Storia della letteratura italiana/Letteratura e Controriforma

Storia della letteratura italiana
Storia della letteratura italiana

La grande fioritura letteraria rinascimentale si svolse soprattutto nei primi decenni del Cinquecento e si può considerare sostanzialmente conclusa all'inizio del pontificato di Paolo IV (1555). Le forme rinascimentali andarono esaurendosi negli ultimi decenni del secolo, quando una lenta trasformazione condusse alle soglie della nuova civiltà barocca del XVII secolo. Questi decenni furono dominati dalla Controriforma cattolica, che influenzò tutte le attività pratiche e anche la cultura.

L'età compresa tra il 1559 e il 1690 è inoltre caratterizzata dalla società di Ancien Régime ("antico regime"), che vede l'affermazione delle grandi monarchie assolute. Le strutture economiche e sociali diventano sempre più rigide, vengono attivati durissimi meccanismi di repressione del dissenso e si accentua il processo della rifeudalizzazione. La società torna così a essere divisa in tre classi, detti "stati", senza però conservarne gli antichi equilibri: la borghesia, infatti, viene inquadrata nel terzo stato, in una posizione nettamente subalterna rispetto alle prime due, cioè nobiltà e clero.[1]

A modificare il contesto intervengono anche le scoperte geografiche e le innovazioni tecniche, che hanno conseguenze sui commerci, sulle vie di comunicazione, sui rapporti tra gli uomini e su quello tra uomo e natura. Per finire, le scoperte scientifiche impongono un'immagine dell'universo, aperta e dinamica.[2]

L'età della Controriforma

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  Per approfondire su Wikipedia, vedi la voce Controriforma.
 
Il Concilio di Trento tenutosi nella Chiesa di Santa Maria Maggiore, in un dipinto conservato presso il Museo diocesano tridentino, che trae spunto da una stampa precedente.

Dopo il concilio di Trento (1545-1563), che porta a una sistemazione del contenuto dogmatico e della disciplina della sua gerarchia, la Chiesa si volge sia alla conquista missionaria dei territori extraeuropei, sia al tentativo di ridestare nell'Europa cattolica il rigore morale e religioso. L'opera di difesa e restaurazione, definita con il termine di Controriforma, si rivela essenzialmente conservatrice. La Chiesa, timorosa del pericolo incombente della Riforma, cerca di imporre una nuova severità di costumi e di frenare ogni manifestazione di libero pensiero, imponendo un'ortodossia rigorosa, ricorrendo al tribunale dell'Inquisizione (che viene riorganizzato nel cosiddetto Santo Uffizio) e all'appoggio del potere politico.[3] Un doppio autoritarismo, religioso e politico, grava per molti decenni sull'Europa, segnando il temporaneo declino dello spirito di tolleranza, di libera e spregiudicata ricerca che era stata la manifestazione più significativa della civiltà rinascimentale.

La difesa della Chiesa dall'attacco della Riforma non interessa solo gli aspetti dogmatici, ma anche quelli istituzionali legati al potere temporale. Il papato si impegna a tutelare le strutture organizzative che si erano formate tra la fine del Quattrocento e l'inizio del Cinquecento, perseguendo sempre più progetti ambiziosi. Lo Stato della Chiesa diventa anch'esso una monarchia assoluta e centralizzata, appoggiando al supporto della potenza spagnola. La stessa città di Roma nel corso del Seicento cambierà volto grazie alla realizzazione di meravigliose opere d'arte, commissionate allo scopo di rafforzare la fede della masse e dare lustro al potere del papa.[4]

 
La Madonna dal collo lungo (1534-9) di Parmigianino, tra i più importanti pittori manieristi. Galleria degli Uffizi, Firenze

In Italia gli uomini di cultura si piegarono, generalmente, alle esigenze della Controriforma, molto spesso per convenienza. La Chiesa cercò di conciliarsi con la cultura umanistica, inquadrandola in una solida visione religiosa, come aveva cercato di fare anche nel passato. In realtà, la civiltà rinascimentale italiana aveva ormai perso la sua creatività e si stava adagiando in uno stanco ideale di decoro formale. Ogni autentico interesse ed entusiasmo erano ormai tramontati e anche l'arte da sorgente viva della coscienza si cristallizzava in un classicismo formale, fondato su una minuta, e pedante precettistica. La letteratura era ormai legata all'accademia, cioè a una ristretta minoranza intellettuale, che non era riuscita a diffondere gli ideali rinascimentali. Si veniva così a sancire il trionfo della forma sul contenuto, dell'eleganza raffinata sulla realtà. Si suole definire la produzione di questa seconda metà del XVI secolo con il termine di Manierismo, desunto dalle arti figurative.[5]

Il risveglio religioso voluto dalla Chiesa si attua solo parzialmente e, d'altra parte, le limitazioni imposte alla libertà di pensiero impediscono la realizzazione di un intimo rinnovamento. Peraltro, la rinnovata religiosità riporta nelle coscienze il senso del peccato e del limite umano. Un senso di insicurezza e di fragilità domina ormai la nuova visione dell'uomo, che si sentiva soggetto al flusso alterno e cieco della sorte. Tale concezione, già presente in Guicciardini, si approfondisce drammaticamente in Tasso, per poi trapassare nella civiltà barocca del Seicento.

Letteratura

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La letteratura di questo periodo è caratterizzata in primo luogo da un'estrema e raffinata elaborazione formale, accompagnata da accanite discussioni teoriche sulla poesia, spesso fini a se stesse. Venne meno la fiducia rinascimentale nelle lettere, e l'interesse per le opere degli antichi degenerò fino a cristallizzarsi in un classicismo puramente precettistico. Altro elemento essenziale e anch'esso contraddittorio è il proposito moraleggiante, in ossequio alla Controriforma, unito alla preoccupazione del parlare ortodosso. Si tratta però, quasi sempre di un ossequio esteriore: prevale, in realtà, un'ispirazione sensuale sotto il conformismo di spiriti inclini all'ipocrisia e al compromesso. In generale si diffonde un senso di fallimento e di stanchezza.[6]

Le modalità espressive del Manierismo concedono allo scrittore la possibilità di esprimersi più liberamente, non dovendo più seguire quell'ossessione per la misura, che inevitabilmente restringeva i limiti dell'invenzione artistica. Nelle opere si respira un sentimento di irrequietezza. Il dettaglio diveniva l'oggetto principale dell'opera. È come se esaurite le possibilità artistiche, l'uomo non potesse che rifugiarsi nella foga del dettaglio insignificante, nel mancato desiderio di un progetto grandioso. Ma non è una resa incondizionata, piuttosto è una rincorsa caotica e affannata al dettaglio, al bizzarro, all'inusuale, una sorta di caccia al significato. È un periodo di crisi, specialmente per l'Italia, che, al di là della corte papale vive il suo distacco dalla storia. È il senso di crisi, quasi di stanchezza, che spinge l'uomo verso questa dimensione di profondo disequilibrio, a cavallo tra la misura ancora classica del Rinascimento e la stravaganza del Barocco.

In Torquato Tasso (1544–1595), il dissidio culturale e letterario di quest'età assunse un più profondo e drammatico carattere interiore. Nel filosofo e poeta Giordano Bruno (1548- 1600) la crisi del pensiero rinascimentale si risolse nella ricerca di una nuova sistemazione filosofica anti-aristotelica, nell'affermazione della libertà di pensiero ed in una rivolta al conformismo che gli costarono la vita. Un altro autore considerato manierista è Battista Guarini, la cui più famosa opera poetica, la tragicommedia Il pastor fido, è seguita e preceduta da un'ampia ricognizione intorno al valore dei generi letterari.

  1. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 351.
  2. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 351.
  3. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 353-354.
  4. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 354.
  5. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 328.
  6. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 329.