Storia della letteratura italiana/Letteratura al femminile
Nel corso del Novecento la condizione della donna nei paesi industrializzati conosce una significativa traformazione, come conseguenza all'emancipazione femminile e della diffusione del femminismo. Dagli anni sessanta le donne si sono inserite sempre più in vari settori lavorativi, e l'organizzazione domestica e familiare ha conosciuto sviluppi tali da consentire loro maggiori liberà e autonomie. Anche la cultura non è rimasta estranea a questo fenomeno e si è assistito a una crescente presenza di donne nella letteratura rispetto al passato. Le autrici si sono dedicate in particolare alla narrativa, raggiungendo risultati molto originali e vicini al filone del realismo critico di cui si è parlato nel modulo precedente.
La letteratura al femminile cerca di analizzare la realtà esprimendo un punto di vista nuovo, femminile, che sfugge ai modelli della letteratura "maschile". I romanzi raccontano spesso di personaggi femminili, prestando grande attenzione all'indagine psicologica e alle forme concrete della vita sociale e familiare.[1] Tra le esperienze letterarie più intense del secolo vi è senza dubbio quella di Elsa Morante;[2] molto importanti sono state anche scrittrici come Alba De Céspedes, Anna Maria Ortese, Natalia Ginzburg, Lalla Romano.
Donne e letteratura
modificaGià nei secoli precedenti c'erano state donne che avevano dato un contributo importante alla letteraria italiana, come per esempio Caterina da Siena, Gaspara Stampa e Grazia Deledda. La presenza femminile sulla scena letteraria è però cresciuta significativamente a partire dagli anni trenta. Le scrittrici tuttavia sembrano seguire, almeno in questa fase, linee diverse da quelle della cultura dominante dell'epoca, ancora prettamente maschile. Asor Rosa osserva che scrivono «rispondendo a logiche più interne, meno esposte ai rumori di fondo».[3] Nel dopoguerra questa presenza si fa sempre più forte, maturando delle caratteristiche proprie. Le scrittrici degli anni Cinquanta partecipano alle tendenze della letteratura italiana dell'epoca, cercando però di marcare con forza l'importanza dell'identità femminile nella storia italiana e portando avanti delle personali linee di ricerca.[4]
Fausta Cialente
modificaTra queste, una delle più originali è Fausta Cialente (Cagliari, 1898 – Pangbourne, 1994). Dopo avere sposato Enrico Terni nel 1921, si trasferisce in Egitto, dove fonda e dirige Fronte unito, un giornale di orientamento antifascista. Tornata in Italia dopo la fine della seconda guerra mondiale, collabora a varie testate, tra cui L'Unità. Inizia a pubblicare racconti su riviste negli anni trenta, quindi nel 1936 esce il romanzo Cortile a Cleopatra. Il libro però conosce il successo solo con la seconda edizione, che appare nel 1953 con prefazione di Emilio Cecchi. A lui si deve l'espressione «esotismo famigliare» usata per descrivere l'opera, che segue i vagabondaggi di un giovane italiano per le vie di Cleopatra, un quartiere di Alessandria d'Egitto, alla ricerca della madre che non ha mai conosciuto. La sua è una prosa melodiosa che però dimostra di aver assimilato la lezione dei grandi del Novecento europeo, a cominciare da Proust, Joyce e Virginia Wolf.[3]
Anna Banti
modificaAnna Banti (pseudonimo di Lucia Lopresti; Firenze, 27 giugno 1895 – Ronchi di Massa, 2 settembre 1985), critica e storica dell'arte, si dedica anche alla narrativa, portando avanti una ricerca sulla memoria che presta particolare attenzione alla condizione femminile.[2] Esordisce nel 1937 con Itirareraio di Paolina, ma tra i suoi romanzi il più importante è Artemisia (1947), dedicato alla pittrice secentesca Artemisia Gentileschi. Vi confluiscono sia gli studi storico-artistici sia quelli letterari dell'autrice, che aveva approfondito la conoscenza di Manzoni, del romanzo storico e della grande narrativa europea, in particolare Virginia Wolf. Quella di Artemisia è una storia di riscatto, in cui la protagonista passa da una situazione di subalternità e umiliazione (Artemisia durante l'adolescenza fu vittima di uno stupro) alla fama internazionale (a fianco del padre Orazio lavorò prima in Italia e poi alla corte inglese).[5]
Gianna Manzini
modificaAnche Gianna Manzini (Pistoia, 24 marzo 1896 – Roma, 31 agosto 1974) si concentra sul tema della memoria, la cui vastra produzione letteraria risente dell'influenza dei modelli europei contemporanei, con particolare attenzione al tema del tempo e all'indagine psicologica.[2] La sua formazione è debitrice delle esperienze delle riviste Solaria e Letteratura, di cui è stata collaboratrice. Esordisce nel 1928 con il romanzo Tempo innamorato, a cui seguono vari racconti e molti romanzi, come Lettera all'editore (1945), Il valtzer del diavolo (1953), Ritratti e pretesti (1960), Un'altra cosa (1961) e Ritratto in piedi (1971), con cui vince il Premio Campiello. La sua opera più famosa è però La sparviera (1956). È un libro sulla malattia: il protagonista, fin dall'infanzia, è affetto da una strana tosse, che però potrebbe anche essere il frutto di una nevrosi. Il romanzo si caratterizza per una complessa struttura, in cui la narrazione realistica si intreccia e fonde con elementi visionari.[6]
Alba De Céspedes
modificaSempre negli anni trenta esordice Alba De Céspedes (Roma, 11 marzo 1911 – Parigi, 14 novembre 1997), a cui si devono opere narrative di grande successo che mescolano ai modi tradizionali un'intensa indagine psicologica.[7] Figlia di un diplomatico cubano, pubblica nel 1938 il romanzo Nessuno torna indietro. Si tratta di un'opera complessa, che ruota attorno alle vicende di otto ragazze, allieve del collegio Grimaldi di Roma. Ciascuna segue percorsi universitari differenti, ma le loro vite si intrecciano e si influenzano reciprocamente, anche se alla fine i destini di ciascuna saranno molto diversi. Con uno stile lucido e preciso, De Céspedes racconta le vite delle sue otto protagoniste, che si muovono in un ambiente prettamente femminile (le protagoniste hanno prevalentemente relazioni tra di loro e con altri personaggi femminili, e anche il collegio in cui si svolge la storie è retto da suore). Il romanzo riscuote da subito successo tale da essere tradotto in diverse lingue.[8]
Tuttavia, il successo non eviterà a Nessuno torna indietro di cadere nelle maglie della censura fascista. Durante la Resistenza, De Céspedes collabora a Radio Bari e nel 1944 fonda e dirige a Roma la rivista di cultura Mercurio, a cui partecipano anche Silone, Alvaro, Montale, Moravia, Bontempelli, Aleramo e Saba. Nel dopoguerra torna alla narrativa con il romanzo Dalla parte di lei (1949), in cui dimostra una grande capacità di scavo psicologico. Come molte altre opere del periodo, anche Dalla parte di lei è ambientato negli anni della Resistenza e della Liberazione. La storia viene raccontata in prima persona da Alessandra, una giovane donna romana: dopo un'adolescenza infelice, crede di trovare un riscatto nell'amore per Francesco, uno dei capi della Resistenza, ma quando quest'ultimo si distacca e si dedica esclusivamente alla militanza politica, la donna non accetta la perdita e lo uccide.[9]
Anche il successivo Quaderno privato (1952) è la storia di una donna raccontata in prima persona. Più precisamente si tratta di un diario in cui la protagonista, Valeria, annota giorno dopo giorno le sue riflessioni. In questo modo indaga in profondità se stessa e scopre nuove possibilità dell'esistenza. Quello della presa di coscienza delle donne è d'altra parte un tema centrale nella poetica di De Céspedes, che si incontra anche nelle sue opere successive, come Prima e dopo (1959), Il rimorso (1967) e Nel buio della notte (1976).[10]
Anna Maria Ortese
modificaAnna Maria Ortese (Roma, 13 giugno 1914 – Rapallo, 9 marzo 1998) nelle sue opere si è sempre mossa a cavallo tra l'inchiesta giornalistica e l'invenzione narrativa, rifiutando qualsiasi programma ideologico.[2] Nata in una famiglia umile, non ha seguito studi regolari e ha vissuto in varie città del Sud Italia. Collaboratrice di riviste e giornali come «Oggi» e «L'Europeo», ha iniziato a scrivere racconti alla fine degli anni trenta sul modello di Bontempelli.[11]
Nel 1953 pubblica Il mare non bagna Napoli, una raccolta di racconti vicina al coevo neorealismo, in cui descrive le miserabili condizioni di vita nella città partenopea, tra sottoproletari incapaci di ribellarsi alla loro subalternità e giovani intellettuali frustrati nelle loro sperante di rinnovare la cultura. In seguito scrisse opere di taglio più visionario, come L'iguana (1965) e Il cappello piumato (1979).[12]
Natalia Ginzburg
modificaNatalia Ginzburg (nata Natalia Levi; Palermo, 14 luglio 1916 – Roma, 7 ottobre 1991) è senz'altro una delle personalità di maggior rilievo nel panorama cultuale italiano. Nata da una famiglia di origini ebraiche, figlia di un docente di anatomia comparata, trascorse l'infanzia a Torino, dove crebbe in un ambiente colto e frequentò gli ambienti dell'antifascismo. Proprio in questo ambiente conobbe Leone Ginzburg, studioso di letteratura russa, con cui convolò a nozze nel 1938. Due anni più tardi seguì il marito al confino in Abruzzo, dove inizierà a tradurre La strada di Swann di Marcel Proust. Contemporaneamente, aveva iniziato a collaborare, insieme ad altri intellettuali (tra cui lo stesso Ginzburg e Cesare Pavese), alla casa editrice Einaudi, fondata a Torino nel 1933 da Giulio Einaudi. Rimasta vedova nel 1944 (Leone Ginzburg morì vittima delle persecuzioni fasciste) mantenne il cognome del marito e nel dopoguerra proseguì il lavoro presso Einaudi. Nel 1950 si stabilì a Roma e si risposò con l'anglista Gabriele Baldini. Morì nella capitale nel 1991.[13]
L'esordio letterario di Natalia Ginzburg avvenne nel 1933 sulla rivista Solaria, dove pubblicò il racconto I bambini. Nel 1942 uscì invece La strada che va in città, firmato con lo pseudonimo di Alessandra Tornimparte per evitare la censura dovuta alle leggi razziali. La prima opera di una certa importanza è il romanzo breve È stato così (1947), in cui compaiono per la prima volta le tematiche che caratterizzeranno la sua produzione successiva.[13] Nelle sue opere ritorna infatti sui ricordi dell'infanzia, e descrive un mondo concreto utilizzando un linguaggio piano e rassicurante, pervaso di curiosità ironica.[2] In tutti i suoi romanzi si riscontra un ripiego nella dimensione quotidiana e privata, distante dai modi del neorealismo. Se da una parte si pone la realtà comune, nella sua monotonia, dall'altra c'è l'introspezione psicologica, che nutre una tensione nascosta e porta a epiloghi drammatici. Il suo stile inoltre si caratterizza per una scrittura monotonale, che dà vita a un flusso di pensieri che continuano a intrecciarsi e sciogliersi.[13]
Tra le sue opere si ricordano Le voci della sera (1961), Le piccole virtù (1962), Lessico famigliare (1963), Mai devi domandarmi (1970), Caro Michele (1973), La famiglia Manzoni (1985).
Lalla Romano
modificaDecisamente appartata è stata l'esperienza letteraria di Lalla Romano (propriamente Graziella Romano; Demonte, 11 novembre 1906 – Milano, 26 giugno 2001).
Esordì nel 1941 con la raccolta di poesie Fiore, quindi pubblicò il libro La metamorfosi (1951), che raccoglie testi dedicati a sogni. Si dedicò poi a romanzi di ispirazione autobiografica: Maria (1983), Tetto murato (1957), La penombra che abbiamo attraversato (1964). A questo seguì Le parole tra noi leggère (1969), vincitore del Premio Strega, L'ospite (1973), La villeggiante (1975), Lettura di immagini (1975). In Una giovinezza inventata narra della sua giovinezza negli anni venti, in cui l'esperienza dell'autrice diventa emblema della giovinezza femminile come lotta per muoversi nel mondo. Tra le ultime opere si ricordano Inseparabile (1981), Nei mari estremi (1987), Le lune di Hvar (1991).
Nelle sue opere, che si svolgono tutte in un panorama borghese, si è concentrata sul tema della memoria, senza tuttavia caricarla di un'aura poetica, ma evidenziando come il ricordo si modifichi nel suo farsi racconto e studiando i rapporti tra le persone, i tentativi di comprendere l'estraneità degli altri e il rapporto con una realtà in mutamento. La sua analisi viene portata avanti attraverso una lingua costituita da frasi semplici.[14]
Note
modifica- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 1134.
- ↑ 2,0 2,1 2,2 2,3 2,4 Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 1135.
- ↑ 3,0 3,1 Alberto Asor Rosa, Storia europea della letteratura italiana, vol. 3: La letteratura della Nazione, Torino, Einaudi, 2009, p. 358.
- ↑ Alberto Asor Rosa, Storia europea della letteratura italiana, vol. 3: La letteratura della Nazione, Torino, Einaudi, 2009, pp. 412-413.
- ↑ Alberto Asor Rosa, Storia europea della letteratura italiana, vol. 3: La letteratura della Nazione, Torino, Einaudi, 2009, pp. 414-415.
- ↑ Alberto Asor Rosa, Storia europea della letteratura italiana, vol. 3: La letteratura della Nazione, Torino, Einaudi, 2009, p. 415.
- ↑ De Cèspedes, Alba, in Enciclopedia, Treccani.
- ↑ Alberto Asor Rosa, Storia europea della letteratura italiana, vol. 3: La letteratura della Nazione, Torino, Einaudi, 2009, p. 359.
- ↑ Alberto Asor Rosa, Storia europea della letteratura italiana, vol. 3: La letteratura della Nazione, Torino, Einaudi, 2009, p. 413.
- ↑ Alberto Asor Rosa, Storia europea della letteratura italiana, vol. 3: La letteratura della Nazione, Torino, Einaudi, 2009, pp. 413-414.
- ↑ Ortese, Anna Maria, in Dizionario della letteratura italiana del Novecento, diretto da Alberto Asor Rosa, Torino, Einaudi, 1992.
- ↑ Alberto Asor Rosa, Storia europea della letteratura italiana, vol. 3: La letteratura della Nazione, Torino, Einaudi, 2009, pp. 415-416.
- ↑ 13,0 13,1 13,2 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La narrativa del Novecento, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 242.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 1141.
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