Guida alle costellazioni - Regioni celesti scelte/Le regioni di formazione stellare

La costellazione di Orione
La costellazione di Orione

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Regioni celesti scelte

Curiosità galattiche

Carte di dettaglio dei principali ammassiGuida alle costellazioni - Regioni celesti scelte/Carte di dettaglio dei principali ammassi

BibliografiaGuida alle costellazioni - Regioni celesti scelte/Bibliografia

Premessa - Le coordinate galattiche

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Quando si descrivono gli oggetti della Via Lattea, gli scienziati fanno spesso ricorso al sistema delle coordinate galattiche.

Il sistema di coordinate galattiche è un sistema di coordinate celesti centrato sul Sole e allineato col centro della Via Lattea. L’equatore galattico è così allineato con il piano galattico. Similmente alle coordinate geografiche, le coordinate galattiche si basano sulla longitudine e sulla latitudine.

L'Unione Astronomica Internazionale (IAU) definì questo sistema riferendosi alle coordinate equatoriali nel 1958. Il polo nord galattico è definito alle coordinate celesti 12h49m : e +27,4° : (B1950), mentre lo zero di longitudine è un grande semicerchio che si origina da questo punto. La longitudine aumenta nella stessa direzione dell'ascensione retta e nel sistema di coordinate galattiche è indicato col la lettera l. La latitudine galattica è positiva verso il polo nord galattico, mentre è negativa verso il polo sud galattico; l'equatore galattico ha latitudine 0. Nel sistema la latitudine si indica con b.

Il sistema equivalente riferito a J2000 ha il polo nord galattico a 12h51m26,282s, +27°07′42,01″ (J2000), in direzione della Chioma di Berenice, e lo 0 di longitudine all'angolo di posizione di 122,932°. Il polo sud ricade invece nello Scultore.

Il punto del cielo in cui sia latitudine che longitudine sono pari a 0 è 17h45m37,224s, -28°56′10,23″ (J2000), leggermente spostato rispetto alla radiosorgente astronomica Sagittarius A, il miglior indicatore del centro galattico. Sagittarius A* si trova alle coordinate celesti 17h45m40,04s, -29°00’28,1” (J2000), o alle coordinate galattiche l = 359°56’39,4” e b = -0°2’46,2”.

Il sistema delle coordinate galattiche sta alla base della suddivisione del piano galattico in quattro quadranti, dove il grado 0 corrisponde al centro della Via Lattea e il grado 180 corrisponde all'Anticentro galattico, ossia la direzione opposta al centro della nostra galassia.

Il primo quadrante è compreso fra 0° e 90° e comprende la Via Lattea fra le costellazioni del Sagittario e del Cigno; indicativamente il primo quadrante è quello che si osserva guardando il cielo verso sud durante le notti estive.

Il secondo quadrante è compreso fra 90° e 180° e comprende la Via Lattea fra le costellazioni del Cigno e dell’Auriga; indicativamente corrisponde al tratto che si osserva guardando il cielo verso nord durante le notti autunnali.

Il terzo quadrante è compreso fra 180° e 270° e comprende la Via Lattea fra le costellazioni del Toro e delle Vele; indicativamente corrisponde al tratto che si osserva guardando il cielo verso sud durante le notti invernali.

Il quarto quadrante è compreso fra 270° e 0° e comprende la Via Lattea fra le costellazioni della Carena e dello Scorpione; indicativamente corrisponde al tratto invisibile alle latitudini medie boreali.

Questa suddivisione è spesso utilizzata dagli astronomi per la descrizione delle grandi strutture galattiche e delle regioni di formazione stellare.

Questo sistema di coordinate è chiaramente di tipo eliocentrico, ossia è centrato sulla nostra prospettiva di osservazione dal Sistema Solare.

 
Immagine mappata della Via Lattea, con in evidenza i quadranti galattici. La linea orizzontale violacea è l’equatore galattico.

Le regioni di formazione stellare

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La regione centrale della Nebulosa Aquila, nota come “Pilastri della Creazione”, dove sono attivi fenomeni di formazione stellare.

La Via Lattea così come ci appare nella notte stellata è profondamente modellata dalle dinamiche di formazione stellare: nel corso di milioni di anni infatti banchi di nubi possono aggregarsi e disgregarsi, come possono collassare e dare origine a nuove stelle, le quali col tempo disperdono i gas residui col loro vento stellare o esplodendo come supernovae. L’onda d’urto causata da un’esplosione di supernova può a sua volta influenzare le nubi vicine, facendole disgregare o collassare in nuove stelle, in un ciclo continuo.

Scopo di questa sezione non è esaminare nel dettaglio tutta la fisica che sta dietro la nascita di nuove stelle o l’esplosione di una supernova, per la quale esistono ottimi testi in grado di spiegarla anche in modo molto semplice e chiaro; ciò che si desidera ottenere in questa sezione è l’emergere di una consapevolezza diversa nell’osservazione della Via Lattea e dei suoi oggetti, portando gli appassionati ad avere una certa comprensione della grande complessità della nostra galassia e a ricercare nel cielo stellato strutture reali che vadano dunque al di là della mera suddivisione del cielo in costellazioni. Ciò potrebbe portare, col tempo, a osservare e soprattutto a fotografare ammassi e nebulose seguendo un approccio nuovo e più consapevole.

Concetti di base

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Il modello attualmente più accreditato presso la comunità astronomica, detto modello standard, prevede che una stella nasca a partire dal collasso gravitazionale delle porzioni più dense (dette “nuclei”) di una nube molecolare e dal successivo accrescimento dell'embrione stellare, originatosi dal collasso, a partire dai materiali presenti della nube. Tale processo ha una durata che può variare tra alcune centinaia di migliaia e alcuni milioni di anni, a seconda del tasso di accrescimento e della massa che la stella nascitura riesce ad accumulare: si stima che una stella simile al Sole impieghi all'incirca un centinaio di milioni di anni per formarsi completamente e in seguito per raggiungere la fase stabile della propria vita, mentre per le stelle più massicce il tempo è notevolmente inferiore, nell’ordine dei 100.000 anni.

Il modello spiega bene le modalità che conducono alla nascita delle singole stelle di massa piccola e media (tra 0,08 e 10 volte la massa solare) e trova riscontro anche nella funzione di massa iniziale, che descrive la distribuzione delle masse di una popolazione di stelle di recente generazione in base alla loro teorica massa iniziale al momento della formazione; risulta più lacunoso invece per quanto riguarda la formazione dei sistemi e degli ammassi stellari e delle stelle massicce. Per tale ragione sono stati sviluppati dei modelli complementari che includono gli effetti delle interazioni tra gli embrioni stellari e l'ambiente in cui si formano ed eventuali altri embrioni nelle vicinanze, importanti ai fini delle stesse dinamiche interne dei sistemi e soprattutto della massa che le stelle nasciture riusciranno a raggiungere.

Il mezzo interstellare

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La Via Lattea fra Cigno e Sagittario. Le aree prive di “chiarore” non sono zone senza stelle, ma regioni in cui le nubi sono talmente spesse da ostacolare la luce di interi settori della nostra galassia.

Il mezzo interstellare (spesso abbreviato in ISM) è il materiale rarefatto costituito da gas e polvere che si trova tra le stelle all'interno di una galassia. Fino alla fine del XIX secolo, lo spazio interstellare era considerato sostanzialmente vuoto. Nel 1904, l'astronomo tedesco Johannes Hartmann scoprì il gas interstellare, mentre ventisei anni dopo, nel 1930, lo svizzero Robert Trumpler scoprì la polvere interstellare, che causava l'arrossamento del colore delle stelle lontane.

Il mezzo interstellare consiste di una miscela piuttosto rarefatta di ioni, atomi, molecole, granuli di polvere, raggi cosmici e campi magnetici; in massa il 99% della materia è costituito dai gas, il restante 1% dalle polveri. Le densità variano da poche migliaia ad alcune centinaia di milioni di particelle per metro cubo, con un valore medio attestato nella Via Lattea di un milione di particelle al m3 (1 particella al cm3). Il Sole, ad esempio, sta attualmente viaggiando, nel corso della sua orbita attorno al centro galattico, all'interno della Nube Interstellare Locale (con densità di 0,1 atomi cm−3), posta a sua volta all'interno della Bolla Locale (con densità di 0,05 atomi cm−3).

Il gas del mezzo interstellare è costituito all'incirca all'89% da idrogeno e per il 9% da elio, con un 2% di elementi più pesanti, definiti nel gergo astronomico “metalli”, e composti in tracce.

Il mezzo interstellare gioca un ruolo importante in astrofisica per via del suo ruolo di “via di mezzo” tra ordini di grandezza stellari ed ordini di grandezza galattici, ossia fra le dinamiche alla scala delle stelle e quelle su scala galattica.

Le stelle inoltre interagiscono in molteplici modi col mezzo interstellare: innanzi tutto si formano all’interno delle regioni più dense del mezzo interstellare stesso, ossia le nubi molecolari; in seguito ne plasmano le strutture, grazie ai loro venti, disperdendone gli addensamenti vicini e accumulando materia secondo dei processi su lunga scala temporale descritti in seguito.

Infine, ne modificano la composizione, arricchendola degli elementi più pesanti prodotti al loro interno: una volta giunte al termine della loro evoluzione infatti, le stelle “contaminano” il mezzo interstellare tramite l'emissione di una nebulosa planetaria o l'esplosione di una supernova; quest'ultimo meccanismo in particolare è, assieme al processo s nelle giganti rosse, alla base della produzione degli elementi più pesanti del ferro, l'ultimo elemento sintetizzabile nel nucleo di una stella.

Queste continue interazioni tra stelle e mezzo interstellare aiutano a determinare il tasso al quale una galassia consuma le sue riserve gassose, e dunque permette di misurare il tempo in cui questa va incontro a un’attiva formazione stellare.

Col progresso della tecnologia astrofotografica, la ripresa delle zone più dense del mezzo interstellare è diventata anche alla portata degli appassionati: ne sono un chiaro esempio le numerose foto amatoriali delle galassie M81 e M82 nell’Orsa Maggiore, in cui spesso sovrapposto ad esse si nota un velo intricato di gas e polveri, che viene denominato Integrated Flux Nebula; questo complesso intreccio di gas e polveri forma lunghi filamenti o anche piccoli bozzoli più densi che ricevono il flusso di luce e radiazione integrato (integrated flux) di tutte le stelle della Via Lattea situate nelle vicinanze, rendendoli così illuminati, seppur molto debolmente.

Dal mezzo interstellare alle nubi molecolari

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La famosa Nebulosa Testa di Cavallo si evidenzia perché oscura la nube luminosa situata al di là.

Una tipica galassia spirale, come la Via Lattea, contiene grandi quantità di mezzo interstellare, che si dispone principalmente lungo i bracci che delineano la spirale, ove la gran parte della materia che lo costituisce, qui convogliata a causa del moto di rotazione della galassia, può formare strutture diffuse. La situazione cambia procedendo lungo la sequenza di Hubble, fino ad arrivare alle più esigue quantità di materia presenti nel mezzo interstellare delle galassie ellittiche; conseguentemente, man mano che si riduce la quantità di mezzo interstellare vien meno la possibilità che si formino strutture nebulari diffuse, a meno che la galassia carente non acquisisca materiale da altre galassie con cui eventualmente interagisce.

Il mezzo interstellare, come si è visto, è inizialmente piuttosto rarefatto. La dispersione di energia sotto forma di radiazione nell'infrarosso, traducendosi in un raffreddamento della nube, fa tuttavia in modo che la materia del mezzo si addensi in nubi distinte, dette genericamente nubi interstellari, classificate in maniera opportuna a seconda dello stato di ionizzazione dell'idrogeno. Le nubi costituite in prevalenza da idrogeno neutro monoatomico sono dette regioni H I.

La mappatura delle emissioni alle lunghezze d'onda dell'H I con un radiotelescopio è una tecnica largamente utilizzata per determinare la struttura di una galassia spirale. Tale tecnica trova impiego anche per definire le perturbazioni gravitazionali tra galassie interagenti; infatti, quando due galassie si urtano, la materia viene trascinata via in varie strisce, che consentono agli astronomi di comprendere in che direzione e in che modo le galassie si stanno muovendo.

Man mano che il raffreddamento prosegue, le nubi divengono sempre più dense; quando la densità raggiunge le 1000 particelle al cm³, la nube diviene opaca alla radiazione ultravioletta galattica. Tale condizione, unita all'intervento dei granuli di polvere interstellare in qualità di catalizzatori, permette agli atomi di idrogeno di combinarsi in molecole biatomiche (H2): si ha così la formazione di una nube molecolare.

I maggiori esemplari di queste strutture, chiamate nubi molecolari giganti, possiedono solitamente diametri di oltre 100 anni luce, masse superiori a 6 milioni di masse solari e temperature medie, al loro interno, di 10 K. Si stima che circa la metà della massa complessiva del mezzo interstellare della nostra galassia sia contenuta in queste formazioni e sia suddivisa fra circa 6000 nubi molecolari giganti, ciascuna con più di 100.000 masse solari di materia al proprio interno. La presenza, frequentemente riscontrata, di molecole organiche anche molto complesse come amminoacidi e idrocarburi policiclici aromatici (IPA) all'interno di queste formazioni è il risultato di reazioni chimiche tra alcuni elementi (oltre all'idrogeno, carbonio, ossigeno, azoto e zolfo) che si verificano grazie all’apporto energetico fornito dai processi di formazione stellare che hanno luogo al loro interno.

Visivamente, questo tipo di nubi sono quelle che vengono definite in astronomia osservativa nebulose oscure. L'aspetto di questi oggetti è essenzialmente dovuto alla presenza di una piccola frazione di polvere, responsabile dell'assorbimento della luce, specialmente nella parte blu dello spettro. Le nubi oscure quindi si possono osservare se oscurano parte di una nebulosa a emissione o nebulosa a riflessione (come la Nebulosa Testa di Cavallo) o se bloccano la luce delle stelle di fondo (come la Nebulosa Sacco di Carbone).

Le nubi molecolari sono più numerose di quanto molti appassionati possano pensare: sono infatti queste a conferire alla scia chiara della Via Lattea il suo aspetto irregolare. Se per ipotesi le potessimo rimuovere, il chiarore della Via Lattea assumerebbe la forma di un fuso omogeneo più grosso verso il centro, in direzione del Sagittario, e progressivamente più tenue verso l’Auriga, senza però mai sparire; anche il suo gradiente di luminosità sarebbe regolare e passerebbe dalla zona più luminosa in direzione dell’equatore galattico, fino a disperdersi sempre più alle alte latitudini galattiche.

La loro presenza invece fa in modo che, per esempio, gran parte dell’equatore galattico appaia fortemente oscurato, come è ben chiaro lungo l’intera Fenditura del Cigno e la Fenditura dell’Aquila, oppure che interi tratti del piano galattico siano oscurati, come si osserva in direzione di Perseo e della Giraffa o in alcuni punti fra Aquila e Scudo.

Nella pagina seguente è presenta una carta generale che mostra quanto questi complessi nebulosi siano in grado di influire sulla visibilità della Via Lattea.

Verso il collasso

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Globuli di Bok in NGC 281 ripresi dal telescopio spaziale Hubble.

Una nube interstellare rimane in uno stato di equilibrio dinamico finché l'energia cinetica del gas, che genera una pressione verso l'esterno, e l'energia potenziale della gravità, con verso centripeto, si equivalgono. Dal punto di vista matematico questa condizione si esprime tramite il teorema del viriale, il quale stabilisce che, per mantenere l'equilibrio, l'energia potenziale gravitazionale deve essere uguale al doppio dell'energia termica interna. La rottura di questo equilibrio a favore della gravità determina il manifestarsi di instabilità che innescano il collasso gravitazionale della nube.

La massa limite oltre la quale la nube andrà certamente incontro al collasso è detta massa di Jeans, che è direttamente proporzionale alla temperatura ed inversamente proporzionale alla densità della nube: quanto più bassa è la temperatura e quanto più alta la densità, tanto minore è la massa necessaria perché possa avvenire tale processo. Per una densità di 100.000 particelle al cm³ e una temperatura di 10 K il limite di Jeans è pari a una massa solare.

Il processo di condensazione di grandi masse a partire da locali addensamenti di materia all'interno della nube, dunque, può procedere solo se questi ultimi possiedono già una massa sufficientemente grande. Infatti, via via che le regioni più dense, avviate al collasso, inglobano materia, a livello locale si raggiungono masse di Jeans meno elevate, che portano quindi a una suddivisione della nube in porzioni gerarchicamente sempre più piccole, finché i frammenti non raggiungono una massa stellare.

Il processo di frammentazione è agevolato anche dal moto turbolento delle particelle e dai campi magnetici che si vengono a creare. I frammenti, detti nuclei densi, hanno dimensioni comprese tra 6000 e 60.000 unità astronomiche (UA), densità dell'ordine di 105–106 particelle per cm³ e contengono una quantità di materia variabile; l'intervallo di masse è assai ampio, ma le masse più piccole sono le più comuni. Questa distribuzione di masse ricalca la distribuzione delle masse delle future stelle (ovvero la funzione di massa iniziale), pur considerando che la massa dell’intera nube ammonta a circa il triplo della somma delle masse delle stelle che da essa avranno origine; questo indica che appena un terzo della massa della nube darà effettivamente origine ad astri, mentre il resto si disperderà nel mezzo interstellare. I nuclei densi turbolenti sono supercritici, ovvero la loro energia gravitazionale supera l'energia termica e magnetica e li avvia inesorabilmente al collasso.

Cause del collasso: l'influenza dell'ambiente esterno

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Pur esplicando in modo chiaro le modalità attraverso cui avviene, il modello standard non spiega che cosa dia inizio al collasso. Non sempre la formazione di una stella inizia in maniera del tutto spontanea, a causa delle turbolenze interne oppure per via della diminuzione della pressione interna del gas a causa del raffreddamento o della dissipazione dei campi magnetici. Anzi, più spesso, come dimostrano innumerevoli dati osservativi, è necessario l'intervento di qualche fattore che dall'esterno perturbi la nube, causando le instabilità locali e promuovendo dunque il collasso.

A tal proposito numerosi sono gli esempi di stelle, per lo più appartenenti ad ampie associazioni stellari, le cui caratteristiche mostrano che si sono formate quasi contemporaneamente: dal momento che un simultaneo collasso di nuclei densi indipendenti sarebbe un'incredibile coincidenza, è più ragionevole pensare che questo sia la conseguenza di una forza applicata dall'esterno, che ha agito sulla nube causando il collasso e la successiva formazione stellare. Tuttavia non sono infrequenti gli esempi di collassi iniziati spontaneamente: alcuni esempi di questo sono stati individuati tramite l'osservazione infrarossa in certi nuclei densi isolati, relativamente quiescenti, posti in nubi vicine tra loro. In alcuni di essi, come nel globulo di Bok B355, sono state riscontrate tracce di lenti moti centripeti interni e sono state anche osservate delle sorgenti infrarosse, segno che potrebbe essersi avviata la formazione di nuove stelle.

Diversi possono essere gli eventi esterni in grado di promuovere il collasso di una nube; fra questi eventi sono compresi schematicamente i seguenti:

  • onde d'urto generate dallo scontro di due nubi molecolari o dall'esplosione nelle vicinanze di una supernova;
  • forze di marea che si instaurano a seguito dell'interazione tra due galassie, che innescano una violenta attività di formazione stellare su scala galattica definita starburst;
  • energici super brillamenti (flare) di un'altra vicina stella in uno stadio più avanzato di formazione;
  • pressione del vento o l'intensa emissione ultravioletta di vicine stelle massicce di classe O e B, che può regolare i processi di formazione stellare all'interno delle nubi di idrogeno ionizzato.

Si ipotizza inoltre che la presenza di un buco nero supermassiccio al centro di una galassia possa avere un ruolo regolatore nei confronti del tasso di formazione stellare nel nucleo galattico: infatti, un buco nero che sta accrescendo materia con tassi molto elevati può diventare attivo ed emettere un forte getto collimato in grado di limitare la successiva formazione di stelle. Tuttavia, l'emissione radio attorno ai getti, così come l'eventuale bassa intensità del getto stesso, può avere un effetto esattamente opposto, innescando la formazione di stelle qualora si trovi a collidere con una nube che gli transita nelle vicinanze.

L'attività di formazione stellare risulta fortemente influenzata dalle condizioni fisiche estreme che si riscontrano entro 30–300 anni luce dal nucleo galattico: intense forze di marea, incremento dell'entità delle turbolenze, riscaldamento del gas e presenza di campi magnetici piuttosto intensi; a rendere più complesso questo quadro concorrono inoltre gli effetti dei flussi microscopici, della rotazione e della geometria della nube. Sia la rotazione che i campi magnetici possono ostacolare il collasso della nube, mentre la turbolenza favorisce la frammentazione, e su piccole scale promuove il collasso.

Dalle stelle agli ammassi stellari

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Una piccola porzione della Nebulosa Tarantola, una regione H II gigante nella Grande Nube di Magellano. È visibile il superammasso R136, formatosi dai gas della Nebulosa Tarantola.

Eccettuando la lacuna sopra discussa, il modello standard descrive bene ciò che accade in nuclei isolati in cui sta avvenendo la formazione di una stella. Tuttavia, la stragrande maggioranza delle stelle non nasce in solitaria, ma in folti ammassi stellari, e il modello non spiega l'influenza che tale ambiente esercita sulle stelle nascenti. Inoltre, rispetto a quanto ritenuto in passato, la formazione stellare è un evento piuttosto violento: infatti l'osservazione infrarossa ha mostrato che la formazione di una stella interferisce negativamente sulla nascita degli astri adiacenti, dal momento che la radiazione e il vento prodotti nelle ultime fasi della formazione possono limitare la quantità di gas che può accrescere liberamente sulle vicine protostelle.

Per sopperire a tale lacuna sono state sviluppate due teorie.

La prima, detta teoria dell'accrescimento competitivo, si concentra sulle interazioni tra nuclei densi adiacenti. La versione più estrema di questa teoria prevede la formazione di numerose piccole protostelle, che si muovono rapidamente nella nube entrando in competizione tra loro per catturare quanto più gas possibile. Alcune protostelle tendono a prevalere sulle altre, divenendo le più massicce; altre potrebbero persino essere espulse dall'ammasso, libere di muoversi all'interno della galassia.

La concorrente, la teoria del nucleo turbolento, privilegia invece il ruolo della turbolenza dei gas: la distribuzione delle masse stellari rispecchia, infatti, lo spettro dei moti turbolenti all'interno della nube piuttosto che una successiva competizione per l'accumulo di massa. Le osservazioni sembrano dunque favorire questo modello, anche se la teoria dell'accrescimento competitivo potrebbe sussistere in regioni in cui la densità protostellare è particolarmente elevata.

È inoltre ormai assodato che il processo di formazione stellare raramente porta alla nascita di un singolo oggetto; anzi, più spesso il risultato è la formazione di un gruppo di oggetti più o meno intensamente legati dalla forza di gravità, poiché, come si è visto, solo una nube sufficientemente grande può collassare sotto la sua stessa gravità, dando origine a un certo numero di frammenti da cui nasceranno altrettante stelle o sistemi stellari multipli, che andranno a costituire un ammasso o un'associazione stellare.

Gli ammassi e le associazioni stellari sono il prodotto del collasso e della frammentazione di una vasta porzione di una nube molecolare gigante, processo questo che può durare diverse migliaia di anni; si stima che il tasso di formazione degli ammassi aperti nella nostra Galassia sia di circa uno ogni poche migliaia di anni.

Lanterne nella Via Lattea: le associazioni OB

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La Cintura di Orione; i ricchi campi stellari di fondo costituiscono la parte centrale di un'associazione OB nota come Orion OB1b.

Le prime stelle dell'ammasso a vedere la luce sono le più massicce, calde e luminose e di classe spettrale O e B, la cui intensa emissione ultravioletta ionizza rapidamente il gas della nube rendendola una regione H II. Il vento da queste prodotto e la pressione di radiazione spazzano via il gas non ancora collassato, isolando i bozzoli avviati alla formazione delle stelle di massa intermedia e piccola. Dopo alcuni milioni di anni, l'ammasso sperimenta la prima esplosione di supernova, che contribuisce ulteriormente ad espellere i gas residui. In questo scenario solamente una quantità di materia compresa tra il 10% e il 30–40% del gas originario della nube collassa per formare le stelle dell'ammasso, prima di essere espulso; di conseguenza viene a perdersi la gran parte della massa che potrebbe potenzialmente collassare in ulteriori stelle.

L’insieme di stelle giovani che emerge dalla nube ed è responsabile della sua ionizzazione è chiamata associazione OB.

Queste associazioni possono contenere da poche unità fino a centinaia di stelle (in quest'ultimo caso si chiamano superassociazioni OB) e, in genere, si trovano nei dischi delle galassie a spirale, nei quali sono in atto dei processi di formazione stellare molto intensi.

Il fatto che le stelle di tipo O e B abbiano vita breve implica che anche le associazioni OB siano molto giovani: hanno infatti un'età solitamente compresa tra 1 e 10 milioni di anni. Si tratta quindi di zone privilegiate dove studiare la formazione stellare.

Le associazioni R

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Monoceros R2 è una tipica associazione R, associata a nebulose a riflessione.

Le stelle di classe spettrale B da sole, pur essendo anch’esse di grande massa, non possiedono una radiazione così energetica da essere in grado di ionizzare i gas delle nubi che le circondano; la loro luce è tuttavia più che sufficiente per illuminarli su ampia scala, formando così vasti complessi di nebulose a riflessione il cui colore tende all’azzurro, poiché riflettono la luce nella medesima lunghezza d’onda.

Questi gruppi stellari così strettamente legati a sistemi di nebulose a riflessione prendono il nome di associazioni R.

In aggiunta a ciò, il loro vento stellare non è in grado di disperdere i densi banchi di nubi da cui si sono formate e ciò consente agli astronomi di esaminarne le proprietà. Poiché inoltre le associazioni R sono più comuni rispetto alle associazioni OB, gli studiosi le utilizzano per tracciare la struttura dei bracci di spirale della Via Lattea.

Le bolle di vento stellare

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Le stelle massicce di classe O e B possiedono un forte vento stellare, che progressivamente scava una sorta di cavità all’interno della nube, dove la materia è più rarefatta perché spazzata via: si viene così a creare una bolla di vento stellare.

Le bolle di vento stellare possiedono una struttura a doppio shock. La parte più interna della bolla si scalda in un termination shock (shock di terminazione), in cui la sua energia cinetica viene convertita in energia termica, che riscalda i gas sino alla temperatura di 106 K; si forma così un plasma altamente ionizzato che emette raggi X. Il vento riscaldato e ad elevata pressione si espande, causando uno shock all'interno del gas interstellare circostante. Se il gas circostante è abbastanza denso (con densità maggiore di 0,1 cm-3), il gas delle regioni più esterne si raffredda molto più velocemente di quello delle parti più interne, formando un sottile ma piuttosto denso involucro attorno al vento stellare.

Più una stella è calda e massiccia e più forte è il suo vento stellare, maggiore sarà la capacità di creare estese bolle attorno ad essa; gli astri più famosi in grado di formare grandi bolle di vento stellare sono le stelle di Wolf-Rayet.

Supergiganti e stelle di Wolf-Rayet

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La bolla generata da una caldissima stella di Wolf-Rayet nella ne-bulosa NGC 7635.

Il modello dell’evoluzione stellare prevede che la sequenza principale, ossia la fase stabile della vita di una stella, termini non appena l’idrogeno contenuto nel suo nucleo sia stato completamente convertito in elio dalla fusione nucleare; la successiva evoluzione della stella segue vie diverse a seconda della massa dell’oggetto celeste.

Quando termina il processo di fusione dell'idrogeno in elio e inizia la conversione di quest'ultimo in carbonio, le stelle massicce (con massa superiore a 8 masse solari) si espandono raggiungendo lo stadio di supergigante rossa. Non appena si esaurisce anche la fusione dell'elio, i processi nucleari non si arrestano ma, complice una serie di successivi collassi del nucleo ed aumenti di temperatura e pressione, proseguono con la sintesi di altri elementi più pesanti: ossigeno, neon, silicio e zolfo.

In tali stelle, poco prima della loro fine, può svolgersi in contemporanea la nucleosintesi di più elementi all'interno di un nucleo che appare stratificato; tale struttura è paragonata da molti astrofisici agli strati concentrici di una cipolla. In ciascun guscio avviene la fusione di un differente elemento: il più esterno fonde idrogeno in elio, quello immediatamente sotto fonde elio in carbonio e via dicendo, a temperature e pressioni sempre crescenti man mano che si procede verso il centro. Il collasso di ciascuno strato è sostanzialmente evitato dal calore e dalla pressione di radiazione dello strato sottostante, dove le reazioni procedono a un regime più intenso. Il prodotto finale della nucleosintesi è il nichel-56 (56Ni), risultato della fusione del silicio, che viene completata nel giro di pochi giorni.

Il nichel-56 decade rapidamente in ferro-56 (56Fe). Poiché i nuclei del ferro possiedono un'energia di legame superiore a quella di qualunque altro elemento conosciuto, la loro fusione, anziché essere un processo esotermico (ossia che produce ed emette energia), è fortemente endotermico (cioè richiede e consuma energia).

La supergigante rossa può anche attraversare uno stadio alternativo, che prende il nome di supergigante blu. Durante questa fase la fusione nucleare avviene in maniera più lenta; per via di tale rallentamento, l'astro si contrae e, poiché una grande quantità di energia viene emessa da una superficie fotosferica più piccola, la temperatura superficiale aumenta, da cui il colore blu; l'astro tuttavia, prima di raggiungere questo stadio, passa per la fase di supergigante gialla, caratterizzata da una temperatura e da dimensioni intermedie rispetto alle due fasi. Una supergigante rossa può in qualunque momento, a patto che rallentino le reazioni nucleari, trasformarsi in una supergigante blu.

Nelle stelle più massicce, ormai in una fase evolutiva avanzata, un grande nucleo di ferro inerte si deposita al centro dell'astro; in tali astri gli elementi più pesanti, spinti da moti convettivi, possono affiorare in superficie, formando degli oggetti molto evoluti noti come stelle di Wolf-Rayet, caratterizzate da forti venti stellari che provocano una consistente perdita di massa.

Si tratta di stelle molto luminose, con una luminosità compresa fra centinaia di migliaia e milioni di volte quella del Sole, sebbene nella banda del visibile non siano eccezionalmente luminose, in quanto la maggior parte della radiazione viene emessa sotto forma di raggi ultravioletti.

Le stelle visibili a occhio nudo γ Velorum e θ Muscae sono Wolf-Rayet, così come lo è la stella più massiccia attualmente conosciuta, R136a1 nella Nebulosa Tarantola.

Le supernovae: grandi modellatrici dell'ambiente galattico

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La gigantesca Nebulosa di Gum è un esempio di cosa è in grado di generare una superbolla originatasi da più esplosioni di supernovae.

Una supernova è un'esplosione stellare estremamente energetica che si verifica al termine del ciclo vitale delle stelle di grande massa (oltre le 10 masse solari). Le supernove sono molto luminose e causano un’emissione di radiazione che può per brevi periodi superare quella di una intera galassia.

Durante un intervallo di tempo che può andare da qualche settimana a qualche mese, una supernova emette tanta energia quanta si ritiene che ne emetta il Sole durante la sua intera esistenza e, per una quindicina di secondi, raggiunge una temperatura di cento miliardi di Kelvin.

L'esplosione espelle la maggior parte o tutto il materiale che costituisce la stella a velocità che possono arrivare a 30.000 km/s (10% della velocità della luce), producendo un'onda d'urto che si diffonde nel mezzo interstellare. Ciò si traduce in una bolla di gas in espansione che viene chiamata resto di supernova.

Col tempo si viene a creare una grande cavità, chiamata superbolla, in cui la densità è notevolmente inferiore rispetto alle regioni non investite dall’onda d’urto.

I resti di supernova possono rivelarsi degli ottimi alleati dei processi di formazione stellare: la loro forte onda d’urto è infatti in grado di modellare l’ambiente circostante, spazzando via il mezzo interstellare e accumulandolo sui bordi della superbolla in espansione, finché non incontra una nube o un sistema di nubi più denso. Esplosioni multiple di supernovae, piuttosto comuni nelle associazioni OB più estese ed evolute, hanno un effetto ancora più importante, poiché la loro onda d’urto si somma generando una superbolla ancora più violenta, riuscendo talvolta ad aprirsi fino alle alte latitudini galattiche, formando un cosiddetto chimney (comignolo) galattico.

All’interno della cavità formata dalla superbolla, le stelle di massa minore formatesi assieme alle stelle esplose vengono liberate dal denso manto nebuloso che prima le circondava, rendendosi ben visibili all’esterno come giovani ammassi aperti di stelle che devono ancora raggiungere la fase stabile della loro vita.

L’onda d’urto generata dall’esplosione delle supernovae può viaggiare per centinaia di anni luce trascinandosi con sé gas e polveri derivanti dalla disgregazione della nebulosa originaria. Se quest’onda raggiunge una regione del mezzo interstellare più densa o una nube molecolare inerte, la sua propagazione ne risulta distorta, mentre nella nebulosa tamponata si possono innescare processi di collasso che portano alla formazione di una nuova popolazione di stelle.

Questi nuovi processi di collasso possono interessare nubi di massa variabile, da piccoli bozzoli isolati fino a grandi banchi nebulosi. L’effetto stesso dell’onda d’urto può essere responsabile della formazione di nuove nebulose nel momento in cui essa attraversa una regione la cui densità del mezzo interstellare è maggiore, accumulando il gas.

Collasso di bozzoli isolati: i globuli cometari

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L’onda d’urto dell’esplosione, ma anche, più semplicemente, la radiazione ultravioletta delle stelle massicce di un’associazione, sono in grado di erodere gli strati esterni delle nubi molecolari più piccole; il gas asportato si orienta nella direzione opposta rispetto a quella di provenienza della fonte di energia, creando una lunga chioma dietro il nucleo di queste nubi, che diventano così simili a delle comete. Questi particolari oggetti vengono infatti denominati globuli cometari.

Il nucleo dei globuli, che resiste all’onda d’urto, sperimenta invece un collasso favorito dall’onda d’urto stessa, assumendo le caratteristiche di un globulo di Bok; al suo interno si generano frequentemente stelle isolate o coppie di stelle di piccola massa.

Collasso di nubi maggiori

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Quando l’onda d’urto raggiunge nubi più massicce, la deformazione è in genere meno traumatica, sebbene al loro interno possano prendere il via processi generativi anche di discreta portata.

Le nubi più estese possono generare anche stelle molto massicce, riproponendo in tal modo il modello della nube iniziale e generando una nuova associazione OB, che potrà essere in certi casi anche più ricca della precedente generazione, a seconda della massa della nube in via di collasso.

Nonostante ciò, la gran parte delle nubi investite dall’onda d’urto saranno comunque di piccola massa, poiché più comuni, e daranno quindi luogo a grandi raggruppamenti di stelle di massa media o piccola, aggregate in associazioni di oggetti stellari giovani e corredate da una nutrita popolazione di oggetti di massa substellare, come le nane brune. Altre nubi possono invece risentire solo marginalmente dell’influenza dell’onda d’urto e generare così pochissime stelle.

Le associazioni T

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La stella T Tauri è il prototipo dell’omonima classe di stelle giovani, spesso riunite in associazioni.

La maggior parte delle stelle che si generano da un episodio di formazione stellare, come si è detto in precedenza, possiede una massa non superiore alle due masse solari; le associazioni composte da queste stelle sono chiamate associazioni T.

Il nome deriva dal fatto che le stelle giovani di tale massa che non hanno ancora raggiunto la fase stabile della loro vita vengono chiamate stelle T Tauri.

Una stella T Tauri (così chiamata dal nome del prototipo di questa classe, T Tauri) è una stella pre-sequenza principale, ossia nei primi stadi della propria evoluzione, che deve ancora posizionarsi sulla sequenza principale del diagramma H-R.

La fase corrispondente alle T Tauri nelle stelle di massa medio-grande (fra 2 e 8 masse solari) è quella delle stelle Ae/Be di Herbig, con linee di emissione simili alle T Tauri. Le stelle più massicce ancora e di classe O non attraversano una fase analoga perché evolvono molto più velocemente: quando diventano visibili sono infatti già entrate nella sequenza principale.

Le stelle T Tauri hanno masse e temperature simili a quelle del Sole, ma alcune volte sono più grandi in termini di diametro e decisamente più luminose. Ruotano velocemente su sé stesse, tipicamente in pochi giorni (invece che in un mese come il Sole), e sono molto attive. Hanno campi magnetici estremamente intensi, che attraggono i gas vicini risucchiandoli lungo le linee di campo, provocando massicci brillamenti ed estese macchie sulla loro superficie. Le stelle T Tauri hanno, inoltre, emissioni di raggi X e radio intense e variabili, circa 1000 volte superiori a quelle del Sole, e molte hanno venti stellari estremamente potenti.

Le stelle T Tauri contengono molto litio rispetto alla nostra stella. Tale elemento è facilmente distrutto già a un milione di Kelvin, una temperatura relativamente bassa per un nucleo stellare, e le stelle più evolute ne contengono pochissimo. Prendendo in considerazione tutti questi indizi, si pensa che le T Tauri siano molto giovani e che la maggior parte della loro energia derivi dal collasso gravitazionale, non dalle reazioni di fusione nucleare, perché il loro nucleo è ancora troppo freddo: queste reazioni infatti richiedono come minimo temperature di qualche decina di milioni di kelvin.

Circa la metà delle stelle T Tauri hanno dei dischi circumstellari, che potrebbero essere il residuo della nebulosa da cui si sono formate, e che potrebbe dare origine a dei pianeti. La maggior parte sono anche stelle binarie.

Affinché una stella esca dalla fase di T Tauri per entrare nella sequenza principale possono occorrere fino a 100 milioni di anni.

Un fenomeno tipico della fase T Tauri sono gli oggetti di Herbig-Haro, caratteristiche nebulose a emissione originate dalla collisione tra i flussi molecolari in uscita dai poli stellari e il mezzo interstellare. Si calcola che tali fenomeni abbiano una durata relativamente breve: l'esistenza degli oggetti di HH giungerebbe infatti ad alcune decine o al massimo a qualche centinaia di migliaia di anni, al termine dei quali si disperdono nel mezzo interstellare sotto l'azione del vento prodotto dalle stelle di nuova formazione. Le osservazioni condotte dal Telescopio spaziale Hubble rivelano anche che questi oggetti si evolvono rapidamente nel giro di pochi anni.

Verso la totale dissoluzione

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L’ammasso aperto del Presepe è un esempio di ammasso aperto di età intermedia, ossia di alcune centinaia di milioni di anni di età. Sono del tutto assenti stelle di grande massa, le quali, semmai abbia-no fatto in origine parte dell’ammasso, sono ormai esplose da tempo.

Le stelle di piccola massa producono un fronte di ionizzazione notevolmente più scarso rispetto alle stelle delle classi spettrali O e B; ciò comporta che esse non siano in grado di fornire ai gas circostanti l’energia necessaria per generare una regione H II. La massima parte di queste nubi infatti risulterà semplicemente illuminata da queste stelle, rendendosi visibili come nebulose a riflessione.

Solo le parti della nube più vicine alle stelle ne risultano illuminate; le aree più remote e periferiche restano oscure e possono essere individuate indirettamente poiché oscurano i campi stellari di fondo.

Molto lentamente, il gas residuo si fa meno denso, sia per effetto dell’azione combinata del vento stellare delle giovani stelle, sia per eventuali interazioni col mezzo interstellare e l’ambiente galattico circostante. Gli effetti dell’onda d’urto iniziale generata dalle supernovae sono ormai assenti e le regioni circostanti sono state in massima parte ripulite da gas e polveri.

Via via che il gas si disperde e si allontana dalle stelle, le nebulose a riflessione progressivamente si affievoliscono fino a spegnersi del tutto.

Il risultato ultimo, dopo un periodo che può durare anche diverse decine di milioni di anni, è un gruppo di ammassi aperti dalle caratteristiche differenti fra loro, situate in una regione di alcune centinaia di anni luce di diametro.

Gli ammassi aperti più ricchi e compatti possono essere in grado di sopravvivere a lungo come tali, grazie alla maggiore interazione gravitazionale reciproca; di frequente questi ammassi tendono a deviare dal piano galattico, portandosi a latitudini galattiche progressivamente più elevate.

Col tempo, le dinamiche interne dei bracci di spirale porteranno le singole componenti degli ammassi aperti ad allontanarsi le une delle altre e a disperdersi progressivamente, degradando le reciproche interazioni gravitazionali. Gli ammassi assumeranno forme allungate trasformandosi dapprima in associazioni stellari e infine in correnti stellari e gruppi cinematici dispersi; tutte queste tipologie di gruppi stellari condividono ancora il medesimo moto proprio, muovendosi insieme nello spazio in maniera simile fra loro.

A un certo punto, dopo altre decine o centinaia di milioni di anni, le stelle che le compongono si confonderanno totalmente con la popolazione stellare del disco galattico; a quel punto, ogni stella avrà preso la sua strada.

 
Una sequenza di nove immagini riassuntive che mostra la serie di eventi che intervengono nelle regioni di formazione stellare e che conducono dalla nube molecolare alle nuove stelle.

L'ambiente del Sole

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Appare dunque chiaro quanto profonde siano le dinamiche di formazione stellare a catena nella morfologia delle strutture osservabili nella Via Lattea.

Il Sole attualmente si trova all’interno di una di queste grandi strutture, per la precisione in un residuo di un’antica superbolla chiamata Bolla Locale.

La Bolla Locale è dunque una sorta di cavità del mezzo interstellare, estesa per circa 300 anni luce; possiede una densità di idrogeno neutro variabile tra circa 0,05 e 0,07 atomi per centimetro cubo, mentre il mezzo interstellare galattico ha una densità circa dieci volte superiore. L'alta temperatura del gas (circa 6000 K) è all'origine di una discreta emissione di raggi X da parte della nube.

Il Sistema Solare è entrato nella Bolla Locale circa 3 milioni di anni fa; attualmente si trova nella Nube Interstellare Locale, una regione di materiale più densa rispetto al resto della Bolla; questa regione si forma laddove la Bolla Locale incontra la Bolla Loop I, una regione adiacente con densità maggiore, di circa 0,1 atomi per centimetro cubo.

La Nube Interstellare Locale è una nube interstellare estesa per circa 30 anni luce attraverso la quale si sta muovendo attualmente il Sistema Solare. Non è del tutto chiaro se il Sole si trovi proprio immerso nella nube o se si situi nella regione dove la nube interagisce con le strutture confinanti.

Si ritiene che il Sole sia entrato in questa nube in un periodo compreso tra 44.000 e 150.000 anni fa e che vi resterà per i prossimi 10.000 o 20.000 anni.

La forma della Bolla Locale non è esattamente sferica, ma sembra avere la forma di un ellissoide ristretto in corrispondenza del piano galattico, mentre al di sopra e al di sotto del piano si dilata assumendo la forma quasi di una clessidra.

Molti astronomi credono che questo sistema di bolle si sia formato tra alcune centinaia di migliaia e pochi milioni di anni fa, a causa dell'esplosione di una supernova, il cui resto è probabilmente identificabile nella pulsar Geminga, nella costellazione dei Gemelli, che riscaldò la materia circostante, rendendola più rarefatta.

La Bolla Loop I si sarebbe invece formata dall’espansione di una superbolla generata da una supernova probabilmente esplosa nella grande Associazione Scorpius-Centaurus, l'associazione OB più vicina al Sole, a 500 anni luce di distanza.

Altre bolle adiacenti sono la Bolla Loop II e la Bolla Loop III; nella Bolla Loop I è contenuta la stella Antares, che fa parte di un sottogruppo della già citata Associazione Scorpius-Centaurus.

 
Illustrazione generica delle principali strutture conosciute all’interno della Via Lattea. È indicata anche la posizione del Sole.
 
Schema che mostra l’andamento dei bracci di spirale nella Via Lattea dalla prospettiva osservativa terrestre. Al centro il Centro Galattico, poi verso sinistra la regione del Cigno e di Cassiopea, mentre a destra la regione di Orione e della Nave Argo.
 
Illustrazione della disposizione dei principali oggetti e strutture entro un raggio di circa 10.000 anni luce dal Sole. In giallo le principali associazioni OB, in verde le principali regioni H II, in grigio le nubi oscure.
 
La suddivisione in quadranti della Via Lattea, col Sole all’origine dei quadranti e con indicata la direzione delle costellazioni situate sul piano galattico.