Le religioni della Mesopotamia/I Babilonesi
Con il nome di Babilonia (dal greco antico Babylōnía; in lingua accadica Bābilāni, da Bāb-ili; che rende il sumerico KA.DIN.GIR.RA, col significato di "Porta del Dio"[1]), si indica quella città-stato amorrea fondata nel XIX secolo a.C. sulle rive dell'Eufrate.
Gli Amorrei sono quel popolo parlante una lingua semitica che, a cavallo del XX secolo a.C. e provenendo da Occidente, si infiltrarono e saccheggiarono le città neo sumere, provocando, unitamente al popolo dei Gutei proveniente da Oriente, il collasso della dinastia di Ur III.
Nel mosaico di piccole città-stato amorree collocate nella Mesopotamia centro-settentrionale appare quindi Babilonia, precedentemente una sede minore del regno neosumero di Ur III, conquistata nel 1894 a.C. dal condottiero amorreo Sumu-Abum. Con il sesto re, proprio della dinastia fondata da Sumu-Abum, Hammurapi (1792-1750), questa città-stato fa il suo ingresso come la più importante potenza regionale. In questo periodo sono sei le potenze che si contendono il controllo della Mesopotamia: Larsa, Babilonia, Ešnunna, Yamkhad (attuale Aleppo), Qatna e Aššur. Verso la fine del suo regno Hammurapi riesce, con alleanze subito sciolte, a sconfiggere le varie potenze concorrenti ottenendo infine l'unificazione di quello che era inteso come il regno "di Sumer e di Akkad".
Hammurapi non si limita a unificare la Mesopotamia, sotto il suo regno si gettano le basi di una profonda riforma religiosa propria dei Babilonesi. Gli Amorrei volgevano il proprio culto a divinità di tipo astrale piuttosto che a divinità inerenti alla terra e alla fertilità quali quelle sumeriche. Le divinità predilette dalle genti amorree erano quindi Iśtar (qui intesa anche come Stella del mattino, Venere), Adad (dio della tempesta, conosciuto anche con i nomi semitico-occidentali di Wer o Mer) e, soprattutto, Ŝamaŝ (dio Sole), potenza della giustizia divina. Anche le città amorree rivolgeranno, comunque, sempre culti particolari alle proprie divinità poliadi e, per quanto attiene Babilonia, al dio Marduk inteso come figlio del dio Ea (l'Enki sumerico).
In questo contesto di mutamento etnico e religioso, Hammurapi sarà il primo re a rifiutare la propria "divinizzazione", tradizione avviata con il re accadico Naram-Sîn (2273- 2219 a.C.) e seguita anche dalle dinastie neo sumeriche di Ur III; Hammurapi sceglierà invece di indicarsi come "pastore" (accadico: rē'û) del suo popolo.
Questo valorizzare a divinità massima il dio protettore della propria città condurrà, con Nabucodonosor I (Nabû-kudurrī-uṣur I, 1125-1104 a.C.), le dinastie babilonesi a promuovere, per mezzo del poema cosmogonico Enûma Eliš, il dio di Babilonia, Marduk, nel ruolo re di tutti gli dèi mesopotamici, nonché salvatore e rinnovatore dell'intero cosmo.
Così, nel poema babilonese Enûma Eliš, tutti gli dèi al cospetto del loro re, il dio Marduk, il dio di Babilonia, proclamano:
Il procedimento con cui la classe sacerdotale babilonese riesce a modificare la cosmogonia mesopotamica a vantaggio del proprio dio poliade è stato ben identificata da Giovanni Pettinato. L'assiriologo italiano, in Mitologia assiro-babilonese (pp. 38 e sgg.), nota come nel testo sumerico conosciuto come la Lista Reale Sumerica (sumerico: [nam]-lugal an-ta ed3-de3-a-ba; Quando la regalità discese dal cielo), testo composto tra il 2100 e il 1900 a.C.[3][4] con la finalità di gettare le basi tradizionali e politiche dell'unificazione del territorio di Sumer (Mesopotamia meridionale)[5], la prima città sumera a cui viene assegnata la regalità dagli dèi sia proprio la città di Eridu, il cui dio poliade è Enki, una delle quattro divinità più importanti per i Sumeri. Dal che, avendo Babilonia ereditato la regalità dalla prima città a cui è stata assegnata dalla potenza divina, allo stesso modo Marduk, figlio di Ea (Enki), eredita dal padre la regalità sugli dèi. Questo profondo processo di cambiamento teologico vuole dunque sostituire come re degli dèi un dio del tutto secondario, se non addirittura nemmeno appartenente alla tradizione mesopotamica[6], ma lo fa con grande attenzione religiosa.
L'opera religiosa dei Babilonesi non si ferma, infatti, alla rielaborazione della tradizionale cosmogonia sumerica, affronta anche i temi più propri dell'umanità, quell'umanità che, nell'Enûma Eliš, è venuta ad essere grazie a una decisione del dio Marduk. Così i differenti racconti sumerici inerenti alla figura del re divino Gilgameš vengono dai Babilonesi raccolti, nel XVIII secolo a.C., nel primo poema religioso dell'umanità, individuato con il titolo di ⌈šu⌉-tu-ur e-li š[ar-ri] (lett. Egli è superiore agli altri [re]), che noi conosciamo meglio nella versione neoassira rinvenuta tra i resti della biblioteca reale nel palazzo del re Assurbanipal (Aššur-bāni-apli) a Ninive, capitale dell'impero assiro[7]. In questo poema il re di Uruk, Gilgameš, re per due terzi dio e per un terzo uomo, affronta con l'amico Enkidu diverse avventure a sfondo mitologico, finché Enkidu non trova la morte per punizione divina. La scomparsa di Enkidu, e la consapevolezza della presenza della morte, conducono Gilgameš ad abbandonare la propria dignità regale e, coperto solo di una pelle di leone, a raggiungere gli estremi confini del mondo per trovare una risposta alla propria angoscia e quindi per conseguire quell'immortalità che gli dèi avevano consegnato a Utanapištim (anche Atraḫasis, lo Ziusudra sumerico), l'unico uomo sopravvissuto al Diluvio Universale. Nel suo peregrinare, Gilgameš incontra la divina taverniera Šiduri la quale, nella versione antico babilonese, così risponde al re di Uruk:
Gilgameš continua il suo peregrinare finché non raggiunge Utanapištim il quale, dopo che il re di Uruk ha fallito le prove per conseguire l'immortalità, si decide a consegnargli la "pianta della giovinezza". Ma qui accade, secondo Pettinato, un fatto teologicamente significativo: il re di Uruk non mangia la pianta, ma la riserva innanzitutto ai vecchi della propria città affinché possano conseguire la giovinezza.
Ma gli dèì avevano destinato tale pianta solo la re e quindi questi, alla fine, la perde, rubata da un serpente:
Non solo, ma anche l'intero mondo divino dei Babilonesi è attento ai bisogni degli uomini:
Così come gli uomini si interrogano del loro rapporto con gli dèi, invocandone la misericordia:
Marduk ha ascoltato i lamenti e le preghiere dell'orante:
Note
modifica- ↑ Perché da lì gli dèi scendevano sulla terra (cfr. Mircea Eliade, Il mito dell'eterno ritorno, Roma, Borla, 1999, p. 23).
- ↑ Qui inteso per "esseri umani", sono gli dèi che parlano.
- ↑ La sua redazione definitiva appartiene alla dinastia di Isin (1950 a.C.; cfr. Giovanni Pettinato, La Saga di Gilgameš, Milano, Mondadori, p. LXXVIII)
- ↑ Una insuperata edizione di questa opera è di Thorkild Jacobsen, The Sumerian King List, University of Chicago Oriental Institute, Assyriological Studies 11, University of Chicago Press, 1939.
- ↑ Enrico Ascalone, Mesopotamia, Milano, Electa, 2005, p.10.
- ↑ pettinato mas 23
- ↑ questa redazione tarda del poema, attribuita allo scriba ed esorcista cassita Sîn-lēqi-unninni, risale quindi presumibilmente al XII secolo a.C. e comunque anteriormente all' VIII secolo a.C.
- ↑ Lettura del testo accadico.