Le ziqqurat (sumerico: u6-nir; accadico: ziqquratu, ziqratu, seqquratu; adattato anche come ziggurat) sono delle strutture religiose, più precisamente delle piattaforme cultuali sovrapposte, diffuse lungo tutta la Mesopotamia, ma anche sull'altipiano iranico e nelle zone dell'odierno Turkmenistan. La loro struttura si compone in genere di diversi strati di mattoni in fango (argilla) mischiato con paglia, anche inframmezzati con canne, e quindi essiccati al sole, avvolti all'esterno da mattoni cotti nei forni. La quasi totalità dei resti delle ziqqurat è praticamente eroso e quindi è difficile immaginarne la forma, l’aspetto, e anche la funzione. È probabile, tuttavia, che l'utilizzo della maggior parte di queste strutture religiose fosse solo l'esterno, con una rampa di scale che conduceva alla loro cima.
Notevole eccezione è la ziqqurat di Uruk (XX-X secolo a.C.), eretta all'interno dell'area sacra dell'E-anna (santuario di An/Anu) che conserva alla sua cima un tempio, dedicato in epoca cassita alla dea Inanna (Ištar) (vedi immagine a lato).
La ziqqurat di Ur, una delle meglio conservate. Eretta, orientandola secondo i punti cardinali, da Ur-Nammu, fu dedicata al dio Nanna (Luna). L'accesso ai piani superiori era garantito da tre rampe di scale, si sono conservati solo i primi due livelli. Modello di una possibile ricostruzione della ziqqurat di Babilonia, l'Etemenanki, conservato al Museo di Berlino. A destra: un mattone in ceramica cotta, proveniente dalla città di Babilonia e risalente al VI secolo. a.C.
Il significato simbolico e religioso della loro conformazione è stato chiarito da Mircea Eliade:
« Il termine sumerico per indicare Ziqqurat è U-Nir (monte), che Jastrow interpreta come 'visibile a grande distanza'. La ziqqurat era, propriamente, un 'monte cosmico', cioè un'immagine simbolica del Cosmo; i suoi sette piani rappresentavano i sette cieli planetari (come a Borsippa) o avevano i colori del mondo (come a Ur). » (Mircea Eliade, Trattato di storia delle religioni. Torino, Boringhieri, p.113)
« L'omologia Cielo-Mondo è implicata in tutte le costruzioni babilonesi. Il ricco simbolismo dei templi (le ziggurat) non può essere compreso che in base a una "teoria cosmica". Di fatto la ziggurat era costruita a immagine del Mondo; i suoi piani simboleggiavano le divisioni dell'universo: il mondo sotterraneo, la terra, il firmamento. La ziggurat è in verità il Mondo perché simbolo della montagna cosmica che, come vedremo, non è che una perfetta imago mundi. Gli studi di Dombart hanno dimostrato definitivamente che le ziggurat erano delle montagna artificiali (kunstliche Berge) il cui modello materiale era la montagna sacra. [...] La montagna sacra è l'autentico trono perché è là che regna il dio creatore e signore dell'Universo. "Trono", "tempio", "Montagna cosmica" non sono che sinonimo del medesimo simbolismo del Centro, che ritroveremo di continuo nella cosmologia e nell'architettura mesopotamiche. [...] Di conseguenza il tempio apparteneva a un altro "spazio": lo spazio sacro, il solo ad essere considerato "reale" dalle culture arcaiche. Analogamente il tempo reale altro non era che l'"anno liturgico", cioè il tempo sacro, scandito dalle "feste" che si svolgevano nel tempio o attorno ad esso. Un rotolo dell'epoca del re Gudea dice che "la camera (del dio) che egli (il re) ha costruito è (simile al)la montagna cosmica. » (Mircea Eliade, Cosmologia e alchimia babilonesi. Firenze, Sansoni, 1992, pp. 15 e sgg.)
E questo richiamarsi alla "montagna" possiede quindi una precisa valenza:
« La montagna è più vicina al cielo, e questo le conferisce una doppia sacralità: da un lato partecipa al simbolismo spaziale della trascendenza (‘alto’, ‘verticale’, ‘supremo’, eccetera), e d'altra parte il monte è per eccellenza il dominio delle ierofanie atmosferiche. Ed è, in quanto tale, dimora degli dèi. Tutte le mitologie hanno una montagna sacra, variante più o meno illustre dell'Olimpo. Tutti gli dèi celesti hanno luoghi riservati al loro culto, sulle cime. Le valenze simboliche e religiose delle montagne sono innumerevoli. Spesso la montagna è considerata punto d'incontro del cielo e della terra; quindi un ‘centro’, punto per il quale passa l'Asse del Mondo, regione satura di sacro, luogo ove possono attuarsi i passaggi fra le zone cosmiche diverse. Così, secondo credenze mesopotamiche, il ‘Monte dei Paesi’ unisce il cielo alla terra, e il Monte Meru della mitologia indiana si erge nel centro del mondo; [...]. Il ‘monte’, in quanto punto d'incontro fra cielo e terra, si trova al ‘centro del mondo’ ed è sicuramente il punto più alto della terra. Per questo le regioni consacrate - ‘luoghi santi’, templi, palazzi, città sante - sono parificate alle montagne e diventano esse stesse ‘centri’, vale a dire che sono integrate in modo magico alla cima del monte cosmico. » (Mircea Eliade, Trattato di storia delle religioni. Torino, Boringhieri, pp. 111-112)
Anche il percorso di ascensione della ziqqurat da parte degli uomini possiede un significato preciso:
« Le regioni superiori sono sature di forze sacre. Tutto quel che più si avvicina al cielo, partecipa con intensità variabile alla trascendenza. L'‘altitudine’, il ‘superiore’, sono assimilati al trascendente, al sovrumano. Ogni ‘ascensione’ è una rottura di livello, un passaggio nell'oltretomba, un superamento dello spazio profano e della condizione umana. Inutile aggiungere che il sacro dell'‘altitudine’ è convalidato dal sacro delle regioni atmosferiche superiori e, quindi, dal sacro del Cielo. Il Monte, il Tempio, la Città, eccetera sono consacrati perché investiti del prestigio del ‘centro’, cioè, in origine, perché assimilati alla cima più alta dell'Universo e al punto d'incontro fra Cielo e Terra. Ne consegue che la consacrazione mediante rituali di ascensione o scalata di monti, o salita di scale, è valida perché inserisce chi la pratica in una regione superiore celeste. La ricchezza e la varietà del simbolismo dell'‘ascensione’ sono caotiche soltanto in apparenza; considerati nel loro insieme, tutti questi riti e simboli si spiegano col sacro dell'‘altitudine’, cioè del celeste. Trascendere la condizione umana, in quanto si penetra in una zona sacra (tempio, altare) per mezzo della consacrazione rituale o della morte, si esprime concretamente con un ‘passaggio’, una ‘salita’, un'‘ascensione’. » (Mircea Eliade, Trattato di storia delle religioni. Torino, Boringhieri, pp. 113-114)