Storia della letteratura italiana/Eugenio Montale

Indice del libro
Storia della letteratura italiana

Se per Ungaretti la parola e il verso, liberati dalle forme della tradizione, potevano costituire uno strumento per attingere all'assoluto, per Eugenio Montale questa soluzione non è praticabile. Per il poeta ligure la realtà si pone sempre tra l'uomo e l'assoluto: nel mondo fenomenico della natura si nascondono dei varchi che consentono un accesso alla verità, ma da questi non è comunque possibile ricavare alcuna risposta alle domande

La vita

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Eugenio Montale

Eugenio Montale nasce a Genova il 12 ottobre 1896, sesto figlio di Domenico e Giuseppina Ricci. La famiglia gestisce una piccola ditta commerciale. Montale frequenta le scuole tecniche e si diploma ragioniere nel 1915. Riceve anche lezioni di canto e matura una passione per la musica. Partecipa alla Grande Guerra con il grado di sottotenente, e nel dopoguerra stringe amicizia con alcuni poeti liguri, tra cui Angelo Barile, Adriano Grande e Camillo Sbarbaro. Ha poi una relazione, negli anni 1922-1923, con Anna degli Uberti, la Annetta-Arletta di varie poesie. L'esordio come poeta avviene nel 1922, sulla rivista Primo tempo di Giacomo Debenedetti. Entra poi in contatto con il gruppo torinese vicino a Gobetti, e nel 1925 pubblica sul Baretti il saggio Stile e tradizione, in cui espone i lineamenti programmatici della sua poetica. Il 1925 è però segnato da altri due eventi importanti per la biografia di Montale: la pubblicazione del saggio Omaggio a Italo Svevo (che per primo pone l'attenzione sull'autore triestino, fino ad allora considerato una figura marginale nella letteratura contemporanea) e della raccolta Ossi di seppia per la casa editrice di Gobetti. Firma inoltre il manifesto degli intellettuali antifascisti scritto e promosso da Benedetto Croce.

Durante gli anni del fascismo Montale, contrario alla dittatura, conduce una vita appartata. Anche nel dopoguerra, tuttavia, il poeta si terrà lontano da ogni forma di militanza politica, che considera estranea all'impegno intellettuale. Nella seconda metà degli anni venti collabora con la rivista Solaria e nel 1927 si trasferisce a Firenze, dove diventa redattore dell'editore Bemporad. Nel 1929 succede a Bonaventura Tecchi come direttore del Gabinetto letterario Viesseux, incarico da cui viene sollevato nel 1938 perché non iscritto al Partito Nazionale Fascista. Intanto, nel 1933 aveva conosciuto Irma Brandeis, che viene cantata in varie poesie con il nome di Clizia. Si guadagna di che vivere con collaborazioni editoriali, in particolare per Bompiani: partecipa alla collana Americana diretta da Vittorini e traduce la Storia di Billy Budd di Melville.

Nel 1939 vive con Drusilla Tanzi, la Mosca di varie poesie, che diventerà sua moglie nel 1962. Grazie all'interessamento di Gianfranco Contini, nel 1943 esce a Lugano la prima serie delle poesie di Finisterre, che confluiranno poi nella raccolta La bufera e altro (1956). Durante la guerra aiuta Umberto Saba e Carlo Levi, colpiti dalle leggi razziali, e nel 1945 è tra i fondatori della rivista Il Mondo, le cui pubblicazioni terminano l'anno dopo. Nel 1948 si trasferisce quindi a Milano, lavorando come redattore per il Corriere della Sera. Nel 1954 diventa anche critico musicale per il Corriere fiorentino. Negli anni sessanta e settanta escono alcuni volumi di saggi e articoli giornalistici, come Auto da fé (1966), Fuori di casa (1969) e Sulla poesia (1976). Negli stessi anni, nel 1967, viene nominato senatore a vita. Nel 1971 la pubblicazione di Satura interrompe un lungo periodo di silenzio e apre una nuova fase nella produzione montaliana, che prosegue con Diario del '71 e del '72 (1973) e Quaderno di quattro anni (1977).

Nel 1977 l'editore Mondadori pubblica il volume Tutte le poesie, a cui segue per Einaudi l'edizione critica di tutti i suoi componimenti poetici con il titolo L'opera in versi (1980). Nel 1975 Eugenio Montale è insignito del premio Nobel per la letteratura; alla cerimonia di premiazione pronuncia il discorso È ancora possibile la letteratura?. Muore a Milano il 12 settembre 1981. Escono postumi nello stesso anno i volumi I miei scritti sul «Mondo» (da Bonsanti a Pannunzio), Altri versi e poesie disperse e Prime alla Scala.[1]

Ossi di seppia

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Un osso di seppia, che dà il titolo alla raccolta di poesie di Montale

Nel 1925 Montale pubblica per le edizioni di Gobetti la sua prima raccolta di poesie, Ossi di seppia. Il libro però acquisirà la sua struttura definitiva solo con la seconda edizione, edita nel 1928, ampliata rispetto alla precedente.

Ossi di seppia si impone al pubblico per la novità della poesia di Montale, e in particolare per la ricerca di un linguaggio essenziale, sul modello di altri autori liguri come Camillo Sbarbaro e Roccataglia Ceccardi. Montale prende le distanze dalle sperimentazioni delle avanguardie, cerca forme libere e aperte, ma allo stesso tempo ricorre anche a quelle della tradizione. Come molti poeti suoi contemporanei, si confronta con Pascoli e D'Annunzio: ricorre a termini alti e preziosi, ma guarda anche alla concretezza delle cose e utilizza un linguaggio puntuale, ricorrendo a termini tecnici per descrivere elementi naturali o del paesaggio. Evita poi il vitalismo e i toni eroici, e diffida del valore superiore della parola poetica. Diversamente da Ungaretti, per Montale la parola non può aspirare a raggiungere l'assoluto, ma deve scontrarsi con la realtà, rimanendovi impigliata. Il reale, tuttavia, è l'unico banco di prova consentito per la parola poetica. Dai crepuscolari ricava invece un linguaggio dai modi ironici e colloquiali. Il risultato è un originale equilibrio tra la descrizione dei paesaggi e degli oggetti e la riflessione esistenziale, che ruota attorno al "male di vivere".

Il paesaggio montaliano è il paesaggio marino della Liguria, un luogo arido e battuto dal vento, in cui la vita si rivela nel suo sgretolarsi. Dominano le immagini dei meriggi assolati, in cui il tempo sembra fermo; il movimento regolare del mare sembra però annunciare un prossimo evento rovinoso oppure il manifestarsi di un "prodigio fallito". Il poeta è immerso nel paesaggio, ma non vi partecipa direttamente, limitandosi a interrogare i segni che esso mostra. Negli elementi del paesaggio si manifesta il vuoto della vita naturale e dei quella dell'individuo. L'osso di seppia a cui fa riferimento il titolo della raccolta è un'immagine delle cose ridotte alla loro essenza, con le quali l'uomo tenta di entrare in rapporto. Così però si infrangono i falsi equilibri su cui si basa la vita quotidiana.

Quella di Montale può quindi essere definita una "poetica delle cose", che non manca di avere atteggiamenti polemici contro la poesia aulica che ricorre a termini astratti e convenzionali. È quello che il poeta Thomas S. Eliot definisce "correlativo oggettivo": anche i concetti astratti e i sentimenti trovano una loro espressione in oggetti ben definiti. La sua è una poesia ardua, difficile, in cui uno stesso termine può avere più significati

Il poeta cerca di trovare dei varchi in cui la realtà si disgrega, degli squarci verso la realtà profonda, ma ogni volta che sembra averne incontrato uno, l'io ne rimane escluso. In questo modo la solitudine dell'io si accresce, si allontanano le cose e si allontana anche il destinatario a cui l'io spera di potere parlare della propria saggezza, che spesso viene identificato con una figura femminile.[2][3]

Le occasioni

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La raccolta successiva, Le occasioni, viene pubblicata da Einaudi nel 1939. Comprende cinquanta poesie suddivise in quattro parti, a cui nell'edizione del 1940 si aggiungeranno altre quattro parti. Si tratta di versi già comparsi su riviste negli anni precedenti, e cinque poesie erano già uscite nel 1932 nel volume La casa dei doganieri e altri versi.

La riflessione esistenziale di Ossi di seppia è qui meno esplicita, la parola poetica si concentra sugli oggetti (tanto che si parla di poetica degli oggetti). Il poeta crea immagini dai rilievi netti e quasi allucinati. Il linguaggio si fa più complesso, difficile da decifrare. Da questo punto di vista, Montale si avvicina alle soluzioni raggiunte negli stessi anni dagli ermetici. Tuttavia, a differenza di questi ultimi, la poesia di Montale non si abbandona all'allusività e all'indeterminatezza, e rimane estranea al metodo dell'analogia utilizzato anche da Ungaretti. Piuttosto, carica le cose e le figure di una vigorosa tensione razionale e sentimentale. L'oscurità deriva non da una propensione verso il negativo, ma dalla necessità di trovare un barlume di luce in mezzo al buio. Tra questi barlumi è possibile trovare delle rivelazioni e dei momenti di improvvisa ebbrezza. Si tratta però di rivelazioni insufficienti e sempre inquietanti, mentre un valore profondo e assoluto è sempre irraggiungibile.

Le poesie delle Occasioni partono sempre da dati reali ed esistenziali. La ricerca dell'altro è anzitutto la ricerca di un "tu", ancora una volta una figura femminile, che è perduta o che non si può raggiungere. La poesia è quindi un'interrogazione della memoria, e i barlumi evocano la possibilità di un ritorno del tempo. Nella parte finale della raccolta, la figura femminile si staglia come una forza in grado di salvare il poeta, capace di riscattarlo dalla volgarità del presente. È l'eredità di una lunga tradizione letteraria, che ha le sue radici nello stilnovo, con la quale la poesia negli anni del fascismo si distacca dal presente e ritrova un proprio valore umano e civile.[4]

La bufera e altro

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Nel 1956 Montale pubblica la sua terza raccolta poetica, La bufera e altro, che riunisce le poesie scritte tra il 1940 e il 1954, suddivise in sette parti. Il nucleo iniziale è costituito dal volume Finisterre, pubblicato nel 1943 in Svizzera dietro interessamento del critico letterario Gianfranco Contini. La raccolta, nella sua versione definitiva, ha un aspetto narrativo e si presenta come una moderna Vita nuova, in cui l'amore per una donna salvatrice si intreccia con i segni della modernità.

C'è una moderna Beatrice, indicata con il nome di Clizia (identificabile con la studiosa americana Irma Brandeis), che ha i segni dell'opposizione alla violenza del presente, ma allo stesso tempo porta con sé anche simboli di morte. Consente al poeta di guardare direttamente il mondo e di confrontarsi con la sua estraneità. Si tratta però di una figura enigmatica, di cui il poeta nasconde il nome e l'aspetto. Accanto a lei però compare anche la figura di "Mosca", avvicinabile alla Laura di Petrarca, mentre nella parte finale della raccolta si cita "Volpe", una sorta di Anti-Beatrice, un personaggio femminile meno inafferrabile.

Nella raccolta alle tre figure femminili viene intrecciato il passaggio dall'orrore della guerra all'angoscia del dopoguerra e della guerra fredda, con il senso incombente di fine della civiltà. Questo passaggio è segnato anche da un cambiamento stilistico: dalla ricerca della perfezione stilistica si scivola verso toni bassi e materiali. Il linguaggio diventa più minuto e colloquiale, e cerca un contatto diretto con il lettore.[5]

Satura e le ultime opere

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Eugenio Montale con Riccardo Campa nel 1971

Alle Occasioni segue un lungo silenzio, che viene interrotto negli anni settanta con l'uscita di Satura (1971). Il nucleo di questa raccolta risale però al 1961, quando era stato pubblicato l'opuscoletto intitolato Botta e risposta.

La lirica cede ora il posto all'ironia e alla parodia, in cui vengono mescolati livelli diversi. Le figure della precedente poesia di Montale vengono ora rivisitate e rovesciate, abbassate. Il linguaggio, solo apparentemente semplice, rivela ambiguità e scatti polemici. Rimane però essenziale il riferimento alla memoria: nella vecchiaia, le immagini del passato si riavvolgono su se stesse, in un confronto tra la poesia del passato e quella del presente.

Satura addensa un insieme di significati, e viene sottolineato la natura aperta della raccolta, in cui si mescolano stili, toni, linguaggi. Su tutto si staglia un'immagine di divinità: Montale mostra come il concetto della "morte di dio" così centrale nella modernità non porti a un'affermazione della libertà dell'uomo, ma piuttosto a un vuoto di valore in cui una divinità inafferrabile e minacciosa, simbolo della società tecnologica, regola la vita collettiva senza avere coscienza di sé. Sotto questo ente infernale diventa impossibile distinguere il bene dal male, e il movimento della realtà è così cieco che non è possibile nemmeno un'apocalisse.[6]

Il modello di Satura diventa, nelle raccolte successive, l'unica forma di sopravvivenza del poeta nelle società di massa. Nel Diario del '71 e del '71 (1973) il poeta si confronta ancora una volta con il linguaggio contemporaneo, in un mescolarsi di ottimismo e pessimismo. Nel Quaderno di quattro anni (1977) il tema tipicamente montaliano della reversibilità del tempo si fonde con quello della nullificazione del linguaggio.

Montale pubblica la sua ultima raccolta, Altri versi, all'interno dell'edizione critica dell'Opera in versi (1980). A questa si aggiunge il Diario postumo del 1990.[7]

Scritti in prosa

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Nella sua attività letteraria, Montale ha scritto anche racconti, saggi e interventi giornalistici. Nel 1956 vengono raccolti nel volume Farfalla di Dinard venticinque racconti brevi già pubblicati, tra il 1946 e il 1950, sul Corriere della Sera e sul Corriere d'informazione. A questi se ne aggiungono altri nella seconda edizione, che va alle stampe nel 1960. Sono storie che hanno per protagonisti personaggi borghesi, narrati con una prosa leggera e ironica.

Oltre a questa produzione creativa, molto importanti sono i suoi scritti di critica musicale riuniti nel volume Prime alla Scala (1981). Si devono poi ricordare le sue cronache di viaggio raccolte in Fuori di casa (1969). I più rilevanti sono però gli scritti di Auto da fé (1966), in cui propone riflessioni sulla società e la cultura, in un confronto critico con l'editoria moderna e la società consumistica industriale.[8]

  1. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Saba, Ungaretti, Montale, Pavese, Gadda, Calvino, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 59-60.
  2. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 997-999.
  3. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Saba, Ungaretti, Montale, Pavese, Gadda, Calvino, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 60-62.
  4. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 999-1000.
  5. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 1000-1001.
  6. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 1002-1003.
  7. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 1004.
  8. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 1002.

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