Antologia ebraica/Storia di Ahikar
La Storia di Ahikar o Le parole di Ahikar è un apocrifo dell'Antico Testamento scritto originariamente in aramaico. Il nucleo originario è di origine giudaica e risale al V secolo p.e.v., con possibili ampliamenti cristiani del II secolo e.v.
Narra la storia di Ahikar, gran visir di Assiria durante i regni di Sennacherib ed Esarhaddon (VII secolo p.e.v.). Privo di figli naturali adotta Nadan figlio di sua sorella come suo successore. L'ingrato Nadab però complotta contro lo zio, ma alla fine prevale la giustizia con la riabilitazione di Ahikar e la condanna di Nadab.
Il protagonista è Ahikar uh-hi’kahr (scritto in aramaico imperiale, אחיקר), in Siriaco ܐܚܝܩܪ, e traslitterato come Aḥiqar, arabo حَيْقَار Ḥayqār, greco antico Achiacharos, slavo Akyrios, e varianti su questa radice, armeno: Խիկար Xikar, turco ottomano Khikar, un sapiente celebre nel Vicino Oriente antico per la sua libertà fuori dal comune..
Nel Codex Sinaiticus è attestato come Acheicharos o Acheikar, nel Codex Alexandrinus e nel Codex Vaticanus come Achiacharos, nella Vetus Latina come Ahikarus. Ci è pervenuto una versione del testo in armeno (una storia di Hikare), in siriaco, in arabo (una storia di al-Hajkare). È nota la versione in slavo "racconto di Akira il saggio", datata XII secolo.
Il testo italiano è riportato qui di seguito.
Storie e massime di Ahikar
modificaScrivo inoltre con il sostegno divino le massime ovvero la storia di Ahikar, saggio e ministro di Sennacheribbo, re di Assur e di Ninive.
Nel ventesimo anno di Sennacheribbo, figlio di Esarhaddon, re di Assur e di Ninive, io, Ahikar, sono stato il ministro del re. Quando ero giovane mi fu detto che non avrei avuto alcun figlio. La ricchezza che ho ottenuto è troppo grande perché ne possa parlare: presi in moglie sessanta donne e costruii loro sessanta castelli, ma un figlio non l'ebbi. Allora, io, Ahikar, eressi un grande altare tutto di legno, e, appiccatovi il fuoco, e, collocatevi sopra vivande prelibate, dissi così: "O Dio, mio Signore!
Se morirò senza aver lasciato un figlio, che dirà la gente di me? ‘Avete visto Ahikar’ diranno ‘che è stato giusto, buono e devoto a Dio? E' morto e non ha lasciato un figlio che lo seppellisse; neppure una figlia. E i suoi beni, come quelli di un reprobo, non li ha ereditati nessuno!’. Ma io ti supplico, o Dio, che mi nasca un figlio maschio, il quale mi copra gli occhi con la terra quando morirò". Udii allora questa voce: "O Ahikar, ministro saggio! Tutto ciò che mi hai chiesto, te l'ho dato; ti ho lasciato però senza figli. Ciò ti basti; non tormentarti. Pensa invece a Nadan, figlio di tua sorella: sia lui per te come un figlio, a cui, durante la sua crescita, tu possa insegnare ogni cosa!". Udite queste cose, mi rattristai di nuovo e dissi: "O Dio, mio Signore! Mi darai dunque per figlio Nadan, mio nipote, perché getti la terra sui miei occhi quando morirò?", ma non mi fu rivolta alcuna risposta. Eseguii allora il Suo ordine e adottai mio nipote Nadan. Poiché era ancora un bambino gli destinai otto nutrici e lo allevai come mio figlio (nutrendolo) con il miele, facendolo sedere su tappeti preziosi e rivestendolo di bisso e di porpora. Mio figlio crebbe e si sviluppò come un cedro e, quando fu cresciuto, gli insegnai le lettere e la sapienza.
Tornato che fu da dove si era recato, il re mi convocò dicendomi: "O Ahikar, mio saggio ministro e consigliere!
Quando sarai diventato vecchio e morirai, chi dopo di te riuscirà a servirmi allo stesso modo?". Gli risposi: "Viva in eterno il mio signore il re! Ho un figlio che è altrettanto saggio, conosce le lettere quanto me ed è istruito". Disse allora il re: "Portalo e fammelo vedere. Se è idoneo a stare al mio cospetto, ti lascerò andare in pace a trascorrere la tua vecchiaia onorevolmente finché‚ terminerai i tuoi giorni". Allora condussi mio figlio Nadan e lo presentai al re, e il re mio signore, allorché lo vide, disse: "Sia benedetto questo giorno davanti a Dio, perché Ahikar verrà ricompensato in modo adeguato a come egli si è condotto di fronte a mio padre Esarhaddon e a me, e io stabilirò suo figlio alla mia porta mentre lui vive, sì che possa uscir di vita (in pace)". Allora io, Ahikar, mi prostrai davanti al re dicendo: "Viva in eterno il mio signore il re! Affinché, come io mi sono condotto di fronte a tuo padre e a te fino ad ora, così pure tu, signore mio, sii indulgente nei confronti della giovane età di questo mio figlio, in modo che la benevolenza che hai avuto nei miei riguardi si raddoppi (verso di lui)". Udite queste parole, il re mi porse la sua destra ed io, Ahikar, mi prostrai davanti al re. Non smisi di istruire mio figlio fin tanto che non lo satollai di insegnamenti come di cibo e di acqua e solevo dirgli così:
1. Ascolta Nadan, figlio mio, e segui il mio consiglio e sii memore delle mie parole come se fossero le parole di Dio.
2. Figlio mio Nadan, se hai sentito una diceria, lasciala morire nel tuo cuore e non rivelarla ad alcuno, affinché non diventi un tizzone ardente nella tua bocca e non ti bruci, e per non marchiare d'infamia la tua anima e non risentirti contro Dio.
3. Figlio mio, non riferire ciò che hai udito e non rivelare ciò che hai visto.
4. Figlio mio, non sciogliere il nodo che è sigillato e non sigillare quello che è sciolto.
5. Figlio mio, non levare gli occhi verso una donna imbellettata e bistrata; non concupirla nel tuo cuore, perché, anche se tu le dessi tutto ciò che possiedi, non troveresti in essa alcun vantaggio e commetteresti un peccato contro Dio.
6. Figlio mio, non commettere adulterio con la moglie del tuo vicino, affinché altri non facciano lo stesso con tua moglie.
7. Figlio mio, non essere precipitoso come il mandorlo, che fiorisce per primo, mentre il suo frutto viene mangiato per ultimo. Sii invece equilibrato e giudizioso come il gelso, che fiorisce per ultimo e il cui frutto viene mangiato per primo.
8. Figlio mio, tieni gli occhi abbassati, modera la tua voce e guarda da sotto le palpebre, perché non è con la voce alta che si costruisce una casa. (Se così fosse,) un asino potrebbe costruire due case in un sol giorno; e se l'aratro potesse essere guidato dalla forza bruta, il vomere non sarebbe mai slegato dalla spalla del cammello.
9. Figlio mio, è meglio trasportare pietre assieme a un saggio che bere vino assieme a uno stolto.
10. Figlio mio, versa il vino sulle tombe dei giusti piuttosto che berlo con uomini iniqui.
11. Figlio mio, assieme a un uomo saggio non ti corromperai, mentre con un uomo corrotto non acquisterai saggezza.
12. Figlio mio, frequenta l'uomo saggio, ché diventerai saggio come lui, e non frequentare l'uomo ciarliero e linguacciuto, ché saresti annoverato assieme a lui.
13. Figlio mio, fintantoché‚ hai dei calzari ai piedi, calpesta i cardi selvatici e fa' strada ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli.
14. Figlio mio, se un ricco mangia un serpente, la gente dice che l'ha mangiato come medicina; se invece lo mangia un povero, dice che lo ha fatto per fame.
15. Figlio mio, mangia la porzione che ti spetta e non disprezzare i tuoi compagni.
I6. Figlio mio, con l'impudico neppure il pane devi mangiare.
17. Figlio mio, non essere invidioso per i successi del tuo nemico e non rallegrarti neanche per i suoi insuccessi.
18. Figlio mio, non avere a che fare o‚ con una donna che parla a bassa voce, o‚ con una donna dalla voce stridula.
19. Figlio mio, non andar dietro alla bellezza della donna e non concupirla nel tuo cuore, perché la (vera) bellezza della donna è il buon senso e il suo (vero) ornamento è la dizione della sua bocca.
20. Figlio mio, se il tuo nemico ti affronta con malvagità, tu affrontalo con saggezza. 21. Figlio mio, l'iniquo (alla fine) cade e non si rialza (più); il giusto invece è inamovibile perché‚ Dio è con lui.
22. Figlio mio, non essere avaro di botte con tuo figlio, perché‚ le botte per un ragazzo sono come il concime per un orto, come la corda per l'asino e ogni altro animale e come il laccio alla zampa di un asino.
23. Figlio mio, sottometti tuo figlio finché‚ è giovane, fintantoché‚ non prevalga su di te, non ti si ribelli e tu non abbia a vergognarti dei suoi misfatti.
24. Figlio mio, compera un toro robusto e corpulentoe un asino dai buoni zoccoli, ma non procurarti uno schiavo incline alla fuga, o‚ una serva proclive al furto, perché potrebbero distruggere tutto ciò che possiedi.
25. Figlio mio, le parole dell'impostore sono come uccelli grassi e chi non ha senno le divora.
26. Figlio mio, non provocare le maledizioni di tuo padre e di tua madre, perché‚ potresti non rallegrarti dei successi dei tuoi figli.
27. Figlio mio, non andare disarmato per la via, perché‚ non sai quando ti aggredirà il tuo nemico.
28. Figlio mio, così come l'albero si fregia delle sue fronde e dei suoi frutti e la montagna boscosa (si fregia) dei (suoi) alberi, così l'uomo si fregia di sua moglie e dei suoi figli. Infatti l'uomo che non ha fratelli, n‚ moglie, n‚ figli è disprezzato e tenuto a vile dai suoi nemici ed è paragonabile ad un albero in prossimità della strada, da cui ogni passante prende qualcosa e le cui fronde vengono danneggiate da ogni animale selvatico.
29. Figlio mio, non dire che il tuo padrone è stolto e che tu sei saggio. Accettalo invece con le sue debolezze e ti guadagnerai il suo affetto.
30. Figlio mio, non considerarti saggio quando gli altri non ti considerano tale.
31. Figlio mio, non mentire quando parli al tuo padrone, perché potrebbe rimproverarti e dirti di allontanarti dalla sua vista.
32. Figlio mio, siano veraci le tue parole, sicché‚ il tuo padrone ti voglia vicino e tu possa vivere.
33. Figlio mio, nelle avversità non imprecare contro Dio, perché udendoti potrebbe adirarsi contro di te.
34. Figlio mio, non trattare il tuo servo meglio di un suo compagno, perché non sai chi di loro alla fine ti sarà più necessario.
35. Figlio mio, colpisci con pietre il cane che ha abbandonato il suo padrone per venirti dietro. 36. Figlio mio, il gregge che segue troppi sentieri è preda dei lupi.
37. Figlio mio, sii retto nei tuoi giudizi in gioventù per avere onore nella tua vecchiaia.
38. Figlio mio, addolcisci la tua lingua e insaporisci il tuo eloquio, perché la coda del cane gli procura il pane, mentre la bocca (gli procura) percosse.
39. Figlio mio, non permettere al tuo vicino di calpestarti il piede; perché potrebbe calpestarti anche il collo.
40. Figlio mio, l'uomo (saggio) colpiscilo con parole sagge, che siano nel suo cuore come una febbre d'estate; lo stolto invece non capisce neppure se gli dai molte bastonate.
41. Figlio mio, se dai un incarico a un saggio, non dargli (troppi) ordini; se invece vuoi darlo a uno stolto, va' (piuttosto) tu stesso e non mandarlo.
42. Figlio mio, metti alla prova tuo figlio con pane e acqua. Dopo di che, lasciagli in mano i tuoi beni e le tue ricchezze.
43. Figlio mio, sii il primo a uscire dal convito e non rimanere per gli unguenti fragranti, perché potresti (invece) riceverti delle percosse alla testa.
44. Figlio mio, chi ha le mani piene viene chiamato saggio e onorato; chi invece è a mani vuote viene chiamato sciagurato e abietto.
45. Figlio mio, ho trasportato il sale e ho rimosso il piombo, ma non ho visto nulla di più gravoso di un debito che si debba estinguere quantunque non sia (mai) stato contratto.
46. Figlio mio, ho trasportato ferro e ho spostato pietre, ma non erano tanto pesanti quanto un genero che si stabilisca presso suo suocero.
47. Figlio mio, insegna a tuo figlio che cosa sono la fame e la sete, affinché amministri la sua casa avvedutamente.
48. Figlio mio, un cieco agli occhi è meglio di uno che sia cieco al cuore. Il cieco agli occhi infatti impara facilmente la strada e la percorre; il cieco al cuore invece abbandona la retta via e si smarrisce.
49. Figlio mio, un amico vicino è meglio che un fratello lontano e una buona reputazione è meglio che una grande bellezza, perché il buon nome resta in eterno, mentre la bellezza svanisce e appassisce.
50. Figlio mio, è meglio morire che vivere per l'uomo che non ha pace ed è meglio la voce di un lamento funebre nelle orecchie di uno stolto che musica e allegria.
51. Figlio mio, è meglio una zampa in mano che un'anitra nella pentola altrui ed è meglio una pecora vicina che una mucca lontana. E' meglio un solo passero in mano che mille in volo ed è migliore una povertà che raccoglie di una ricchezza che dissipa. E' meglio la veste di lana che hai indosso che il bisso e le sete altrui.
52. Figlio mio, trattieni la parola nel tuo cuore e non avrai a pentirtene, perché quando hai cambiato la tua parola hai già perduto un amico.
53. Figlio mio, non esca una parola dalla tua bocca prima di esserti consultato nel tuo cuore, perché è meglio inciampare nel proprio cuore che inciampare sulla lingua.
54. Figlio mio, se ascolti una brutta parola, mettila sette cubiti sotto terra.
55. Figlio mio, non indugiare in una contesa, perché dal litigio ha origine l'omicidio.
56. Figlio mio, chiunque non emetta una giusta sentenza, fa andare in collera Dio.
57. Figlio mio, (non) allontanarti dall'amico di tuo padre, perché il tuo amico potrebbe non venire da te.
58. Figlio mio, non scendere nel giardino dei principi e non avvicinarti alle loro figlie.
59. Figlio mio, soccorri il tuo amico di fronte al sovrano, in modo da poterlo soccorrere dal leone.
60. Figlio mio, non rallegrarti per la morte del tuo nemico.
61. Figlio mio, quando vedi un uomo più anziano di te, alzati di fronte a lui.
62. Figlio mio, se le acque si sostenessero senza la terra, se l'uccello volasse senza ali, se il corvo divenisse bianco come la neve e se l'amaro diventasse dolce come il miele, allora lo stolto diverrebbe saggio.
63. Figlio mio, se sei un sacerdote di Dio, sii scrupoloso nei suoi riguardi. Entra alla sua presenza in stato di purità e non allontanarti dal suo cospetto.
64. Figlio mio, se Dio rende prospero qualcuno, onoralo anche tu.
65. Figlio mio, non contendere con un uomo nel suo giorno (migliore) e non affrontare un fiume quando è in piena.
66. Figlio mio, l'occhio dell'uomo è come una sorgente d'acqua: non si sazia di ricchezze fintantoché‚ non si è riempito di terra.
67. Figlio mio, se vuoi diventar saggio, impedisci alla tua bocca di mentire e alla tua mano di rubare. Allora diventerai saggio.
68. Figlio mio, non fungere da sensale di matrimonio per una donna, perché, se le andrà male, ti maledirà; se invece le andrà bene, non si ricorderà (più) di te.
69. Figlio mio, chi è ricercato nei suoi abiti è ricercato anche nelle sue parole; chi invece è trascurato nei suoi abiti è trascurato anche nelle sue parole.
70. Figlio mio, se rinvieni qualcosa davanti a un idolo, offrigliene una parte.
71. Figlio mio, la mano che era sazia e che (poi) ha avuto fame è generosa; non lo è invece la mano che era affamata e che (poi) si è saziata.
72. Figlio mio, i tuoi occhi non si fissino su una donna bella e non vagheggiare una bellezza che non ti appartiene, perché molti si sono rovinati per la bellezza di una donna e il suo amore è (stato) come un fuoco che brucia.
73. Figlio mio, lascia che il saggio ti sferzi molte volte, ma non che lo stolto ti unga d'olio aromatico.
74. Figlio mio, non corra il tuo piede presso l'amico, perché egli potrebbe stancarsi di te e odiarti.
75. Figlio mio, non metterti un anello d'oro al dito se non è tuo, perché gli stolti potrebbero
deriderti.
Questo fu l'insegnamento che Ahikar impartì a suo nipote Nadan.
Io, Ahikar, ero convinto che Nadan avesse accolto nel suo cuore quanto gli avevo insegnato e
che mi sostituisse alla porta del re. Ignoravo che egli non aveva dato ascolto alle mie parole e
che, invece, le dissipava come al vento e andava dicendo: "Mio padre Ahikar è diventato
(troppo) anziano ed è ormai sul ciglio della tomba; la sua intelligenza è regredita ed è
diminuito il suo ingegno". Inoltre Nadan cominciò a maltrattare i miei servi percuotendoli,
uccidendoli e trucidandoli, senza risparmiare (neppure) i miei bravi e affezionati servitori e
domestiche in età avanzata. Abbatté i miei cavalli e azzoppò i miei muli migliori.
Quando mi accorsi che mio figlio Nadan aveva commesso queste odiose azioni, lo ripresi
dicendo: "Nadan, figlio mio, non toccare le mie proprietà. Figlio mio, un proverbio dice: ‘Ciò
che la mano non possiede, l'occhio non lo risparmia’". Riferii poi al mio signore Sennacheribbo
tutte queste cose ed egli sentenziò così: "Fintantoché‚ Ahikar vive, nessuno avrà potere sui
suoi averi".
Un'altra volta, avendo visto che suo fratello Nabuzardan stava a casa mia, mio figlio Nadan si
irritò molto e si mise a dire: "Mio padre Ahikar è invecchiato, la sua saggezza sta svanendo e
le sue parole, già sagge, sono ora prive di senso, sicché potrebbe dare i suoi beni a mio
fratello Nabuzardan e cacciarmi via dalla sua casa".
Quando io, Ahikar, sentii queste cose, dissi: "Guai a te, o mia saggezza, perché mio figlio
Nadan ti ha frainteso! Le mie sagge parole, le ha accusate di follia!".
Sentito questo, Nadan si infuriò e si recò alla porta del re e, tramando in cuor suo contro di
me, si mise a scrivere due lettere a due re nemici di Sennacheribbo mio signore; la prima ad
Akhi, figlio di Hamselim, re della Persia e dell'Elam, così concepita: "Da parte di Ahikar,
ministro e guardasigilli di Sennacheribbo, re di Assur e di Ninive, salve! Quando ti sarà
giunta questa lettera, muoviti e vienimi incontro ad Assur e io ti farò entrare in Assur. Ti
impadronirai così del regno senza colpo ferire". La seconda lettera che scrisse (diceva così): "Al
Faraone, re dell'Egitto, da parte di Ahikar, ministro e guardasigilli del re di Assur e di Ninive,
salve! Non appena questa lettera giungerà a te, muoviti e vienimi incontro nella Vallata delle
Aquile, che è situata nel sud, il venticinquesimo giorno del mese di Ab. Io ti farò entrare in
Ninive senza combattere e tu ti impadronirai del regno". E imitò in questi suoi scritti la mia
calligrafia, li sigillò nel palazzo e se ne andò.
Scrisse poi un'altra lettera a me, fingendo che provenisse dal re Sennacheribbo mio signore, e
la redasse così: "Da parte del re Sennacheribbo ad Ahikar, mio ministro e guardasigilli, salve!
Quando ti sarà giunta questa lettera, raduna tutto l'esercito presso il monte chiamato Sis. Parti
quindi da quel luogo e raggiungimi nella Vallata delle Aquile, che è situata nel sud, il
venticinquesimo giorno del mese di Ab. Non appena avrai visto che mi avvicino a te, schiera
contro di me il tuo esercito in formazione di battaglia, perché sono giunti da me gli
ambasciatori del Faraone, re dell'Egitto, per vedere che esercito possiedo".
Dopodiché, il mio figlio Nadan mi inviò questa lettera per mano di due soldati del re; quindi,
prese le lettere che aveva scritto come se le avesse appena trovate e le lesse di fronte al re.
Sentitele, il re mio signore si lamentò dicendo: "O Dio! In che cosa ho mancato contro Ahikar
che mi fa queste cose?". In risposta Nadan, mio figlio, gli disse: "Signore mio, non affliggerti e
non irritarti! Suvvia, andiamo nella Vallata delle Aquile nel giorno che è stato indicato nella
lettera. Se la cosa è vera, tutti gli ordini che darai verranno eseguiti".
Così mio figlio Nadan condusse il re mio signore e giunsero da me nella Vallata delle Aquile,
dove mi trovarono con un grande esercito colà radunato. Come vidi il re, schierai l'esercito
contro di lui, secondo quanto stava scritto nella lettera. A quella vista il re si sgomentò, ma
mio figlio Nadan, prendendo la parola, gli disse: "Non turbarti, o mio signore il re, e torna in
pace nel tuo padiglione, perché condurrò Ahikar alla tua presenza".
Il re mio signore tornò allora a casa sua e mio figlio Nadan, venutomi incontro, mi disse: "Hai
fatto bene ciò che hai fatto. Il re ti ha molto lodato e ti ordina di smobilitare le truppe, affinché
ciascuno torni al suo paese e al proprio luogo. Tu invece vieni da solo con me".
Giunsi così alla presenza del re, il quale, quando mi vide, mi disse: "Sei dunque arrivato,
Ahikar, ministro mio e consigliere di Assur e di Ninive, che io ho elevato agli onori? Ti sei
tu trasformato, diventando uno dei miei nemici?" Mi diede quindi le lettere che erano state
scritte a mio nome e sigillate con l'impronta del mio sigillo, e, quando le ebbi lette, la lingua mi
s'inceppò e le membra mi vennero meno. Cercai invano una singola parola dei miei discorsi di
saggezza, ma non ci riuscii. Mio figlio Nadan prese allora la parola dicendomi: "Vattene via dal
cospetto del re, o vecchio stolto, e porgi le mani e i piedi ai ceppi e alle catene!".
Il re Sennacheribbo distolse il suo sguardo da me e parlò al mio collega Nabusemakh
dicendogli: "Suvvia, va a uccidere Ahikar e separa la sua testa cento cubiti dal suo corpo!". Io
allora mi gettai col viso a terra e, prosternandomi di fronte al re, gli dissi: "O re signore mio,
possa tu vivere in eterno! Visto che tu, mio signore, vuoi uccidermi, sia fatta la tua volontà. Io
però so di non aver peccato contro di te. Pertanto dà ordine, o re mio signore, che mi uccidano
sulla soglia della mia casa e che consegnino il mio corpo per la sepoltura".
Il re disse allora al mio collega Nabusemakh: "Va', uccidi Ahikar sulla soglia di casa sua e
consegna il suo corpo per la sepoltura!". Io mandai a dire a mia moglie Eshfagni di scegliere
mille e una fanciulla tra le donne del mio parentado e di far loro indossare l'abbigliamento
funebre, affinché si lamentassero, gemessero e piangessero per me e mi venissero incontro
per farmi il funerale prima della mia morte. Le dissi inoltre di preparare un pasto, un banchetto
e un convito per il mio collega Nabusemakh e per i Parti che erano con lui, di andare loro
incontro a riceverli e di farli entrare in casa mia. Anch'io sarei entrato in casa come un ospite.
Mia moglie Eshfagni, che era assai saggia, comprese subito il mio messaggio e fece quanto le
comunicai: venne loro incontro, li introdusse in casa mia (dove) consumarono il pasto e li servì
di persona, fintantoch‚ per la loro ubriachezza non si addormentarono ai loro posti.
Allora io, Ahikar, entrai e dissi a Nabusemakh: "Rivolgi lo sguardo a Dio, o fratello, e ricorda
l'amicizia che esisteva tra di noi. Non soffrire per la mia morte; rammenta invece che io non ti
ho ucciso quella volta che Esarhaddon, padre di Sennacheribbo, ti consegnò a me affinché ti
uccidessi, perché sapevo che tu eri innocente.
Io ti mantenni in vita finché‚ il re non sentì la tua mancanza e, quando ti riportai a lui, mi
ricolmò di doni e ricevetti da lui molti regali. Ora anche tu lasciami in vita e ricambiami quel
favore. Affinché non corra notizia che non sono stato ucciso e il re non si adiri contro di te, ecco
che ho nella mia prigione uno schiavo, chiamato Manzipar, che merita la morte. Travestilo con
i miei abiti e fomenta i Parti contro di lui affinché lo uccidano. Così, non avendo peccato, io non
morrò".
Udite queste cose, il mio collega Nabusemakh partecipò molto al mio dolore. Egli prese le mie
vesti, le fece indossare allo schiavo che stava in prigione e fomentò i Parti. Questi, nei fumi del
vino, si alzarono e lo uccisero. Separarono la sua testa cento cubiti dal suo corpo e
consegnarono la sua salma per la sepoltura.
Così si diffuse ad Assur e a Ninive la notizia che il ministro Ahikar era stato ucciso.
Nabusemakh e mia moglie Eshfagni si diedero a prepararmi un nascondiglio sotterraneo, largo
tre cubiti e alto cinque cubiti, al di sotto del vestibolo della porta di casa mia e vi collocarono
cibo e acqua. Poi andarono ad annunciare al re Sennacheribbo che il ministro Ahikar era
morto.
All'udire la notizia gli uomini piansero e le donne si graffiarono il volto dicendo: "Ahimè
Ahikar, saggio ministro, mai più avremo un restauratore del nostro paese come te!". Allora
il re Sennacheribbo chiamò mio figlio Nadan e gli disse: "Va' e fa' un funerale per tuo padre
Ahikar e torna da me!". Ma mio figlio Nadan tornò senza aver fatto il funerale e senza avermi
neppure commemorato. Egli anzi raccolse gente frivola e licenziosa e li fece accomodare alla
mia mensa con musica e grande allegria; quanto invece ai miei servi e alle mie ancelle, li
spogliò e li fustigò senza pietà e non rispettò neppure mia moglie Eshfagni. Cercò anzi di avere
con lei il rapporto dell'uomo con la donna, mentre io, Ahikar, giacevo nell'oscurità della
fossa là sotto e sentivo le voci dei miei fornai, cuochi e coppieri che piangevano e
singhiozzavano per casa.
Alcuni giorni dopo, venne Nabusemakh, aprì (la botola) sopra il mio viso, mi consolò e mi portò
cibo e acqua. Allora io gli dissi: "Quando esci di qui, ricordami a Dio e di': ‘Dio giusto, retto e
benefattore della terra, ascolta la voce del tuo servo Ahikar e ricordati che ti ha sacrificato
buoi grassi come agnelli da latte e che ora egli giace in un pozzo oscuro, di dove non vede la
luce. Lui, che ti invoca, non lo salvi? Ascolta, o Signore, la voce del mio collega!’".
Ora, quando il Faraone, re dell'Egitto, sentì che io, Ahikar, ero stato ucciso, si rallegrò molto e
scrisse questa lettera a Sennacheribbo: "Il Faraone, re dell'Egitto, a Sennacheribbo, re di Assur
e di Ninive, salve! Desidero costruire un castello tra la terra e il cielo. Cerca pertanto di
inviarmi dal tuo regno un uomo che sia un abile architetto e che possa dar risposta a tutto
quello che gli chiederò. Quando mi avrai inviato un uomo siffatto, raccoglierò e ti invierò il
tributo di tre anni dell'Egitto. Se invece non mi invierai un uomo che possa rispondere a tutti i
quesiti che gli porrò, raccogli e mandami tu il tributo di tre anni di Assur e di Ninive tramite gli
ambasciatori che giungeranno presso di te".
Quando questa lettera fu letta al re, questi convocò tutti i dignitari e gli uomini liberi del regno
e disse loro: "Chi di voi va in Egitto a rispondere al re su tutti i quesiti che egli gli porrà, a
costruire il castello che vuole e a prelevare il tributo di tre anni dell'Egitto?". Udito questo, i
dignitari risposero al re: "Tu sai, nostro signore il re, che non solo negli anni del tuo regno, ma
anche in quelli di tuo padre Esarhaddon simili questioni usava risolverle il ministro Ahikar. Ora
però c'è suo figlio Nadan, che ha appreso la sua erudizione e la sua sapienza". Quando sentì
queste parole, mio figlio Nadan esclamò rivolgendosi al re: "Neppure gli dèi possono fare simili
cose: escludi quindi gli uomini!".
Il re fu molto turbato da tutto ciò; discese dal trono, si sedette sulla (nuda) terra e disse:
"Ahimè, saggio Ahikar, che ti ho soppresso per le parole di un ragazzo! Chi mai potrà
ricondurti a me in questo momento? Gli darei tanto oro quanto tu pesi!".
Il mio collega Nabusemakh, udito ciò, cadde ai piedi del re e gli disse: "O re mio signore, chi
trascura l'ordine del suo padrone è degno di morte ed io, signore, ho trascurato un ordine della
tua regale maestà. Comanda che mi crocifiggano, perché Ahikar, che mi ordinasti di uccidere,
è ancora vivo".
Udite queste parole, il re rispose dicendo: "Parla, parla Nabusemakh, parla uomo abile, buono
e incapace di nuocere! Se è come dici e se mi mostri Ahikar vivo, ti carico di doni d'argento
per il peso di cento talenti e di porpora per il peso di cinquanta talenti". Nabusemakh gli disse
allora:
"Giurami, o re mio signore, che, se non avrò commesso altri peccati contro di te, non mi
imputerai questo peccato". Il re gli porse la destra per rassicurarlo e si sedette subito su un
carro. Arrivò in fretta a casa mia e aprì (la botola) sopra il mio viso.
Io salii, gli venni incontro e mi gettai ai suoi piedi. I capelli mi erano scesi fin sulle spalle, la
barba mi raggiungeva il petto, il mio corpo era imbrattato di terra e le unghie mi erano
cresciute come quelle delle aquile.
Appena mi vide, il re scoppiò a piangere e non osò parlarmi. Poi con gran dolore mi disse:
"Non io peccai contro di te, Ahikar, bensì tuo figlio. A peccare contro di te fu colui che
allevasti". Allora gli risposi dicendo: "O mio signore, dopo aver visto il tuo volto non ho più
alcun rancore". Il re allora mi disse: "Va' a casa tua, Ahikar, tagliati i capelli, lavati il corpo e
ristabilisciti per quaranta giorni. Poi vieni da me".
Rientrai così in casa mia e vi restai circa trenta giorni. Poi, quando mi fui rimesso andai dal
re, che mi disse: "Hai visto, Ahikar, che cosa mi ha scritto il Faraone, re dell'Egitto?". Gli
risposi: "O re mio signore, non preoccuparti di questo problema. Io stesso andrò in Egitto:
costruirò per il re il castello, troverò la risposta per ogni sua domanda e porterò con me il
tributo di tre anni dell'Egitto".
Il re si rallegrò moltissimo di ciò, fece una grande festa e grandi sacrifici e mi fece dei regali.
Quanto a Nabusemakh gli conferì la carica più alta.
Dopodiché, io scrissi a mia moglie Eshfagni la seguente lettera: "Quando ti sarà giunta questa
lettera, ordina ai miei cacciatori di catturare due aquilotti e comanda ai linaioli di fare delle
corde di lino lunghe mille cubiti e spesse un mignolo. Ordina inoltre ai falegnami di fabbricarmi
una gabbia per gli aquilotti. Tu invece consegna i due bambini 'Ubael e Tabshelim, che non
sanno ancora parlare, e fa che imparino a dire così: ‘Porgete fango e calcina, tegole e mattoni
ai muratori, che restano inoperosi!’".
Mia moglie Eshfagni eseguì ogni incarico che le diedi e io dissi al re: "Comanda, o mio signore,
e lascia che io parta per l'Egitto". Quando ebbi ricevuto l'ordine di partire, mi presi una scorta
armata e mi incamminai. Giunti alla prima tappa, feci uscire i due aquilotti, legai le corde alle
loro zampe e feci montare quei bambini su di loro. Essi salirono portandoli a grande altezza e
di lassù i bambini gridarono ciò che avevano imparato: "Porgete fango e calcina, tegole e
mattoni ai muratori, che restano inoperosi!". Dopodiché, li tirai giù.
Quando giungemmo in Egitto, mi recai alla porta del re e i suoi dignitari gli dissero: "E' arrivato
l'uomo che ha inviato il re dell'Assiria!". Il re diede ordine di assegnarmi un'abitazione e il
giorno dopo entrai alla sua presenza, mi prosternai di fronte a lui e mi informai della sua
salute. Il re mi rispose dicendo: "Qual è il tuo nome?". Gli dissi: "Il mio nome è Abiqam,
una delle più disprezzabili formiche del regno". Mi rispose: "Tanto mi disprezza il tuo signore
da inviarmi una disprezzabile formica del suo regno? Va', Abiqam, al tuo alloggio e vieni da me
(domani) mattina presto".
Il re ordinò ai suoi dignitari di vestirsi l'indomani di rosso. Lui si vestì di bisso e, seduto sul
trono, diede ordine che entrassi alla sua presenza e mi disse: "A chi somiglio, Abiqam, e a chi
somigliano i miei dignitari?". Io risposi: "Tu somigli, o mio signore il re, al (dio) Bel e i tuoi
dignitari ai suoi sacerdoti". Egli mi disse nuovamente: "Va' al tuo alloggio e domani vieni da
me". Quindi il re ordinò ai suoi dignitari di indossare l'indomani un vestito di lino bianco. Lui
stesso si vestì di bianco e si sedette sul trono, dando ordine che io entrassi alla sua presenza.
Mi disse allora: "A chi somiglio, Abiqam, e a chi somigliano i miei dignitari?". Gli dissi: "Tu, o
mio signore il re, somigli al sole e i tuoi dignitari ai suoi raggi". Di nuovo il re mi disse:
"Vattene al tuo alloggio e torna da me domani". Poi ordinò ai suoi dignitari di vestirsi
l'indomani di nero. Lui si vestì rosso scarlatto, mi ordinò di entrare alla sua presenza e mi
disse: "A chi somiglio, Abiqam, e a chi somigliano i miei dignitari?". Gli risposi: "Tu somigli, o
mio signore il re, alla luna e i tuoi dignitari alle stelle". Ed egli mi disse di nuovo: "Va' a casa
tua e torna domani da me". Poi il re comandò ai suoi dignitari di indossare l'indomani vesti
variopinte e multicolori e di far coprire le porte del palazzo con drappi rossi. Lui stesso indossò
dei (paramenti simili a) tappeti, mi ordinò di entrare alla sua presenza e mi disse: "A chi
somiglio, Abiqam, e a chi somigliano i miei dignitari?". Gli risposi: "Tu somigli, o mio signore il
re, al mese di Nisan e i tuoi dignitari somigliano ai suoi fiori".
Allora il re mi disse: "Una volta mi hai paragonato a Bel e, i miei dignitari, ai suoi sacerdoti; la
seconda volta mi hai paragonato al sole e, i miei dignitari, ai suoi raggi; la terza volta mi hai
paragonato alla luna e, i miei dignitari, alle stelle, e la quarta volta mi hai paragonato a Nisan
e, i miei dignitari, ai suoi fiori. Ora invece dimmi, Abiqam, a chi somiglia il tuo padrone?". Io gli
risposi: "Dio non voglia o mio signore il re, che io menzioni il mio signore Sennacheribbo
mentre tu te ne stai seduto. Il mio signore Sennacheribbo somiglia a... [...] e i suoi dignitari ai
fulmini che stanno nelle nuvole, perché, quando vuole, egli forma la pioggia, la rugiada e la
grandine e, se tuona, impedisce al sole di sorgere e ai suoi raggi di comparire; inoltre,
impedisce a Bel di entrare e uscire in strada e ai suoi dignitari di farsi vedere, e impedisce alla
luna di sorgere e alle stelle di apparire".
Udendo queste cose, il re si ingelosì molto e mi disse: "Per la vita del tuo signore, ti scongiuro,
dimmi il tuo nome!". Io gli risposi: "Sono Ahikar, il ministro e il guardasigilli di Sennacheribbo,
re di Assur e di Ninive". Mi disse allora il re: "Non ho forse sentito dire che il tuo padrone ti
aveva ucciso?". Gli risposi: "Sono ancora in vita, o mio signore e Iddio mi ha affrancato da
qualcosa che le mie mani non avevano commesso". Allora il re mi disse: "Va' a casa tua,
Ahikar, e torna domani da me. Mi dovrai dare una notizia che o‚ io, o‚ alcuno dei miei dignitari
abbiamo mai sentita, o‚ fu udita nella capitale del mio regno".
Io allora mi sedetti a meditare nel mio cuore e scrissi questa lettera: "Da parte del Faraone, re
dell'Egitto, a Sennacheribbo, re di Assur e di Ninive, salve! I re hanno bisogno dei re e i fratelli
hanno bisogno dei fratelli. In questo momento i miei doni sono insufficienti, perché l'argento è
scarso nel mio tesoro. Da' ordine che mi siano inviati dal tuo tesoro novecento talenti di
argento e in breve spazio di tempo io li restituirò al loro luogo (d'origine)".
Questa lettera io la piegai e la tenni in mano e, quando il re mi ordinò di entrare alla sua
presenza, gli dissi: "Forse in questa lettera c'è una notizia che tu non hai mai udito". Quindi la
lessi di fronte a lui e ai suoi dignitari e, come se avessero ricevuto ordine da parte del re, (i
dignitari) gridarono: "Questa l'abbiamo già udita tutti ed è (effettivamente così)!". Io allora
risposi loro: "Bene, (in questo caso) l'Egitto deve all'Assiria novecento talenti (d'argento)!". Il
re, udendo ciò, rimase stupito, poi mi disse: "Voglio costruire un castello tra la terra e il cielo
che sia alto da terra mille braccia". Io feci allora uscire i (due) aquilotti, legai le corde alle loro
zampe e vi feci montare sopra i (due) bambini, i quali si misero a dire: "Porgete fango e
calcina, tegole e mattoni ai muratori, che restano inoperosi!".
Il re, vedendo ciò, rimase esterrefatto; io, Ahikar, presi intanto uno scudiscio e mi misi a
frustare i dignitari del re finché‚ non scapparono tutti. Il re ribollì di rabbia e mi disse: "Sei
davvero impazzito, Ahikar! Chi può portar su qualcosa a quei (due)?". Io gli risposi: "Sul conto
del mio signore Sennacheribbo (è meglio che) non diciate nulla, perché, se egli fosse presente,
costruirebbe due castelli in un sol giorno!". Il re allora mi disse: "Lascia in disparte il castello, o
Ahikar! Torna alla tua dimora e all'alba vieni da me".
All'alba entrai alla sua presenza ed egli mi disse: "Spiegami, o Ahikar, che cos'è questa
faccenda: quando il cavallo del tuo signore nitrisce in Assiria, le nostre cavalle sentono la sua
voce fin qui e abortiscono i loro puledri". Io uscii dal (palazzo del) re e ordinai ai miei servi di
acchiappare un gatto, quindi lo sferzai per le strade della città. Non appena gli Egiziani videro
ciò, andarono a dire al re che Ahikar bistrattava e ridicolizzava il loro popolo. Egli infatti
aveva preso un gatto e lo sferzava per le strade della loro città. Il re mandò a chiamarmi e,
appena fui entrato alla sua presenza, mi disse: "Per quale ragione tu ci oltraggi?". Io gli
risposi: "Possa il mio signore il re vivere in eterno! Questo gatto mi ha molto danneggiato (in
una faccenda) non irrilevante. Mi è stato infatti affidato da parte del mio signore un gallo dalla
voce bellissima. Quando cantava, capivo che il mio signore aveva bisogno di me e mi recavo
(subito) alla sua porta. La notte scorsa però questo gatto è andato in Assiria, ha strappato via
la testa a quel gallo e se ne è ritornato". Il re allora mi rispose: "Mi sembra, o Ahikar, che da
quando sei invecchiato sei completamente impazzito. Di qui all'Assiria ci sono infatti
trecentosessanta parasanghe e come fai a dire che quel gatto in una sola notte è partito, ha
staccato la testa al gallo ed è ritornato?". Io gli risposi: "Come fanno allora le vostre cavalle a
sentire la voce del cavallo del mio signore e ad abortire i loro puledri, se dall'Egitto all'Assiria ci
sono trecentosessanta parasanghe?".
Udito ciò, il re si irritò moltissimo e mi disse: "Ahikar, risolvimi questo indovinello. Su una colonna ci sono dodici cedri; su ogni cedro ci sono trenta ruote e su ogni ruota ci sono due corde: una bianca e una nera". Gli risposi: "Signore mio il re, (anche) i mandriani del nostro paese conoscono l'indovinello che mi hai detto. La colonna di cui mi parli è l'anno i dodici cedri sono i mesi dell'anno; le trenta ruote sono i giorni del mese e le due corde, una bianca e l'altra nera, sono il giorno e la notte".
Il re mi disse ancora: "Ahikar, intrecciami cinque corde
con la sabbia del fiume". Gli risposi: "Da' ordine, o mio
signore, che mi portino una corda di sabbia dal tuo tesoro e
io la prenderò a modello". Egli allora mi disse: "Se non
fai questo, non ti darò il tributo dell'Egitto". Mi misi allora
a pensare nel mio cuore come avrei potuto fare; poi, uscito dal
palazzo del re, feci cinque fori nel muro orientale del palazzo e, quando il sole entrò
attraverso i fori, vi rovesciai sopra della sabbia. I solchi (tracciati dalla luce) del sole
cominciarono così ad apparire come se fossero stati intrecciati all'interno dei fori. Dissi quindi
al re: "Comanda, o signore, che li prendano, in modo che ve ne possa intrecciare
degli altri al loro posto". Alla vista di questo, i re e i suoi dignitari restarono attoniti.
Il re comandò ancora che mi portassero una pietra da
mulino rotta e mi disse: "Ahikar, ricuci questa macina
rotta". Io me ne andai e portai la pietra inferiore di una
macina e, lasciatala cadere di fronte al re, gli dissi: "Mio
signore il re, poiché qui sono uno straniero e non ho con
me strumenti di lavoro, ordina a dei calzolai di tagliarmi
delle fettucce da questa macina che fa coppia con la pietra
superiore e io la ricucirò subito". Udito ciò, il re scoppiò
a ridere e disse: "Sia benedetto davanti al dio dell'Egitto
il giorno in cui è nato Ahikar e, poiché ti ho visto in vita,
farò una festa e un banchetto".
Quando mi diede il tributo di tre anni dell'Egitto, me
ne tornai senza indugio dal mio signore, il re Sennacheribbo. Questi mi venne incontro e mi
ricevette facendo una festa e mi collocò alla testa dei suoi cortigiani. Quindi mi
disse: "Domandami, o Ahikar, tutto quello che vuoi". Io
mi prosternai davanti al re dicendogli: "O re mio signore, tutto
ciò che vuoi darmi, concedilo al mio collega Nabusemakh, perché lui mi ha salvato la vita.
Quanto a me, o re, da' ordine che mi consegnino mio figlio Nadan, affinché gli dia un'ulteriore
istruzione, visto che ha dimenticato la precedente". Il re ordinò che me lo consegnassero e mi
disse: "Va', o Ahikar, e fa' pure ciò che vuoi con tuo figlio Nadan, perché nessuno sottrarrà il
suo corpo dalle tue mani".
Così presi mio figlio Nadan e lo portai a casa mia. Lo legai con delle catene di ferro del peso di
venti talenti, le attaccai a degli anelli e gli posi sul collo dei serrami; poi lo colpii sulle spalle
con mille frustate e sui fianchi con mille e una. Lo misi nel portico della porta del mio cortile,
dandogli un siclo di cibo e un siclo d'acqua, e lo affidai in custodia al mio giovane servo Nabuel,
dicendogli: "Scrivi su una tavoletta tutto ciò che dirò a mio figlio Nadan quando entro e quando
esco".
Quindi, rivolgendomi a mio figlio Nadan, gli dissi:
1. Figlio mio, chi non ode con le orecchie, lo si fa udire dietro al suo collo.
In risposta il mio figlio Nadan mi disse: "Perché sei così adirato contro tuo figlio?". Gli risposi:
2. Figlio mio, ti ho fatto sedere sul seggio dell'onore, mentre tu mi hai buttato giù dal mio seggio, ma la mia rettitudine mi ha salvato.
3. Per me tu fosti, figlio mio, come uno scorpione che colpisce un macigno e (questo) gli dice: "Hai colpito un cuore indifferente", (oppure come uno scorpione) che ha colpito un ago e gli dicono: "Hai colpito un pungiglione peggiore del tuo".
4. Per me tu fosti, figlio mio, come una capra che stava presso un arbusto di sommacco e lo brucava. Il sommacco le disse: "Perché mi mangi se poi la tua pelle la conciano con la mia radice?". Gli rispose la capra: "Ti mangio mentre sono in vita e, quando sarò morta, ti strapperanno dalla tua radice".
5. Per me tu fosti, figlio mio, come quell'uomo che scagliò una pietra contro il cielo senza raggiungerlo e ricevette punizione da Dio per il peccato.
6. Per me tu fosti, figlio mio, come quell'uomo che vide un compagno rabbrividire dal freddo e, presa una brocca d'acqua, gliela versò addosso.
7. Neppure se mi avessi ucciso, figlio mio, saresti riuscito a prendere il mio posto. Avresti infatti capito, o figlio, che la coda di un maiale, quand'anche crescesse di sette cubiti, non può sostituire (quella di) un cavallo e che il suo pelo, quand'anche fosse liscio e venisse tessuto, non coprirà mai il corpo di un uomo libero.
8. Figlio mio, io dissi che mi saresti succeduto e che avresti ottenuto e ereditato la mia casa e i miei beni; ma la cosa non piacque a Dio ed Egli non ascoltò la mia voce.
9. Per me tu fosti, figlio mio, come un leone che ha incontrato un asino all'alba di un giorno e gli disse: "Benvenuto, o proprietario terriero!". L'asino gli rispose: "Un benvenuto simile a quello che mi dài sia (rivolto) a quel (proprietario) che ieri sera mi ha legato perché non vedessi il tuo volto, ma non ha stretto il nodo".
10. Figlio mio, su un letamaio fu collocata una trappola e un passero che venne la vide e le disse: "Che cosa fai qui?". Gli rispose la trappola: "Sto pregando Dio". Le disse il passero: "Che cos'è allora ciò che tieni in bocca?". La trappola rispose: "Del pane per i passanti". Allora il passero si avvicinò e lo prese e la trappola lo acchiappò sul collo. Sconvolto, il passero disse: "Se questo è il pane per i passanti, Iddio che tu stai pregando non ascolti la tua voce".
11. Tu fosti, figlio mio, come un bue che fu legato assieme a un leone e il leone si rigirò e lo sbranò.
12. Per me tu fosti, figlio mio, come un bacherozzo dei cereali che ha distrutto i granai del re pur essendo del tutto insignificante.
13. Per me tu fosti, figlio mio, come una pentola a cui fecero le anse d'oro, ma dal cui fondo non è stata raschiata la fuliggine.
14. Per me tu fosti, figlio mio, come quel contadino che seminò con venti moggi d'orzo un campo che, quando fu mietuto, gli rese (solo) venti moggi. Egli allora gli disse: "Quel poco che ho sparso l'ho raccolto, ma tu vergognati del tuo cattivo nome per aver fatto un moggio di un moggio: io infatti (come) vivrò?".
15. Per me tu fosti, figlio mio, come un uccello da richiamo, che non salva s‚ stesso dalla morte e con la sua voce ammazza i suoi compagni.
16. Per me tu fosti, figlio mio, come il capro che conduce i suoi compagni nel mattatoio, ma non salva se stesso.
17. Per me tu fosti, figlio mio, come quel cane che entrò nella fornace dei vasai per scaldarsi e che, dopo essersi riscaldato, si mise ad abbaiare contro di loro.
18. Per me tu fosti, figlio mio, come quel maiale che si era recato ai bagni e che, quando uscì e vide una pozza di fango, vi scese dentro e vi sguazzò, dicendo ai suoi compagni: "Venite a lavarvi!".
19. Figlio mio, il mio dito è (rivolto) alla tua bocca e il tuo dito è (rivolto) ai miei occhi. Perché ti alleverò, o volpe, se i tuoi occhi guardano delle mele?
20. Figlio mio, il cane che mangia parte della selvaggina diventa preda dei lupi; il braccio inoperoso viene tagliato dalla sua ascella e l'occhio che non ha vista viene strappato via dal corvo.
21. Che mi hai fatto di bene, o figlio, affinché l'anima mia ti ricordasse e fosse consolata da te?
22. Figlio mio, se gli dèi rubassero, per quale ragione li chiamerebbero a testimonianza? E un leone che rubasse della terra come potrebbe sedersi a mangiarla?
23. Io, figlio mio, ti ho mostrato il volto del re e ti ho portato a grandi onori; tu invece hai cercato (solo) di nuocermi.
24. Per me tu fosti, figlio mio, come l'albero che disse ai suoi abbattitori: "Se non aveste avuto in mano qualcosa di mio, non mi avreste aggredito".
25. Per me tu fosti, figlio mio, come i rondinotti che caddero dal nido e li raccolse il gatto. Questi disse loro: "Se non ci fossi stato io, vi sarebbe toccata una grande sventura". Gli risposero: "E' per questo che ci hai messi nella tua bocca?".
26. Per me tu fosti, figlio mio, come quel gatto a cui andavano dicendo: "Smettila di rubare e potrai entrare e uscire dalla casa del re come ti aggrada". Esso rispose: "Anche se avessi gli occhi e le orecchie d'argento io non smetterei di rubare".
27. Per me tu fosti, figlio mio, come un serpente che fu messo su un rovo e gettato in un fiume. Li vide un lupo e disse loro: "Un malvagio cavalca un malvagio e uno più malvagio di loro due se li porta via". Gli rispose il serpente: "Se tu venissi qui, pagheresti il fio per le capre e i loro piccoli".
28. Io, o figlio, ho visto una capra che fu portata al mattatoio, ma, poiché il suo tempo non era ancora venuto, ritornò al suo luogo e vide i suoi figli e i figli dei suoi figli.
29. Figlio mio, ho visto puledri diventare gli uccisori delle loro madri.
30. Figlio mio, ti ho cibato di ogni cosa gustosa; tu invece, o figlio, mi hai nutrito di pane (misto) a polvere e non potei saziarmi.
31. Io, o figlio, ti ho unto con olii aromatici; tu invece, figlio mio, hai insozzato il mio corpo con la polvere.
32. Io, o figlio, ti ho fatto crescere in statura come un cedro; tu invece, figlio mio, hai prostrato la mia vita e mi hai stordito con la tua malvagità.
33. Figlio mio, ti ho reso grande come una torre e mi sono detto: "Se il nemico verrà contro di me, salirò e abiterò in te". Tu invece, come vedesti il mio nemico, t'inchinasti davanti a lui.
34. Per me tu fosti, figlio mio, come una talpa che salì da sotto terra per vedere il sole, sebbene non avesse gli occhi; ma la vide un'aquila, che la colpì e se la portò via. Mio figlio Nadan mi rispose dicendo: "Dio non voglia, Ahikar padre mio, che tu faccia queste cose! Trattami secondo la tua misericordia. Anche Dio infatti perdona agli uomini il loro peccato; perciò perdonami anche tu questa offesa e accudirò ai tuoi cavalli e pascolerò i porci di casa tua. Io posso essere chiamato malvagio, ma tu non tramare contro di me". Io gli risposi dicendo:
35. Per me tu fosti, figlio mio, come quella palma che sorgeva presso un fiume e che gettava tutti i suoi frutti in esso. Quando venne il suo padrone per tagliarla, essa gli disse: "Perdonami per quest'anno e ti farò delle carrube". Il suo padrone le disse: "Sei stata inoperosa in ciò che è tuo; come puoi essere operosa in ciò che tuo non è?".
36. Figlio mio, a un lupo dicevano: "Perché insegui le pecore?". Rispose: "La loro polvere giova molto ai miei occhi". Lo portarono inoltre in una scuola e il maestro gli disse: "Alfa, beta", e il lupo gli rispose: "Capretto, agnello".
37. Figlio mio, ti ho insegnato che Iddio esiste, ma tu insorgi contro i buoni servitori e frusti quelli che sono innocenti. Così come Iddio ha conservato me in vita per la mia rettitudine, distruggerà te per le tue azioni.
38. Figlio mio, misero la testa di un asino in un piatto su un vassoio. Essa rotolò giù e cadde nella polvere. Si disse allora che era in collera con s‚ stessa e che non accettava l'onore.
39. Tu, figlio mio, hai confermato il proverbio che dice: "Chiama chi hai generato tuo figlio e chi hai acquistato tuo schiavo".
40. Figlio mio, è verace il proverbio che dice: "Il figlio di tua sorella prendilo sotto la tua ascella e scaglialo contro una roccia". Ma Iddio che mi ha salvato la vita giudicherà tra di noi. In quello stesso momento Nadan si gonfiò come un otre e morì.
41. Chi si comporta bene viene ricompensato col bene e chi fa il male viene ricompensato con
la sventura. Chi scava una fossa per il suo vicino la riempie con la sua persona.
Sia lode a Dio e su di noi la sua misericordia. Amen.
Le massime di Ahikar, saggio e ministro di Sennacheribbo, re di Ninive e di Assur sono terminate.