piuttosto che letteralmente. Poiché, secondo la sua opinione, i ragionamenti razionali erano bilanciati (ce n'erano alcuni avversi), l'interpretazione letterale della Scrittura rimaneva valida; tuttavia, se la ragione avesse dimostrato l'eternità dell'universo, la Scrittura poteva essere interpretata di conseguenza. Nel caso di Halivni, invece, la questione in ballo è se il resoconto tradizionale dell'origine della Scrittura corrente sia affidabile; addurre la tradizione stessa in supporto di questa controversia è una petitio principii. Inoltre, l'universo senza dubbio è là, pertanto la domanda circa la sua eternità è domanda reale. In merito alla "rivelazione" (qualunque cosa significhi), il problema è se un tale evento abbia mai avuto luogo; se non ebbe luogo, allora la domanda se il resoconto tradizionale sia affidabile non si pone.
Gran parte del libro viene dedicato all'interpretazione dei testi rabbinici con il fine di dimostrare che i rabbini stavano impegnandosi in un processo di "restauro" della Torah originale. Un esempio istruttivo è il trattamento di shiurim, quantità determinate dai rabbini come minime e massime nelle misurazioni di materiali proibiti o impuri, lunghezze di tempo e cose simili. Halivni sostiene che siano offerte tre attribuzioni differenti di shiurim. Secondo Rav sone halakhah lemosheh misinai, leggi date a Mosè al Sinai;[9] la Gemara interpreta ciò a significare che sono leggi tradizionali (hilkhata) senza fondamento nella Scrittura;[10] mentre una fonte parallela indica che siano solo leggi rabbiniche (opposte a hilkhata).[11]
La discussione potrebbe certamente illustrare la tendenza degli amora`im, più forti tra i palestinesi che tra i babilonesi, ad attribuire leggi senza base scritturale alla categoria halakhah lemosheh misinai, una sorta di Torah Orale indipendente; inoltre, Halivni potrebbe essere nel giusto quando interpreta questo come una reazione all'iniziativa tannaitica di leggere ogni cosa nella Scrittura e vederla come il fondamento della successiva ritirata rabbinica dall'esegesi scritturale verso il campo dell'Halakhah. Se questa fiducia nella Torah Orale indipendente piuttosto che nell'esegesi scritturale possa essere interpretata come un modo per ripristinare la rivelazione originale, è un'altra faccenda, alla quale Helivni dedica il suo terzo capitolo; ma non troviamo convincente il suo ragionamento.
Non si può non ammirare l'erudizione meticolosa di questo libro, specie l'utilizzo storicamente sensibile che Halivni fa dei passi talmudici. La teologia rimane però discutibile.
Louis Jacobs: Soprannaturalismo Liberale
modificaJacobs, nel suo Beyond Reasonable Doubt (Oltre ogni ragionevole dubbio), non per la prima volta cerca di difendere la posizione teologica del "soprannaturalismo liberale", che prende da Zacharias Frankel, sul quale una volta desiderava scrivere la sua tesi dottorale. Egli stesso afferma che lo scopo del libro è di "provare" la posizione che aveva preso nel suo We Have Reason to Believe (Abbiamo ragione di credere);[12] i possibili significati di "dal" in "Torah dal Cielo" danno impeto a questo "nuovo esame".[13]
Il soprannaturalista liberale "è liberale in quanto la sua ragione lo spinge ad adottare l'approccio storico-critico... anche se ciò comporta un certo grado di rifiuto della visione tradizionale. È soprannaturalista perché non vede motivo di negare gli elementi soprannaturali della sua religione."[14]
Esistono due problemi principali col soprannaturalismo liberale. Da una parte, si impegna a credere in Dio e rivelazione, il che è problematico per lo scettico; dall'altra, sebbene accetti la nozione di rivelazione divina, è un po 'confuso su cosa costituisca veramente tale rivelazione e ciò è un problema per il tradizionalista. Jacobs rende chiara la sua posizione affermando che "la fede in Dio è interamente ragionevole ma non lo è la convinzione dell'infallibilità della Scrittura o della tradizione rabbinica".[15]
Tuttavia, Jocobs è sorprendentemente superficiale nella sua difesa della fede in Dio o del soprannaturale in generale. Ammette la debolezza delle "prove" tradizionali circa l'esistenza di Dio, inclusa quella dell'esperienza religiosa, ma auspicabilmente suggerisce che se non sono prove valide sono perlomeno "ragionamenti", con una validità induttiva piuttosto che deduttiva,[16] citando con approvazione la dubbia affermazione di Richard Swinburne che molti ragionamenti deboli possano formare un ragionamento forte. Ciò che manca di osservare è che per quella mente "scientifica" o filosofica che sta cercando di soddifare, il problema maggiore non è tanto se Dio esista quanto se il termine "Dio" abbia coerenza o significato. Swinburne almeno questo lo riconosceva, avendo avuto premura di includere tra le sue opere un volume sulla Coerenza del Teismo (The Coherence of Theism).
Jacobs si concentra sul contenuto della rivelazione, che crede includa l'Halakhah. Sin da quando Sa`adiah redarguì i Caraiti per la loro arbitrarietà nell'interpretare la Bibbia (accusa che i Caraiti reciprocarono pienamente),[17] Rabbaniti e Ortodossi hanno attaccato le correnti riformiste dell'ebraismo su basi simili. Jacobs è ben consapevole che abbandonando la prospettiva ortodossa sull'infallibilità della Scrittura e sulla perfezione e immutabilità dell'Halakhah, sta aprendo il fianco ad un'accusa di arbitrarietà e disponibilità al compromesso con tendenze correnti. Se per esempio distingue su basi morali tra parti "superiori" e "inferiori" della Torah,[18] dove esattamente tira la linea di separazione? D'interesse più pratico: dove si deve tirare la linea riguardo all'osservanza religiosa? Jacobs concede che "la maniera moderna di affrontare l'intera questione dell'osservanza implica un forte grado di selettività",[19] e che il suo criterio che "un rito debba essere osservato se la sua osservanza accresce la vita spirituale dell'ebreo" sia infine alquanto soggettivo.
Soggettività è infatti la chiave di questo suo libro. Non che sia carente di solida ricerca ed erudizione, ma piuttosto che costituisca un'affermazione molto personale e molto matura e onesta de "la mia posizione". Jacobs scrive con profonda nostalgia, una nostalgia per l'ingenua Ortodossia con cui identifica la sua gioventù, nostalgia per il misticismo ebraico che aveva incontrato durante i suoi primi entusiasmi per Chabad. Vuole rimanere attaccato a queste cose, valorizza l'unità ebraica che potrebbe rimanere fratturata se lasciasse l'ortodosso per cause come i gitin (divorzi), però non può concedere il suo consenso intellettuale all'edificio tradizionale che ancora ama.
In uno stato d'animo soggettivo, rimugina ancora una volta sul "caso Jacobs" — forse con un po' di autoindulgenza, dato che ha già scritto molto sull'argomento nella sua autobiografia. Se i suoi capitoli sull'Ortodossia e la Riforma sono occasionalmente impressionistici, forniscono tuttavia un prezioso indizio sul suo modo di pensare e sentire, come accade nel caso del suo sorprendente brusco rifiuto dell'ebraismo ricostruzionista.[20]
Nonostante l'approccio del libro sia essenzialmente soggettivo, non c'è pagina che non illumini il lettore con l'interpretazione brillante di un qualche passo rabbinico. Nel capitolo 10 ("Modernismo e Interpretazione"—tra l'altro, senza allusioni al postmodernismo) cerca di "unire l'approccio teologico a quello storico-critico" considerando tre importanti temi ebraici, uno dei quali è il godimento della vita.[21] Esamina attentamente la dichiarazione spesso citata di Rav alla fine del Talmud gerosolimitano, Kidushin, che "L'uomo in futuro sarà chiamato a render conto di tutto quello che i suoi occhi hanno visto e non ha consumato", una dichiarazione usata da Abba Hillel Silver tra le altre per dimostrare la positiva attitudine alla vita dell'ebraismo. Con erudizione e destrezza pone l'osservazione di Rav nel suo più vasto contesto rabbinico e dimostra conclusivamente come non offra basi a nessun tipo di edonismo.
Jacobs riassume la sua opera con parole semplici e oneste: "il mio dissenso dall'Ortodossia fondamentalista è che essa sia falsa rispetto ai fatti."[22]
Menachem Kellner: Rifiuto dell'Approccio Dogmatico
modificaNei primi sei capitoli del suo libro, Kellner presenta la sua interpretazione di quello che la fede religiosa significhi per l'ebraismo "classico". Il titolo dell'ultimo capitolo, il settimo, "How to Live with Other Jews (Come vivere con altri ebrei)", rivela la sua vera agenda, il suo fine ultimo. È preoccupato dai conflitti e divisioni generati tra gli ebrei dalla tendenza del movimento religioso degli ḥaredi di definire l'ebraismo "autentico" in termini di credo.[23] Quale specialista di filosofia medievale ebraica, Kellner pensa di attribuire gran parte della colpa dell'attuale discordia n ientemeno che sulle spalle di Maimonide, o perlomeno sul modo in cui Maimonide viene spesso interpretato.
Nel suo Dogma in Medieval Jewish Thought: From Maimonides to Abravanel, come anche in numerosi studi minori, Kellner ha sostenuto l'opinione che l'impostazione maimonidea di definire la fede ebraica fu fuorviata, non caratteristica dell'insegnamento ebraico come viene articolato nelle fonti classiche tipo il Talmud. Naturalmente non c'è nulla di nuovo in questa sua opinione dell'ebraismo orientato su praxis piuttosto che pistis. pratica invece che credo; il problema è come affrontare le numerose affermazioni nelle fonti classiche che implicano e a volte richiedono esplicitamente fede in una data proposizione o altra. Importante tra queste è la Mishnah: "Tutto Israele ha una porzione nel Mondo a Venire... Ma questi non hanno porzione nel Mondo a Venire: colui che nega che la vita dopo la morte è nella Torah, o dice che la Torah non è dal Cielo, o un epicuro."[24] Kellner distingue tra fede vaga e fede definita:
Da ciò pare ne consegua che l'ebreo debba andare in giro proclamando ardentemente l'esistenza di Dio, la Sua unità e provvidenza, ma senza aver bisogno di avere una chiara nozione di cosa questo significhi. Probabilmente lo stesso si applica alla fede nella rivelazione. Senza dubbio la maggioranza dei "comuni" credenti sono parimenti confusi nelle loro credenze come Kellner sembra credere. Sono quindi confusi su come funzionano le loro automobili, i loro corpi, o le leggi di gravità, ma si arrangiano a vivere abbastanza bene in circostanze normali. Ci sono però altri che si industriano a comprendere le automobili, la medicina, la fisica e il resto di noi dipende dalle loro competenze. Allora ci sembra perfettamente chiaro che, almeno dal tempo in cui gli ebrei vennero per la prima volta a contatto con la cultura greca e ancor di più oggi quando vengono esposti ad una cultura più complessa e intellettualmente matura, coloro che sono in grado di farlo devono formulare le proprie convinzioni in una maniera coerente, come tentò di fare Maimonide.
Che le persone debbano combattersi l'un l'altro sulle rispettive convinzioni, o escludersi a vicenda dalle rispettive comunità, è tutt'altra storia e qui è giusto che Kellner castighi gli ḥaredim per la loro insistenza sulla corretteza dottrinale: "Classificare gli ebrei non-ortodossi e le loro interpretazioni dell'ebraismo come eretiche è troppo esclusivo, mentre il vero pluralismo è troppo inclusivo."[26] Tuttavia sarebbe sicuramente più appropriato sostenere l'inesattezza delle asserzioni dottrinali ḥaredi piuttosto che insistere sulla indeterminatezza dell'insegnamento tradizionale ebraico. Forse Kellner è restio a farlo perché teme di essere escluso dai ranghi ortodossi? O, per essere più caritatevoli, forse perché teme per il futuro dell'unità ebraica, "non se gli ebrei avranno discendenti ebrei, ma quanti tipi differenti di ebraismi mutualmente esclusivi verranno a confrontare tali discendenti"?
La soluzione di Kellner è leggermente paradossale, considerando il suo fermo rifiuto della nozione "essenzialista" del popolo ebraico. Scrive: "Dio fece un'Alleanza col popolo ebraico... Voglio raccomandare di prendere tale nozione del popolo ebraico come basilare".[27] Poiché crede che gli ebrei siano un popolo, non attraverso la condivisione di un'essenza metafisica, ma perché hanno un sistema legale comune, cioè l'Halakhah, è la sola oltremodo definibile Halakhah che, per lui, costituisce la base dell'ebraicità.
Non troviamo affatto convincente il ragionamento che la Torah debbe essere interpretata nel modo che meglio assicuri la coesione sociale di tutti gli ebrei, liberamente definiti; potrebbe darsi che falsità siano meglio di verità ad assicurare coesione sociale. Ma anche se Kellner ha ragione e l'ebraismo "autentico" deve essere definito in termini nazionali e halakhici invece che dottrinali, ciò diminuisce la controversia? Non tanto, con ogni probabilità. Gli Ortodossi Moderni, incluso Kellner stesso, potrebbero essere più contenti, poiché in linea di principio si considerano vincolati da un'Halakhah rivelata divinamente, anche se la interpretano in maniera più liberale degli ḥaredim. Tuttavia, per quanto concerne gli altri ebrei, l'imposizione dell'Halakhah quale criterio della loro ebraicità non è meno divisiva dell'imposizione di criteri di credo.
Pochi lettori saranno influenzati dalla tesi di Kellner in questo suo libro, ma molti saranno intrattenuti e tutti impareranno dalle discussioni erudite ma accessibili del pensiero ebraico medievale. Particolarmente interessante è la splendida discussione al capitolo 1 del dibattito "Dio di Abramo contro Dio di Aristotele" che, contrariamente all'ipotesi comune che fosse stata iniziata da Blaise Pascal, era invece già viva e vegeta secoli prima.
Tamar Ross: Rivelazione Cumulativa
modificaIn PARTE IV.1 abbiamo esaminato il concetto di rivelazione progressiva come elaborata da Krochmal, Formstecher, Samuel Hirsch e Hermann Cohen; gran parte degli esponenti dell'ebraismo riformato ha mantenuto una qualche nozione di rivelazione progressiva, anche se non la esprimono più come un'ingenua convinzione illuministica dell'inevitabilità del progresso umano.
La rivelazione continua non è però un'esclusiva dei riformati. J. D. Soloveitchik, come abbiamo visto in PARTE IV.2, sosteneva che il contenuto della Torah è rivelato gradualmente mediante l'attività creativa dei "guardiani legittimi" della Torah Orale.
Sebbene Ross rifiuti il "formalismo", o "positivismo", di Soloveitchik,[28] adotta una posizione che potrebbe ben essere descritta come "cognizione che si evolve attraverso la storia". Chiama tale concetto "rivelazione cumulativa" e afferma che sia una sorta di "restaurazionismo teologico". Il concetto si basa su tre presupposti:
- "La rivelazione è un processo cumulativo: un dispiegarsi dinamico della Torah originale trasmessa al Sinai."
- La voce di Dio viene udita tramite l'esposizione rabbinica dei testi.
- "Sebbene udienze successive della Torah di Dio a volte appaiano contraddire il Suo messaggio originale, tale messaggio non è mai sostituito."[29]
Questi presupposti non sono molto distanti dall'esposizione di molte autorità tradizionali sullo sviluppo della Torah Orale e Ross giustamente fa riferimento al resoconto di Shalom Rosenberg in merito ai tre modi in cui tali autorità hanno compreso come il significato della Torah Scritta venga rivelato gradualmente: Tora come sorgente, accettazione da parte della nazione e processo halakhico.[30] Ross cita la tradizione del commentario rabbinico, sottolineandone il suo carattere innovativo.
Quello che la "rivelazione cumulativa" aggiunge a questo, dice, "è soltanto la convinzione che se queste interpretazioni libere della Torah si sono evolute in un certo modo, quasi sicuramente c'è qualcosa di importante da derivare da tale particolare evoluzione".[31]
Ora, le autorità citate da Ross avrebbero demarcato limiti alquanto stretti sull'innovazione halakhica e sarebbe stato utile che Ross fosse stata più chiara su dove tali demarcazioni dovevano essere poste. Assegna una condizione rivelatoria al femminismo: "Una visione cumulativa della rivelazione ci permette di intrattenere il pensiero che alcune interpretazioni femministe riflettano sensibilità più raffinate che dovrebbero maturare sul modello religioso originale e persino alterarne il significato". Ma in termini pratici cosa implica questo? Non molto, a quanto pare, nel qui e ora, sebbene dia adito alla possibilità che possano avvenire sviluppi più radicali e, se ciò accadesse e venissero accettati nell'ambito della comunità (quale comunità?), sarebbero ricevuti come Torah autentica.
Viene in mente un cardinale cattolico a cui venne chiesto se la Chiesa avrebbe mai ordinato le donne. Rispose: "Non lo so; al momento sembra improbabile. Ma se dovesse mai accadere, l'enciclica in cui verrebbe proclamato comincerebbe con le parole Come la Chiesa ha sempre insegnato....".[32] E Ross infatti scrive: "Se la moralità femminile è più di un capriccio passeggero, è probabile che la tradizione interpretativa scopra che alcuni dei valori espressi dalle femministe siano proprio quelli della Torah e debbano essere perseguiti di conseguenza."[33]
Allora qual è la differenza tra "rivelazione cumulativa" e "rivelazione progressiva" del tipo riformato, che permetta la revisione completa delle norme tradizionali alla luce delle nuove intuizioni morali come quelle del femminismo e lo permetta ora? Ross, che si sente in gran debito verso Abraham Isaac Kook (1865-1935), cita la sua corrispondenza con uno studente sul tema della schiavitù. Quando Kook asserì che le leggi della Torah sulla schiavitù erano un accorgimento educativo per sottrarre completamente le persone a tale istituzione, lo studente osservò che tale argomentazione era simile alla posizione riformista sulla rivelazione progressiva. Kook insistette che esisteva una distinzione essenziale tra il suo concetto e le revisioni arbitrarie dei Riformatori. Come riassume Ross:
Ora, Formstecher e altri riformatori dei primi tempi, non considerarono arbitrarie le loro revisioni, né gli ebrei riformati o conservatori che oggi sostengono la parità dei sessi accettano che le loro revisioni siano arbitrarie. Da un punto di vista intellettuale è molto difficile fare una distinzione tra ciò che è arbitrario e ciò che è "nell'ambito della tradizione"; i primi riformatori, per esempio, si consideravano assolutamente nell'ambito della tradizione ebraica, sebbene definissero tale tradizione come la tradizione profetica di Israele. Kook e Ross al suo seguito, identificano la tradizione come la Torah Orale sviluppata dai rabbini; ma se quello è come si deve comprendere la "tradizione", la questione dei limiti deve essere esaminata attentamente, poiché molto di quello che richiedono le sensibilità morali moderne sta direttamente all'opposto di quello che hanno detto veramente i rabbini.
Sembra che per Ross il limite sia determinato da quello che viene accettato dalla comunità e dalla sue autorità halakhiche. Questo è un processo sociale piuttosto che intellettuale e ha senso teologico solo nell'ipotesi che la comunità dei fedeli sia guidata dal ruaḥ hakodesh, lo spirito santo. Questa idea ha forti antecedenti ebraici ed è analoga alla dottrina islamica di ijma (consenso comunitario), o all'insegnamento cattolico sulla guida della Chiesa da parte dello spirito santo. Il problema è identificare quale delle molte comunità ebraiche costituisce la "comunità dei fedeli". È facile cascare in ragionamenti circolari del tipo: Qual è la comunità dei fedeli? È quella che rispetta il consenso halakhico. Cosa è il consenso halakhico? È il consenso a cui arriva la comunità dei fedeli.[35]
Infine, al centro della "rivelazione cumulativa" sta un forte relativismo culturale. Possiamo parlare di "Torah superna" solo se accettiamo che in una società sia espressa in termini patriarcali e nell'altra in termini femministi; in una società è giusto avere schiavi, in un'altra è grave peccato deprivare un altro essere umano della sua libertà. Ciò potrebbe essere corretto; è concepibile che ci siano valori "eterni" che trascendono l'ordinamento particolare di una società. Ma se questo è vero, allora propone una revisione alquanto radicale del sistema di mitzvot che Ross non è disposta ad affrontare. Sicuramente sarebbe moralmente indifendibile, in una società in cui la libertà individuale è valorizzata, accettare un'interpretazione della Torah che era "giusta" nella società schiavista della Bibbia e del Talmud dominata dgli uomini, mentre aspettiamo indefinitamente che qualche "autorità" dichiari che dopotutto non era quello che intendevano realmente la Bibbia e il Talmud, e che la legge dovrebbe essere modificata di conseguenza; tuttavia questa sembra essere la situazione in cui ci troveremmo se accettassimo l'Halakhah rabbinica convenzionale su base provvisoria, in attesa di una risoluzione da parte della comunità e delle sue autorità halakhiche dell'ultima rivelazione cumulativa.
Punti di Forza dei Quattro Approcci
modificaNessuna delle opere esaminate fornisce una difesa del tutto soddisfacente della fede ebraica come viene espressa dalle fonti tradizionali. Ciononostante i rispettivi autori hanno portato alla luce la storia e lo sviluppo della fede ebraica e dato nuovo impeto all'impresa di riformulare l'ebraismo tradizionale. Halivni ha sottolineato numerosi testi rabbinici che possono essere presi come indicatori della possibilità di un approccio più flessibile al concetto di "testo sacro rivelato"; Jacobs ha reso chiaro ciò che è di valore duraturo nella visione ortodossa; Kellner ha dimostrato la pertinenza dei dibattiti medievali; Ross ha indicato le linee su cui la Torah può "accumularsi" in risposta a nuove interpretazioni guidate divinamente. Tutto ciò è ben lontano dall'ostilità ḥaredi contemporanea contro la modernità e probabilmente più vicino alla realtà della tradizione ebraica.
I teologi salvaguardano la continuità della comunità di fede consentendo ai fedeli di utilizzare le forme tradizionali di espressione, modificando, allo stesso tempo, il loro significato alla luce delle mutevoli prospettive sociali e intellettuali. Alcuni possono considerare questo come progresso, altri come sovversione. In ogni modo, tutti e quattro gli autori hanno contribuito al suo risultato. In particolare, possiamo portare avanti le seguenti idee:
- Da Halivni prendiamo l'enfasi sul concetto di un testo imperfetto che cionondimeno è sacrosanto.
- Da Jacobs impariamo il valore di una presentazione razionale della Torah.
- Da Kellner scopriamo che la Torah non deve essere presentata come un corpo di dottrina ostica.
- Da Ross acquisiamo la nozione di una "rivelazione cumulativa" dipendente dal consenso della comunità e delle sue autorità halakhiche.
Note
modifica- ↑ Weiss Halivni, Revelation Restored; Jacobs, Beyond Reasonable Doubt; Kellner, Must a Jew Believe Anything?
- ↑ Fece questa affermazione alle pagg. 241-2 della sua autobiografia Helping with Inquiries. Riportò le circostanze della sua rottura con l'United Synagogue nell'introduzione a Beyond Reasonable Doubt.
- ↑ Weiss Halivni, The Book and the Sword, 114.
- ↑ Alle pagg. 7 e 8 di Revelation Restored, Halivni afferma che la Torah Orale, sostituendo la compensazione pecuniaria, "ripristinò il comandamento biblico al suo stato originale".
- ↑ Weiss Halivni, Revelation Restored, 6.
- ↑ Weiss Halivni tratta a lungo di questo nel suo Peshat and Derash.
- ↑ Weiss Halivni, Revelation Restored, 6.
- ↑ Hume, Enquiry, sez. 10, "Of Miracles". Enquiry fu completato nel 1748.
- ↑ TB Eruv. 4a.
- ↑ TB Suk. 5b—Halivni intende questa interpretazione come attributo separato.
- ↑ TB Suk. 41a-b. Notare come "solo" (in ingl. "only") con cui Halivni traduce ela ("ma") implica una svalutazione che non traspare nell'ebraico.
- ↑ Beyond Reasonable Doubt, 1.
- ↑ Beyond Reasonable Doubt, 17.
- ↑ Beyond Reasonable Doubt, 50.
- ↑ Beyond Reasonable Doubt, 97.
- ↑ Beyond Reasonable Doubt, 98.
- ↑ Si veda PARTE II.1.
- ↑ Beyond Reasonable Doubt, 51.
- ↑ Beyond Reasonable Doubt, 118.
- ↑ Beyond Reasonable Doubt, 175.
- ↑ Beyond Reasonable Doubt, 214-25.
- ↑ Beyond Reasonable Doubt, 238.
- ↑ Si vedano le precedenti sezioni su S. R. Hirsch e J. H. Hertz per i commenti su ebraismo e dogama.
- ↑ Mishnah San. 10:1.
- ↑ Kellner, Must a Jew Believe Anything?, 22-3.
- ↑ Kellner, Must a Jew Believe Anything?, 110.
- ↑ Kellner, Must a Jew Believe Anything?, 111.
- ↑ T. Ross, Expanding the Palace of Torah, cap. 5, pagg. 71-99.
- ↑ Expanding the Palace of Torah, 197-8.
- ↑ Rosenberg, "Continuous Revelation: Three Directions" (in ebr.).
- ↑ Ross, Expanding the Palace of Torah, 199.
- ↑ N. Salomon, The Reconstruction of Faith, 269.
- ↑ Ross, Expanding the Palace of Torah, 222.
- ↑ Ross, Expanding the Palace of Torah, 205.
- ↑ In PARTE V.4 tratteremo dell'"autenticità" e del potenziale di sopravvivenza delle comunità.