Storia della letteratura italiana/Salvatore Quasimodo
L'opera di Salvatore Quasimodo, vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1959, è rappresentativa dell'evoluzione e delle aspirazioni della poesia italiana del Novecento. Dopo avere esordito negli anni trenta con componimenti riconducibili all'ermetismo, nel dopoguerra sente l'esigenza di impegnarsi maggiormente nella vita politica e civile.[1]
La vita
modificaSalvatore Quasimodo nasce a Ragusa il 20 agosto 1901. Durante l'infanzia si sposta da un capo all'altro della Sicilia seguendo il padre, di professione capostazione. A 19 anni, dopo avere conseguito un diploma tecnico, si trasferisce a Roma. Nella capitale svolge varie professioni, finché non trova un posto stabile nel Genio Civile. Negli stessi anni approfondisce lo studio della letteratura: legge Omero, Virgilio, Agostino, Leopardi e molti altri.
Nel frattempo la sorella Rosa aveva sposato Elio Vittorini. Sarà proprio lo scrittore a presentargli Eugenio Montale e a fare in modo che, per i tipi della rivista Solaria, sia pubblicata la sua prima raccolta, Acque e terre (1930). Nel 1934 si trasferisce a Milano, dove collabora con la redazione del Tempo e ottiene la cattedra di letteratura italiana al conservatorio. Nel 1942 pubblica Ed è subito sera, la sua raccolta più famosa.
In questa prima fase della sua produzione, Quasimodo si colloca nel solco dell'ermetismo, di cui è uno dei più importanti rappresentanti. Una svolta avviene nel dopoguerra, quando i suoi versi si arricchiscono di riferimenti a una realtà più concreta.[2] Gli eventi della guerra fanno maturare in lui l'idea che il poeta debba avere un ruolo politico. Questi temi vengono ripresi nel discorso che Quasimodo tiene davanti all'Accademia di Stoccolma, quando ritira il premio Nobel per la letteratura nel 1959. Il testo del discorso è pubblicato l'anno successivo con il titolo Il poeta e il politico.
Si occupa però anche di critica teatrale per testate come Omnibus e Il Tempo: i suoi interventi sono stati raccolti nel volume Scritti sul teatro (1961). Di primaria importanza è anche la sua attività di traduttore. È da ricordare la sua edizione dei Lirici greci (1940), in cui dà prova della sua capacità di rendere con uno stile cristallino la frammentarietà dell'originale greco. Ha poi tradotto opere di Omero, Virgilio, Catullo, Shakespeare e Neruda.[3]
Salvatore Quasimodo muore a Napoli il 14 giugno 1968. I suoi resti riposano nel Famedio del Cimitero Monumentale di Milano, accanto alla tomba di Alessandro Manzoni.
L'adesione all'ermetismo
modificaCon le sue prime raccolte di poesie Quasimodo si afferma come uno dei principali esponenti dell'ermetismo. Dopo Acque e terre (1930), Oboe sommerso (1932), Erato e Apollion (1936), nel 1942 escono le Nuove poesie, che prima della fine dell'anno confluiranno insieme alle precedenti nel volume Ed è subito sera.
Nelle poesie di questo periodo, la parola abbandona ogni volontà comunicativa per diventare evocativa, magica e quasi astratta. Il rapporto tra la realtà e la vita privata del poeta viene espresso in forma contratta attraverso simboli e analogie. Per aumentare l'effetto di indeterminatezza, Quasimodo ricorre a una sintassi nominale e utilizza sostantivi al plurale senza che vengano determinati da articoli. Ritorna spesso il tema della nostalgia per la terra siciliana, vista come un luogo mitico, che si unisce al ricordo per la madre, l'infanzia, la casa natale.
Questo si nota particolarmente nei componimenti di Acque e terre, dove sopravvivono le influenze di Pascoli e D'Annunzio, accanto certe espressioni tipiche del verismo verghiano. In Oboe sommerso, invece, il passato del poeta viene trasfigurato in una forma favolosa e contrapposto all'insoddisfazione per il presente. Il linguaggio, estremamente musicale, si caratterizza per un lessico elevato e ricercato, in cui è frequente l'uso di metafore.[2]
Poesia e impegno civile
modificaLa poetica di Quasimodo conosce un graduale mutamento che inizia con le Nuove poesie e prosegue con le raccolte pubblicate nel dopoguerra: Con il piede straniero sopra il cuore (1946), Giorno dopo giorno (1947), La vita non è sogno (1949), Il falso e il vero verde (1956), La terra impareggiabile (1958), Dare e avere (1966).
Il linguaggio diventa più comprensibile e immediato, il verso diventa più lungo e lineare, e ai temi che avevano caratterizzato la fase precedente se ne aggiungono di nuovi tratti dalla realtà concreta. Quasimodo si distacca inoltre dall'individualismo tipico della poesia ermetica per cercare soluzioni epiche e corali. Lasciato il piano metafisico-esistenziale, il poeta approda a quello storico e trae la sua ispirazione da fatti di cronaca. La poesia diventa così uno strumento politico e sociale.[2]
Quasimodo è indotto a questa conversione all'impegno politico dagli avvenimenti bellici e dalla situazione che caratterizza i primi anni del dopoguerra. Il poeta si sente investito di una propria responsabilità civile e cerca quindi nuovi mezzi di partecipazione.[3]
Note
modifica- ↑ Mario Pazzaglia, Letteratura italiana: testi e critica con lineamenti di storia letteraria, vol. 3, Bologna, Zanichelli, 1979, p. 1360.
- ↑ 2,0 2,1 2,2 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La poesia, la saggistica e la letteratura drammatica del Novecento, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 169.
- ↑ 3,0 3,1 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La poesia, la saggistica e la letteratura drammatica del Novecento, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 170.