Le religioni e il sacro/La religione/Fenomenologia
La Fenomenologia della religione è un metodo di indagine del fatto religioso, e del sacro, che incrocia l'analisi storica del suo emergere con i suoi aspetti ricorrenti nella Storia attraverso strutture e forme tipiche.
Premessa
modificaInserire qui l'avvertenza di Douglas Allen
L'approccio "positivista" e "comparativo" di Pierre Daniël Chantepie de la Saussaye
modificaL'espressione "Fenomenologia della religione" compare per la prima volta nell'opera dello studioso olandese Pierre Daniël Chantepie de la Saussaye (1848-1920) Lehrbuch der Religionsgeschichte ("Manuale di storia delle religioni", 1887) dove l'autore, titolare della cattedra di "storia delle religioni" presso l'Università di Amsterdam dal 1878, evidenzia come la comparazione storico-religiosa farebbe emergere delle manifestazioni ricorrenti in termini di riti, culti, miti e pratiche. Compito della disciplina di "storia delle religioni", soprattutto nel suo aspetto "comparativo", è quindi, per Chantepie de la Saussaye, quello di stabilire quelle caratteristiche permanenti delle religioni che, prescindendo dal loro manifestarsi storico, possono indicarci cosa sia la "religione" in quanto tale. Chantepie de la Saussaye opera quindi in un ambito di stampo positivistico il quale intende affrontare il fatto religioso liberandolo dalle interpretazioni teologiche e filosofiche.
Il tema in realtà è proprio della Comparative Religion in voga all'epoca la quale, nata in ambito illuministico, fu ereditata anche se con conclusioni diverse dalla cultura romantica. In tale ambito autori come Christoph Meiners (1747-1810) avevano avuto modo già di sostenere che:
Gerardus van der Leeuw e l'"ermeneutica" della religione
modificaNel 1933 [1]esce in lingua tedesca l'opera dell'olandese Gerardus van der Leeuw (1890-1950) Phänomenologie der Religion ("Fenomenologia della religione")[2]. Van der Leeuw, influenzato dalla fenomenologia propugnata in quegli anni da Edmund Husserl (1859-1838) e dall'antipositivismo proprio di pensatori come Wilhelm Dilthey (1833-1911) si rifiuta di intendere la "fenomenologia della religione" così come intesa da Chantepie de la Saussaye, ovvero come semplice atto comparativo tra le diverse manifestazioni religiose, interpretandola piuttosto sul momento della loro "comprensione" che ne rileverebbe la loro unicità di fondo.
La svolta di van der Leeuw, che pure si inserisce nel tracciato fenomenologico segnato da Chantepie de la Saussaye, riguarda quindi la sostituzione del metodo: dall'Erklären ("spiegazione causale") al Verstehen ("comprensione partecipata dello studioso nei riguardi dell'oggetto del suo studio").
Nathan Söderblom (1866-1931), nella voce Holiness in Encyclopedia of Religion and Ethics (vol. VI. NY, Charles Scribner's Sons, 1914, p. 731) aveva già indicato nel fenomeno del "sacro" il fondamento di qualsiasi religione. Analogamente, il tedesco Rudolf Otto (1869-1937) con il suo Das Heilige. Über das Irrationale in der Idee des Göttlichen und sein Verhältnis zum Rationalen "Il sacro. L'irrazionale nella idea del divino e la sua relazione al razionale" 1917 con profonda revisione operata nel 1936) evidenzia l'autonomia del "sacro" e della "religione" da qualsivoglia analisi storica che ne può solo declinare le differenti manifestazioni.
La "fenomenologia della religione" di van der Leeuw, nella sua indagine sull'unità sottostante alle diverse manifestazioni religiose, rileva in ciò che "sorprende", nel "sacro", la sua unità fondamentale[3] intendendo la religione soprattutto come "esperienza vissuta".
Il principio di fondo di questo approccio consiste quindi nel ritenere le religioni basate sul fenomeno del "sacro", il quale contiene già in sé il suo sviluppo che si manifesta nella storia. Il "sacro" corrisponde a sua volta all'esperienza vissuta (Erlebnis) del "mistero" al quale l'uomo tende stimolato da diverse cause esterne. Da questo punto di vista
Ne consegue che ciò che interessa il fenomenologo non è l'origine della religione e la sua storia, quanto piuttosto "ciò che si mostra" che, anche se parzialmente nascosto all'esperienza, si rivela viepiù per mezzo della comprensione che ne fa emergere gli aspetti meno evidenti e quindi consente di coglierne l'"essenza".
Questo approccio all'analisi fenomenologica della religione, fondata sull'ermeneutica e sulla irriducibilità della nozione di sacro, ha tuttavia, col tempo, attirato critiche di soggettivismo e di allontanamento dalle discipline empiriche, ovvero di sconfinamento nel campo teologico e filosofico religioso, perdendo quindi contatto con la storia delle religioni[4].
La scuola storico-fenomenologica: Geo Widengren
modificaLo svedese Geo Widengren (1907-1996), nella sua opera Phänomenologie der Religion (1966), reagì a queste critiche operando una presa di distanza dal sapere teologico e filosofico e costruendo una fenomenologia della religione collegata alle analisi di tipo storico, pur centrata sulla necessità di evidenziare i modelli ricorrenti di questo fenomeno. In questo medesimo ambito si sono mossi autori come Jacques Waardenburg (1930-) e Claas Jouco Bleeker (1898-1983). DA AMPLIARE NOTEVOLMENTE
La "scuola di Marburgo"
modificaAltri autori, appartenenti alla cosiddetta "scuola di Marburgo", hanno invece continuato a difendere la peculiarità del metodo ermeneutico di van der Leeuw per "comprendere" l'effettivo fenomeno religioso: la comparazione fenomenologica consentirebbe quindi, secondo questi autori, di raggiungere l'"essenza" della religione stessa indicata con il termine "sacro".
La "scuola di Marburgo", così indicata per l'istituzione universitaria, la "Philipps-Universität Marburg" (Alma Mater Philippina), si può considerare come fondata dallo studioso tedesco Rudolf Otto (1866-1931) che lì trascorse i suoi ultimi anni di insegnamento. Otto, autore dell'opera Il sacro (Das Helige, 1917, rev. 1937), è infatti il primo studioso che ha concentrato la sua attenzione di indagine su tale fenomeno. Anche se Il sacro di Otto non può essere considerata un'opera di taglio "fenomenologico", i suoi successori della "scuola di Marburgo", ovvero i suoi diretti allievi e amici, ne hanno approfondito "fenomenologicamente" le dottrine presentate.
Lo studioso più rappresentativo di questa scuola è certamente Friedrich Heiler (1892-1967), autore della monumentale Erscheinungsformen und Wesen der Religion (Kohlhammer, Stuttgart 1961; tradotta in italiano con il titolo Le religioni dell'umanità dalla Jaca Book di Milano nel 1985). In questa opera Heiler individua tre metodi per lo studio delle religioni: il primo metodo consiste nella descrizione storico-filologica la quale affronta solo in superficie il fenomeno, tipico di questo metodo è proprio di quei manuali di storia delle religioni che descrivono le religioni dal punto di vista della loro unicità e successione; il secondo metodo consiste nell'affrontare il fenomeno religioso dal punto di vista "trasversale" e "comparativo" per mezzo di vari criteri quali quello sociologico o quello psicologico; il terzo, il metodo proprio della "fenomenologia della religione", consente invece di avvicinarsi meglio al fenomeno religioso, inteso nella sua unicità soggiacente a tutte le religioni storiche.
In tal senso Heiler [5]elenca cinque presupposti metodologici imprescindibili per una corretta comprensione del fenomeno religioso:
- il "metodo induttivo", respingendo qualsiasi "apriorismo filosofico" o teologico;
- impiego delle "fonti" raccolte sia nei "testi sacri" sia nelle autotestimonianze di personalità religiose. Quindi è necessario che lo studioso delle religioni approfondisca più lingue intendendo anche, e soprattutto, quelle "antiche" comprese quelle non occidentali (quindi anche il sanscrito, il persiano antico e medio, l'arabo, il neopersiano, il sumero-babilonese, l'egizio, il cinese e il giapponese) che consentono l'ingresso in un mondo completamente diverso. Chi non è in grado di approfondirle tali lingue deve accedere a traduzioni di sicuro rigore filologico;
- oltre che sui testi, la "religione" va studiata sulle manifestazioni "vive", siano esse comunità che individualità, occorre quindi frequentare moschee, sinagoghe, chiese e templi orientali;
- occorre avere anche un approccio universale, non è sufficiente avere il solo approccio filologico, né conoscere profondamente una singola religione per affrontare in modo corretto il tema. Occorre rifuggire anche quell'approccio che assolutizza la fede dell'investigatore, il quale potrebbe aprioristicamente considerare totalmente "falsi" gli altri credi religiosi presi in esame;
- occorre infine penetrare profondamente nell'esperienza religiosa senza soffermarsi sulle sue manifestazioni esteriori. Qui Heiler cita espressamente i Reden über di Religion di Friedrich Schleiermacher (1768-1834) e La religion di Benjamin Constant (1767-1830) come guide sicure in tal senso.
Oltre questi cinque aspetti metodologici, Heiler [6] ricorda che occorre approcciare il fenomeno religioso non solo con "i criteri razionali, filologici e psicologici", ma occorre anche «in primo luogo il rispetto» delle religioni in quanto «Qui non si tratta di faccende usuali o di curiosità, ma di vita e di morte, dei valori finali e supremi, dell'eternità.». In secondo luogo occorre vivere una propria esperienza religiosa in quanto, ad esempio, non si può trattare di arte senza sensibilità artistica, o di filosofia senza amore per la verità, o di etica quando si è privi di senso morale. In terzo luogo occorre «prendere sul serio la pretesa di verità di ogni religione» in quanto non si potrà intenderla in modo corretto se questa viene liquidata come "superstizione" o come "illusione"[7].
Gustav Mensching (1901-1978) un altro autorevole rappresentante della "scuola di Marburgo", autore, tra l'altro, del Die Religion. Erscheinungsformen, Strukturtypen und Lebensgesetze (Stuttgart, 1959), individua in due livelli l'indagine fenomenologica della religione allo scopo di di far emergere le costanti strutturali: il primo è il "livello descrittivo", il secondo è il "livello della comprensione" della sua "essenza" che richiede l'immedesimazione nell'oggetto studiato. La "comprensione" si può giungere al piano profondo di ogni religione, ovvero alla sua essenza che corrisponde al "sacro". La "religione" altro non è che la risposta dell'uomo toccato dal "sacro"[8]. Ne consegue che l'iniziativa è propria del "sacro" che, per l'"uomo religioso", è una realtà a tutti gli effetti; inoltre il "sacro" si esprime nello spazio-tempo in differenti forme, la cui singola manifestazione (Sondergeist, "spirito particolare") è a fondamento della singola religione la quale, tuttavia, possiede in comune con le altre un'identita di essenza che ne consente la comparazione.
Esperto delle culture religiose dell'Estremo Oriente, Mensching ritiene che il confronto con queste ultime consenta di ristabilire quell'unità tra anima e corpo andata perduta nella cultura europea.
Mircea Eliade e la "morfologia del sacro"
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Mircea Eliade (1907-1986) ha ereditato la nozione di sacro come struttura della coscienza e non come momento della storia della coscienza, elaborando un modello di ricerca inteso come "morfologia del sacro", trovando, tra gli altri, in Julien Ries (1920-2013) il suo continuatore.
Note
modifica- ↑ Da tener presente che van der Leeuw aveva già pubblicato nel 1925 Einführung in de Phänomenologie der Religion ("Introduzione alla Fenomenologia della religione").
- ↑ . Nel 1956 uscirà una seconda edizione rivista dal figlio dell'autore, J. R. van der Leeuw, sulla base degli appunti del padre, pubblicata da J.C.B. Mohr (Paul Siebeck), Tubinga. In italiano pubblicata con il titolo Fenomenologia della religione dalla Boringhieri di Torino nel 1975.
- ↑ G. van der Leeuw, Fenomenologia della religione, p. 7.
- ↑ Cfr. ad esempio la presentazione all'opera di van der Leeuw da parte dell'antropologo di orientamento marxista Alfonso Maria di Nola il quale così conclude:
- ↑ Le religioni dell'umanità, pp. 22 e sgg.
- ↑ Le religioni dell'umanità, pp. 24 e 25.
- ↑ Le religioni dell'umanità, p. 25.
- ↑ ''Die Religion. Erscheinungsformen, Strukturtypen und Lebensgesetze, p.18