Storia della letteratura italiana/Accademia dell'Arcadia

Indice del libro

Secondo una convenzione generalmente accettata, la prima metà del Settecento viene definita «età dell'Arcadia».[1] L'Accademia dell'Arcadia viene fondata a Roma il 5 ottobre 1690 da Gian Vincenzo Gravina e da Giovanni Mario Crescimbeni, coadiuvati nell'impresa anche dal torinese Paolo Coardi, in occasione dell'incontro nel convento annesso alla chiesa di San Pietro in Montorio di quattordici letterati appartenenti al circolo letterario della regina Cristina di Svezia. L'Accademia è considerata non solamente una scuola di pensiero, ma un vero e proprio movimento letterario che si sviluppa e si diffonde in tutta Italia in risposta a quello che era considerato il cattivo gusto del Barocco.

Essa si richiama nella terminologia e nella simbologia alla tradizione dei pastori-poeti della mitica regione dell'Arcadia, e il nome fu trovato da Taia durante una adunata ai Prati di Castello, a quei tempi un paesaggio pastorale.[2] Oltre al nome dell'Accademia, emblematico da questo punto di vista è il fatto che anche la sede, una villa sulla salita di via Garibaldi sulle pendici del Gianicolo, sia chiamata Bosco Parrasio. I membri sono detti Pastori, Gesù bambino (adorato per primo dai pastori) è scelto come protettore, mentre l'insegna è la siringa del dio Pan, cinta di rami di alloro e di pino. Ogni partecipante inoltre doveva assumere, come pseudonimo, un nome di ispirazione pastorale greca.

Struttura e organizzazione modifica

 
Stemma dell'Accademia

L'Accademia è una democrazia dove sovrana è l'assemblea dei membri che ha l'obbligo di riunirsi almeno due volte in inverno e una in estate. A convocarla e a presiederla è preposto un Custode, eletto, con scrutinio segreto, ogni quattro anni durante la celebrazione dei Giochi Olimpici. Il Custode deve anche nominare, tra tutti gli Arcadi che risiedono in Roma, un collegio di dodici Vicecustodi che ogni anno devono essere sostituiti per la metà. Sempre di nomina del custode sono due Sottocustodi con funzioni di cancellieri e un Vicario o Protocustode che, in caso di impedimento del facente funzioni, ha il compito di sostituirlo.

Per entrare nell'accademia, che era a numero chiuso, era necessario possedere tre requisiti fondamentali ovvero: avere minimo 24 anni[3], una reputazione e una storia personale rispettabile ed essere oggettivamente riconosciuto un esperto in una qualche area del sapere e, se uomini, è obbligatoria anche la competenza in una qualche disciplina letteraria.

Al momento dell'ingresso nella congrega il neofita riceve dall'assemblea un nuovo nome, con cui sarà conosciuto in Arcadia. Il nome arcadico è costituito da due parti: la prima viene assegnata con un sorteggio mentre l'epiteto seguente è scelto dal candidato, previa approvazione dell'adunanza, purché faccia riferimento o a un luogo dell'Arcadia mitologica o geografica oppure vi sia comunque collegato.

Programma letterario modifica

 
Giovanni Mario Crescimbeni
« I fondatori, grandi uomini, della benemerita e celebre Accademia d'Arcadia ebbero per principal scopo nel prendere i nomi egli usi de' greci pastori e persino il loro calendario, di romper guerra alle gonfiezze del secolo, e ritornare la poesia italiana per mezzo della pastorale alle pure e belle sue forme. Fingendosi pastori, immaginandosi di vivere nelle campagne, bandito ogni fasto, tolto fra loro ogni titolo di preminenza, studiando ne' classici greci, latini, e italiani, vennero naturalmente da sé stesse a cadere quelle ampollose metafore, que' stravolti concetti, e quello smodato lusso di erudizione, che formava la delizia non de' poeti soltanto, ma eziandio de' più applauditi oratori sagri, e su cui stoltamente si riponeva la sede del sublime e del bello.[4] »
 
Giovanni Vincenzo Gravina

I caratteri letterari dell'Accademia sono frutto del confronto tra due dei fondatori, Gian Vincenzo Gravina e Giovanni Mario Crescimbeni. Il primo vedeva nell'Accademia il centro propulsore di un rinnovamento non solo letterario, ma anche culturale. Questo ambizioso progetto era sostenuto dalla sua concezione della poesia come veicolo rivelatore di verità essenziali. Propose come modelli letterari Omero e Dante. Inoltre non gradiva gli aspetti mondani che l'Accademia stava sempre più assumendo.[2] Il programma di Crescimbeni era decisamente più moderato e puntava a una più semplice reazione al disordine barocco ripristinando il «buon gusto». Crescimbeni puntava a raggiungere un certo classicismo con una poesia chiara, regolare di matrice petrarchesca. Prevalse il programma di Crescimbeni, dal momento che anche gli altri membri avevano come obiettivo non l'elaborazione di una nuova cultura, ma una nuova poesia classicheggiante, semplice e aggraziata.

Una delle conseguenze di questo dissidio è la scissione, nel 1711, che portò alla fondazione di una Seconda Arcadia, patrocinata dagli scolari del Gravina, che tre anni dopo sarà denominata Accademia de' Quirini. Nel 1719 i due rami si ricompatteranno per omaggiare Gravina, morto l'anno prima.[5]

Dal punto di vista estetico gli scrittori dell'Arcadia sono classicisti, mentre dal punto di vista filosofico sono razionalisti e si richiamano a Cartesio.

La polemica contro il Barocco modifica

Gia nel Seicento c'erano state delle opposizioni al marinismo e al gusto "trionfante" del Barocco, in particolare in Italia meridionale (Napoli e Cosenza) e in Lombardia. Queste tendenze mai sopite trovano infine sfogo nell'Arcadia. Alcuni dei membri fondatori dell'Accademia erano all'epoca letterati già noti, come Alessandro Guidi e Vincenzo di Filicaia e, come nota Salvatore Petronio, questo significa che «almeno in un primo momento e in alcuni scrittori, l'Arcadia comportò non una rottura netta e improvvisa con il passato, ma un suo superamento graduale».[6]

 
Il Bosco Parrasio, sede dell'Accademia

D'altra parte, è forte in tutti l'esigenza di superare il gusto del passato recente, e il nuovo gusto viene definito nei decenni successivi in opere come il ragionamento di Gravina sull'Endimione di Guidi (1692), l'Istoria della volgar poesia di Crescimbeni (1698), le Riflessioni sul buon gusto di Antonio Muratori. Gli arcadi tuttavia, almeno nei primi anni, non definiscono uno stile propriamente nuovo, ma piuttosto si limitavano a richiamarsi al petrarchismo di stampo rinascimentale intriso di neoplatonismo, che ai loro occhi era un modello di equilibrio e perfezione. Questo inoltre rispondeva al proposito, vivo nei membri, di ordine interiore e di ossequio alla fede della Chiesa.[7]

Il razionalismo modifica

La rottura con il passato recente teorizzato dall'Arcadia si inserisce nel più ampio quadro della penetrazione in Europa del razionalismo cartesiano. Bisogna precisare che la sua diffusione al di fuori della Francia spesso non riguarda i suoi principi o le sue formule, bensì il suo spirito, inteso come tentativo di ricondurre il sentimento alla ragione. In questo modo perdeva di interesse l'attenzione barocca per i lati oscuri dell'animo umano e per la loro classificazione. Al contrario, viene a delinearsi un uomo ideale i cui impulsi sono equilibrati e dominati da una lucida analisi. Allo stesso modo, anche la letteratura deve essere estremamente elegante e lucida, evitando ogni complicazione di carattere psicologico e ricorrendo a una lingua semplice e immediata.[8]

Gli esiti più importanti di questi assunti si ritrovano nella poesia di Pietro Metastasio. Tra i poeti della prima generazione si ricordano Petronilla Paolini Massimi (1683-1726), Faustina Maratti Zappi (1680-1745) e il marito Giambattista Felice Zappi, Eustachio Mafredi (1674-1739). Nelle generazioni successive alla nitidezza espressiva si affianca l'attenzione per le forme esteriori della vita contemporanea, e così oltre ai temi pastorali si affacciano anche immagini tratte dalla società aristocratica, figure gradevoli ma prive di spessore che caratterizzeranno il gusto cosiddetto rococò. Tra gli autori a esso ricollegabili ci sono Paolo Rolli, Tommaso Crudeli (1703-1745), Carlo Innocenzo Frugoni (1692-1768). Varianti della poesia arcadica proseguono anche nell'Ottocento con Jacopo Vittorelli (1749-1837) e Giovanni Meli (1740-1815).[9]

Diffusione della cultura arcadica modifica

Il programma letterario arcadico permea tutta la cultura italiana della prima metà del Settecento, tanto da portare a una serie di riforme che interessano il teatro, la lirica, il melodramma.[10] La sua diffusione sulla penisola risponde inoltre a un progetto preciso: l'unione di tutti i letterati d'Italia. Questo contribuisce al rafforzamento dell'identità nazionale della penisola e la diffusione della cultura, anche se - come nota Petronio - avviene in un ambito ristretto della popolazione. Comporre un verso diventa una parte fondamentale della "buona educazione" e la poesia d'occasione dagli ambienti nobili si estende alla borghesia.[11]

Note modifica

  1. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 427.
  2. 2,0 2,1 "Le muse", De Agostini, Novara, 1964, Vol. I, pag.321-323
  3. Vi furono comunque delle eccezioni in caso di giovani di grande talento, ad esempio Giulio Carlo Fagnani (1682-1766), matematico e poeta, entrato in Arcadia a soli sedici anni (Giuseppe Mamiani, Elogi storici di Federico Commandino, G. Ubaldo del Monte, Giulio Carlo Fagnani, Pesaro, Nobili, 1828, p. 95).
  4. Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, Venezia, 1852, Vol. LIV, pag. 7
  5. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 429.
  6. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 428.
  7. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 429.
  8. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 430.
  9. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 462.
  10. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 430-431.
  11. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 431.

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