Ascoltare l'anima/Capitolo 12

Indice del libro
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Il concerto di Hendrick ter Brugghen (1626)

Ascoltare con emozione

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« Empty the vessels of your wisdom
And enter the gates of my soul

Soothe the wrinkled hands
Demanding unreachable ambrosia

I am One with my Own
And rest contented
On the Divine Shoulder
Crying the Love for All

and
I illuminate my spirit
With Immensity »
(Daubmir, Catharsis - Ode to Ungaretti)
« Emotion in aesthetic experience is a means of discerning what properties a work has and expresses. »
(Nelson Goodman, Languages of Art)

Eccitazione e espressione delle emozioni nella musica

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Abbiamo visto nel Capitolo 4 come le risposte emotive evocate o suscitate da un romanzo possono aiutarci a capire il romanzo e servire come base per una sua interpretazione. In questo Capitolo sosterrò che le nostre esperienze emotive della musica molto spesso operano allo stesso modo: molta musica evoca risposte emotive e, monitorando cognitivamente o riflettendo su tali risposte, possiamo arrivare a cogliere la struttura della musica così come ciò che esprime. Come prima, mi concentrerò sulla complessa musica "d'arte", che esemplifica al meglio ciò di cui voglio parlare. Come per la letteratura, le risposte emotive rilevanti non sono il risultato di associazioni idiosincratiche che tu o io abbiamo con la musica, come quando "Jingle Bells" mi fa piangere perché mi ricorda i Natali scomparsi di un tempo. Le risposte rilevanti sono il risultato di un ascolto attento della musica stessa, e sono le risposte di ascoltatori più o meno qualificati. Per "ascoltatori qualificati" intendo ascoltatori che hanno una certa comprensione dei principi estetici e stilistici che regolano la musica che stanno ascoltando: non necessariamente teorici musicali professionisti, ma neanche persone che non ascoltano mai musica "d'arte" (o cosiddetta "musica classica").[1] Come vedremo, le risposte emotive di tali ascoltatori qualificati possono avvisarli di aspetti della musica, sia espressivi che strutturali, che altrimenti potrebbero trascurare.

Quello su cui mi concentrerò in questo Capitolo, quindi, è qualcosa di abbastanza specifico: il modo in cui le nostre emozioni operano come guida per comprendere la musica. Una delle cose che mi interessa, ovviamente, è se le emozioni che un brano musicale suscita negli ascoltatori hanno qualcosa a che fare con ciò che la musica esprime. Se la teoria romantica dell'espressione è corretta, almeno a volte le emozioni che un brano musicale suscita in ascoltatori qualificati saranno proprio quelle che esprime. Ma le emozioni che la musica suscita non sono sempre le stesse che esprime. Come vedremo, anche quando le emozioni che la musica suscita in noi ci aiutano a cogliere ciò che la musica esprime, le emozioni suscitate potrebbero non essere le stesse di quelle espresse.[2]

Non sorprende che Peter Kivy pensi che le emozioni suscitate dalla musica non possono aiutarci a capire cosa esprime la musica, per il semplice motivo che la musica semplicemente non può suscitare le emozioni da "garden‐variety" che esprime. Le emozioni che la musica suscita sono ben distinte da quelle che esprime. Inizio il Capitolo considerando brevemente il punto di vista di Kivy. Poi considero un punto di vista all'estremo opposto, il punto di vista che non solo la musica suscita emozioni da "garden‐variety", ma che l'espressione di queste emozioni nella musica non è altro che l'eccitazione di quelle stesse emozioni negli ascoltatori. Poche persone sostengono il punto di vista in questa forma estrema, ma ci sono versioni più miti di tale punto di vista che hanno aderenti. Discuterò le opinioni di Aaron Ridley, con le quali sono parzialmente in sintonia, e la versione di Kendall Walton, che trovo inutilmente barocca. In generale, anche se non credo che si possa definire l'espressione come eccitazione delle emozioni negli ascoltatori, purtuttavia le emozioni che proviamo mentre ascoltiamo la musica a volte possono rispecchiare e quindi rivelarci ciò che la musica esprime.

Nel Capitolo 4 ho invocato il teorico letterario Wolfgang Iser per dimostrare che aver evocate emozioni appropriate può allertare il lettore sulla struttura narrativa di un romanzo. Qualcosa di simile vale per la musica. Come ha mostrato Leonard Meyer, avere "the right emotions evoked at the right moments" può avvisarci della struttura di un complesso brano musicale tonale. Esamino le sue opinioni e poi le estendo: avere le emozioni giuste al momento giusto può anche avvisarci di ciò che un pezzo esprime. Ma le emozioni così evocate – sorpresa, smarrimento e via dicendo – non sono emozioni necessariamente espresse dal pezzo.

Concludo poi il Capitolo descrivendo un recente esperimento della psicologa Carol Krumhansl che sembra mostrare, contrariamente a Kivy, che la musica suscita davvero emozioni del tipo garden‐variety, e ciò conferma la mia opinione che prestare attenzione alle emozioni che la musica suscita spesso allerta a importanti caratteristiche della struttura e dell'espressività della musica stessa. Suggerisce anche, tuttavia, che ciò che viene percepito in modo appropriato in risposta alla musica è molto meno specifico di ciò che è appropriato alla letteratura. C'è una gamma più ampia di risposte emotive appropriate a un brano musicale rispetto a un romanzo.

Essere commossi dalla musica

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Ludwig van Beethoven, ritratto eseguito da Joseph Karl Stieler nel 1820
 
Firma di Beethoven

Nel suo libro Music Alone, Peter Kivy rifiuta l'idea che la musica possa suscitare "garden variety emotions, fear, grief, joy, and the like"[3] che secondo lui la musica può invece esprimere. Le emozioni della garden‐variety nella vita reale hanno "cognitive objects" che semplicemente non sono disponibili nella nostra esperienza musicale. Per illustrare il suo punto, Kivy descrive come suo Zio Charlie lo fa sempre arrabbiare raccontando bugie egoistiche su Zia Bella, e nota che in questo e in altri stati emotivi nella vita ordinaria c'è sempre qualcuno/qualcosa come lo Zio Charlie con cui sono arrabbiato o spaventato o felice. Ma quando si tratta di musica non c'è un candidato ovvio per l'oggetto dell'emozione, ciò di cui sono triste o felice o nostalgico o angosciato. "Where's the Uncle Charlie?"[4] come chiede esplicitamente Kivy.

Kivy assume qui una qualche versione della teoria del giudizio sulle emozioni. Un'emozione deve avere un oggetto cognitivo, qualcosa a cui è diretta o verso cui è diretta. La musica dal suo punto di vista non può evocare emozioni garden‐variety come tristezza e paura, perché gli ascoltatori non hanno le cognizioni che secondo lui sono essenziali per le emozioni. Si lamenta del fatto che molti teorici, incluso Cartesio, presuppongono che la musica funzioni come un "stimulus object", che può stimolare direttamente il piacere, la tristezza o qualche altra emozione garden‐variety. Ma se la musica fosse in grado di stimolare direttamente il piacere o qualsiasi altro stato emotivo, ciò equivarrebbe, pensa Kivy, a considerare la musica come una droga, conclusione a cui si oppone con veemenza e asserisce: "Music is not a stimulus object but a cognitive one. It is an object of perception and cognition"[5] e il nostro piacere per la musica deriva dalla sua comprensione, non dalla semplice stimolazione da parte sua.

Kivy riconosce, tuttavia, che a volte reagiamo emotivamente alla musica. Egli pensa che quando ciò accade la musica stessa sia l'oggetto cognitivo della nostra emozione. Possiamo essere emotivamente commossi dalla bellezza di un brano musicale, dall'"incomparabile maestria" del suo contrappunto o dal suo modo audace di superare i vincoli. Possiamo essere commossi in tutti questi modi da una sezione dell’Ave Maria di Josquin in cui il compositore scrive un bellissimo canone alla quinta con le voci a un solo battito di distanza.[6] In tali esempi stiamo rispondendo emotivamente ad aspetti della musica stessa, la sua bellezza e la sua aggraziata soluzione a un problema musicale.

Una delle cose da cui potremmo essere commossi in un brano espressivo di musica triste, è la tristezza che riconosciamo in esso, ma Kivy vuole insistere sul fatto che essere commossi dalla tristezza nella musica non è affatto la stessa cosa di essere rattristati dalla musica.

« We must separate entirely the claim that music can arouse emotion in us from the claim that music is sometimes sad or angry or fearful: in other words, we must keep apart the claim that music is expressive (of anger, fear, and the like) and the claim that music is arousing in the sense of moving... a piece of sad music might move us (in part) because it is expressive of sadness, but it does not move us by making us sad. »
(Ibid. 153)

Allo stesso modo, sebbene possiamo essere commossi dalle proprietà espressive di un brano musicale, l'emozione di "being moved" non è normalmente ciò che viene espresso dalla musica. Le emozioni espresse sono abbastanza diverse dalle emozioni suscitate (se presenti) e indipendenti da esse.

Ci sono una serie di problemi con il punto di vista di Kivy. Innanzitutto, "being moved" non è l'unica risposta emotiva possibile alla musica. Come vedremo, le persone in effetti riferiscono di sentirsi felici, tristi, eccitati, malinconici, nostalgici e così via come risultato dell'ascolto di musica, e ci sono buone prove che hanno ragione. "Essere commossi" è solo una delle tante possibili risposte emotive che le persone hanno alla musica. In secondo luogo, non è chiaro a cosa significhi essere commossi. Sembra significare semplicemente essere in un certo stato emotivo, o forse essere in uno stato di eccitazione emotiva. In altre parole, si può presumere che Kivy dica che la musica evoca un qualche stato emotivo senza specificare quale sia tale stato. Non è chiaro, quindi, che ciò che viene evocato in questi casi non sia una sorta di emozione garden‐variety. In effetti, dal momento che Kivy parla di uno stato emotivo suscitato dalla bellezza e dalla maestria della musica, forse "being moved" potrebbe essere interpretato come una miscela di ammirazione, stupore e gioia, o qualcosa del genere. Queste, tuttavia, sono presumibilmente emozioni garden‐variety del tipo che Kivy nega che la musica possa evocare.[7] In terzo luogo, il fatto che la musica a volte sia un oggetto cognitivo dell'emozione non esclude la possibilità che possa anche essere un oggetto di stimolo. Come vedremo più avanti (soprattutto nel Capitolo 13), sebbene la musica sia a volte un oggetto cognitivo, può anche funzionare come oggetto di stimolo dell'emozione.

Infine, Kivy pensa che essere commossi dalla bellezza o dalla maestria di un brano musicale sia estraneo alle emozioni specifiche, se presenti, che la musica esprime. Ma anche se essere commossi dalla musica a volte è irrilevante per ciò che la musica esprime, può capitare spesso che quando siamo mossi da una particolare modulazione armonica o cambiamento di ritmo, o dal frammento reiterato di una melodia precedente, siamo in realtà commossi in parte da ciò che la musica esprime.[8] In effetti, nel suo stesso esempio, possiamo essere commossi in parte dall’espressione di riverenza sbalordita da parte di Josquin verso la Vergine. Inoltre, essere commossi in questo modo può attirare la nostra attenzione su ciò che viene espresso. Siamo commossi e quindi siamo portati a concentrarci non solo sulla maestria di Josquin e sulla bellezza e complessità della sua musica, ma anche su ciò che esprime in questo pezzo.

Sentire ciò che la musica esprime

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Mentre Kivy afferma che l'eccitazione dell'emozione da parte della musica non ha nulla a che fare con l'espressione dell'emozione da parte della musica, ci sono quelli all'estremità opposta dello spettro che affermano che l'espressione non è altro che l'eccitazione dell'emozione. Pochi mantengono tale opinione in questa forma esplicita. Da un lato, sembra certamente che un brano musicale possa suscitare emozioni che non esprime, come quando mi sento sconvolto e mi vengono le lacrime agli occhi a sentire "Jingle Bells" perché mi ricorda i perduti Natali di una volta. Anche se "Jingle Bells" mi fa sentire triste, non esprime tristezza. E d'altra parte, anche se molte persone concordano sul fatto che "Jingle Bells" esprime allegria o gioia, non tutti rispondono con allegria o gioia: molti di noi salutano la famosa melodia con irritazione o noia. Tuttavia, l'idea che l'espressione musicale debba avere qualcosa a che fare con l'eccitazione dei sentimenti è dura a morire. Ci sono stati diversi tentativi recenti di dimostrare che la teoria dell'eccitazione, opportunamente modificata, ha un nocciolo di verità.

Eroica di Beethoven: Marcia Funebre, Adagio assai

Aaron Ridley, nel suo libro Music, Value and the Passions, difende quella che chiama una "weak arousal theory" dell'espressione musicale. Pensa che le emozioni indotte dalla musica aiutino a identificare le emozioni che la musica esprime. Ridley sostiene che diventiamo consapevoli dei gesti musicali espressivi per mezzo di una risposta empatica. Ad esempio, quando ascolto la Marcia Funebre dalla sinfonia dell’Eroica di Beethoven, "in attending to the musical gestures I come to be aware of their heavyhearted, resolute quality through the very process of coming myself to feel heavyhearted but resolute".[9]

Ridley si concentra sui "melismatic gestures", cioè gesti musicali che assomigliano a "items in the expressive repertoire of extramusical human behavior, either physical or vocal".[10] È d'accordo con la doggy theory secondo cui la musica somiglia spesso a "the tone, inflections and accents of the expressive human voice"[11] o a "the motions characteristic of certain forms of passionate experience".[12] Tuttavia, per Ridley un gesto melismatico non è solo espressivo in virtù di questa somiglianza. Potremmo essere tutti d'accordo sul fatto che "Jingle Bells" sia musica allegra a causa del modo vivace in cui si muove, ma non ne consegue che "Jingle Bells" sia musica particolarmente espressiva. La musica può essere triste o allegra senza commuoverci emotivamente: essere espressivi non è la stessa cosa che avere un "contour" triste o allegro.[13] Per Ridley, se un gesto musicale è espressivo o meno dipende dal fatto che ci commuova o meno emotivamente, e ciò che il gesto musicale esprime è in parte una funzione dell'esatta sfumatura di emozione che suscita negli ascoltatori.

« To hear music as expressive is to have an experience of the music that has affective aspects, such that the melismatic gestures are heard as being expressive of the state, which, sympathetically, we experience. In the responsive listener, such states, because they are a mode of experiencing infinitely particular musical gestures, are themselves infinitely particular; and the states so conveyed, the expressive qualities of the music, may be described in as precise a manner as the nature of those states, and the possibilities of the listener's language, permit. »
(Ridley, Music, Value, and the Passions, 138)

Ridley pensa che riconosciamo il tipo peculiare di tristezza nella musica come risultato di esserne rattristati in questo modo peculiare:[14] proprio come arrivo a capire gli stati d'animo di altre persone rispondendovi con empatia, così capisco un melisma musicale rispondendovi con simpatia. Arriviamo a capire la malinconia di un'altra persona in parte percependola: arrivo a realizzare "what it would be like to be in the state that his gestures reflect".[15] Parimenti con la musica: non riconosciamo mai solo spassionatamente ciò che la musica esprime; identifichiamo ciò che un brano musicale esprime in parte dal modo in cui ci fa sentire. Ridley aggiunge che nel caso di gesti melismatici non familiari, dobbiamo essere in grado di sentirli per avere un'idea di cosa esprimono.

Ciò non significa, tuttavia, che le risposte empatiche al melisma musicale siano mere associazioni idiosincratiche alla musica, poiché "the experience of sympathetic response... is ineliminably an experience of the music which occasions it",[16] e quindi aperta alla valutazione del pubblico. Se dico che la Marcia Funebre di Beethoven mi fa venire voglia di scherzare con gioia, puoi far notare che in quel caso non posso rispondere alla musica stessa (piuttosto che ad alcune peculiari associazioni idiosincratiche che potrei avere riguardo alla musica), perché i gesti melismatici nella musica sono in effetti dolenti e risoluti: "Melismatic gestures are the features of a musical work that through sympathetic response are grasped as expressive features; and the expressive attributions made on the basis of sympathetic response are elucidated by appeal back to those melismatic gestures."[17]

Marcia Funebre (terzo movimento) di Chopin

Ridley pensa che la sua teoria spieghi l'enigmatico detto di Mendelssohn secondo cui ciò che la musica esprime non è troppo ambiguo per le parole ma "troppo definito", perché quando percepisco un brano di musica espressiva che esprime una sorta di malinconia, la natura precisa della malinconia espressa è rivelata nel modo in cui mi fa sentire. Ciò che si sente esprimere dalla musica è in parte dovuto allo stato d'animo che induce in me. Quindi, nell'ascoltare la Marcia Funebre dalla Sonata per pianoforte in si minore di Chopin, provo una tristezza molto precisa che è diversa da quella che incontro – e provo – nella Marcia Funebre di Beethoven, e queste diverse tristezze sono ciò che la musica esprime. Inoltre, poiché gli stati di cui consideriamo espressivi le due Marce Funebri "are both in fact our states, it explains why the experience of music as expressive is often felt to be the most intimate of all aesthetic experiences".[18]

La teoria di Ridley è ingegnosa e ha risposte ad alcune delle caratteristiche perennemente sconcertanti dell'espressione musicale. Ad esempio, ha una spiegazione per la connessione tra l'espressività della musica e il suo essere emotivamente commovente: la musica espressiva, pensa Ridley, è musica che è emotivamente commovente, cioè musica che evoca le specifiche esperienze emotive che identifica. Sono anche solidale con una delle motivazioni alla base del suo punto di vista. È probabilmente vero che, a meno che molte persone non avessero risposto con emozione al melisma musicale, "music would never have become a context into which the application of expressive predicates [was] extended".[19]

Tuttavia, ci sono problemi. Un'obiezione al suo punto di vista potrebbe essere che si concentra solo sul melisma e ignora altri parametri musicali importanti come l'armonia e il ritmo. Come abbiamo visto, i cambiamenti armonici possono essere i momenti più espressivi nella musica. Ma Ridley riconosce apertamente che la musica ha molti modi per suscitare sentimenti diversi da quelli di cui parla.

Un altro potenziale problema risiede negli esempi di Ridley. Come vedremo tra breve, ci sono molte prove che la musica renda le persone felici e tristi, ma come può un brano musicale farmi provare emozioni più fini? Per esempio, come può farmi sentire risoluto? Normalmente si potrebbe pensare che occorrano particolari tipi di stati cognitivi – intenzioni, desideri, obiettivi – più un certo coraggio morale e così via, cose che la musica non sembra in grado di avviare. Come farebbe senza dubbio notare Kivy, mentre ascoltiamo la Marcia Funebre della sinfonia dell’Eroica, cosa c'è di cui essere risoluti?

Penso che Ridley possa confutare questa obiezione. L'evidenza empirica sembra suggerire che ciò che la musica può fare è indurre cambiamenti fisiologici, movimenti, gesti e tendenze all'azione. Quindi forse la musica può farci raddrizzare le spalle, stringere la mascella, muoverci – o essere disposti a muoverci – in un certo modo solenne, e forse questo indurrebbe un sentimento di risolutezza.[20] O forse stiamo ipotizzando nella musica una persona Beethoven o una persona Napoleone o più in generale una persona eroica – nel modo in cui ho suggerito nel Capitolo 11 – cosicché uno si identifichi con la risolutezza di tale persona nella musica. E ovviamente ci si può identificare con la persona risoluta avendo solo le tendenze comportamentali – spalle dritte, muscoli tesi e così via – che, come stavo appena menzionando, la musica può indurre. Similmente, quando Ridley afferma che una musica funebre diversa evoca in lui sentimenti di tristezza sottilmente diversi, può avere ragione sul fatto che musica diversa può indurre stati fisiologici, tendenze all'azione e gesti diversi, che a loro volta lo fanno sentire diverso.

Jerold Levinson ha un'altra obiezione. Dal momento che, secondo Ridley, le emozioni o i sentimenti finemente discriminati che la musica mi fa provare sono le stesse emozioni o sentimenti che la musica esprime, Levinson dichiara Ridley colpevole di "creeping narcissism": per Ridley, ciò che esprime un brano musicale è "the listener's self‐expression",[21] mentre l'espressività, secondo Levinson, è qualcosa di pubblico, non qualcosa di determinato dai singoli ascoltatori. Ciò che sembra infastidire Levinson è l'idea che ciò che un brano musicale esprime è determinato dal modo in cui fa sentire i singoli ascoltatori. Questo fa sembrare che Ridley definisca "espressione" come l'eccitazione delle emozioni nei singoli ascoltatori.

Ma Ridley non pensa che gli stati d'animo degli ascoltatori nell'ascoltare la musica determinino completamente ciò che la musica esprime, perché l'espressività per lui è in parte una questione di contorni espressivi doggy. Per Ridley tutto ciò che è determinato dai singoli ascoltatori è l'esatta sfumatura di un'emozione che sappiamo – su basi indipendenti doggy – che la musica esprime. Secondo lui, è solo la qualità a grana fine del melisma che è determinata dalle risposte emotive individuali. Quindi è fuorviante accusare Ridley di dire che l'espressione musicale è sempre "the listener's self‐expression".

La mia opinione sulla teoria di Ridley è che non dovremmo pensarla come una teoria di cosa sia l'espressione. Dopotutto, ho appena impiegato quattro capitoli a discutere di una teoria dell'espressione "romantica" del tutto diversa. L'espressione non può essere definita nemmeno in parte come l'eccitazione dell'emozione: l'espressione è qualcosa che compiono artisti e compositori, non qualcosa che è determinato da lettori e ascoltatori.[22] D'altra parte, come ho enfatizzato nel Capitolo 9, se i compositori riescono ad esprimere (articolare e chiarire) le emozioni in un brano musicale, allora un buon criterio del loro successo sarà che un pubblico qualificato proverà a sua volta le emozioni appropriate nei loro incontri con la musica. Quindi, in un certo senso, quello che dice Ridley è del tutto corretto: ciò che un brano musicale esprime è una funzione della sequenza di emozioni che un compositore articola nel brano, nel modo in cui vengono percepite e successivamente interpretate da particolari ascoltatori. Pertanto, il modo in cui un ascoltatore risponde a due brani malinconici sottilmente diversi sarà forse sottilmente diverso, corrispondente alle sottili differenze in ciò che viene espresso, anche se l'esperienza dell'ascoltatore non è ciò che determina quello che viene espresso dalla musica.

Se interpretiamo Ridley come facesse delle osservazioni su come gli ascoltatori arrivano a capire e interpretare ciò che la musica esprime, quello che dice è sia interessante che perspicace. Suggerisce che quando una persona ascolta le Marce Funebri di Beethoven o Chopin, viene evocata una sequenza di stati emotivi o affettivi che sono diversi e quindi si sentono diversi in vari modi. E sì, potremmo benissimo sentirci in modi diversi quando ascoltiamo attentamente questi due brani, proprio perché la musica esprime emozioni sottilmente diverse o ha qualità espressive sottilmente diverse. Inoltre, i nostri sentimenti di malinconia sottilmente diversi possono avvisarci delle differenze nella musica che sono responsabili delle differenze nel modo in cui ci sentiamo. Perdipiù, la stessa musica può suscitare risposte in qualche modo diverse in diversi ascoltatori qualificati e il modo in cui questi ascoltatori interpretano la musica (incluso ciò che esprime, se non altro) probabilmente varierà a seconda di come si sentono esattamente in risposta ad essa. C'è una continua interazione tra come ci sentiamo nell'ascoltare un brano musicale e ciò che interpretiamo come espressione.

In questo senso la musica è molto simile alla letteratura e alla pittura. Il modo in cui ci sentiamo in risposta alla musica influenza la nostra comprensione di essa, proprio come il modo in cui ci sentiamo in risposta a The Reef o alla Grande riserva di Dresda influenza la nostra comprensione di quelle opere molto diverse. È probabile che riflettere sulle nostre risposte emotive ci porti a concentrarci su quegli aspetti della musica che (pensiamo) sono responsabili delle nostre reazioni. Il modo in cui diversi lettori, ascoltatori o spettatori qualificati interpretano un'opera d'arte dipende in parte da come li colpisce emotivamente. E, come ho sostenuto nel Cap. 9, in una riuscita opera di espressione artistica, l'artista ha costruito con cura un'opera in modo da articolare una particolare emozione; e i membri del pubblico sono attivamente incoraggiati a rispondere emotivamente all'opera in modo tale che le proprie risposte emotive li aiutino a capire cosa esprime l'opera.

Probabilmente ci sono meno vincoli su ciò che conta come una risposta emotiva appropriata a un brano di pura musica strumentale espressiva di quanto ce ne siano per le risposte a The Reef o alla Grande riserva di Dresda. Ma come per letteratura e pittura, non tutte le risposte emotive saranno appropriate e non tutte le risposte emotive ci sensibilizzeranno ad aspetti della musica stessa. Non sarebbe appropriato reagire alla Marcia Funebre di Beethoven saltellando allegramente per la sala del concerto, e una tale reazione ci distanzierebbe dall'opera piuttosto che approfondirne la nostra comprensione.

La mia principale riserva sull'idea di Ridley è che lui insiste sul fatto che la risposta alla musica è empatica, che la sensazione che provo è proprio quella che attribuisco alla musica come ciò che esprime. Trascura il fatto che ciò che viene espresso non è sempre e nemmeno di solito ciò che suscita negli ascoltatori.[23] Nell'ascoltare "Immer leiser", ad esempio, posso provare desiderio e angoscia con il protagonista della musica, ma posso provare pietà e disperazione mentre contemplo il suo destino. Nell'ascoltare l’Intermezzo Opus 117 n. 2 di Brahms, posso sentire il conflitto tra i due punti di vista che ho indicato, identificandomi ora con l'uno e ora con l'altro, ma posso anche sentirmi affranto e compassionevole mentre contemplo il conflitto musicale nella persona: potrei provare qualcosa per lui piuttosto che con lui.[24] E possiamo dire cose simili sulla musica che ha qualità espressive, ma non esprime emozioni nel senso romantico a tutti gli effetti di cui ho discusso nel Cap. 9: un brano musicale può, credo, esprimere nostalgia anche se l'emozione che suscita in me è malinconia; un pezzo può esprimere paura mentre evoca in me solo ansia.

In sintesi, Ridley ha ragione sul fatto che vivere la musica come espressiva di alcune emozioni richiede una risposta emotiva alla musica, e ha ragione sul fatto che l'esatta sfumatura di emozione sentita influenzerà il modo in cui interpretiamo la musica, compreso ciò che esprime. Ma la sua teoria non definisce con successo l'espressione; è meglio interpretata come una teoria su come gli ascoltatori arrivano a capire cosa esprime un brano musicale. E come teoria su come gli ascoltatori arrivano a capire cosa esprime un brano musicale, affronta il problema che le emozioni evocate negli ascoltatori (qualificati) potrebbero non essere sempre esattamente le stesse che ascoltano espresse dalla musica.

Ascoltare con immaginazione

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Ritratto di Fryderyk Chopin, dipinto di Maria Wodzińska nel 1835
 
Firma di Chopin

Kendall Walton è d'accordo con Ridley sul fatto che la musica a volte evochi sentimenti negli ascoltatori, ma pensa che in genere ci inviti anche ad esercitare le nostre capacità immaginative piuttosto che farci provare emozioni reali. Quindi, ad esempio, una canzone come "Immer leiser" crea un "mondo" in cui una protagonista esprime la sua angoscia e desidera ardentemente il suo amato. Per Walton questo significa che nell'ascoltare la canzone dobbiamo immaginare la protagonista che esprime angoscia e desiderio per l'amato. Potrei anche reagire emotivamente: dal punto di vista di Walton è probabile che io abbia una risposta empatica alla protagonista di "Immer leiser", sentendomi (nell'immaginazione) con lei nella sua angoscia e desiderio.

Ma non è solo per quanto riguarda la canzone che immaginiamo di provare qualcosa in risposta alla musica. La pura musica strumentale, se è espressiva, può indurci "to imagine feeling or experiencing exuberance or tension ourselves—or relaxation or determination or confidence or anguish or wistfulness".[25] Inoltre, Walton spiega la peculiare intimità che secondo lui proviamo con il musica così vissuta suggerendo che "anguished or agitated or exuberant music can not only induce one to imagine feeling anguished or agitated or exuberant, but can also induce one to imagine of one's auditory experience that it is an experience of anguish or agitation or exuberance".[26] In "Immer leiser" c'è un "work‐world", che esiste indipendentemente da chi capita di ascoltarlo, in cui è "fictionally true" che c'è una protagonista che esorta il suo amante a tornare. La pura musica strumentale non ha un "work‐ world" in questo senso. Per come la vede Walton, quando immagino che le mie esperienze uditive siano in realtà esperienze di emozioni, le mie immaginazioni sono dovute esclusivamente alle mie interazioni personali con la musica: "it is as though I am inside the music, or it is inside me".[27]

Walton difende il suo punto di vista secondo cui immaginiamo le nostre esperienze uditive della musica come fossero esperienze di "angoscia o agitazione o esuberanza" sottolineando analogie tra sentimento e udito — ad esempio, che pensiamo ai suoni come "independent entities separate from their sources",[28] come venissero su di noi e permeassero la nostra coscienza, crescenti e decrescenti, intensificandosi e diminuendo, e così via.[29] Ma questo non è un gran ragionamento. Come ho detto prima, ci sono infinite analogie tra i suoni musicali e altri fenomeni (tempo, paesaggi e così via) e le analogie da sole non possono fondare una teoria su ciò di cui le nostre esperienze musicali sono esperienze.[30] Sospetto che sia solo perché la musica in realtà suscita emozioni che Walton è portato a supporre che susciti emozioni anche nell'immaginazione. Come vedremo in dettaglio più avanti, la musica è in grado di evocare direttamente molte delle emozioni che Walton pensa di poter solo immaginare di provare.

Suppongo che la musica impetuosa possa indurmi a immaginare di sentirmi impetuoso, ma a parità di altre condizioni, la musica impetuosa non induce immaginazioni impetuose; mi fa solo sentire impetuoso. Né in genere immagino la mia esperienza uditiva di musica impetuosa che sia un'esperienza di sentirsi impetuosi. Al contrario: i sentimenti che provo sono semplicemente sentimenti di impetuosità. Allo stesso modo, la musica esuberante tende a farci sentire esuberanti e la musica agitata tende a farci sentire agitati. La musica ansiosa, instabile e nervosa ci rende ansiosi, turbati e nervosi. La musica calma ci calma. La musica triste ci rattrista. La musica felice ci rallegra. Questi sono tutti stati emotivi che la musica può indurre in modo abbastanza diretto senza l'intervento dell'immaginazione. Non abbiamo bisogno di invocare l'immaginazione per spiegare come la musica produca queste reazioni emotive negli ascoltatori. Vedremo molte prove di ciò alla fine di questo Capitolo e nel Capitolo 13.[31] E se è disponibile una spiegazione più semplice dei fenomeni, dovremmo probabilmente adottarla.

Sconcerto, sorpresa e sollievo

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Secondo la mia versione di Ridley, se l'ascoltatore qualificato presta attenzione alle emozioni che prova ascoltando attentamente un brano musicale, ciò può aiutare l'ascoltatore a raggiungere una comprensione di ciò che la musica esprime. Non tutti gli ascoltatori qualificati comprenderanno la musica esattamente allo stesso modo, in parte perché le loro risposte differiranno in qualche modo e così saranno anche le qualità espressive che rilevano nella musica. È pur vero, tuttavia, che le emozioni evocate da un brano musicale possono aiutare gli ascoltatori a comprendere gli aspetti più puramente strutturali del brano. Questa è un'idea che risale a Leonard Meyer ed è stata ripresa più recentemente da Eugene Narmour.[32]

La teoria che Meyer difende in Emotion and Meaning in Music è una teoria sulla comprensione della struttura musicale. Non è una teoria sull'espressione musicale, come alcuni hanno pensato. Meyer ha opinioni sull'espressione, ma la spiega in termini di associazioni e relega la sua discussione su di essa in un capitolo finale, intitolato "Note on Image Processes, Connotations, and Moods", che è una sorta di ripensamento. Meyer pensa che il teorico musicale confrontato con un complesso brano di musica tonale occidentale possa capirlo "cognizing" il modo in cui si sviluppa melodicamente, ritmicamente, armonicamente e così via. Ma chi non è formato in teoria musicale, ma ha ascoltato molta musica, potrebbe essere comunque in grado di cogliere la struttura musicale se percepisce risposte emotive appropriate nei momenti appropriati dello sviluppo musicale. Meyer suggerisce che, anche se non riesco a descrivere la struttura musicale in un modo tecnico, musicale-teorico, comprendo comunque genuinamente la musica, a condizione di sentire le risposte appropriate nei momenti appropriati della musica. "Whether a piece of music gives rise to affective experience or to intellectual experience depends upon the disposition and training of the listener.…Thus while the trained musician consciously waits for the expected resolution of a dominant seventh chord the untrained, but practiced, listener feels the delay as affect."[33] Per Meyer, rispondere emotivamente alla struttura musicale mentre si dispiega nel tempo è un modo per comprendere la struttura musicale.[34] La struttura di un brano di musica (tonale occidentale) può essere riconosciuta dai cognoscenti, ma può anche essere sentita "come affetto" dal resto di noi altri.

Secondo Meyer, emozioni come sorpresa, smarrimento, ansia, sollievo e soddisfazione possono essere indotte dalle nostre aspettative su un brano musicale (tonale occidentale), data la nostra comprensione implicita delle norme del suo stile. Siamo sorpresi e forse disorientati da cambiamenti di chiave inaspettati, resi ansiosi da periodi prolungati in tonalità che modulano sempre più lontano dalla tonica, sollevati e soddisfatti quando l'armonia torna alla "normalità", e così via. Inoltre, tutte queste emozioni – sorpresa, smarrimento, ansia, sollievo, soddisfazione – sono emozioni dirette verso la musica come suo "cognitive object" nella frase di Kivy.

Ad esempio, mentre ascoltiamo attentamente "Immer leiser" di Brahms, possiamo essere sorpresi quando la tonica minore si sposta sulla maggiore parallela e soddisfatti dalla risoluzione alla fine. Nell'ascoltare la sezione di sviluppo dell’Intermezzo di Brahms possiamo rimanere sconcertati dal modo in cui il pianoforte spazia in tonalità sempre più distanti, innervositi dall'improvviso cambiamento di armonia alla battuta 69, e sollevati dall'arrivo della sezione più adagio con il suo ritorno al tema B. Ma poi potremmo scoprire che siamo perplessi e sconvolti dall'ambiguità tra si bemolle maggiore e minore alla fine.

La teoria di Meyer parte dal presupposto che "emotion or affect is aroused when a tendency to respond is arrested or inhibited."[35] La musica nella tradizione tonale occidentale suscita aspettative di un certo tipo. Armonicamente ci aspettiamo che una certa cadenza porti alla tonica o che un brano che inizia in C minore non moduli immediatamente in C diesis minore. In generale, Meyer afferma che "affect or emotion‐felt is aroused when an expectation—a tendency to respond—activated by the musical stimulus situation, is temporarily inhibited or permanently blocked".[36] Anche se questo non è un resoconto generale di emozione (poiché tra l'altro non riesce ad adattarsi a emozioni positive come la felicità), è certamente vero che avere le proprie aspettative bloccate o inibite è un buon modo per suscitare emozioni.

Scala cromatica al piano (info file)
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Scala cromatica di Do al pianoforte

Scala cromatica al fagotto (info file)
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Scala cromatica di Si♭ suonata da un fagotto

C'è stato un certo supporto empirico per la teoria di Meyer-Narmour. Le persone hanno davvero aspettative su come si svilupperà una linea musicale, sulla base della loro comprensione interiorizzata dello stile musicale e delle probabilità che esso incorpora. Ad esempio, dal punto di vista Meyer, il senso fluttuante della chiave – la sua "instabilità e stabilità, ambiguità e chiarezza"[37] – mentre si sviluppa un pezzo musicale sarà molto importante per le risposte emotive dell'ascoltatore. Carol Krumhansl ha dimostrato che le persone hanno davvero un tale senso della chiave e che il loro senso della chiave cambia quando una sequenza di accordi si sviluppa nel tempo. In un esperimento, ad esempio, ha utilizzato dieci diverse sequenze di accordi composte da nove accordi ciascuna. Alcune delle sequenze sono state progettate per suggerire cambi di tonalità da un accordo all'altro e alcune delle modulazioni erano su chiavi più distanti di altre. Prima di tutto è stato suonato un accordo, seguito a turno da ciascuno dei dodici toni sonda della scala cromatica, e agli ascoltatori è stato chiesto di dire quanto bene i vari toni si adattassero all'accordo precedente. Quindi il primo e il secondo accordo sono stati suonati in successione, seguiti da ciascun tono di sonda, e così via fino a quando tutti e nove gli accordi sono stati suonati. I suoi risultati hanno mostrato che "listeners were integrating information about the possible functions of the chords across multiple chords, and arriving at a sense of the intended key that was stronger than each individual chord would predict".[38] Questo senso di chiave "changes as subsequent events occur that suggest another key. Moreover, when keys are more distantly related, listeners tend to resist the change to the new key longer, and then suddenly jump to the new key, suppressing the sense of the initial key".[39] Krumhansl non ha studiato gli aspetti affettivi di ciò che gli ascoltatori stavano registrando, ma ha stabilito che gli ascoltatori rispondono in modo prevedibile a sequenze di accordi stabili, instabili, chiari e ambigui e che hanno un "sense of key" interno che influenza il modo in cui ascoltano lo sviluppo delle sequenze.

Molte persone riferiscono di provare "emozioni" o "brividi" in momenti significativi dello sviluppo di un brano musicale. Può darsi che anche questo fenomeno si spieghi in termini di aspettative formate da ascoltatori che hanno familiarità con lo stile del brano in questione. Lo psicologo della musica, John Sloboda, ha studiato le caratteristiche della musica che tendono a suscitare tali risposte e ha scoperto che includono "syncopations, enharmonic changes, melodic appoggiaturas, and other music‐theoretical constructs, which have in common their intimate relationship to the creation, maintenance, confirmation, or disruption of musical expectations."[40] Tuttavia, poiché quasi ogni evento musicale è in qualche modo previsto o inaspettato, Sloboda sostiene che devono esserci altri fattori che contribuiscono all'effetto emotivo. Suggerisce che questi includono "density of eliciting events, positioning within the compositional architecture, and what [he] has called ‘asynchrony of levels’—an event which simultaneously confirms an expectation on one level while violating it on another".[41] Comunque, se Sloboda ha ragione, brividi ed eccitazioni emotivi sono il risultato del modo in cui la musica gioca con le nostre aspettative: mescolando l'interessante inaspettato con l'atteso soddisfacente.[42]

Eccitazioni e brividi che ci colpiscono nei "structural high points" della musica ci avvertono dell'esistenza di tali high points. Se Sloboda ha ragione, eccitazioni e brividi sono indotti da eventi strutturalmente significativi, inclusi cambiamenti di ritmo, tonalità, timbro, direzione melodica, tempo, dinamica, ecc., e queste reazioni fisiologiche – "the thrills and the chills" – ci avvisano dei corrispondenti cambiamenti strutturali, anche se potremmo non esserne consapevoli fino a dopo l'evento.

« It has been found that music hotspots usually involve particular structural events which tease structural expectancies. They do this by repeatedly creating and resolving tensions, or by manipulating timing parameters that cause expected events to happen earlier or later than expected. Emotional response to music is thus an integral outcome of the intuitive structural analysis that goes on while listening.[43] »

In breve, sentirsi sorpresi, disorientati, sollevati e così via, oltre ad essere "thrilled and chilled", mentre si svolgono gli eventi musicali, è un modo per comprendere la struttura della musica. Le mie valutazioni cognitive potrebbero essere impoverite (se non so molto di teoria musicale) e potrei non essere in grado di spiegare a parole molto sulla struttura musicale. Ma se sono sorpreso, disorientato e sollevato nei momenti "giusti" mentre ascolto un brano musicale, allora in un certo senso ho capito il brano.

L'immagine proposta da Meyer di ciò che accade quando ascoltiamo la musica si adatta perfettamente alla teoria delle emozioni che ho delineato nella Parte I. Quando siamo sorpresi, sconcertati o sollevati da ciò che sta succedendo nella musica, valutiamo affettivamente un evento musicale come sorprendente, sconcertante o soddisfacentemente inaspettato – È strano! È inaspettato! Soddisfa i miei obiettivi! – e questa valutazione produce immediatamente una reazione fisiologica. Eccitazione e brividi sono forse le risposte più drammatiche di questo tipo.[44] Come in ogni processo emotivo, le valutazioni affettive lasciano il posto alle valutazioni cognitive. E una delle cose su cui probabilmente rifletterò è cosa c'è nella musica che mi ha fatto rispondere emotivamente (fisiologicamente) nel modo in cui l'ho fatto. Perché sono rimasto sorpreso? Perché sconcertato? Perché sollevato? E perché ho provato quel brivido? Riflettendo, posso capire che sono stato sorpreso da un cambio di chiave inaspettato, sconcertato da un passaggio di tonalità incerta, sollevato quando l'armonia vagante è tornata alla tonica, e che il brivido è arrivato quando il crescendo orchestrale è stato accompagnato da un magico spostamento armonico e melodico. Anche se non so abbastanza di musica per capirlo, potrei comunque dire che sono stato sorpreso da uno strano momento in cui le cose sembravano improvvisamente oscurarsi, o che ero sollevato quando ho sentito la melodia suonare in un modo familiare (cioè nel tonico).

Significativamente, qualcosa di molto simile è vero nel modo in cui comprendiamo la letteratura, come ho spiegato nel Capitolo 4. In effetti, la "listener‐response theory" di Meyer sulla comprensione musicale è l'equivalente musicale della "reader‐response theory of literary understanding" di Iser. Entrambe sono teorie su come si arriva a comprendere la struttura di un'opera facendo evocare emozioni appropriate in momenti appropriati. Entrambe sollevano le stesse domande sul fatto che esista un ascoltatore o un lettore "ideale" che ha le risposte giuste al momento giusto. Su questo punto direi sulla musica quanto ho detto precedentemente sulla letteratura. Le nostre risposte emotive sono interazioni tra il lettore o l'ascoltatore e l'opera, e possono esserci molte risposte appropriate diverse che corrispondono a differenze sottili o meno sottili nelle nostre interpretazioni di come è strutturata l'opera.[45] Risposte emotive appropriate devono tenere conto del contesto storico in cui l'opera è stata scritta, il suo genere, forse la sua storia della pratica esecutiva e così via, ma non esiste un insieme ideale di risposte a qualsiasi opera musicale.[46]

È interessante notare che l'immagine che ho dipinto di come rispondiamo emotivamente alla struttura musicale aiuta a spiegare il "Meyer paradox". Uno degli enigmi che Meyer pensava che la sua teoria avesse generato era che, sebbene si supponga che l'"affect" sia suscitato da aspettative contrastate, noi sperimentiamo comunque l'affetto anche quando conosciamo bene il pezzo e sappiamo esattamente cosa accadrà e quando accadrà.[47] Questa è la versione musicale del paradosso della suspense a cui ho accennato brevemente nel Cap. 4. La soluzione a questo enigma è che la valutazione che le proprie aspettative sono state violate è una valutazione affettiva non-cognitiva. Si verifica inconsciamente. Il cervello elabora la musica automaticamente in modo che "however well one knows the piece, expectation, suspense, and surprise can still occur within the processor, because the processor is always hearing the piece ‘for the first time’".[48] Le emozioni discusse da Meyer si basano sulla conoscenza di determinate norme, ma una volta che queste norme sono interiorizzate, le emozioni rilevanti vengono evocate automaticamente o in modo non-cognitivo. Per quanto chiaramente il tuo sistema cognitivo preveda la dura dissonanza sui corni o l'improvviso cambio di chiave, il tuo sistema affettivo è sempre colto di sorpresa quando accade.

Come le emozioni ci aiutano a capire l'espressività musicale

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La teoria di Meyer riguarda il modo in cui gli ascoltatori possono cogliere la struttura musicale suscitando le proprie emozioni: le nostre risposte emotive di sorpresa, smarrimento, sollievo e così via ci avvisano di ciò che sta accadendo nella struttura musicale. Ma c'è un'altra conseguenza del punto di vista di Meyer che egli non affronta. Le emozioni evocate da un brano musicale possono anche allertare gli ascoltatori su ciò che è espresso nella musica. Nell'"Immer leiser" di Brahms posso essere turbato non solo da tutte le terze minori discendenti, ma anche dalla discesa nel pessimismo che le terze minori sembrano esprimere. Posso essere sollevato e sorpreso non solo dal cambio di chiave alla fine del pezzo, ma anche dalla drammatica trasformazione dal dolore alla radiosa accettazione che il cambio di chiave aiuta a stabilire. In altre parole, quando controllo cognitivamente le mie risposte affettive, posso rendermi conto che sto reagendo a ciò che è espresso dalla musica come anche alla sua struttura puramente musicale.

Come sottolinea Ridley, quando ascoltiamo la musica, non ci limitiamo ad afferrare intellettualmente ciò che viene espresso; comprendiamo l'espressività in parte attraverso le emozioni che evoca in noi. Pertanto, sebbene Meyer non stabilisca esplicitamente questa connessione, le emozioni che secondo lui la musica evoca avvertono l'ascoltatore non solo della struttura della musica, ma anche della sua espressività — sia ciò che esprime in senso romantico pieno, laddove appropriato, sia quali sono le sue qualità espressive.

Nell’Intermezzo Opus 117 n. 2 di Brahms, il tema A mi fa sentire ansioso e a disagio, il che mi aiuta a riconoscere la qualità struggente nel tema. Quando arriva il tema B sono sollevato e contento, e questo mi aiuta a capire che il tema B è più impassibile e rassicurante del tema A che sostituisce, anche se allo stesso tempo potrei provare un senso di disagio che mi avverte del disagio riflesso del tema A nelle voci interiori del tema B. Durante la sezione di sviluppo, posso rimanere turbato dalle modulazioni armoniche e perplesso da un vago senso che qualcosa non va che (posso scoprire riflettendoci) è causato dal fatto che il cercante tema A continua per tutto lo sviluppo senza allusione al tema B. Nella battuta 69 sono spaventato e innervosito dall'inaspettato cambiamento nell'armonia. Nella sezione più adagio, quando il tema B ritorna intrecciato con il tema A, mi risento a disagio perché non so dire quale melodia e quale tonalità vincerà. Queste emozioni instabili mi aiutano a sentire il conflitto di cui tratta il pezzo e a cogliere ciò che il pezzo esprime. Allo stesso tempo, tuttavia, se il mio resoconto del pezzo nel Cap. 11 è del tutto plausibile, allora ciò che viene espresso dalla musica è un'accettazione riluttante di un desiderio insoddisfatto, mentre le emozioni suscitate in me sono perplessità, ansia, disagio e così via.[49]

In precedenza ho sostenuto il punto di vista di Aaron Ridley secondo cui lo specifico stato di sentimento che un brano musicale induce in un ascoltatore influisce su ciò che quell'ascoltatore sente che la musica esprima, ma ho anche indicato che i sentimenti indotti potrebbero non essere gli stessi delle emozioni espresse dal pezzo. In generale, le "emozioni Meyer" evocate da un brano musicale non sono normalmente quelle che la musica esprime, nonostante il fatto che queste emozioni Meyer – sorpresa, smarrimento, ansia, sollievo e così via – svolgano un ruolo importante nel portarci a capire e sperimentare ciò che è espresso dalla musica. Sono sorpreso quando l'armonia modula da minore a maggiore verso la fine di "Immer leiser", ma la canzone non esprime sorpresa; esprime una radiosa accettazione (come la sento). Sono sconcertato dai cambiamenti armonici nella sezione di sviluppo dell’Intermezzo, ma la musica esprime un desiderio non placato, o qualcosa del genere. D'altra parte, a volte può esserci una coincidenza di emozioni espresse ed emozioni suscitate. Si potrebbe forse dire che la sezione di sviluppo dell’Intermezzo esprima e desti inquietudine e disagio.

La teoria di Meyer è comunque molto utile per esplorare come le nostre risposte emotive alla musica ci aiutino a comprendere sia la forma musicale che l'espressività musicale. Ma ci sono altri modi in cui le nostre esperienze emotive di un'opera musicale possono aiutarci a capirla. Quando ascolto "Immer leiser", o un minidramma strumentale come l’Intermezzo di Brahms, non sono solo sorpreso e disorientato dagli eventi musicali; rispondo anche emotivamente al dramma rappresentato dalla canzone. Rispondo emotivamente all'espressione dei suoi sentimenti da parte della donna morente. Rispondo allo stesso modo in cui rispondo ad Anna Karenina, con tristezza e compassione per l'angoscia della morente nella prima strofa e forse con sollievo che arriva a rassegnazione nella seconda. Alla fine della canzone potrei sentire un po' della radiosa speranza che esprime il protagonista, o potrei semplicemente sentire la calma che discende sul protagonista e che si riflette nel finale calmo. Qualunque sia l'esatta sequenza delle mie emozioni, se sto prestando attenzione e monitorando cognitivamente ciò che provo, le mie risposte emotive potrebbero avvisarmi di cosa tratta la canzone e di cosa sta esprimendo la protagonista.

Da questo punto di vista, comprendere il minidramma di "Immer leiser" è come comprendere un dramma letterario. Come nel caso della letteratura, le risposte emotive evocate dalla musica possono o non possono essere le stesse emozioni che sono espresse da essa. Similmente, le mie risposte emotive all’Intermezzo di Brahms possono allertarmi su aspetti della sua "storia", ma mentre la musica (se ho ragione) esprime una tragica rassegnazione (o qualcosa del genere), posso rispondere con sincera simpatia o dolore o anche (se la performance è forse eccessivamente sentimentale) impaziente disdegno. Le esperienze emotive che ho mentre ascolto la musica mi aiutano a capire cosa sta succedendo musicalmente ed espressivamente, ma le emozioni che provo non devono essere le stesse che la musica esprime.

Una certa musica espressiva – musica con qualità espressive – non racconta una storia o mette in scena un dramma o esprime un'emozione nel pieno senso romantico del Cap. 9, ma evoca comunque risposte emotive senza fare appello alle nostre aspettative musicali nel modo descritto da Meyer. Quello che ho in mente sono casi in cui sono calmato da musica calma, reso nervoso o agitato da musica agitata, rallegrato da musica allegra e simili. Se la musica mi calma e poi rifletto su come mi sento, potrei arrivare a riconoscere la qualità calma della musica. Se un pezzo mi rende nervoso e ansioso, questo può portarmi a riconoscere la qualità nervosa e ansiosa della musica. Se comincio a sentirmi allegro, il monitoraggio cognitivo del mio stato emotivo potrebbe avvisarmi dell'allegria della musica. Ma ancora una volta, le qualità espressive che sento nella musica potrebbero non essere descritte al meglio semplicemente etichettandole come il modo in cui mi sento. Come ho sottolineato nella discussione di Ridley, la musica nostalgica può rendermi malinconico, la musica che esprime ottimismo può rendermi spensierato e, come vedremo tra poco, la musica che esprime paura può rendermi ansioso piuttosto che spaventato. Allo stesso modo, un brano musicale può avere le qualità espressive di essere spiritoso e sfacciato senza che mi faccia sentire spiritoso e sfacciato. Tuttavia posso essere allertato all'arguzia e alla sfacciataggine dal fatto che mi fa sorridere.[50]

Come Iser, Meyer assume implicitamente che, nel rispondere emotivamente alla musica, esiste una norma di comprensione a cui tutti più o meno ci avviciniamo.[51] Nei Capitoli precedenti ho sostenuto che le esperienze emotive distintive del pubblico – che siano lettori di letteratura o ascoltatori di musica o spettatori di opere d'arte visiva – influiscono sull'interpretazione di ciò che il pubblico sta leggendo, ascoltando o visualizzando e che la comprensione di un'opera d'arte implica sempre un'interazione tra un'opera e un lettore o ascoltatore o spettatore. E come suggerisce Ridley, se la musica ci fa provare una particolare sfumatura di spensieratezza o malinconia, questo influenzerà ciò che la sentiamo esprimere. Ma ci saranno probabilmente differenze individuali sostanziali tra le risposte a musica di questo tipo. Anche se la Marcia Funebre di Beethoven potrebbe non far sentire scherzoso nessun ascoltatore qualificato, è altamente improbabile che induca esattamente gli stessi cambiamenti fisiologici e sentimenti di accompagnamento in ogni ascoltatore. E poiché il modo in cui ci sentiamo in risposta alla musica influisce su ciò che sentiamo esprimere dalla musica, non sorprende che ci siano differenze sia nel modo in cui la musica fa sentire le persone sia nelle qualità espressive che attribuiscono alla musica.[52] Allo stesso modo, ascoltatori diversi possono rispondere in modo un po' diverso dalla struttura di un pezzo: non siamo tutti sorpresi, disorientati o sollevati esattamente negli stessi punti.

Esperimento delle qualità espressive

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Probabile ritratto di Antonio Vivaldi nel 1723
 
Firma di Vivaldi
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I. Allegro

Le Quattro Stagioni di Vivaldi:
"La primavera"
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II. Largo

Le Quattro Stagioni di Vivaldi:
"La primavera"
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III. Allegro

Nel dibattito tra Kivy e Ridley, Kivy afferma che la musica non può suscitare le emozioni garden‐variety che esprime tipicamente, e Ridley presumibilmente pensa che la musica possa suscitare tutte le emozioni che esprime, inclusa la maggior parte delle garden‐variety.[53] Recentemente la psicologa Carol Krumhansl si è proposta di verificare l'ipotesi di Kivy secondo cui "the emotion is an expressive property of the music that listeners recognize in it, but do not themselves experience".[54] Nel suo esperimento ha selezionato brani musicali con qualità espressive distintive[55] e ha cercato di scoprire se quei pezzi hanno suscitato o meno le emozioni che hanno espresso. Krumhansl ha scelto due brani di musica triste (i famosi adagi di Albinoni e Barber), due brani di musica allegra ("Primavera" dalle Quattro Stagioni di Vivaldi e Midsommarvaka di Hugo Alfvén) e due brani che ha classificato come rappresentanti della paura (Una notte sul Monte Calvo di Mussorgsky e "Mars, the Bringer of War" dalla suite di Holst, I pianeti). Tutti i soggetti dell'esperimento avevano avuto diversi anni di formazione musicale (di solito vocale o strumentale) e avevano familiarità con la musica classica (quindi erano "ascoltatori qualificati"), ma non erano teorici della musica e nemmeno laureati in discipline musicali.

I soggetti sono stati divisi in due gruppi. Il primo gruppo – il gruppo "dynamic emotion" – ha registrato il proprio stato emotivo mentre cambiava nel tempo mentre ascoltavano questi pezzi. Tale gruppo è stato diviso in quattro sottogruppi, a ciascuno dei quali è stata assegnata una diversa emozione: tristezza, paura, felicità e tensione. Ai membri del sottogruppo "sad (= triste)" è stato chiesto di regolare uno slider sul display di un computer per indicare la quantità di tristezza che hanno provato durante l'ascolto dei sei brani. E allo stesso modo per i sottogruppi "happiness (= felicità)", "fear (= paura)" e "tension (= tensione)".

Il secondo gruppo – il gruppo "physiological" – è stato continuamente monitorato per i cambiamenti fisiologici che si verificavano mentre ascoltavano i sei brani. Sono state utilizzate dodici diverse misure, tra cui frequenza cardiaca, frequenza respiratoria, pressione sanguigna, conduttanza cutanea e temperatura delle dita.

Non appena la parte di ascolto dell'esperimento è terminata, a entrambi i gruppi è stato somministrato un questionario ed è stato loro chiesto un autoreport dell’effetto emotivo che la musica ha avuto su di loro, utilizzando una scala di valutazione da 0 a 8 e un insieme specifico di scelte: spaventato, divertito, arrabbiato, ansioso, sprezzante, soddisfatto, disgustato, imbarazzato, felice, interessato, sollevato, triste e sorpreso.

Krumhansl ha scoperto che nei loro autoreport (le loro risposte ai questionari) i soggetti di entrambi i gruppi hanno dato risposte molto simili: hanno valutato la loro reazione alla musica "triste" come la più forte per l'emozione di "tristezza", la loro reazione alla musica di "paura" la più forte per le emozioni di "ansiosa, impaurita e sorpresa", e la loro reazione alla "musica felice" la più forte per le emozioni di "felice, seguita da divertita e soddisfatta".[56]

Nel gruppo delle emozioni dinamiche, le valutazioni delle emozioni dinamiche nel tempo hanno mostrato anche le emozioni previste per gli estratti musicali e l'emozione in questione è stata mantenuta a un livello abbastanza alto durante l'esperimento di ascolto. La quantità di tristezza provata era più alta per la musica triste, la quantità di paura era più alta per i brani di paura e così via. È interessante notare che quelli nel gruppo "tension" hanno sentito la maggiore tensione nei punti in cui il gruppo della paura ha provato più paura, ma in misura minore hanno anche sentito la tensione dove il gruppo felice si sentiva più felice e il gruppo triste più triste. Krumhansl osserva che questo "suggests that tension is a multivalent quality, influenced by the predominant emotional response to the music".[57]

Nello "physiological study", Krumhansl ha scoperto che c'erano cambiamenti fisiologici distinti associati all'ascolto dei diversi tipi di estratti. Per dare un'idea delle differenze riscontrate, i brani tristi (Albinoni e Barber) hanno prodotto le maggiori differenze nella frequenza cardiaca, pressione sanguigna, conduttanza cutanea e temperatura delle dita, e i brani felici (Vivaldi e Alfven) hanno prodotto le maggiori differenze nella respirazione.

Inoltre, c'erano anche correlazioni significative tra le valutazioni delle emozioni dinamiche fatte dai soggetti nel gruppo delle emozioni dinamiche e le misure di fisiologia dinamica prese dal gruppo fisiologico. Ancora una volta, ciò che si correlava meglio con le valutazioni tristi erano le misure della frequenza cardiaca, della pressione sanguigna, della conduttanza cutanea e della temperatura delle dita nei soggetti del gruppo fisiologico. Ciò che si correlava meglio con le valutazioni felici erano varie misure di respirazione. È interessante notare che "the strongest physiological effects for each emotion type generally tended to increase over time, or at least did not strongly return toward baserate levels".[58]

Quando i rapporti di autovalutazione (nelle risposte al questionario) della forza delle emozioni provate sono stati confrontati con le misure fisiologiche medie per ciascun estratto, tuttavia, le correlazioni erano per lo più insignificanti. Krumhansl ipotizza che questi risultati negativi suggeriscano quanto segue:

« Averaging the physiological measures across the entire excerpts gives far less systematic results than considering how the physiological measurements change dynamically over time. In other words, it would seem that dynamic variations in the measures are important indicators of musical emotions, and this information is lost when the physiological measures are averaged over whole excerpts. »
(Ibid. 349)

Un altro risultato "negativo" è stato che "emotion‐specific changes in physiology did not clearly map onto those found in studies of non‐musical emotions".[59] Pertanto, i risultati di Krumhansl non erano del tutto coerenti con i dati di Ekman e Levenson, che ho riportato nel Capitolo 2, sulle caratteristiche identificative fisiologiche di felicità, tristezza e paura. È interessante notare che "the effects of music on a number of physiological measures were similar to the suppressed emotion condition" in uno studio di Gross e Levenson. Commenta Krumhansl: "These similarities suggest that suppression of overt action during music listening may also affect physiological measures".[60] Ho osservato in precedenza che le persone che ascoltano musica classica in genere non ballano o si comportano in modi tipici di particolari stati emotivi: sopprimono le loro tendenze all'azione e le attività motorie. Non sorprende quindi che i sintomi fisiologici delle emozioni provate durante l'ascolto della musica siano in una certa misura differenti da quelle vissute in situazioni di vita normale. Krumhansl nota un certo supporto a questa idea nel fatto che le sue misure fisiologiche corrispondono a quelle di altri sperimentatori che fanno esperimenti usando la manipolazione di film, in cui ancora una volta i normali sintomi comportamentali dell'emozione vengono soppressi.

In sintesi, Krumhansl ha scoperto che la musica con diverse qualità espressive o emotive produce effettivamente differenze statisticamente significative in misure autonome come frequenza cardiaca, pressione sanguigna, frequenza respiratoria, temperatura cutanea e conduttanza cutanea. Inoltre, gli effetti fisiologici sono cambiati dinamicamente durante il periodo di ascolto e queste misure di fisiologia dinamica erano correlate in modo significativo con le valutazioni dinamiche delle emozioni (effettuate da coloro che spingono lo slider). E nei rapporti personali, gli "emotion adjectives" sono stati costantemente assegnati agli estratti che corrispondevano alle emozioni previste, i soggetti che riferivano di sentirsi tristi quando ascoltavano gli estratti tristi e così via.[61] All'interno del gruppo delle emozioni dinamiche, le risposte tra i vari i membri di ciascun sottogruppo erano fortemente correlate e venivano espressi giudizi molto simili sui due estratti in ciascuna categoria (felice, triste, temibile). Krumhansl conclude che Kivy ha torto nel difendere una posizione "cognitivista" secondo cui gli ascoltatori riconoscono le emozioni nella musica ma non le provano effettivamente.

È vero che lo studio di Krumhansl è stato condotto su un piccolo campione (quaranta soggetti nel gruppo delle emozioni dinamiche e trentotto nel gruppo di studio fisiologico) e che i soggetti erano, come di consueto negli esperimenti di psicologia, studenti universitari. Ma non c'è motivo di supporre che gli studenti universitari abbiano atteggiamenti peculiari nei confronti della musica classica. In generale, per quanto riguarda gli esperimenti di psicologia della musica, questo particolare esperimento è estremamente completo, ben progettato e meticolosamente eseguito.

Dal mio punto di vista, questo esperimento ha prodotto una serie di risultati interessanti che hanno fatto luce non solo sulla posizione di Kivy ma anche su quella di Meyer e Ridley.

1. In primo luogo, l'esperimento mostra che, quando viene chiesto loro se provano qualche emozione distinta nel processo di ascolto di un brano musicale che esprime un'emozione particolare, gli ascoltatori riferiscono di sì. Riferiscono di sentirsi "felici", "divertiti" o "contenti" quando ascoltano la musica allegra, "ansiosi", "impauriti" o "sorpresi" quando ascoltano la musica che esprime o rappresenta la paura, e "tristi" quando ascoltano alla musica triste. Il fatto che provino un'emozione distinta è confermato dalle valutazioni dinamiche delle emozioni, fornite mentre la musica si svolge. Forse ancora più significativo: la musica con un distinto carattere emotivo o espressivo evoca davvero distinti cambiamenti fisiologici e le emozioni dinamicamente provate sono correlate con i cambiamenti fisiologici. Questi risultati mostrano che i soggetti stanno effettivamente vivendo emozioni o stati affettivi e che queste emozioni o stati affettivi sono distinti.

2. Secondo la teoria di Meyer, le nostre emozioni cambiano continuamente mentre ascoltiamo la musica, a seconda dell'esatta sequenza di eventi strutturali ed espressivi. L'esperimento sembra dimostrare che Meyer ha ragione su questo. Ci sono continui cambiamenti fisiologici quando le persone ascoltano brani espressivi e questi cambiamenti sono correlati alle emozioni dinamiche sperimentate soggettivamente (come indicato da quando i soggetti delle emozioni dinamiche hanno premuto lo slider). In effetti, è perché i cambiamenti fisiologici sono correlati ai cambiamenti nelle emozioni vissute che possiamo essere ragionevolmente sicuri che le risposte fisiologiche alla musica siano in realtà risposte emotive (piuttosto che solo alcuni cambiamenti fisiologici non correlati all'emozione). Non è altrettanto sorprendente, tuttavia, che una media delle misure fisiologiche non sia informativa, poiché è il modo in cui varie misure fisiologiche cambiano nel tempo che sembra mappare i cambiamenti emotivi.

3. L'esperimento dimostra che è il carattere espressivo della musica ("what the music expresses") ad essere responsabile, almeno in parte, delle risposte emotive negli ascoltatori. Ma se questo è vero, allora sembra ragionevole dedurre che il monitoraggio cognitivo dello stato emotivo (fisiologico) in cui si trovano gli ascoltatori potrebbe a sua volta avvisarli delle qualità espressive della musica che sono apparentemente responsabili del loro stato emotivo.[62] Così gli ascoltatori che hanno riferito di provare ansia durante l'ascolto di Una notte sul Monte Calvo di Mussorgsky, forse sono stati allertati in tal modo della spaventosa qualità della musica. Gli ascoltatori che si sentivano divertiti o felici potrebbero essere stati indotti a notare la felicità nel concerto "Primavera" di Vivaldi. E così via. Inoltre, la tensione che i soggetti hanno provato in risposta ai passaggi più ansiosi del Mussorgsky o ai passaggi più rallegranti del Vivaldi, è molto probabile che li faccesse balzare a sedere e prendere atto di ciò che veniva espresso in tali passaggi. La tensione negli ascoltatori sembra riflettere la tensione nella musica, indipendentemente dalle qualità espressive a cui rispondono. In breve, sembra ragionevole supporre che le emozioni evocate dal flusso continuo della musica avvisi davvero gli ascoltatori del carattere espressivo della musica mentre si svolge. Naturalmente, nell'ascoltare la musica potremmo anche notare i contorni espressivi e capire come si dispiega il carattere espressivo della musica, ma queste modalità cognitive di comprensione sono molto probabilmente aiutate dal modo in cui la musica ci fa sentire.

4. C'è stata qualche variazione interessante nelle parole emotove che i soggetti hanno scelto per caratterizzare l'emozione provata mentre ascoltavano i vari brani. Ciò è stato particolarmente sorprendente nel caso degli estratti che si dice "rappresentino la paura", "Marte" di Holst da I pianeti, e Una notte sul Monte Calvo di Mussorgsky. La parola più popolare per descrivere ciò che questa musica ha suscitato era "ansioso", curiosamente uno stato emotivo che non richiede un "oggetto intenzionale": la musica può rendermi ansioso senza rendermi ansioso per nulla in particolare.

Ma alcuni ascoltatori hanno affermato di aver provato "paura" ascoltando i brani di paura e altri hanno affermato di essersi sentiti "sorpresi". Significativamente, entrambi questi pezzi sono semiprogrammatici e ha senso postularvi una persona. Il brano di Holst può essere ascoltato come esprimesse la paura di qualcuno che contempla il temibile pianeta, Marte, "The Bringer of War", e il brano di Mussorgsky può essere sentito esprimere la paura di un testimone delle streghe sulla montagna brulla. Ha senso che un ascoltatore possa assumere il ruolo di tale testimone e rispondere in modo empatico con paura a questi brani. In tal caso, i brani esprimono probabilmente la paura in quello che ho chiamato il senso romantico pieno. Allo stesso modo, forse si potrebbe anche dire che il brano di Mussorgsky esprima sorpresa, vale a dire la sorpresa di uno spettatore che si ritrova tra le streghe.

Krumhansl interpreta il fatto che soggetti diversi descrivono il loro stato emotivo in modo alquanto diverso' ad indicare che le emozioni suscitate dalla musica "are not differentiated at fine‐grained levels within basic emotion categories".[63] Mentre nella vita reale la paura, la sorpresa e l'ansia sono reazioni emotive significativamente diverse, nel contesto dell'ascolto musicale sono sommerse in una categoria più ampia. (Forse vale la pena ricordare che in alcuni degli esperimenti di Ekman, soggetti di altre culture non riuscivano a distinguere le espressioni facciali spaventate da quelle sorprese.)

Ridley, tuttavia, presumibilmente disegnerebbe una morale diversa: ascoltatori diversi provano emozioni "sofisticate" diverse in risposta alla musica. Sono d'accordo. Diverse emozioni sofisticate vissute in risposta alla musica riflettono diverse interazioni tra ascoltatore e musica. Se, ad esempio, sento lo stralcio di Holst come contenente una persona, è molto più probabile che io provi paura piuttosto che semplicemente ansia. Purtroppo, però, non sappiamo come i soggetti dell'esperimento avrebbero descritto ciò che la musica esprime; e quindi non possiamo dire se le differenze nelle emozioni che hanno riportato – "ansiose", "sorprese", "paurose" – riflettano davvero le differenze nelle qualità espressive che hanno riscontrato nella musica.

Traggo comunque qualche tentativo di conferma per la mia opinione che le emozioni che la musica esprime non sono sempre esattamente le stesse delle emozioni che la musica suscita. Anche se potrei essere divertito dai pezzi di Alfven e Vivaldi e trovarli dilettevoli, trovo un po' strano dire che uno di questi pezzi "esprime divertimento". Parimenti, potrei essere sorpreso da alcuni degli sviluppi inaspettati nei pezzi di Mussorgsky o Holst, senza pensare che esprimano sorpresa (soprattutto se non penso che contengano una persona sorpresa). Più in generale, tutte le emozioni riportate dagli ascoltatori sono chiaramente appropriate alla musica che hanno ascoltato, indipendentemente dal fatto che corrispondano o meno esattamente alle emozioni che hanno sentito esprimere dalla musica. Forse dovremmo giungere alla conclusione, opportunamente modesta, che esiste una gamma più ampia di risposte emotive appropriate alla musica rispetto ad alcune delle altre arti.

5. Infine, i risultati di Krumhansl suggeriscono una risposta a un vecchio enigma sulla musica. Sia Ridley che Walton sottolineano che proviamo un particolare senso di intimità con la musica di cui ci occupiamo, ed entrambi vogliono spiegare questa intimità. Ridley dice che le emozioni raffinate che effettivamente proviamo in risposta a un melisma musicale sono ciò che la musica esprime. Walton pensa che la musica espressiva ci induca a immaginare che la nostra esperienza di essa (musica) sia un'esperienza dei nostri sentimenti. Ma l'esperimento di Krumhansl suggerisce che c'è una ragione molto più semplice per cui sentiamo di essere "dentro" la musica: la musica è "dentro di noi". La musica ci colpisce dentro; ci colpisce fisiologicamente e motoriamente. Il ritmo della musica si rispecchia nei ritmi del nostro cuore; la tensione nella musica viene percepita come una tensione nei nostri muscoli. Questa è una connessione intima. I dipinti possono farci vedere il mondo in un modo nuovo e in una certa misura possono farci sentire in un modo nuovo, come abbiamo visto nella discussione sui paesaggi di Friedrich. I romanzi e le poesie possono darci nuovi punti di vista sul mondo e, in una certa misura, indurre cambiamenti fisiologici e tendenze all'azione. Ma nessuna delle altre arti ci colpisce così potentemente nel modo fisiologico diretto della musica. Sospetto che questa sia la ragione più importante per cui si dice spesso che la musica sia la più emotivamente commovente di tutte le arti.

Andare col flusso

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Quello che ho cercato principalmente di stabilire in questo Capitolo è che sperimentiamo le emozioni in risposta alla musica e che le emozioni che proviamo ascoltando la musica ci aiutano a capirla: ci rivelano la struttura e l'espressione musicale. Ascoltare musica è un affare emotivo. Questo non è solo un mito romantico, ma un fatto empirico stabilito.

Questa conclusione conferma il mio suggerimento alla fine del Cap. 9 che l'appropriata evocazione delle emozioni è un buon criterio per un'espressione artistica di successo. Se le opere musicali esprimono con successo le emozioni, allora sembra che reagiamo ad esse emotivamente. Inoltre, Ridley ha ragione sul fatto che le emozioni che proviamo possono spesso allertarci sulle sottigliezze nel tessuto musicale.

Discutendo le "emozioni Meyer", ho sottolineato come un brano musicale complesso induca una sequenza di risposte emotive o affettive, che probabilmente si associano a parametri musicali, sviluppi nella melodia, nel ritmo e nell'armonia. Quando reagiamo al racconto di una storia o all'espressione di un'emozione in una canzone o allo svolgersi di un dramma psicologico in un pezzo strumentale, anche le nostre risposte emotive cambiano mentre la storia o il dramma si svolgono. In questi casi di musica complessa, le mutevoli emozioni che proviamo dirigono la nostra attenzione sul dispiegarsi del tessuto musicale. Quando monitoriamo cognitivamente le nostre risposte affettive, possiamo rilevare le caratteristiche strutturali ed espressive della musica che ne sono responsabili. In breve, se seguiamo il flusso delle nostre emozioni, queste possono svolgere un ruolo importante nel rivelare il flusso della musica.

Meyer pensava che rispondere emotivamente in modo appropriato fosse solo un metodo per comprendere la musica; il teorico musicale comprende in un modo diverso. Senza dubbio c'è molto che manca all'amante della musica inesperto quando ascolta la musica. Ma per lo stesso motivo il teorico che non prova emozione nell'ascoltare la musica può essere in grado di cogliere la struttura puramente musicale, ma è improbabile che colga le sottigliezze in ciò che la musica esprime e quindi è improbabile che sia in grado di rilevare una struttura espressiva nella musica. Ascoltare musica senza far emergere le proprie emozioni è un modo di ascoltare impoverito. Impedirà all'ascoltatore di rilevare alcuni dei modi in cui sia la struttura musicale che l'espressione musicale emergono gradualmente man mano che la musica si svolge.

C'è un lavoro di ricerca suggestivo in musicoterapia che sembra confermare la mia immagine di come il monitoraggio cognitivo delle nostre risposte emotive alla musica mentre cambiano e si sviluppano può avvisarci di importanti caratteristiche della musica man mano che si sviluppa gradualmente. I musicoterapeuti Leslie Bunt e Mercedes Pavlicevic affermano che ci sono molti esempi nella pratica della musicoterapia in cui "connections can be observed between the emotional experiences of the patients and both surface and deep structural aspects of the music".[64] Nelle "guided imagery in music (GIM)" i pazienti ascoltano "specifically programmed sequences of recorded music in a deeply relaxed state". Oltre a innescare associazioni personali, ricordi e immagini e indurre "iconic associations... between aspects of the music and non‐musical events", questo approccio evoca "intrinsic connections between layers of musical expectations and deep structures and the forms and patterns of their internal emotions".[65] L'effetto di una di queste sequenze che coinvolge brani di Beethoven, Vivaldi, J. S. Bach, Faure e Wagner, è descritto come segue:

« The overall order of the pieces created a mood of expectancy and deepening feelings of awe and wonder. Body‐based reactions—changes in breathing, shudders, tension in the stomach, or feelings of lightness, etc.— were closely entrained with the formal aspects of the music—phrasing, changes in pitch, sudden harmonic shifts, shifts in loudness levels, density of the textures, etc. The climactic moments of the Prelude to Lohengrin corresponded with the most illuminating and profoundly moving moments of the session, the powerful memory of which has proved long lasting and in many ways transformative. »
(Ibid. 186)

Nel prossimo Capitolo avrò altro da dire sul potere della musica di "trasformarci". Nel frattempo, ciò che è giusto nel quadro dipinto da Bunt e Pavlicevic è che i cambiamenti fisiologici indotti durante l'ascolto di musica complessa si associano alle emozioni dinamiche che proviamo mentre ascoltiamo, come ha mostrato Krumhansl, e quindi sembra probabile che mappino anche la struttura e l'espressività della musica. In questo modo le nostre risposte emotive guidano noi ascoltatori attraverso la musica e ci aiutano a identificare passaggi strutturali ed espressivi importanti. Proprio come la forma di un'opera letteraria guida e gestisce le nostre risposte emotive a quell'opera, così la struttura musicale guida e gestisce le nostre risposte emotive ad essa. Il monitoraggio cognitivo di queste risposte, momento per momento, può insegnare all'ascoltatore attento la struttura sia formale che espressiva. In effetti, parte del nostro piacere per la musica può derivare dall'avere le nostre esperienze emotive gestite e guidate dalla forma musicale nel modo che ho descritto per la letteratura nel Capitolo 7. E naturalmente possiamo anche essere commossi dalla bellezza e dalla complessità della struttura musicale (ed espressiva).

  Per approfondire, vedi Serie dei sentimenti e Serie delle interpretazioni.
  1. In effetti, ci sono alcune testimonianze che i musicisti addestrati elaborano la musica in modo diverso dalle altre persone. Renée Cox riferisce che ci sono prove che "melodies are most likely to be processed in the right hemisphere (left ear) by nonmusicians, but more likely to be processed in the left hemisphere (right ear) by musicians". Cfr. Renée Cox, "Varieties of Musical Expressionism", in George Dickie, Richard Sclafani e Ronald Roblin (curr.), Aesthetics: A Critical Anthology (New York: St Martin's, 1989), 623-4. Le persone che ho in mente come "ascoltatori qualificati" sono persone cresciute ascoltando Bach, Haydn, Beethoven e così via, in modo da avere una certa comprensione dello stile della musica, anche se non hanno mai studiato teoria musicale. Nella terminologia di Levinson, sono "suitably backgrounded". D'ora in poi, quando parlerò di "ascoltatore", intendo "l'ascoltatore qualificato" in questo senso. Se parlo in modo esplicito ed esclusivo di teorici musicali formati professionalmente, lo specificherò.
  2. Per un'ulteriore discussione, si veda la sezione sulle emozioni secondo Meyer di seguito.
  3. Peter Kivy, Music Alone: Philosophical Reflections on the Purely Musical Experience (Ithaca, NY: Cornell University Press, 1990), 175. Possiamo tradurre "garden variety" con "varietà da giardino" ad indicare varietà ordinarie, semplici(stiche), ma la traduzione non rende l'idea completamente. Manterrò quindi il termine (EN).
  4. Ibid. 149.
  5. Ibid. 40–1. Per la teoria del giudizio sull'emozione, si veda il Capitolo 1.
  6. Ibid. 159–60.
  7. Ad essere onesti, Kivy è principalmente preoccupato di negare che siamo commossi nel sentire le emozioni garden‐variety che la musica esprime.
  8. Forse Kivy lo riconosce: dice che possiamo essere commossi da una musica meravigliosamente espressiva. Ma, come sostiene Stephen Davies (Musical Meaning and Expression, 1994, 286): "there is no room in [Kivy's] account for the claim that the listener responds directly to the fact that the music expresses, say, sadness rather than happiness, or to the quality of the sadness expressed. Kivy's theory allows that how the sadness is expressed affects the listener's response—she reacts to the felicity or otherwise of the expressive achievement—but the theory makes no allowance for the idea that what is expressed shapes the response."
  9. Aaron Ridley, Music, Value, and the Passions (Ithaca, NY: Cornell University Press, 1995), 128.
  10. Ibid. 192.
  11. Ibid. 76.
  12. Ibid. 94.
  13. Penso che questo sia giusto riguardo alle "qualità espressive" in generale, come ho osservato nel Cap. 9.
  14. Al contrario, Stephen Davies pensa che siamo rattristati dalla musica triste a causa del riconoscimento della tristezza nella musica. Davies, Musical Meaning and Expression, Cap. 6.
  15. Ridley, Music, Value, and the Passions, 131.
  16. Ibid. 135.
  17. Ibid. 140
  18. Ibid. 138.
  19. Ibid. 133.
  20. Svilupperò questa idea in modo più completo nel Cap. 13.
  21. Jerrold Levinson, The Pleasures of Aesthetics: Philosophical Essays (Ithaca, NY: Cornell University Press, 1996), 97.
  22. A questo punto probabilmente mi dissocio da Levinson. Cfr. ibid. 107 per la definizione da parte sua di espressività musicale.
  23. Ridley riconosce che a volte sentiamo musica strumentale come contenesse un personaggio in un "viaggio dell'anima", ma sembra comunque credere che la risposta comprensiva dell'ascoltatore a un tale personaggio sia fondamentalmente compassionevole e/o "empatica", cioè che sentiamo ciò che la persona sente.
  24. Ammetto che molti lieder romantici e molti brani lirici "introspettivi" come l’Intermezzo possono incoraggiare l'ascoltatore a identificarsi con una persona nella musica. Parimenti, nei miei esempi alla fine del Cap. 9, vedi "Ode" di Keats e La Grande riserva di Friedrich, il lettore o lo spettatore può tipicamente entrare nei sentimenti dell'apparente "enunciatore" delle opere e sentirsi uno con il pittore o l'enunciatore drammatico. Questo perché si tratta di opere "liriche" di (apparente) autoespressione di un pittore, poeta o compositore.
  25. Kendall Walton, "Listening with Imagination", in Jenefer Robinson (cur.), Music and Meaning (Ithaca, NY: Cornell University Press, 1997), 73.
  26. Ibid.
  27. Ibid. 71. Per Walton la musica stessa non genera la "fictional truth" che mi sento angosciato, o agitato o esuberante; mi fornisce semplicemente le esperienze uditive personali che generano questa verità immaginaria. Nel Capitolo 13 fornisco una spiegazione alternativa e, credo, più plausibile per questo fenomeno.
  28. Ibid. 77.
  29. Ibid. 78.
  30. Cfr. Capitolo 11 (note), su Beardsley e la musica come un "iconic sign" di emozione.
  31. Nel Capitolo 13 discuto anche di come la musica induca emozioni più complesse come l'angoscia.
  32. Per esmpio in Eugene Narmour, "The Top‐Down and Bottom‐up Systems of Musical Implication: Building on Meyer's Theory of Emotional Syntax", Music Perception 9 (1991).
  33. Leonard B. Meyer, Emotion and Meaning in Music (Chicago: University of Chicago Press, 1956), 40.
  34. Cfr. Hébert, Peretz, e Gagnon sulla "implicit knowledge that all listeners share when listening to tonal music". Sylvie Hébert, Isabelle Peretz, e Lise Gagnon, "Perceiving the Tonal Ending of Tune Excerpts: The Roles of Pre‐ existing Representation and Musical Expertise", Canadian Journal of Experimental Psychology 49 (1995), 207.
  35. Meyer, Emotion and Meaning in Music, 14.
  36. Ibid. 31.
  37. Carol L. Krumhansl, Cognitive Foundations of Musical Pitch (New York: Oxford University Press, 1990), 214.
  38. Ibid. 219.
  39. Ibid. 225-6.
  40. John A. Sloboda e Patrik N. Juslin, "Psychological Perspectives on Music and Emotion", in Music and Emotion: Theory and Research, (Oxford: Oxford University Press, 2001), 91. Cfr. anche Alf Gabrielsson, "Emotions in Strong Experiences with Music", in Juslin e Sloboda (curr.), Music and Emotion, 433. I saggi più citati su questo argomento pare siano Jaak Panksepp, "The Emotional Sources of “Chills” Induced by Music", Music Perception 13 (1995), e A. Goldstein, "Thrills in Response to Music and Other Stimuli", Physiological Psychology 8 (1980).
  41. Sloboda e Juslin, "Psychological Perspectives on Music and Emotion", 92.
  42. Jerold Levinson pensa che nella produzione di brividi ed emozioni siano coinvolti più di quanto Sloboda riconosca. Cfr. il suo "Varieties of Musical Pleasure: Musical Chills and Other Delights", 2002. Dirò di più sull'ipotesi di Levinson nel Cap. 13.
  43. John A. Sloboda, "Music—Where Cognition and Emotion Meet", The Psychologist 12 (1999), 452.
  44. Più avanti in questo Capitolo e nel prossimo esamineremo alcune prove empiriche che la musica effettivamente causa cambiamenti fisiologici. Nel prossimo Capitolo esaminerò se questi cambiamenti fisiologici sono genuinamente emotivi. Perché, dopo tutto, un passaggio ritardato al tonico dovrebbe essere considerato "something significant to me or mine"?
  45. Qui come altrove sto astraendo da questioni di performance. Chiaramente diverse esecuzioni dello stesso pezzo possono trovare al suo interno strutture diverse, sottolineate da differenze di fraseggio, differenze di enfasi su particolari linee melodiche, differenze di timbro, dinamiche e così via.
  46. E naturalmente possono esserci risposte inappropriate, come quando sono annoiato dalla Terza di Beethoven perché non capisco molto bene Beethoven o ho sentito il pezzo già dieci volte oggi o sono distratto o disattento o di cattivo umore e non disposto ad ascoltare qualcosa di "difficile", ecc. Cfr. Cap. 4.
  47. "On Rehearing Music", in Leonard B. Meyer, Music, the Arts, and Ideas (Chicago: University of Chicago Press, 1967), 42–53.
  48. Sloboda e Juslin, "Psychological Perspectives on Music and Emotion", 92, citando R. Jackendoff, "Musical Processing and Musical Affect", in M. R. Jones e S. Holleran (curr.), Cognitive Bases of Musical Communication (Washington, DC: American Psychological Association, 1992).
  49. Stephen Davies obietta che avere tali emozioni suscitate non è sufficiente per essere in grado di seguire la struttura musicale o l'espressività in ogni dettaglio. Ciò può essere vero. Ma tutto quello che sto affermando è che avere le nostre emozioni evocate gioca un ruolo importante nel capire e sperimentare ciò che viene espresso. Cfr. Stephen Davies, "Contra the Hypothetical Persona in Music", in Mette Hjort e Sue Laver (curr.), Emotion and the Arts (New York: Oxford University Press, 1997), 105–6.
  50. Nel Cap. 13 ho altro da dire su questi casi, in particolare sull'apparente mancanza di qualsiasi "valutazione affettiva" per innescare le emozioni evocate.
  51. Nel discutere la letteratura ho distinto la "reader‐response theory" di Iser dalle visioni più radicali di Holland e Fish. Meyer ci fornisce una teoria "listener‐response" dell'ascolto musicale che è simile a quella di Iser. Quello che sto facendo qui è adombrare una teoria "listener‐response" di comprensione musicale che consente una maggiore varietà di reazioni emotive appropriate di quanto Meyer sembra voler consentire, ma obbedisce alle restrizioni sull'"appropriatezza" che ho delineato nella mia discussione sull'interpretazione in letteratura nei Capitoli 4–7.
  52. E di nuovo, ci saranno sempre risposte inappropriate da parte di alcuni ascoltatori. Se mi sento giù e annoiato, potrei trovare noiosa o pretenziosa anche la musica migliore.
  53. Più accuratamente, Ridley dice che la musica evoca "feelings, that is, emotions shorn of their cognitive aspect". Ridley, Music, Value, and the Passions, 32. Amplierò questo punto nel Cap. 13.
  54. Carol L. Krumhansl, "An Exploratory Study of Musical Emotions and Psychophysiology", Canadian Journal of Experimental Psychology 51 (1997), 338.
  55. Una parola sulla terminologia: per Kivy, una "expressive property" è semplicemente una proprietà denominata da una parola di emozione, che descrive correttamente la musica. Tuttavia, come vedremo, l'esperimento mostra che i pezzi selezionati da Krumhansl hanno anche "expressive qualities" nel mio senso e in quello di Ridley: non solo sono nominati da una parola di emozione, ma evocano anche un'emozione corrispondente.
  56. Krumhansl, "An Exploratory Study of Musical Emotions and Psychophysiology", 347–8.
  57. Ibid. 348.
  58. Ibid. 345.
  59. Ibid. 351.
  60. Ibid. 350.
  61. Ibid.
  62. Tuttavia, i brani scelti da Krumhansl hanno marcate associazioni culturali, almeno per gli ascoltatori americani: ad esempio, l’Adagio di Barber è associato alla morte di J. F. Kennedy, e Una notte sul Monte Calvo con Halloween. Alcune delle emozioni che gli ascoltatori provano possono anche essere in parte dovute a queste associazioni. Come la musica con una particolare qualità espressiva susciti un'emozione corrispondente negli ascoltatori è qualcosa di cui parlerò ulteriormente nel Cap. 13.
  63. Krumhansl, "An Exploratory Study of Musical Emotions and Psychophysiology", 348.
  64. Leslie Bunt e Mercedes Pavlicevic, "Music and Emotion: Perspectives from Music Therapy", in Juslin e Sloboda (curr.), Music and Emotion 185.
  65. Ibid.