Esperanto/Frasi interrogative e affermative complesse

Indice del libro


Eccoci giunti alla fine del corso, adesso la grammatica dell'esperanto non è più un mistero. In realtà gli ultimi capitoli sono stati dedicati a "dare gli ingredienti" per formare frasi più complesse di quelle fatte sino al capitolo dedicato alle frasi semplici. Le frasi complesse si distinguono da quelle semplici per il loro uso di congiunzioni (tra cui anche correlativi) che permettono di unire più sottofrasi, mentre le parole possono essere logicamente messe in relazione da preposizioni. Le combinazioni sono davvero tante (infinite...). Abbiamo visto molti esempi relativi alle preposizioni ed all'uso di varie congiunzioni (tra cui anche correlativi), nei capitoli appositamente dedicati.
Ovviamente ci sono ancora tante cose da praticare, il lessico da acquisire, e per questo dei testi da leggere, uniti all'aiuto di un dizionario per fare pratica sono indispensabili. Per questo vedi anche l'approfondimento sul lessico delle nuove tecnologie Bisogna quindi praticare... ci sono dei testi nel capitolo conclusivo del libro, assieme a dei consigli su dove trovare altro materiale.

Note di fine corso

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In questa parte ci sono delle note da conoscere, ma non così urgenti da essere incluse in lezioni precedenti. Non si è fatto molto uso di tali caratteristiche dell'esperanto perché si è seguito il modello simile a quello italiano (che è anche quello più usato in esperanto) e "per non mettere troppa carne al fuoco", trattandosi di un libro per chi inizia da zero. Però è certo che chi farà uso dell'esperanto si imbatterà, prima o poi, in modi particolari di creare frasi, descritti sotto, il cui uso può essere evitato finché la lingua non è posseduta con una certa sicurezza. In realtà sono finezze che possono essere dedotte più o meno facilmente da chi ha buone basi di grammatica, e sono prove della flessibilità di questa lingua, che può adattarsi a diverse culture. Infatti, si noti che se qualcosa può essere strana per un parlante di una lingua come l'italiano, potrebbe essere molto normale per chi parla una lingua diversa, per cui queste note di fine corso potrebbero non essere affatto sorprendenti per un asiatico, o un parlante di una lingua africana. Quindi questo può essere un modo per sperimentare modi di esprimersi che altrimenti non si sarebbero potuti usare solo con l'italiano (l'inglese, il francese...).

Abbiamo visto che in esperanto ogni radice può appartenere a diverse parti del discorso a seconda della desinenza. Se si trova un contesto adatto, anche il verbo, sostantivo, aggettivo o avverbio più strani possono essere usati, in un modo più "disinvolto" che in altre lingue.

Qualità espresse da verbi

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Il senso di un verbo dell'esperanto non sempre è traducibile con una parola nella nostra lingua (come abbiamo visto nel capitolo sulle parti ricavabili dalla radice, patri = "comportarsi da padre"). Questo modo di assegnare significati, se usato per aggettivi può far evitare il ricorso all'uso della costruzione "verbo essere + aggettivo", secondo un modello orientale diffusosi nella comunità esperantista grazie agli esperantisti asiatici (usato invece dagli occidentali soprattutto in poesia). Ad esempio, le frasi:

  • La vivo estas bela → La vivo belas = La vita è bella
  • La maro estas blua → La maro bluas = Il mare è blu

Strumenti con cui si compie un'azione

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Se la radice che viene trasformata in avverbio indica uno strumento, allora può essere un modo veloce per l'indicazione dello strumento col quale l'azione è stata compiuta, evitando di scrivere "per + nome strumento" come nel modello italiano.

Ad esempio, per un italiano è naturale dire:

  • Mi venis per biciklo = Sono venuto/a in bicicletta
  • Li iros al urbo per aŭto. = Egli andrà in città in automobile.

ma in esperanto nessuno vieta di dire:

  • Mi venis bicikle = Sono venuto biciclettamente
  • Li iros al urbo aŭte. = Egli andrà in città automobilmente

che in italiano non sono corretti (non sempre basta aggiungere "-mente" ad una parola per creare un avverbio corretto).

Anche usando la radice che indica il nome di uno strumento come un verbo si esprime l'azione di usare tale strumento:

  • Mi biciklis = Andavo in bicicletta. → (Letteralmente, ma scorretto in italiano: "Io biciclettavo")
  • Li aŭtos al urbo. = Andrà in città in automobile. → (Letteralmente, ma scorretto in italiano: "Egli automobilerà" fino in città)

In fondo l'esperanto generalizza quello che in qualche caso è possibile anche in italiano:

  • Mi parolis kun ŝi per telefono. = Parlai con lei per telefono
  • Mi parolis telefone kun ŝi. = Parlai con lei telefonicamente
  • Mi telefonis al ŝi. = Le telefonai.

oppure:

  • Andare coi pattini. → Pattinare. = Sketi (con pattini da ghiaccio); rulsketi (con pattini a rotelle)

e così via...

Da notare inoltre che una preposizione seguita da un sostantivo è uno dei modi per ottenere anche in italiano quella che i grammatici chiamano "locuzione avverbiale", ovvero un'espressione composta che ha funzione avverbiale, una sorta di "avverbio composto". Quindi non deve stupire il fatto che tra le espressioni "per telefono" e "telefonicamente" c'è meno differenza di quanto si potrebbe pensare ad un'analisi logico-grammaticale fatta superficialmente, in italiano come in esperanto.

Avverbi e locuzioni avverbiali

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Come appena visto, non sempre in italiano è possibile usare un avverbio per tradurre un avverbio dell'esperanto, quindi in questi casi si ricorre a locuzioni avverbiali (avverbi "composti"). Ecco alcuni esempi di avverbi che in italiano vanno espressi con locuzioni avverbiali, mentre in esperanto si possono essere anche tradotti con avverbi semplici:

  • Laŭ mia opinio → Miaopinie = Secondo la mia opinione, a mio avviso
    • Miaopinie ŝi estas la plej bela = Secondo la mia opinione lei è la più bella
  • En tiu tempo → Tiutempe = A quel tempo
  • En tia maniero → Tiamaniere = In tal modo
  • En alia maniero → Alimaniere = In altro modo
  • Per unu vorto → Unuvorte = Con una parola
  • Per aliaj vortoj → Alivorte = Con altre parole
  • Kiom da fojoj → Kiomfoje = Quante volte
    • Kiomfoje vi legis libron en la lastaj du monatoj? = Quante volte hai letto un libro negli ultimi due mesi?
  • Ŝi iros al hotelo per taksio. = Ella andrà in albergo in tassì. → Ŝi alhotelos taksie. O addirittura, combinando anche l'accusativo per il moto a luogo: Ŝi taksios hotelen.

Ovviamente, anche traducendo dall'esperanto a un'altra lingua e viceversa la scelta di una parola piuttosto che un'altra non dipende solo dalla disponibilità della parola nella lingua di destinazione (in questo caso avverbi e locuzioni avverbiali), ma anche dal contesto e dall'espressione che più è naturale usare nella lingua di destinazione.

Sia ed onia, completamento dei possessivi

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Abbiamo visto come sin e sia vengano usati per riferirsi al soggetto della frase (rispettivamente complemento oggetto riflessivo e possessivo del soggetto). Un errore comune per gli italiani e coloro che non hanno questo tipo di pronome nella propria lingua è quello di usare sia per la composizione del soggetto (mediante una congiunzione). Un esempio di frase con soggetto composto è il seguente:

  • Gianni e Pinotto passeggiano. = Gianni kaj Pinotto promenas.

Immaginando di aver parlato di Gianni e di sapere che Pinotto è suo amico, possiamo sostituire il suo nome proprio con un pronome, mentre possiamo riferirci a Pinotto come "amico di Gianni", "il suo amico".

  • Gianni ed il suo amico passeggiano. = Gianni kaj lia amiko promenas.
  • Gianni ed il suo amico passeggiano. = Gianni kaj sia amiko promenas.

la seconda frase è sbagliata perché essendo sia un pronome che si riferisce al soggetto, non può essere usato nella formazione del soggetto. Confronta con la seguente:

  • Gianni ed il suo amico passeggiano con la loro amica Peppina = Gianni kaj lia amiko promenas kun sia amikino Peppina (l'amica è di G. e P.; Peppina non fa parte del soggetto)
  • Gianni ed il suo amico passeggiano con la loro amica Peppina = Gianni kaj lia amiko promenas kun ilia amikino Peppina (ci riferiamo a Peppina come amica di altre persone, che sottintendiamo)

Nel caso in cui si voglia iniziare con una frase generale, che abbia un soggetto con un possessivo alla terza persona? Ad esempio, modifichiamo lievemente un noto proverbio italiano:

  • La propria pazienza non è mai troppa. = Sia pacienco neniam troas.

la precedente traduzione è sbagliata perché si è usato sia riferito al soggetto (pacienco). Come fare quindi? In precedenza si è volutamente tralasciato il possessivo onia (derivato dal pronome oni) per la sua difficoltà di essere compreso per gli italiani. Esso equivale al pronome oni, quindi significa: di chiunque, di ognuno ... La traduzione esatta della frase precedente dà un esempio dell'uso di questo possessivo:

  • La propria pazienza non è mai troppa = Onia pacienco neniam troas (la pazienza di chiunque, indefinito)

Usiamo un altro proverbio per altri esempi:

  • Erarante oni lernas = Sbagliando chiunque impara (preferiamo ora questa versione alla più classica: "Sbagliando si impara" per motivi didattici; la sostanza comunque non cambierà)

Confronta le differenze di significato nelle seguenti frasi:

  • Oni lernas per siaj eraroj = Chiunque impara per mezzo dei propri errori (Si impara per mezzo dei propri errori)
  • Oni lernas per oniaj eraroj = Chiunque impara per mezzo degli errori di chiunque (errori di chiunque, sia degli altri che di sé stesso)


L'avverbio mem significa "di persona, personalmente", anche traducibile in italiano come "stesso/a, stessi/e", "medesimo/a, medesimi/e" quando hanno una funzione rafforzativa su chi compie un'azione.

  • Mi mem iros = Io stesso andrò.
  • Ili mem diris ĝin = L'hanno detto loro stessi.
  • Tio, kion vi diras estas timinda, do ni mem devas kontroli = La cosa che dici è terribile, quindi dobbiamo controllare noi personalmente
  • Mi memlernas esperanton, do mi estas memlernanto = Imparo l'esperanto da solo, quindi sono autodidatta (memlerni = imparare da sé, da autodidatta).

Ja e ajn

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Gli avverbi originari ja e ajn sono parole che si possono incontrare con una certa frequenza, ma che non tutti i dizionari (specie quelli di base) portano. Infatti il loro uso è utile quando si vuole ulteriormente dare espressività al proprio linguaggio, e quindi non sono fondamentali per un principiante. Ajn è traducibile in italiano come "qualunque", "qualsiasi" (ed altre parole che terminano in -unque, -siasi). Si usa quando si vuole insistere sul fatto che una qualsiasi delle opzioni possibili è buona (indica indifferenza):

  • Kien mi devas meti ĝin? - Kien ajn vi volas. = Dove lo devo mettere? - Dovunque tu voglia. (Tanto per me è indifferente)
  • Kiun filmon vi volas vidi? - Iun ajn. = Quale film vuoi vedere? - Uno qualsiasi.

Ja è un rafforzativo; se la frase è affermativa, rafforza l'affermazione, ponendo l'accento sulla verità di quanto si dice; se invece è negativa, rafforza la parola ne. Nelle affermazioni ha significato di: proprio, veramente, davvero, assolutamente; nelle negazioni ha significato di: assolutamente, affatto, mica:

  • Panjo, ĉu estas ja vi? = Mamma, sei proprio tu?
  • Mi ja ne vidis lin. = Non l'ho visto affatto/mica.
  • Li estas ja traktata kiel reĝo = È veramente trattato come un re.

La bona lingvo, ovvero buone abitudini nell'uso dell'esperanto

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Un noto esperantista belga, Claude Piron (linguista, psicologo e traduttore), ha scritto un'opera che è una delle opere di maggior successo della storia recente dell'esperantismo. L'opera si intitola La bona lingvo (versione scaricabile), ed ha come scopo quello di indicare le migliori abitudini per la comunicazione internazionale in esperanto. In che senso “buone abitudini”? In buona sostanza, si tratta di usare il più possibile un numero minimo di radici per formare nuove parole, usando l'agglutinazione. In tal modo, il lessico da apprendere risulterà minimo, così come il ricorso ai neologismi e i calchi di parole da altre lingue, non complicando inutilmente ciò che è stato creato per essere e rimanere facile. L'opera di Piron è in parte una critica al notissimo Plena Ilustrita Vortaro de Esperanto (PIV). Il PIV è il più ampio dizionario monolingue di esperanto, in cui sono stati inclusi una quantità enorme di neologismi derivati soprattutto dal francese (come oggi proverrebbero - e talvolta provengono - dall'inglese), attirandosi perciò varie critiche dagli esperantisti che avrebbero dovuto imparare troppe nuove parole; c'è da dire che nelle successive edizioni del PIV, molti termini sono marcati come evitindaj (da evitare). Un esempio di malbona lingvo è il neologismo kurta al posto di mallonga; vice versa, un esempio di bona lingvo è retbabilejo: posto in cui si chiacchiera in rete, ovvero chat-room (ret-babil-ejo). Altre “buone abitudini” e dettagli sono indicati in La bona lingvo; pertanto si consiglia tale testo per chi fosse interessato. Altri buoni consigli sono quelli scritti in alcuni articoli dal Professor Renato Corsetti, questa volta destinati ai neoesperantisti italiani, disponibili dal sito della Itala Esperanta Junularo (Gioventù esperantista italiana).

Esercizi

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Esercizi della lezione corrente.