Impresa sociale di comunità/Reti
S. Sacchetti, R. Sugden
Questo capitolo offre un approccio critico al lettore al fine di fornire alcuni spunti per valutare le motivazioni, gli obiettivi e il modello di sviluppo economico della propria impresa, con particolare riferimento alle strategie di costruzione di reti (networking). Proponiamo, nello specifico, alcuni criteri per una analisi economica delle reti (network) e del loro grado di inclusione degli interessi pubblici attraverso la deliberazione. Tali criteri vengono tradotti in domande utili al lettore per una interpretazione circostanziata della propria realtà.
Cosa troverete in questo capitolo:
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Competitività: un approccio critico
modificaPerché partire dall'idea di competitività per affrontare le reti di impresa? Innanzitutto perché essa riguarda sia l'idea di impresa, sia quella di territorio, due entità la cui relazione è di particolare importanza soprattutto per le imprese sociali. L'idea di competitività, in particolare, è stata sviluppata, come nota Bristow, su due livelli: uno si riferisce all'impresa, mentre l'altro allo sviluppo regionale. La definizione di competitività a livello di impresa ha alimentato il quadro di definizione a livello territoriale. In sostanza, nel discorso dominante - riconducibile principalmente ai contributi di Michael Porter - la competitività viene associata alla produttività dell'impresa. La medesima prospettiva viene poi estesa alla sfera territoriale col significato di competizione per ottenere quote di mercato in un'economia globale. Ove i territori siano le unità strategiche di riferimento in cui gli obiettivi, e dunque la politica economica, vengono associati a quelli delle imprese, l'idea di competitività arriva a coincidere con quella della produttività delle imprese locali. In sostanza, l'idea di competitività è stata associata al successo sul mercato, inteso come "arbitro imparziale". Leggiamo, alle basi di questa prospettiva, un chiaro riferimento alle teorie evolutive sviluppate in economia: comportamenti che portano alla "sopravvivenza" (leggi: competitività) non possono essere messi in discussione, nonostante possibili conseguenze indirette e anche se, di fatto, modelli che portano ad una sempre maggiore produttività per le imprese non sempre coincidono con migliorate condizioni di benessere per il territorio e per la comunità locale.
Il tentativo di costituire un codice genetico per le imprese mira a definire gli obiettivi delle stesse, ridurre l'incertezza e definire i risultati, suggerendo pertanto che gli eventi economici non dipendono dalla scelta volontaria delle persone (si veda la bibliografia ragionata alla fine del capitolo). Il fatto che esista solo un certo tipo di comportamento che garantisce la sopravvivenza ha dato forma a un approccio specifico in economia, un approccio che, nella sostanza, elimina gli aspetti motivazionali e, di fatto, il fattore di scelta. Tuttavia, come scrive Edith Penrose, nonostante si disponga di una conoscenza tutt'altro che perfetta sulle motivazioni che spingono le persone ad agire in un certo modo piuttosto che in un altro, l'evidenza empirica suggerisce che i valori delle persone influenzano le loro azioni e che numerose decisioni vengono raggiunte dopo avere considerato possibili alternative.
È di conseguenza necessario includere nell'analisi le motivazioni che stanno alla base delle scelte economiche. Considerare nuovamente il pluralismo motivazionale cambia il modo in cui vengono identificati e perseguiti gli obiettivi, nonché il modo con cui ci rapportiamo all'idea di pianificazione strategica nella produzione con riferimento alle imprese e all'impatto del loro assetto istituzionale sulla competitività e lo sviluppo dei territori. Riconsiderare la possibilità che gli obiettivi economici possano essere molteplici o, in altri termini, considerare la motivazione economica come non necessariamente legata ad un solo obiettivo (ad esempio, la massimizzazione del profitto) significa includere nuovamente l'idea di scelta nei processi economici e ridare voce agli attori.
Gli "interessi pubblici"
modificaNel paragrafo precedente abbiamo problematizzato il concetto di competitività attualmente diffuso tra i policy makers e tra gli addetti ai lavori. In particolare, abbiamo proposto una critica all'idea di fondo che lega la competitività di imprese e territori ad obiettivi predefiniti e standardizzati (ad esempio la massimizzazione della produttività o delle quote di mercato). Una delle problematiche riconducibili alla fallacia dell'equiparazione degli obiettivi delle imprese e dei territori è, in particolare, legata all'idea di "fallimento strategico" sviluppata da Keith Cowling e Roger Sugden. Alla base di tale concettualizzazione ritroviamo l'idea che imprese e mercati non perfettamente concorrenziali sono soggetti al potere di interessi specifici che si concentrano al cuore delle imprese, intese nell'approccio di Ronald Coase come unità di pianificazione economica che esercitano la loro influenza sul mercato. La teoria assume che gli attori che incarnano tali interessi prendano le decisioni strategiche (e dunque implementino consistentemente una sorta di direzione) che meglio realizzano tali interessi. Di conseguenza, l'organizzazione ed il coordinamento della produzione potrebbero non realizzare gli interessi sociali e delle persone più in generale. In particolare, il modo in cui la produzione è organizzata e pianificata potrebbe non realizzare gli interessi di quei "pubblici" significativamente affetti dalla pianificazione strategica delle attività operata dall'impresa.
Le decisioni che originano fenomeni di "fallimento strategico", in particolare, sono quelle che assumono una rilevanza pubblica ma che sono prese da privati senza contemplare una partecipazione al processo decisionale di quei "pubblici" direttamente coinvolti.
È bene specificare in questo contesto che cosa si intenda per "pubblici". In particolare, considerando l'accezione data da John Dewey, gli "interessi pubblici" sono identificati attraverso molteplici gruppi di attori significativamente interessati da decisioni strategiche specifiche. Un "pubblico", pertanto, costituisce una entità da identificare e ridefinire costantemente ogni volta che viene avanzata una decisione strategica di tipo diverso. Di conseguenza, parliamo di pubblici (e dei rispettivi interessi) piuttosto che di pubblico (interesse pubblico) onnicomprensivo. L'idea di pubblico richiama quella di stakeholder, in quanto entrambi i concetti caratterizzano la rilevanza e l'impatto di alcune attività private su altri attori. I due concetti, tuttavia, differiscono. L'idea di pubblici è innanzitutto definita in maniera ampia, si collega invero agli effetti di qualunque tipo di attività privata non necessariamente riconducibile ad un ambiente imprenditoriale. È un concetto "fluido", in quanto richiama il bisogno di ridefinire il pubblico interessato da azione privata ogni volta che l'azione si presenta come risultato di una decisione strategica. Come enfatizzato sopra, questo di fatto implica che esita una molteplicità di pubblici da definire nel tempo a seguito dell'evoluzione delle scelte private. Da questo punto di vista il concetto di stakeholder si presenta più statico. Inoltre, l'idea di inclusione dei pubblici implica partecipazione nei processi decisionali attraverso la deliberazione, un criterio procedurale specifico che non necessariamente coincide con l'approccio attuale all'idea di stakeholder.
Come affrontare il problema del "fallimento strategico" o, in altre parole, del rapporto inverso (trade-off) tra obiettivi privati e obiettivi dei diversi pubblici coinvolti? Attraverso una prospettiva incentrata sulla governance, alcuni studi hanno offerto delle soluzioni a livello "macro" in cui gli obiettivi di sviluppo di una località specifica sono determinati attraverso l'inclusione dei pubblici rilevanti nei processi di scelta strategica. Una modalità di governo della produzione e di scelta economica che risolva il problema di "fallimento strategico" potrebbe essere associata alla scoperta di un processo democratico che incorpori i punti di vista delle persone influenzate dalle attività economiche locali. Pertanto, anche l'idea di competitività, che si riferisce al successo relativo di un sistema locale, verrebbe ridefinita in termini di obiettivi di sviluppo determinati democraticamente.
Il riquadro seguente propone delle domande utili a tradurre in pratica le considerazioni sopra esposte.
Problematizzare obiettivi e strumenti dell'impresa
- Problematizzazione degli obiettivi
- Quali sono gli obiettivi che l'impresa sociale si pone?
- Processo di scelta degli obiettivi
- Come si è arrivati alla definizione di tali obiettivi?
- Strumenti attraverso i quali raggiungere tali obiettivi
- Attraverso quali modalità e quali strumenti si pensa di raggiungere questi obiettivi?
- Come sono stati scelti?
- Implicazioni di forme diverse di governance
- Quale forma di governo della produzione supporta i processi di scelta?
- Scelta e diversità motivazionale
- Quali alternative sono state considerate e perché sono state scartate?
L'impresa ed il network
modificaAlla luce delle considerazioni avanzate, cerchiamo ora di capire quale sia l'impatto delle attività economiche e della loro organizzazione sulle possibilità di sviluppare sistemi economici inclusivi piuttosto che esclusivi. Le imprese sociali forniscono un punto di vista privilegiato, in quanto per loro natura dovrebbero contemplare stili di governance basati sull'inclusione dei "pubblici" interessati.
Per un approfondimento sul concetto di governance si rimanda al capitolo nono - Governance. |
L'impresa, tuttavia, non agisce in maniera isolata. Le imprese, benché diverse non solo in termini dimensionali ma anche organizzativi ed istituzionali, basano le proprie attività su di un insieme di collegamenti e relazioni con altri attori economici, per lo più rappresentati da imprese esterne. Il tema della divisione del lavoro fra imprese non è nuovo. Fu Alfred Marshall ad enfatizzare più di ogni altro come la produzione su larga scala potesse realizzarsi attraverso l'attività di unità produttive di dimensioni ridotte fra loro coordinate. Ma, attraverso il networking, non aumenta solo la scala delle attività produttive.
Per ulteriori definizioni e approfondimenti sul concetto di rete si veda il capitolo undicesimo - Strutture di supporto. |
Con la costruzione di rapporti inter-impresa o, più in generale, con altri attori rilevanti (come possono ad esempio essere le università, le amministrazioni locali, le agenzie di sviluppo, ecc.) le imprese arrivano a beneficiare di un patrimonio di conoscenza che va oltre quello individuale. La condivisione di competenze e di esperienze differenti agisce sulla natura delle attività produttive andando ad allargarne lo scopo. Se la manifattura caratterizza la produzione tangibile, la creazione e la trasmissione di conoscenza sono condizioni a prescindere dalle quali la produzione fisica non potrebbe avere luogo. Una delle motivazioni che spinge le imprese a ricercare collegamenti all'esterno sta proprio nel bisogno di trovare le competenze necessarie alla soluzione di problemi di produzione specifici. Le reti di impresa, fra le altre cose, costituiscono delle forme di organizzazione attraverso le quali le imprese possono, a diversi livelli, creare e trasferire conoscenza.
In forza dei collegamenti di cui dispongono, le imprese si impegnano in modo più o meno stringente nei confronti di attori esterni. Questo genere di commitment può essere reciproco e rappresentare una sorgente di opportunità per l'impresa, o altrimenti trasformarsi nel canale attraverso il quale l'impresa che detiene maggiore potere economico dirige l'altra.
Che significato dobbiamo allora attribuire ai network? Qual è la natura e l'impatto dei network sullo sviluppo dei sistemi economici locali? Qual è il grado di coinvolgimento delle imprese sociali locali nelle decisioni strategiche che le riguardano? In che misura le decisioni di produzione vengono prese a livello locale e quanto queste decisioni sono consistenti (coincidenti?) con gli obiettivi di sviluppo dei diversi portatori di interesse? Qual è il ruolo di forme organizzative diverse, come le imprese sociali, nella scelta delle modalità di organizzazione della produzione e di networking? Rispondiamo a queste domande attraverso una analisi che affronta due livelli: a) l'impresa ed il suo network, b) l'impresa ed i suoi "pubblici".
Il governo della produzione
modificaLa capacità delle imprese di venire coinvolte nei processi decisionali strategici che le riguardano può essere utilmente valutata attraverso lo studio della governance della loro rete di relazioni.
Un primo indicatore di governance è dato dal luogo in cui vengono prese le decisioni strategiche. Questa dimensione enfatizza chi all'interno del network governa e coordina le attività. Costituisce dunque un indicatore di come il potere si distribuisce all'interno del network. L'analisi del network dell'impresa si concentra, di conseguenza, su quelle evidenze empiriche riguardanti gli attori coinvolti nelle scelte strategiche dell'impresa in rete, sul luogo ove queste decisioni vengono prese (all'interno o all'esterno del sistema locale) e su quali siano gli interessi presi in considerazione. In questo ambito, osserviamo l'influenza dei gruppi di interesse coinvolti in problematiche che hanno un impatto sul sistema locale, come possono ad esempio essere gli utenti, la comunità locale o la pubblica amministrazione.
Il livello di commitment, nonché le possibilità di voice dell'impresa possono essere inferite da informazioni relative al grado di sunkness delle relazioni. A questo proposito osserviamo, ad esempio, la quota di fatturato riconducibile ai committenti principali, come ad esempio può essere il settore pubblico nel caso delle imprese sociali, nonché il grado di idiosincrasia degli investimenti dell'impresa rispetto ai suoi principali committenti e rispetto agli utenti, in termini di infrastrutture, tecnologia utilizzata e conoscenze acquisite.
La creazione e diffusione di competenze nei network
modificaOltre all'identificazione e alla localizzazione dei decisori, i collegamenti differiscono anche in forza dei criteri in base ai quali le problematiche con le altre organizzazioni vengono affrontate e risolte. Questo comporta uno studio del tipo di approccio al problem-solving, sia che esso venga basato su una strategia di tipo exit ovvero su una strategia di tipo voice. Ad esempio, per valutare questi elementi sarebbe rilevante conoscere il grado di tolleranza reciproca/aiuto tra le parti, sia che esista una attitudine a produrre conoscenza e, conseguentemente, aumentare le capabilities di quelli che si trovano al di sotto dei risultati attesi, o piuttosto che vi sia l'intenzione di escludere o sostituire coloro i quali non si adeguano agli standard (si veda la bibliografia ragionata a fine capitolo). Il tipo di razionalità che soggiace le relazioni influenza le intenzioni, le strategie, la forma di cooperazione così come il potenziale innovativo e di crescita delle imprese del network e del network stesso. Osserviamo, da un lato, l'atteggiamento nei confronti della circolazione della conoscenza nelle imprese collegate, evidenziando se esiste un approccio mirato ad investire tempo e risorse per creare e acquisire conoscenza congiuntamente. D'altro canto, confrontiamo l'atteggiamento dell'impresa con quello delle altre organizzazioni e imprese collegate alla rete (ad esempio, per le imprese sociali: il settore pubblico, i fornitori, le associazioni, altre imprese sociali, i consorzi, altri partner) rispetto al consolidamento delle relazioni e la possibilità di discussione e condivisione delle decisioni strategiche.
La natura delle relazioni che tengono assieme un network di imprese e i diversi sistemi di governance del network possono, dunque, avere effetti diversi e divergenti sulla promozione delle capabilities degli attori economici. Il nesso fra governance e apprendimento, tuttavia, non può prescindere da considerazioni più ampie relative alla creazione e circolazione di conoscenza sul territorio e all'interno dei settori in cui operano l'impresa ed il suo network. Dal punto di vista del policy maker, a questo proposito, risulta significativo porre in relazione: l'apprendimento all'interno dell'impresa rispetto, ad esempio, alla formazione dei lavoratori e dei volontari, ed in particolare alle modalità di apprendimento e al tempo richiesto per assimilare le tecniche e le modalità di produzione/prestazione del servizio; la frequenza dell'innovazione all'interno dell'impresa e la sua ampiezza (nelle sue forme classiche, ad esempio: innovazione di prodotto, di processo e innovazione organizzativa); la presenza e la natura delle attività di sperimentazione e sviluppo all'interno dell'impresa; eventuali spin-off originati dall'impresa; le fonti di informazione rilevanti per l'impresa. La conoscenza strategicamente significativa include, ad esempio, la conoscenza delle pratiche, delle tecnologie, dei prodotti, delle procedure organizzative, delle esigenze dell'utenza e di eventuali "pubblici". A questo proposito, ulteriori elementi di comprensione possono essere forniti dall'analisi dei gatekeepers (attori che per motivi legati alla propria posizione nel network sociale e relazionale controllano l'accesso a particolari risorse chiave) e dei punti di connessione all'interno del sistema locale che facilitano la creazione di forum per la deliberazione, i contatti e le partnership. Si pensi, ad esempio, alla possibile funzione svolta da consorzi, agenzie pubbliche, altre imprese, associazioni locali, università, o da specifiche misure di policy.
A complemento della conoscenza generata individualmente dalle imprese, le politiche che prendono in considerazione la creazione e circolazione di conoscenza sul territorio richiedono l'analisi di alcuni aspetti specifici. In particolare, suggeriamo di prendere in esame la conoscenza insita nel sistema economico locale, ad esempio: la rilevanza della conoscenza locale specializzata per le attività dell'impresa, con particolare riferimento alla disponibilità di istituti superiori e facoltà universitarie in proporzione alle rispettive fasce di età; la durata dell'istruzione obbligatoria e l'estensione dei programmi di formazione professionale; la presenza di formazione a partire dalle imprese locali e dalle organizzazioni industriali, osservandone l'efficacia, il budget a livello di settore e per dimensione d'impresa, e la presenza di supporto pubblico; la generazione di nuova conoscenza nelle imprese e in altre istituzioni, includendo gli investimenti in ricerca, sperimentazione e sviluppo e l'ammontare dei fondi di ricerca diretti alle istituzioni scolastiche locali (in termini assoluti e relativi alle somme spese altrove), nonché la capacità di sfruttare la conoscenza ivi generata; la misura in cui la nuova conoscenza è accessibile agli attori ad essa interessati nel sistema locale e, in generale, l'accesso e l'utilizzo dei mezzi di comunicazione (ivi inclusi le biblioteche e internet) per i vari attori. Ancora, il riquadro che segue traduce in questioni dirette le considerazioni sopra esposte.
Imprese sociali e networking
- Governance all'interno del network
- I rapporti con altre organizzazioni hanno trovato una istituzionalizzazione attraverso la creazione ex novo o l'ingresso in enti già esistenti, ad esempio associazioni, consorzi, partnership o altro?
- È possibile individuare una gerarchia interna tra i componenti del network?
- Chi governa il network? Chi definisce le questioni in agenda?
- Quali sono i "pubblici" coinvolti?
- Quali sono gli effetti di tale governo per i "pubblici" coinvolti, ivi incluse le imprese del network?
- Quali sono gli effetti sul sistema locale e sui settori interessati ivi localizzati?
- Diritti e possibilità effettive di apprendimento per mezzo del network e nel sistema locale
- Quali sono le principali carenze o barriere strutturali allo sviluppo dell'impresa?
- Quali delle lacune sopra menzionate sono superate in toto o in parte tramite la partecipazione al network?
- Qual è l'attitudine delle imprese del network rispetto all'apprendimento e alla trasmissione di conoscenza?
- In che misura le imprese del network perseguono una strategia di creazione e condivisione della conoscenza attraverso le relazioni con altre imprese/attori economici?
- Qual è la disponibilità di diversi indirizzi formativi sul territorio? Quali le competenze specifiche identificative del territorio?
Imprese sociali e networking
modificaLe imprese sociali, in particolare quelle definite di comunità, offrono un esempio di come una rete di relazioni incentrata soprattutto sul territorio (ma non necessariamente: l'elemento territoriale nel network non è condizione indispensabile e, anzi, talvolta collegamenti extraterritoriali possono aiutare le imprese a superare situazioni di lock-in) possa costituire la base per articolare il sistema di governo interno dell'impresa riflettendo i "pubblici" interessati all'attività dell'impresa stessa. Prendendo spunto da un caso di studio in particolare, quello della CEFF di Faenza (Studio di caso Cooperativa Sociale "CEFF - Francesco Bandini" -e Cooperativa "CEFF Servizi" - Faenza (RA)), si possono avanzare alcune considerazioni sulla eventualità di coordinare patrimonio relazionale, struttura di governo interna e inclusione dei "pubblici" rilevanti.
La caratteristica più significativa, dal nostro punto di vista, è data dal fatto che l'organizzazione reticolare si sviluppa a partire dagli stessi elementi costitutivi dell'impresa sociale ed appare come una estensione "naturale" dell'organizzazione. Essa è di norma creata ad hoc dalla dirigenza per risolvere non solo i problemi di coordinamento esterni, come può spesso succedere nel caso delle imprese tradizionali, ma anche quelli legati al suo sviluppo funzionale. Spesso si rivela essere una via forzata per la sopravvivenza e per il perseguimento degli obiettivi sociali. Dunque, nella maggior parte dei casi, le imprese sociali si sviluppano a partire dalla creazione di reti sociali di coordinamento tra tutti gli attori interessati. La solidità di tali reti può essere utilizzata anche come indice della capacità dell'organizzazione di creare capitale sociale e come indicatore della fase di sviluppo dell'organizzazione (di crescita, di maturità ovvero immaturità, di ristrutturazione ecc.), quindi come indicatore cardine dello sviluppo dei sistemi di welfare locale.
Il caso di studio proposto, in particolare, svela assetti interessanti per lo sviluppo delle imprese sociali.
- La gestione delle imprese sociali di comunità (ISC) può essere affidata, come nel caso in questione, a soci volontari. Qualora tra questi siano inclusi anche rappresentanti delle istituzioni locali (ad esempio, i servizi sociali e i centri per l'inserimento lavorativo) e delle associazioni di rappresentanza (ad esempio, nel caso della CEFF, Confcooperative, Associazione degli Industriali, A.N.P.F.A.S, ecc.) il carattere spiccatamente multi-stakeholder dell'organizzazione viene espresso anche a livello formale. Gli attori coinvolti nella gestione dell'organizzazione rappresentano i più importanti punti di riferimento rispetto ai "pubblici" interessati al ruolo svolto dall'impresa sociale.
- La rete di relazioni sia formali che informali, tese a perseguire lo scopo sociale, possono essere consolidate nel tempo, ad esempio attraverso l'inclusione dei "pubblici" rilevanti nel governo interno dell'impresa.
- Nel caso delle ISC, gli obiettivi dell'organizzazione sono in genere esplicitamente diretti ad affrontare rilevanti problematiche sociali del territorio (ad esempio il reinserimento di soggetti svantaggiati). Ove l'obiettivo esplicito sia quello di realizzare una organizzazione che abbia un ruolo sociale rilevante sul territorio, dunque, il carattere multi-stakeholder del governo dell'impresa, nonché la costruzione di una rete di relazioni dirette a rafforzare la capacità dell'organizzazione di perseguire la sua missione sociale appaiono in accordo con tali obiettivi.
- Mantenere confini fluidi, in modo da rispondere alle dinamiche territoriali (e non) rappresenta un ulteriore elemento necessario all'inclusione di eventuali "pubblici" presenti o futuri. In questo senso, i rapporti che intercorrono tra l'impresa sociale, le istituzioni locali e le imprese private, le associazioni intermedie non dovrebbero dare adito a relazioni gerarchiche improntate al controllo, ma piuttosto a relazioni improntate su mutua interdipendenza e collaborazione.
- La continua sperimentazione e la progettazione sociale all'interno delle ISC ne permette l'evoluzione (ad esempio attraverso la collaborazione con altre imprese sociali nelle dinamiche di sviluppo locale per la progettazione di iniziative comuni nel campo della formazione, della produzione, dei servizi, dell'assistenza) nonché - attraverso la creazione di nuove organizzazioni intermedie che facilitino l'inclusione dei "pubblici" - il coordinamento e la diffusione di saperi utili al territorio (ad esempio, tramite i consorzi).
Imprese sociali: networking, governo interno ed obiettivi sociali - alcune caratteristiche
- Evoluzione di un network informale e formale con lo scopo di perseguire la missione sociale.
- Il network tende a consolidarsi ma nello stesso tempo si mantiene in costante evoluzione per massimizzare il grado di inclusione e rispondere alle dinamiche del territorio.
- Alta reputazione dell'impresa nel proprio settore, basata sui contenuti e sui metodi utilizzati.
- Ruolo attivo: l'impresa è partner principale di altri attori
L'impresa e i suoi "pubblici": networking ed inclusione sulla base di valori chiave
modificaSebbene forme eterarchiche (o, in altre parole, forme organizzative orizzontali in cui non vi sia controllo gerarchico) siano desiderabili, qualora l'obiettivo sia quello di favorire una maggiore inclusione nei processi di scelta economica, rimane da chiarire che cosa richiederebbero, nella pratica, forme organizzative che riescano ad includere gli interessi dei "pubblici" e che contemplino, pertanto, quel pluralismo motivazionale richiamato inizialmente.
Siamo in sostanza alla ricerca di un criterio procedurale per valutare le relazioni, in un'ottica che consideri le modalità di relazione come parte dell'essenza delle persone, di come queste percepiscono loro stesse e ciò che definisce la loro specificità individuale. In questo contesto riprendiamo la definizione operativa da noi introdotta in un precedente lavoro che caratterizza una economia come un complesso di persone le cui relazioni, i cui comportamenti e le cui azioni influenzano l'organizzazione della produzione e, di conseguenza, anche il soddisfacimento degli interessi e bisogni umani (e non: si pensi ad esempio agli interessi delle specie animali).
Suggeriamo che l'inclusione dei pubblici interessati direttamente può essere raggiunta tramite un criterio deliberativo basato sulla formazione di preferenze mediante la discussione e lo scambio di idee e conoscenza, associato ad alcuni valori chiave. Questa prospettiva indica la necessità di costruire un sistema di relazioni economiche che prescindano da elitismo ed accordi collusivi, e che sia nel contempo incentrato sulla promozione della libertà positiva d'azione e di espressione di ciascuno. Conseguentemente proponiamo un criterio basato sull'inclusione su basi egualitarie dei pubblici coinvolti dalle decisioni.
La stessa partecipazione, come requisito, richiede che le persone abbiano uguale accesso al processo deliberativo (Young, 2002). Questo connota una forma specifica di partecipazione, contrariamente al concetto generale secondo il quale può esservi partecipazione anche su basi non egualitarie e al di fuori di un contesto di deliberazione.
È inoltre importante che l'accesso ai processi deliberativi sia informato. Attraverso la deliberazione, la discussione è infatti basata sulle possibili argomentazioni razionali che fioriscono intorno ad un argomento di comune interesse. Le scelte sono basate sulla discussione e su una volontà condivisa di raggiungere il consenso piuttosto che sul conflitto. Il dissenso viene riconosciuto come risorsa per produrre nuovi contenuti. Pertanto, come propone Iris Marion Young, il raggiungimento del consenso non è un requisito obbligatorio del ragionamento deliberativo, ma deve essere l'idea di partenza attraverso la quale le persone si relazionano e partecipano al dibattito.
In forza del principio deliberativo, inoltre, alcuni comportamenti vengono esclusi in partenza in quanto incompatibili con esso. Ad esempio, non sarebbero compatibili comportamenti incentrati sulla sola razionalità strumentale che mirino a massimizzare gli obiettivi individuali a prescindere dalle esigenze contrastanti di altri pubblici rilevanti. Coloro che vedono come prioritarie le interazioni basate sulla deliberazione non darebbero spazio a relazioni con persone che basano i propri criteri relazionali su una razionalità sostanzialmente strumentale, proprio per non violare il bisogno fondamentale di impostare le relazioni su rapporti di mutua dipendenza, sympathy (concetto smithiano con cui si intende la capacità di una persona di identificasi con un'altra persona e condividerne le sensazioni), rispetto e reciprocità.
Che cosa sia richiesto di preciso per realizzare relazioni basate su processi deliberativi costituisce oggetto di apprendimento da parte degli attori economici. Ciò che ci preme sottolineare in questo contesto è che partecipare al processo deliberativo implica necessariamente apprendimento continuo. Una prima ragione sta nel fatto che la ricerca di compatibilità con gli interessi pubblici nell'organizzazione della produzione non costituisce meramente l'area d'azione di interessi esclusivi. Piuttosto, all'interno di una organizzazione della produzione che serva gli interessi di tutti i pubblici, le decisioni economiche interessano quei pubblici, ivi incluse le nuove generazioni che continuamente emergono.
La seconda ragione, legata chiaramente alla prima, fa riferimento invece al continuo mutare di circostanze, condizioni, opportunità, preferenze e valori che influenzano i pubblici effettivi e potenziali in un'economia dinamica. Questi cambiamenti vanno "appresi", devono essere oggetto di riflessione in modo da consentire agli attori di plasmarne alcuni aspetti, formare risposte e rigenerare prospettive.
In questo contesto, esplicitiamo il concetto di mental proximity: questa si instaura fra un insieme di persone nell'organizzazione della produzione qualora ognuna ricerchi compatibilità con gli interessi e bisogni dei vari pubblici attraverso l'adozione condivisa del principio di democrazia deliberativa, basata sui suoi valori necessari. Questi comprendono:
- rifiuto di poteri esclusivi che controllano i processi decisionali strategici;
- libertà positiva;
- inclusione su base egualitaria;
- partecipazione informata;
- desiderio di raggiungere un consenso;
- sympathy;
- rispetto reciproco;
- reciprocità;
- apprendimento continuo.
Verso la mental proximity: "i network di comunità"
modificaAvendo presentato le fondamenta analitiche del concetto di "mental proximity", consideriamo gli spostamenti che avvicinano il network verso questo modello ideale. L'assunto di fondo è che un insieme di persone che si relazionano sulla base di mental proximity condividono valori e regole di comportamento. In questo senso, questo gruppo di persone costituisce sia una comunità, sia un network. Per questo motivo chiamiamo "network di comunità" quei sistemi di persone che si relazionano in accordo con i principi di mental proximity.
Un network di comunità si baserà sull'inclusione dei "pubblici" interni al network, ma anche di quelli esterni, che abbraccino i valori del network, qualora questi pubblici siano identificabili ed identificati. In questo senso, l'idea di network di comunità implica che le relazioni con i pubblici esterni siano sviluppate attivamente, in modo da apprenderne progressivamente caratteristiche e rilevanza. Il network emergerà, dunque, attraverso la creazione di un corpo di conoscenza comune, favorito dal processo deliberativo che, in quanto tale, implica scambio di idee e conoscenze e genera, pertanto, apprendimento.
Le interazioni a livello di network di comunità possono inoltre svilupparsi su distanze lunghe, anche se un certo grado di prossimità spaziale diviene occasionalmente necessaria proprio per favorire i processi di deliberazione. La prossimità spaziale non deve essere costante, bensì necessaria solo occasionalmente, affinché attraverso lo scambio di esperienze faccia a faccia si sviluppino relazioni più profonde, una condizione indispensabile per la creazione di mental proximity tra le persone e per lo scambio di quel tipo di conoscenza tacita di cui ciascun individuo è depositario e che non potrebbe essere trasmessa se non attraverso la collaborazione a stretto contatto.
Suggeriamo inoltre che movimenti verso la mental proximity possano essere favoriti dall'intuizione razionale iniziale delle persone sugli altri, così come dal successivo consolidarsi delle relazioni nel tempo. Attraverso questo processo - intuizione iniziale e successivo eventuale consolidamento della relazione - gli individui si autoselezionano, andando a dare spazio a quei legami che intuitivamente sono compatibili con i valori di ciascuno, e che poi si sviluppano man mano che le persone apprendono e adattano le proprie preferenze attraverso la deliberazione. L'intuizione iniziale si basa sull'osservazione di come le persone si relazionano con gli altri, di come comunicano e di come costruiscono i legami. Sebbene i valori e le regole che sottostanno alla comunicazione sono un risultato del processo deliberativo, un certo livello di comunicazione è necessario ex-ante al fine di delineare regole e valori che definiscono la condotta nella fase iniziale della comunicazione, prima che questa venga determinata in maniera esplicita. Ad esempio, indicazioni iniziali rispetto a regole e valori ritenuti significativi possono essere diffuse verso l'esterno attraverso la comunicazione dei concetti che le persone e le organizzazioni sono interessate a sviluppare, oppure si possono considerare gli obiettivi dichiarati dall'organizzazione (un sito web, per esempio, può indicare concetti di riferimento, valori e regole di comportamento specifici e potenzialmente compatibili con la mental proximity dando dei segnali espliciti a chi è in cerca di partnership). Successivamente, la codifica delle regole e dei valori deriverà dall'esperienza pratica di partecipazione aperta e di deliberazione.
Fattori chiave per la creazione e riproduzione nel tempo del "network di comunità"
- Definizione dei "pubblici" all'interno e all'esterno del network.
- Apertura del network - ricerca attiva della compatibilità con gli interessi dei "pubblici" attraverso la deliberazione.
- Apprendimento: processo durante il quale emerge il network e vengono costituite le relazioni appropriate attraverso la creazione di un corpo di conoscenze adeguato.
- Intuizione razionale iniziale su come le persone concepiscono le relazioni, le regole di comunicazione.
- Consolidamento nel tempo (mantenendo apertura)
- La prossimità spaziale non è costantemente necessaria.
Nella realtà possiamo cercare di capire quale sia il livello di mental proximity presente nei network o nelle organizzazioni. Se consideriamo mental proximity come un benchmark, come valutare di quanto un network o un'organizzazione si avvicinano alla realizzazione di un sistema basato sulle caratteristiche sopra esplicitate? Un primo elemento da valutare è rappresentato dalla volontà di intraprendere attività congiuntamente nel network di comunità, rispetto alla volontà di intraprendere attività con altri, in particolare persone anonime. In secondo luogo, è necessario valutare la presenza, la forma e l'impatto di processi deliberativi. Alcuni punti critici a riguardo includono i metodi e le condizioni del dibattito e della persuasione, le modalità di comunicazione, la frequenza con la quale si verificano incontri faccia a faccia rispetto alla comunicazione a distanza, nonché i contenuti discussi. A questo proposito, va rilevato se vi siano elementi per affermare che la deliberazione è influenzata da alcuni attori più che da altri, e in caso affermativo, cosa sta alla base di tale potere di influenza. Ancora, al fine di valutare i processi deliberativi appare rilevante la misura in cui le persone ricercano consenso rispetto alle attività svolte, piuttosto che azioni intraprese indipendentemente dalla volontà degli altri. Importanti affinità tra gli attori possono essere inoltre ricercate osservando il grado di diversità/similarità nei background (in termini di cultura, abitudini, regole) apportati dalle persone, attraverso un eventuale interesse condiviso in idee e valori specifici, ivi compresi "partecipazione", "democrazia" e "libertà" e, in particolare, il grado di condivisione di tale interesse. Per quanto riguarda l'evoluzione delle relazioni, particolare attenzione va rivolta ai cambiamenti significativi nelle relazioni tra le persone ed i "pubblici" nel tempo, nonché alle opportunità ed ai processi per apprendere quali siano gli interessi altrui. Conseguentemente, i processi deliberativi vanno valutati anche in base alla misura in cui le persone sono consapevoli degli interessi dei "pubblici interni" al network e al grado di permeabilità rispetto a problematiche di "pubblici esterni". Infine, come risultato del processo di deliberazione, sono rilevanti la presenza, la forma e gli effetti dei tentativi rivolti a codificare valori e regole.
Tenendo presente il sistema di valori fin qui presentato e considerandolo come metro di paragone per le relazioni reali sulle quali si basa l'impresa sociale, proponiamo, a conclusione, alcuni quesiti che possono aiutare a caratterizzare il network e dunque a valutare di quanto questi si discostino nella sostanza da quelli che identificano un network di comunità.
Interrogarsi sui valori alla base delle relazioni
- Quali sono i valori/principi condivisi con gli altri attori sui quali si basa la collaborazione?
- Quali di questi valori sono indispensabili per porre in essere un rapporto di collaborazione? Sono valori codificati (ad es. in un accordo privato, in uno statuto, in una dichiarazione di principi di partnership, ecc.), sono tacitamente condivisi, o entrambi?
- Esistono e a che cosa andrebbero ricondotte le principali tensioni all'interno del network?
- Si sono sviluppate delle discrasie fra i valori ed i principi della collaborazione ed il comportamento effettivo dei partner? In caso affermativo, quali azioni sono previste? (problema dell'exit o della voice)
Capabilities
Il concetto di capabilities fa riferimento a ciò che l'organizzazione è in grado di fare. In altre parole, si intende l'insieme di conoscenze che costituiscono la capacità dell'impresa e che determinano il tipo di attività che l'impresa può intraprendere. Tale insieme di conoscenze risiede sia negli individui che operano nell'impresa, sia nelle ‘routines' che l'impresa ha messo a punto nel corso del tempo.
Nelson R. R., Winter S. G., An Evolutionary Theory of Economic Change, Harvard University Press, Cambridge 1982.
Commitment, sunkness e idiosincrasia degli investimenti
Investimenti in attrezzature o tecnologie specifiche, ad esempio, richiedono che le imprese siano impegnate (committed) in un processo di interazione duratura con altre organizzazioni specializzate in attività complementari.
Per grado di sunkness si intende il grado di non recuperabilità di certuni investimenti (anche relazionali) nel caso le attività per le quali questi investimenti erano stati effettuati cessino.
Gli investimenti sono idiosincratici quando sono altamente specifici e a carattere complementare rispetto agli investimenti delle imprese/organizzazioni con le quali si pone in essere la transazione o il rapporto di collaborazione. Essi costituiscono risorse specifiche dedicate ad una determinata transazione, ad esempio il rapporto con un determinato committente. Questi investimenti perdono di valore se la transazione cessa di esistere. Più le risorse in cui si investe sono specifiche (ossia, di uso non generico) rispetto a determinate attività, maggiore sarà la idiosincrasia rispetto alle risorse complementari delle altre organizzazioni con cui l'impresa collabora. Maggiore è l'idiosincrasia, maggiore deve essere il commitment ed il coordinamento tra le organizzazioni, proprio perché si verificherebbero perdite di valore produttivo nel caso in cui transazioni altamente specifiche e a carattere complementare cessassero di esistere.
Williamson O., Le istituzioni economiche del capitalismo, Angeli, Milano 1987.
Competitività
Un approccio critico si trova in:
Bristow G., "Everyone's a ‘winner': problematising the discourse of regional competitiveness", Journal of Economic Geography, 5, 2005, pp. 285-305.
Sacchetti S., Sugden R., "Creativity in Economic Development: Space in an Inferno", Institute for Economic Development Policy (IEDP) Discussion Paper Series, 2, 2007, University of Birmingham.
Network
Markusen A. 1996, "Sticky places in slippery space: a typology of industrial districts", Economic Geography Vol. 72, n. 2, 1996, pp. 294-314.
Sacchetti, S., Sugden R. "The governance of networks and economic power: the nature and impact of subcontracting networks", Journal of Economic Surveys, 17(5), 2003, pp. 669-691.
Pluralismo motivazionale
Sul pluralismo motivazionale si veda:
Penrose E. T., "Biological analogies in the theory of the firm", American Economic Review, 42(5), 1952, pp. 804-819.
Problem solving
Il problem-solving, in particolare, fa riferimento alla teoria sviluppata da Hirschman, poi ripresa da Susan Helper nel suo studio relativo alle relazioni di fornitura nell'industria automobilistica americana. Derivando la terminologia dal lavoro di Hirschman, Helper definisce due modi di gestione del conflitto in una relazione fra cliente e fornitore: exit e voice. Nei rapporti di subfornitura, ad esempio, la strategia di exit implica che il cliente committente scelga di sostituire il fornitore qualora insorgano dei problemi; al contrario la strategia di voice esprime una situazione in cui il cliente affronta eventuali problemi insieme ai fornitori lavorando congiuntamente alla soluzione.
Helper S., "An exit-voice analysis of supplier relations: the case of the US automobile industry" in Grabher G. (ed. by), The Embedded Firm, Routledge, London and New York 1993, pp. 141-160.
Hirschman A. O., Lealtà, defezione, protesta: rimedi alla crisi delle imprese, dei partiti e dello stato, Milano, Bompiani 1982.
Pubblico e democrazia deliberativa
Branston J. R., Cowling K, Sugden R. "Corporate governance and the public interest", International Review of Applied Economics, 20(2), 2006, pp. 189-212.
Dewey J., The Public and its Problems, Holt, Denver 1927.
Fishkin J., La nostra voce: opinione pubblica e democrazia, una proposta, Marsilio, Venezia 2003.
Habermas J., Fatti e norme: contributi a una teoria discorsiva del diritto e della democrazia, Guerini, Milano 1996.
Held D., Democrazia e ordine globale, Asterios, Trieste 1999.
Sacchetti S., Sugden R., "The Organization of Production and its Publics: Mental Proximity, Markets and Hierarchies" Review of Social Economy, forthcoming.
Young I. M., Inclusion and Democracy, Oxford University Press, Oxford 2002.
Razionalità comunicativa
Riprendendo il concetto di razionalità comunicativa di Habermas, che ritroviamo per altro anche alla base dell'analisi di Lundvall sull'apprendimento interattivo, consideriamo due tipi di razionalità: strumentale e comunicativa. La razionalità strumentale caratterizza il comportamento strategico degli attori nell'analisi che tipicamente si basa sui costi di transazione. In questo caso la creazione di fiducia fra produttore e utilizzatore si basa su considerazioni strategiche eventualmente legate alla reputazione degli attori, vale a dire su un continuo calcolo dei costi e dei benefici della collaborazione, determinando conseguentemente relazioni dal carattere debole e instabile. L'idea di razionalità comunicativa - costruita sul concetto di "azione comunicativa sviluppato da Habermas - è, al contrario, orientata ad un processo di comprensione inteso come "emancipazione" degli attori (herrschaftsfrei, libero da dominio). Al di là della dualità fra utilizzatore e produttore, il concetto di razionalità comunicativa fa riferimento al potenziale d'apprendimento insito nelle relazioni fra imprese (Lundvall). Uno dei presupposti fondamentali di questo approccio sta nell'idea che i partner di un network siano coinvolti in un continuo processo socio-economico di scambio, attraverso il quale - gradualmente - si delineano rapporti di mutua fiducia.
Habermas J., Teoria dell'agire comunicativo: razionalità nell'azione e razionalizzazione sociale, vol. I, Il Mulino, Bologna 1997.
Lundvall, B. Å. (ed. by), National Systems of Innovation. Towards a Theory of Innovation and Interactive Learning, Pinter, London and New York 1992.
Reciprocità
Sul concetto di reciprocità si veda:
Bruni L., Zamagni S., Economia civile. Efficienza, equità, felicità pubblica, Il Mulino, Bologna 2004.
Scelte strategiche
Per scelte strategiche intendiamo pianificare la direzione della produzione, determinare gli obiettivi più ampi dell'impresa e, perciò, governare l'impresa. Ciò include la capacità di determinare in senso ampio l'orientamento geografico dell'impresa, le sue relazioni con altre imprese e con i dipendenti.
Zeitlin M., "Corporate Ownership and Control: the Large Corporations and the Capitalist Class", American Journal of Sociology Vol. 79, n. 5, 1974, pp. 1073-1119.