Le religioni e il sacro/Il sacro/Greci

Indice del libro

Il radicale in lingua greca che indica il "sacro" è hag- (corrispettivo del sanscrito yai-). In tal senso:

  • Hagnós nell'Odissea dove indica il sacro divino e la sacra maestà, da qui hagneia nel significato di purezza religiosa consegnata dalla divinità all'uomo prescelto (consacrato);
  • Hágios aggettivo verbale (da hazestai) in Erodoto è ciò che indica il luogo sacro; in Platone esso indica la separatezza del divino dal mondo umano a cui l'anima può aspirare praticando la virtù [1]. Con l'ellenizzazione le divinità orientali importate nella penisola greca vengono indicate come hagios (sacre). Nella Bibbia in lingua greca, la Septuaginta, il termine ebraico per santo, qadoš, è reso come hagios. Sempre come hagios è reso qodeš (riservato a Dio).
  • Hierós (corrispettivo del sanscrito iṣiraḥ) è un altro termine che entra nella sfera del sacro. Esso indica ciò che è forte e che rende forti. In Omero non è mai attribuito ad un essere umano ma solo a realtà o condizioni considerate "potenti". Non indica gli dèi ma gli oggetti o i luoghi ad essi legati. Da qui i templi che sono indicati come hieroi. I discorsi intorno agli dèi vengono denominati come hieroi logoi. I re e i sacerdoti dei culti entrando in rapporto con gli dèi sono anch'essi hieroi. Nei culti misterici, l'iniziato che ha preso contatto con la potenza divina è esso stesso uno hieros anthropos.
La dea Afrodite a cavallo di un cigno (o di un'oca) (dalla tomba F43 Kameiros, Rodi). Il cigno animale sacro alla dea e compagno di Apollo, nella tradizione religiosa greca è una ierofania vivente della luce.
« Quattro principi fondamentali devono soprattutto valere per quanto riguarda Dio: fede, verità, amore, speranza. Bisogna infatti credere, perché l'unica salvezza è la conversione verso Dio: chi ha creduto deve quanto più è possibile impegnarsi a conoscere la verità su di lui; chi l'ha conosciuto amare colui che è stato conosciuto; chi l'ha amato, nutrire di buone speranze l'anima tutta la vita. »
(Porfirio, Lettera a Marcella, 24)

Così se Hagnós è riferibile al contesto degli dèi, alla loro maestà, e Hágios è sempre riferibile agli stessi, Hierós indica prima gli oggetti e i luoghi "toccati" dagli dèi e, successivamente, gli uomini che hanno avuto esperienza della loro potenza. Questi uomini non sono "santi", o frutto di un percorso di "santità", sono coloro che sono entrati in diretto contatto con il divino. In epoca ellenistica compaiono i termini hagneia e hagnotes ad indicare la purezza cultuale (non morale). Ma l'ideale sacro dell'uomo greco è e resta, nei secoli, l'eroe, colui che dopo la morte viene elevato al di sopra della condizione umana di cui Eracle rappresenta l'elemento universale nella cultura greca ma anche romana. Un modello dell'uomo accostatosi al sacro con le sue dodici fatiche e il suo trionfo davanti agli ostacoli, la pazienza di fronte alle difficoltà e al dolore, il coraggio nelle prove della vita.
Tale modello rimanda ad un altro luogo del sacro greco, la psyché (reso in italiano con il termine "anima"). Tale termine riguarda il centro vitale dell'uomo e compare per la prima volta in Omero a designarne il soffio vitale o, anche, quel 'fantasma' che dopo la morte abita l'Ade. Con gli orfici]] psyché è invece il dèmone di origine divina (quindi immortale) che corrisponde al centro spirituale ed esistenziale dell'uomo, mentre il corpo, denominato soma, ne indica l'aspetto fisico e mortale[2] Ma se per gli Orfici la psyché emerge tanto più l'attività cosciente e l'intelligenza vengono limitate (come nei sogni o nello svenimento) è con Socrate che essa viene identificata con la coscienza, aspetto e luogo del dèmone reso umano. Michel Foucault [3] ha ripercorso il cammino dei greci nella "cura di sé" (epimeleisthai) come cura dell'aspetto sacro della propria persona, ovvero del proprio Dèmone. Partendo dagli Orfici, passando per Socrate fino a Platone egli osserva come nella cultura greco-romana:

« Nei periodi ellenistico e imperiale, il concetto socratico del «prendersi cura di sé» divenne un tema filosofico comune, universale. La «cura di sé» fu accettata da Epicuro e dai suoi seguaci. dai cinici, dagli stoici come Seneca, Gaio Musonio Rufo, Galeno. i pitagorici si interessarono molto al concetto di una vita ordinata e comunitaria. La cura di sé non costituiva una raccomandazione astratta, ma una attività ampiamente diffusa, una rete di obblighi e servigi resi alla propria anima. »
(Michel Foucault, Op. cit. p. 23)

Note modifica

  1. Fedone 114, c, d.
  2. Prima dell'orfismo con il termine soma si indicavano solo i cadaveri.
  3. Michel Foucault. Tecnologie del sé. in Un seminario con Michel Foucault - Tecnologie del sé. Torino, Boringhieri, 1992.