Storia della letteratura italiana/Ermetismo
La poesia italiana a cavallo delle due guerre mondiali, tra gli anni trenta e quaranta, è segnata dall'ermetismo. Il centro principale di questa tendenza è Firenze: nella città toscana aveva sede l'editore Vallecchi, che offriva appoggio alla diffusione della nuova corrente, e si trovavano i più importanti luoghi di incontro per i lirici nuovi (tra i più famosi c'è il caffè Giubbe Rosse).[1] In generale la poesia ermetica si caratterizza per l'attenzione per la tematica esistenziale, il rifiuto della storia, l'impiego dell'analogia.
L'origine dell'ermetismo
modificaIl termine, utilizzato per la prima volta da Francesco Flora nel 1936,[2] rimanda a una concezione mistica della parola poetica. Fa infatti riferimento a Ermete Trismegisto (Ermes il tre volte grandissimo), una figura leggendaria risalente al periodo ellenistico, alla quale erano stati attribuiti testi filosofico-misterici del II-III secolo d.C., che si ispiravano all'antica sapienza egizia, celata nell'enigmatico linguaggio dei geroglifici. Tuttavia si può trovare anche un possibile legame con il dio greco Ermes, messaggero degli dèi, e anche in questo caso si vuole sottolineare la difficoltà di comprensione di questo tipo di poesia. Sul piano letterario con il termine ermetismo si indica una poesia dal carattere chiuso e volutamente complesso, solitamente ottenuto attraverso un susseguirsi di analogie di difficile interpretazione.[3]
Alla base di questo movimento, che ha come modelli i grandi del decadentismo francese come Stéphane Mallarmé, Arthur Rimbaud e Paul Verlaine, si trova un gruppo di poeti che si ricollegano ai risultati raggiunti da Ungaretti e Montale. Alle radici della poesia ermetica si ritrovano però anche le esperienze di Rilke, Eliot, Lorca, del simbolismo di Pascoli e del surrealismo. Ne risulta una poesia concentrata ed essenziale, in cui l'anima si concede come per "illuminazioni liriche" (si ricordino le Illuminazioni di Rimbaud).[4] Non è certamente estranea all'ermetismo la lezione dei vociani, i quali del decadentismo d'oltralpe accolgono, oltre a certe forme tecniche espressive, anche la concezione della poesia come attimo, illuminazione, frammento (si pensi ai Canti orfici di Dino Campana).
I temi e lo stile dell'ermetismo
modificaNel 1938 Carlo Bo (Sestri Levante, 25 gennaio 1911 – Genova, 21 luglio 2001) pubblica sulla rivista Il Frontespizio un saggio intitolato Letteratura come vita,[5] in cui definisce i fondamenti teorico-metodologici della poesia ermetica e chiarisce le esigenze diffuse dei «lirici nuovi». L'ermetismo, secondo la linea interpretativa tracciata da Bo, fa coincidere poesia e vita, quest'ultima intesa come la realtà più intima dell'uomo, che va oltre gli atteggiamenti esteriori. La poesia diventa così uno stato di grazia e una forma di conoscenza allo stesso tempo interiore e metafisica.[3]
A questo si accompagna il rifiuto di qualsiasi confronto o compromesso con la storia, che porta lo scrittore a propendere per un individualismo assoluto e un linguaggio iniziatico, ai limiti dell'incomunicabilità. I poeti ermetici perseguono l'ideale di una lirica pura, cioè autonoma, compiuta in se stessa ed estranea a ogni condizionamento[3] – un concetto che era già stato annunciato sulle pagine della Voce da Arturo Onofri negli anni venti.[6]
Quello dell'ermetismo è uno stile difficile e chiuso che utilizza come strumento privilegiato l'analogia. Tramite questa è possibile cogliere realtà misteriose e trasferire i dati dell'esperienza su un piano interiore e spirituale. La parola, seguendo la lezione di Ungaretti, diventa evocatrice e allusiva, assume molteplici significati. Il testo ha quindi valore per il rapporto che istituisce con il suo autore e la visione della realtà da lui proposta. La parola ha un valore evocativo, si carica di molteplici significati, e la poesia diventa l'unica realtà e l'unico strumento di conoscenza per interrogarsi sulla vita e sul destino dell'uomo, che appare sospeso tra la caducità e l'eternità.[3]
Poeti ermetici
modificaNel linguaggio corrente, con "ermetismo" si indica in generale tutta la nuova lirica novecentesca, da Ungaretti a Montale, con la sola esclusione di Saba. Come caratteristica comune a queste esperienze viene indicata la necessità di porsi come "altro" rispetto alla società fascista. In realtà, come sottolinea Ferroni, un uso così ampio del termine finisce per dare luogo a equivoci. È dunque preferibile impiegarlo per Salvatore Quasimodo, per l'opera di Ungaretti successiva a L'Allegria e per il gruppo di poeti che a Firenze alla fine degli anni trenta sviluppa una poetica influenzata dai simbolisti francesi.[7]
Questi ultimi si riuniscono attorno alla rivista Il Frontespizio e sono animati da un lato da un senso di inquietudine religiosa maturato all'interno del cattolicesimo militante, dall'altro dall'influenza di riviste come Solaria e dalle tensione che muovono il fascismo di sinistra. A questo si aggiunge l'attenzione per quanto accade in Europa, e in particolare per correnti come l'esistenzialismo e il surrealismo. I poeti ermetici si confrontano con intellettuali antifascisti di estrazione non cattolica, come Romano Bilenchi, Elio Vittorini, Vasco Pratolini e Alfonso Gatto.[8] Tra gli autori riconducibili all'ermetismo si possono ricordare Luigi Fallacara (Bari, 13 aprile 1890 – Firenze, 15 ottobre 1963), Giorgio Vigolo (Roma, 3 dicembre 1894 – Roma, 9 gennaio 1983), Sergio Solmi (Rieti, 16 dicembre 1899 – Milano, 7 ottobre 1981), Alessandro Parronchi (Firenze, 26 dicembre 1914 – Firenze, 6 gennaio 2007), Piero Bigongiari (Navacchio, 15 ottobre 1914 – Firenze, 7 ottobre 1997).[9]
L'ermetismo domina la scena poetica nel decennio che precede la seconda guerra mondiale, e fa sentire la propria influenza anche negli anni successivi al conflitto. Molti poeti che inizialmente risentono di questa tendenza, proseguiranno poi la loro attività verso tutt'altra direzione (si veda il modulo dedicato alla poesia del dopoguerra). Non mancano inoltre esperienze che prendono le distanze dall'ermetismo: un esempio è quello della raccolta Lavorare stanca di Cesare Pavese.[9]
Note
modifica- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La poesia, la saggistica e la letteratura drammatica del Novecento, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 132.
- ↑ Francesco Flora, La poesia ermetica, Bari, Laterza, 1936.
- ↑ 3,0 3,1 3,2 3,3 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La poesia, la saggistica e la letteratura drammatica del Novecento, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 133.
- ↑ Aldo Giudice e Giovanni Bruni, Problemi e scrittori della letteratura italiana, vol. 3/2, Torino, Paravia, 1979, pp. 511-512.
- ↑ Carlo Bo, Letteratura come vita, in Il Frontespizio, settembre 1938.
- ↑ Mario Pazzaglia, Letteratura italiana: testi e critica con lineamenti di storia letteraria, vol. 3, Bologna, Zanichelli, 1982, p. 989.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 989.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 990.
- ↑ 9,0 9,1 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La poesia, la saggistica e la letteratura drammatica del Novecento, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 134.