Le religioni e il sacro/La coscienza

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Indice del libro

Con il termine coscienza si intende indicare quel momento della presenza della mente a sé stessa quando essa conosce e giudica, quindi quello stato di "conosciuta unità" di ciò che è presente nella mente [1][2]. In questo senso il termine "coscienza" è quindi sovrapponibile a quello di consapevolezza nel suo riferimento «alla totalità delle esperienze vissute, ad un dato momento o per un certo periodo di tempo»[3]. Con l'avvertenza che nella storia della cultura occidentale il termine "coscienza" ha assunto ulteriori significati indipendenti da quello di "consapevolezza"[4].

Ad esempio, una delle accezioni che il termine "coscienza" può ricoprire è quello di coscienza morale ovvero quella capacità che consente di distinguere ciò che è "bene" da ciò che è "male".

Se il termine in lingua italiana, "coscienza" può ricoprire i due significati, quello inerente alla condizione di "presenza mentale" e quello inerente alla "valutazione morale", in altre lingue, quali quella tedesca o quella inglese, vengono utilizzati due termini differenti: consiousness (inglese), Bewusstsein (Bewußtsein, tedesco), per la prima accezione; conscience (inglese), Gewissen (tedesco), per la seconda.

Etimologia modifica

  • Il termine "coscienza" entra nella lingua italiana nel XIII secolo, derivando dal latino conscientĭa qui derivando dal termine, sempre latino, conscīre ("essere consapevole"), quindi dal latino scīre ("sapere")[5] con il prefisso co(n) a sua volta legato al latino cum questo di provenienza indoeuropea[6].
  • Il termine "consapevolezza" entra nella lingua italiana nel XVII secolo derivando dall'italiano "consapevole" (sec. XIV) e questo dal latino consipĕre e qui dal latino sapĕre ("sapere") [7] col prefisso con.

Cenni storici sulla nozione di "coscienza" modifica

Processi e organi della coscienza nella Grecia di Omero modifica

(IT)
« Ciò detto se ne andò e lo lasciò lì a pensare
in cuor suo quello che non doveva compiersi:
pensava di prendere quel giorno stesso la città di Priamo,
sciocco, e non sapeva gli eventi che Zeus meditava. »

(GRC)
« Ὣς ἄρα φωνήσας ἀπεβήσετο, τὸν δὲ λίπ' αὐτοῦ
τὰ φρονέοντ' ἀνὰ θυμὸν ἅ ῥ' οὐ τελέεσθαι ἔμελλον·
φῆ γὰρ ὅ γ' αἱρήσειν Πριάμου πόλιν ἤματι κείνῳ
νήπιος, οὐδὲ τὰ ᾔδη ἅ ῥα Ζεὺς μήδετο ἔργα· »
(Iliade, II, 35-38; traduzione di)

Il Sogno maligno inviato da Zeus raggiunge Agamennone per convincerlo ad armare gli Achei, fatto questo, il Sogno maligno lo lascia lì a φρονέοντ' ἀνὰ θυμὸν ("a pensare nella sua mente").

Nella cultura omerica «La riflessione interiore è per l'uomo conversazione dell'io con il θυμός, o del θυμός con l'io»[8].

Così quando Menelao riflette sul da farsi: "disse (εἶπε) al suo magnanimo θυμός" (εἶπε πρὸς ὃν μεγαλήτορα θυμόν, Iliade XVII, 90); quindi, meditando di abbandonare le armi e il corpo di Patroclo, si domanda: ἀλλὰ τί ἤ μοι ταῦτα φίλος διελέξατο θυμός? (XVII, 97: "perché il mio θυμός medita, διελέξατο, queste cose?").

Il θυμός (thūmós) è quindi la "mente", la "coscienza" dell'uomo che si interroga, ma anche lo spirito vitale e la sede delle emozioni.

Confrontando la nozione di psyché (ψυχή) propria dei filosofi ionici, Edwin Rohde sostiene che:

« A chi ben osservi, la "psiche" di questi filosofi appare una denominazione che comprende quelle forze di pensiero, di desiderio, di volontà (νόος, μένος, μῆτις, βουλή) in una parola del θυμός -concetto che non si può esprimere con una parola d'altra lingua- che secondo la ripartizione popolare d'Omero rientrano tutte nella cerchia dell'uomo visibile e del suo corpo, [...] »
(Edwin Rohde, Psiche, p. 383)

Pierre Chantraine[9] ricorda come l'etimologia del termine θυμός viene spesso collegata [10] al sanscrito dhūmá[11] e quindi al latino fumus e all'antico slavo dymŭ, il che, derivando da θυμιάω, presupporrebbe un ricostruito *θυμός (fumo) per il filologo francese difficile da sostenere. Ma per Richard Broxton Onians il «θυμός era, con ogni evidenza, una sostanza aeriforme (si pensi a θυμιάω)»[12].

Sempre il filologo britannico, con un'imponente disamina dei testi conclude che la sede del θυμός altro non è che le φρένες, i polmoni, risultando quindi il θυμός lo stesso respiro, l'anima-respiro, contenente le emozioni, l'elemento vitale, ma anche, come abbiamo visto, il pensiero, quindi la coscienza: «Per i Greci di Omero, il θυμός è lo "spirito", il respiro che si identifica con la coscienza, variabile, dinamico; va e viene, muta con il mutare dei sentimenti e, si può aggiungere, con il mutare del pensiero»[13]. Allo stesso modo gli dèi pongono ardimento, o audacia, nel θυμός degli uomini, riempiendone le φρένες:

« si osservi che gli dèi "soffiano" negli uomini non solo emozioni, ma anche pensieri e propositi di natura relativamente intellettuale. Ciò è altrettanto prevedibile, poiché proprio con il θυμός e con le φρένες o, se è corretta la nostra interpretazione, con l'anima-respiro e con i polmoni, un uomo non solo sente, ma pensa e apprende. »
(Onians, p.81)

Così, ma a solo titolo esemplificativo, la dea Atena quando consiglia Telemaco: φράζεσθαι δὴ ἔπειτα κατὰ φρένα καὶ κατὰ θυμόν, ὅππως κε μνηστῆρας ἐνὶ μεγάροισι τεοῖσι ("rifletti nella tua φρήν e nel tuo θυμός, come tu possa uccidere i pretendenti", Odissea, I, 294-295).

La nozione di θυμός a volte risulta sovrapponibile a quella di ψυχή (psyché), in altri casi è ben evidente che ψυχή e θυμός sono due elementi differenti; ad esempio:

(IT)
« ma la furia impetuosa del fuoco ardente
li disfa non appena θυμός abbandoni le bianche ossa
e la ψυχὴ come un'immagine di sogno vola via. »

(GRC)
« ἀλλὰ τὰ μέν τε πυρὸς κρατερὸν μένος αἰθομένοιο
δαμνᾷ, ἐπεί κε πρῶτα λίπῃ λεύκ' ὀστέα θυμός,
ψυχὴ δ' ἠΰτ' ὄνειρος ἀποπταμένη πεπότηται »
(Odissea, XI, 220 e segg.)

o ancora

(IT)
« Quest'arco priverà molti valenti
del θυμός e della ψυχή »

(GRC)
« πολλοὺς γὰρ τόδε τόξον ἀριστῆας κεκαδήσει
θυμοῦ καὶ ψυχῆς »
(Odissea, XI, 220 e sgg.)

In tal senso θυμός viene usato quando questi è racchiuso nei polmoni (ritenuti organi dell'intelligenza) come un elemento caldo; il termine diviene invece ψυχή quando abbandona il corpo con l'ultimo respiro, divenendo un elemento freddo.

Ma accade anche che θυμός e ψυχή lascino insieme il corpo, tuttavia ψυχή lo abbandona giungendo nell'Ade come ἠύτ ὄνειρος (un fantasma visto in sogno) mentre θυμός viene distrutto dalla morte.

Onians ricorda quindi come la ψυχή sia associata, come localizzazione, alla testa da dove veniva espirata, e che essa corrisponde piuttosto alla σκιά ( (skiá, ombra) come descritta nell'Odissea[14] piuttosto che all'anima-respiro (questa nell'ambito del θυμός).

La nozione di coscienza nella filosofia greca modifica

Eraclito, Platone, Aristotele, Plotino
Il primo autore a considerare una nozione di "coscienza" come luogo di riflessione e interiorità fu il filosofo neoplatonico Plotino:

(IT)
« Ma l'intelligenza e l'anima intellettuale non agiscono forse forse per se stesse, essendo prima della sensazione e della relativa impressione? È necessario allora che ci sia un atto prima dell'impressione, poiché <per intelligenza> è la stessa cosa pensare ed essere. E sembra che l'impressione sorga, quando il pensiero si ripiega su se stesso e quando l'essere attivo nella vita dell'anima è come rinviato in senso contrario, simile all'immagine in uno specchio, che sia liscio, brillante e immobile. »

(GRC)
« Αὐτὸς δὲ ὁ νοῦς διὰ τί οὐκ ἐνεργήσει καὶ ἡ ψυχὴ περὶ αὐτὸν ἡ πρὸ αἰσθήσεως καὶ ὅλως ἀντιλήψεως; Δεῖ γὰρ τὸ πρὸ ἀντιλήψεως ἐνέργημα εἶναι, εἴπερ « τὸ αὐτὸ τὸ νοεῖν καὶ εἶναι ». Καὶ ἔοικεν ἡ ἀντίληψις εἶναι καὶ γίνεσθαι ἀνακάμπτοντος τοῦ νοήματος καὶ τοῦ ἐνεργοῦντος τοῦ κατὰ τὸ ζῆν τῆς ψυχῆς οἷον ἀπωσθέντος πάλιν, ὥσπερ ἐν κατόπτρῳ περὶ τὸ λεῖον καὶ λαμπρὸν ἡσυχάζον. »
(Plotino, Enneadi, I, 4, 10; traduzione di Giuseppe Faggin nell'edizione della Bompiani (Milano), 2004, pp. 110-1)

La nozione di coscienza nelle teologie cristiane antiche e medievali modifica

La nozione di coscienza nella filosofia moderna modifica

Cartesio, Locke etc. Il primo autore a elaborare la nozione di "coscienza" nella sua moderna accezione fu Gottfried Wilhelm von Leibniz, il quale, agli inizi del XVIII secolo, distinse le petites perceptions subliminali dalle aperceptions attraverso le quali le prime si manifestano a livello cosciente:

(IT)
« Vorrei si facesse distinzione fra percezione e appercezione. La percezione della luce o del colore, per esempio, di cui prendiamo coscienza, è composta di numerose piccole percezioni, di cui non prendiamo coscienza; e un rumore, di cui abbiamo la percezione, ma al quale non poniamo mente, diventa appercepibile in virtù di una piccola addizione ed aumento. Giacché, se ciò che precede non facesse nessuna impressione sull'anima, questa piccola addizione non vi farebbe a sua volta nessuna impressione. Né impressione maggiore vi farebbe il tutto. Ho già toccato questo punto: capitolo II di questo libro §§ 11-12-15, ecc. »

(FR)
« J’aimerais mieux distinguer entre perception et entre s’apercevoir. La perception de la lumière ou de la couleur par exemple, dont nous nous apercevons, est composée de quantité de petites perceptions, dont nous ne nous apercevons pas, et un bruit dont nous avons perception, mais où nous ne prenons point garde, devient aperceptible par une petite addition ou augmentation. Car si ce qui précède ne faisait rien sur l’âme, cette petite addition n’y ferait rien encore et le tout ne ferait rien non plus. J’ai déjà touché ce point chap. I de ce livre, § 11, 12, 15, etc. »
(Gottfried Wilhelm von Leibniz, Nouveaux Essais sur l'entendement humain, II, 9, § 4 (red. 1703-1705, I ed. Amsterdam-Leipzig, 1765); traduzione italiana di Emilio Cecchi, in W. Leibniz Nuovi saggi sull'intelletto umano, Bari, Laterza, 1988; ristampa in Leibniz Opere, Milano, Mondadori, 2008, p.210)

Note modifica

  1. Paolo Francesco Pieri, in Enciclopedia filosofica, vol. 3. Milano, Bompiani, 2004, p. 2318.
  2. Con il termine, generico, "mente" si indica la totalità dei fatti psichici; cfr. Umberto Galimberti, in Dizionario di psicologia, Milano, Garzanti, 1999, p. 642; Riccardo Venturini, Coscienza e cambiamento, Assisi, Cittadella Ed., 1998, p. 307;
  3. Amedeo Dalla Volta, Dizionario di psicologia, Firenze, Giunti, 1974, p. 171.
  4. Enciclopedia Garzanti di filosofia. Milano, Garzanti, 1985, p.187.
  5. Per l'etimologia di questo termine latino si rimanda, tra gli altri, a Michel de Vaan, Etymological Dictionary of Latin and other Italic Languages (volume 7 della serie Leiden Indo-European Etymological Dictionary Series curata da Alexander Lubotsky). Brill, Leiden-Boston, 2008, p. 545; e a Antoine Meillet, Dictionnaire étymologique de la langue latine, 1932 (in collaborazione con Alfred Ernout (1879-1973)), Paris: Klincksieck, 1951, pp. 1063 e sgg.
  6. Michel de Vaan, Etymological Dictionary of Latin and other Italic Languages (volume 7 della serie Leiden Indo-European Etymological Dictionary Series curata da Alexander Lubotsky). Brill, Leiden-Boston, 2008, p. 152
  7. Per l'etimologia di questo termine latino si rimanda, tra gli altri, a Michel de Vaan, Etymological Dictionary of Latin and other Italic Languages (volume 7 della serie Leiden Indo-European Etymological Dictionary Series curata da Alexander Lubotsky). Brill, Leiden-Boston, 2008, p. 538; e a Antoine Meillet, Dictionnaire étymologique de la langue latine, 1932 (in collaborazione con Alfred Ernout (1879-1973)), Paris: Klincksieck, 1951, pp. 1048 e sgg.
  8. Onians p. 35
  9. p. 446
  10. Qui il filologo francese si riferisce, senza nominarlo, a Theodor Gomperz, cfr. Griechische Denker cfr. I,V,7, precisamente p. 377, vol. I, dell'edizione italiana della Nuova Italia di Firenze.
  11. Fumo, vapore, foschia; cfr. Sani p.749
  12. Onians p. 69
  13. Onians, p. 75
  14. Odissea, X, 495, XI, 207.