Storia della letteratura italiana/Rondismo
Negli anni del primo dopoguerra si fa strada nella letteratura italiana una necessità di un ritorno all'ordine. Tra i principali sostenitori di questa tendenza ci sono gli esponenti del rondismo, un movimento letterario sviluppatosi a Roma attorno ai redattori della rivista letteraria La Ronda, fondata nel 1919 da un gruppo di letterati che osteggiano l'avanguardia riproponendosi il ritorno a uno stile classico, prendendo a modelli testi come le Operette morali di Leopardi.[1]
Il richiamo all'ordine
modificaLa Ronda viene fondata nell'aprile del 1919 da un gruppo di sette intellettuali: Vincenzo Cardarelli (che la diresse dal 1920), Riccardo Bacchelli, Antonio Baldini, Bruno Barilli, Emilio Cecchi, Lorenzo Montano, Aurelio Emilio Saffi. Già dal titolo, ispirato alla ronda militare, i redattori esplicitano l'intenzione di proporre al mondo letterario una sorta di "richiamo all'ordine".[1]
Il rondismo si riallaccia alla tradizione letteraria di Leopardi e di Manzoni, rifiutando in primis il futurismo e opponendosi all'ermetismo e a chi teorizzava il superamento del estetismo dannunziano,[1] senza però tenere una linea troppo conservatrice.[2]
Sulle pagine della Ronda i futuristi e il futurismo sono violentemente attaccati e denominati distruttori della letteratura, mentre Pascoli è accusato di essere responsabile della decadenza della letteratura contemporanea.[3]
Il movimento non darà però i frutti sperati, poiché non si allontanerà nei risultati dall'estetismo dannunziano e dal frammentismo di Papini e dello stesso Soffici, collaboratore della Ronda. La sua influenza sulle nuove correnti ermetiche e sulla cosiddetta "prosa d'arte", che andavano maturando nel periodo, è però notevole.[1][4][5]
Vincenzo Cardarelli
modificaPer l'elenco delle opere di questo autore presenti su Wikisource, vedi Autore:Vincenzo Cardarelli
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Vincenzo Cardarelli, il cui vero nome è Nazareno Caldarelli, nasce a Corneto Tarquinia il 1º maggio 1887. Ha un'infanzia difficile: menomato al braccio sinistro, viene cresciuto dal padre dopo che la madre ha abbandonato la famiglia, e durante l'infanzia deve fare affidamento sulle cure e la carità di estranei. Nel 1905, alla morte del padre, abbandona il paese natio e si trasferisce a Roma dove, privo di un'istruzione, si dedica alle letture più varie. Tenta la fortuna avvicinandosi ai movimenti socialisti e dedicandosi al giornalismo, approdando infine alla redazione dell'Avanti!. Tra il 1906 e il 1912 ha inoltre una relazione con Sibilla Aleramo.
In seguito si allontana dagli ambienti socialisti e inizia a gravitare attorno alle principali riviste culturali dell'epoca: nel 1911 pubblica uno scritto sulla Voce, quindi inizia a collaborare al Marzocco. Compaiono in questi anni le prime poesie, lo scritto Metodo estetico (in cui critica Croce) e la raccolta di prose intitolata Prologhi. Nel 1926 collabora attivamente alla Voce diretta da De Robertis, maturando le convinzioni intellettuali che porteranno alla fondazione della Ronda nel 1919. Dirigerà la rivista fino al 1923, quando cessano le pubblicazioni.
In questi anni vedono la luce varie raccolte di prose, tra cui Viaggi nel tempo (1920), Terra genitrice (1924), Favole e memorie (1925), Il sole a picco (1929), Parole all'orecchio, Parliamo dell'Italia (entrambe del 1931), Il cielo sulle città (1939), Rimorsi (1944), Lettere non spedite (1946), Solitario in Arcadia (1947), Villa Tarantola (1948). Più esigua è la sua produzione poetica: nel 1934 pubblica la raccolta Giorni in piena, che nel 1936 esce, in una versione accresciuta, con il titolo Poesie. Pur continuando a collaborare con varie riviste e rimanendo uno degli animatori della cultura romana del periodo, negli ultimi anni si chiude sempre più nella propria solitudine. Muore a Roma il 18 giugno 1959.[6]
L'opera di Cardarelli si caratterizza per il culto dello stile e per il tentativo di coniugare i modelli della tradizione con le esigenze della sensibilità moderna. Le sue prose fondono lirismo, moralismo favolistico, descrittivismo e impressioni memoriali. La sua poesia si colloca nel solco della poetica che animava La Ronda e tenta di unire classicismo e modernità, rifacendosi ai modelli più alti della lirica italiana, da Petrarca a Leopardi. Vengono quindi respinti il frammentismo dei vociani e le espressioni quotidiane tipiche dei crepuscolari. Tuttavia, Cardarelli rifiuta le forme poetiche troppo chiuse, ricorre al verso libero e rinuncia alla rima. Anche i temi trattati si richiamano al passato ma si innestano su questioni vicine alla sensibilità contemporanea.[7]
Emilio Cecchi
modificaCritico letterario e intellettuale di vasta cultura, Emilio Cecchi (Firenze, 14 luglio 1884 – Roma, 5 settembre 1966) ha scritto frammenti di prosa "creativa" pubblicati non solo sulla Ronda ma anche su altre riviste e poi raccolti in vari volumi (Pesci rossi del 1920, L'osteria del cattivo tempo del 1927, Qualche cosa del 1931, Corse al trotto del 1936, e altre). Guardando al classicismo fiorentino e all'empirismo inglese, Cecchi è lontano dalle generalizzazioni e dagli schemi ideologici, ha una spiccata vena ironica ed è dotato di senso del limite. Descrive le cose più marginali ricorrendo a uno stile prezioso e misurato, lascia emergere i segreti degli oggetti, i loro lati più inquietanti, ricoprendoli però con varie cautele.[8]
Riccardo Bacchelli
modificaRiccardo Bacchelli (Bologna, 19 aprile 1891 – Monza, 8 ottobre 1985), diversamente dagli altri rondisti, si orienta verso il romanzo storico di ispirazione manzoniana, costruendo trame complesse con sofisticati intrecci narrativi, e ricorrendo al realismo linguistico. Tra le sue opere più conosciute, nelle quali dimostra grande attenzione per le forme del romanzo europeo contemporaneo, ci sono Il diavolo al Pontelungo (1927) e il ciclo in tre parti Il mulino del Po (1938-1940).[8]
Bruno Barilli
modificaBruno Barilli (Fano, 14 dicembre 1880 – Roma, 15 aprile 1952) conduce invece una vita irregolare e nel corso della sua attività intellettuale si occupa di musica, critica musicale e giornalismo. Nella sua prosa, che prende le mosse dal frammentismo, l'interesse per la musica e il colore si fondono con una corposa sensualità e un senso del vagabondaggio. Tra le sue opere si ricordano Delirama (1924), Il paese del melodramma (1930) e Capricci di vegliardo (1951).[9]
Note
modifica- ↑ 1,0 1,1 1,2 1,3 Ronda, La, su Treccani.it. URL consultato il 26 febbraio 2015.
- ↑ La Ronda e il Rondismo, su Sapere.it. URL consultato il 9 agosto 2015.
- ↑ Approfondimento su La Ronda, su Archivio della Scuola Romana. URL consultato il 9 agosto 2015.
- ↑ Carla Gubert, La prosa d'arte italiana dell'entre-deux-guerres, su lett.unitn.it. URL consultato il 9 febbraio 2015.
- ↑ Giovanni Casoli, Novecento letterario italiano ed europeo: autori e testi scelti, vol. 1, Città Nuova, 2002, p. 89, ISBN 9788831192637.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La poesia, la saggistica e la letteratura drammatica del Novecento, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 166.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La poesia, la saggistica e la letteratura drammatica del Novecento, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, pp. 166-167.
- ↑ 8,0 8,1 Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 956.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 957.
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