Le religioni e il sacro/Il sacro/Buddhismo

Indice del libro

Il buddhismo non considera come realtà ultima, come totalmente Altro, una dimensione che prescinda dall'esperienza umana, essendo, nell'insegnamento di Gautama Buddha, qualsivoglia riferimento a realtà trascendenti la diretta esperienza umana, non utile al conseguimento della liberazione del dolore da parte dell'uomo.

Bassorilievo buddhista mahāyāna rinvenuto nella regione del Gandhāra e risalente al II-III secolo d.C., conservato al Museo Guimet di Parigi. Da sinistra verso destra: un devoto laico (upāsaka), il bodhisattva Maitreya, il Buddha Śākyamuni, il bodhisattva Avalokiteśvara, un monaco buddhista (bhikṣu). Le tre figure centrali mostrano con la mano destra il "gesto di incoraggiamento" (abhayamudrā), con il palmo della mano aperto invitano il fedele ad avvicinarsi senza avere paura.
« Con il bene acquisito compiendo tutto ciò come descritto possa io lenire la sofferenze di ogni essere vivente. Sono la medicina per il malato. Possa io essere e medico e infermiere finché la malattia non torni più. Possa io allontanare la pena della fame e della sete con piogge di cibo e bevande. Possa diventare io bevanda e cibo negli eoni intermedi di carestia. Possa io essere un tesoro insesauribile per gli esseri impoveriti. Possa io servirli con molteplici offerte. Ecco abbandono senza rimpianto i miei corpi, i miei piaceri e i miei beni acquisiti in tutti e tre i tempi per realizzare il bene per ogni essere »
(Śāntideva. Bodhicaryāvatāra III, 6-10)

Questo non significa che nel buddhismo sia negata l'esistenza di realtà trascendenti il mondo naturale[1], solo che tali realtà sono ritenute non necessarie per il conseguimento degli obiettivi inerenti alla liberazione dell'uomo.

In questo quadro, lo storico delle religioni svedese Nathan Söderblom]] (1866-1931) osserva che secondo le dottrine buddhiste, nel mezzo della realtà impermanente (saṃsāra) sia individuata una realtà che trascende questa e che risulta assoluta, il nirvāṇa. Tale realtà è quella a cui il praticante buddhista deve mirare per raggiungere la completa liberazione. Söderblom individua in questa realtà, ovvero nel nirvāṇa, il "sacro" buddhista[2].

Julien Ries osserva come il termine sanscrito ārya (in devanāgarī आर्य)

« sia circondato da una risonanza sacrale. [...] Ārya contiene la duplice nozione di "nobile" e di "santo". Nel buddhismo, il termine è più vicino alla nozione di "santo". »
(Julien Ries. L'uomo e il sacro nella storia dell'umanità. In Opera omnia, vol.II. Milano, Jaca Book, 2007, pag.451)

Note modifica

  1. Un elemento importante del Buddhismo, riportato in tutti i Canoni, è la conferma dell'esistenza delle divinità come già proclamate dalla letteratura religiosa vedica (i deva), tuttavia queste divinità sono nel Buddhismo ancora sottomesse alla legge del karma e la loro esistenza è condizionata dal saṃsāra. Così nel Majjhima nikāya 100 II-212 ((EN) Majjhima nikāya 100 - Sangarava Sutta, su mahindarama.com, Mahindarama. Kampar Road 10460, Penang, Malaysia, 1. URL consultato il 4 aprile 2009.) dove al brahmano Sangarava che gli chiedeva se esistessero i deva, il Buddha storico rispose: «I Deva esistono! È questo un fatto che io ho riconosciuto e su cui tutto il mondo è d'accordo». Sempre nei testi che raccolgono i suoi insegnamenti, testi riconosciuti tra i più antichi in assoluto e conservati sia nel Canone pāli che nel Canone cinese e che la storiografia contemporanea inquadra nel termine Āgama-Nikāya, il Buddha storico consiglia a due brahmana che, dopo aver dato da mangiare a uomini santi, si debba dedicare questa azione alle divinità (deva) locali che restituiranno l'onore concesso loro assicurando il benessere dell'individuo (Digha-nikāya, 2,88-89 (EN) Sister Vajira (trad.), Francis Story (trad.), Maha-parinibbana Sutta - Last Days of the Buddha (gli ultimi giorni del Buddha), su abhidhamma.org, Buddhist Publication Society, 1998. URL consultato l'8 aprile 2009.
  2. Nathan Söderblom. Holiness, in James Hastings, Encyclopaedia of Religions and Ethics, vol.6. Edimburgo, T.& T. Clark. 1913, pag. 731-41