Storia della letteratura italiana/Gruppo 63

Storia della letteratura italiana
Storia della letteratura italiana
  1. Dalle origini al XIV secolo
  2. Umanesimo e Rinascimento
  3. Controriforma e Barocco
  4. Arcadia e Illuminismo
  5. Età napoleonica e Romanticismo
  6. L'Italia post-unitaria
  7. Prima metà del Novecento
  8. Dal secondo dopoguerra a oggi
Bibliografia

Il Gruppo 63 è uno dei momenti più alti della neoavanguardia. Il nome deriva dall'anno della sua fondazione, avvenuta durante un convegno tenuto a Palermo dal 3 all'8 ottobre 1963 a opera di alcuni intellettuali che gravitavano attorno alla rivista Il Verri. Bisogna però precisare che non è stato un movimento omogeneo basato su un'estetica condivisa. Si trattava piuttosto di un gruppo intellettuali accomunati da alcuni punti chiave, come: l'abbandono del Neorealismo e della sua concezione di letteratura impegnata, l'attenzione verso la realtà del mondo industriale, la contrarietà alla mercificazione dei prodotti intellettuali, la volontà di sperimentare con il linguaggio per cercare nuovi mezzi di comunicazione per esprimere il proprio approccio critico al reale.[1]

All'interno del gruppo erano però presenti posizioni differenti. Ferroni individua a grandi linee due orientamenti: uno "fenomenologico", aperto a sperimentare nuove possibilità teoriche e creative, e uno "ideologico", vicino al marxismo ma consapevole dei suoi limiti. La spinta rivoluzionaria sessantottina contribuì ad ampliare le distanze tra le varie posizioni, portando allo scioglimento del Gruppo 63 alla fine degli anni sessanta. Il mensile «Quindici», che era stato fondato nel 1967 e la cui attività era legata all'esperienza del Gruppo, terminò le pubblicazioni nel 1969: questa data può essere presa come momento finale dell'esistenza del Gruppo.[2]

Un gruppo molto variegato

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Al Gruppo 63 sono riconducibili moltissimi poeti, critici e scrittori. Gli elenchi più completi ricordano Alberto Arbasino, Luciano Anceschi, Nanni Balestrini, Renato Barilli, Achille Bonito Oliva, Furio Colombo, Corrado Costa, Fausto Curi, Roberto Di Marco, Umberto Eco, Enrico Filippini, Alfredo Giuliani, Alberto Gozzi,[3] Angelo Guglielmi, Germano Lombardi, Giorgio Manganelli, Giulia Niccolai, Elio Pagliarani, Renato Pedio, Michele Perriera, Lamberto Pignotti, Antonio Porta, Edoardo Sanguineti, Giuliano Scabia, Adriano Spatola, Aldo Tagliaferri, Gian Pio Torricelli e Sebastiano Vassalli. Più ai margini anche Nanni Cagnone, Gianni Celati, Alice Ceresa, Giordano Falzoni, Luigi Gozzi, Francesco Leonetti, Luigi Malerba, Marina Mizzau, Rossana Ombres, Nico Orengo, Amelia Rosselli, Gaetano Testa, Carla Vasio e Cesare Vivaldi.[4] In questo modulo, però, ci soffermeremo solo sugli autori più significativi.

Elio Pagliarani

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Elio Pagliarani (Viserba, 25 maggio 1927 – Roma, 8 marzo 2012) è autore di una poesia che risponde a un'esigenza di «toccare le cose attraverso il linguaggio». Legato alla tradizione della sinistra, ha sempre rifiutato i dogmatismi e le discussioni teoriche sul ruolo dell'intellettuale. In stretto rapporto con la linea lombarda, esordisce negli anni cinquanta con la raccolta Cronache e altre poesie (1954), a cui segue Inventario privato (1959), in cui prevalgono i toni lirici. La sua opera più significativa è però il poemetto narrativo La ragazza Carla, pubblicato inizialmente sul Menabò nel 1960 e poi in volume con altre poesie nel 1962: Pagliarani, prendendo chiaramente la strada dello sperimentalismo, racconta di una giovane dattilografa, della sua vita nel grigio ambiente industriale milanese e del suo lavoro alienante, ricorrendo a scatti linguistici improvvisi ma calcolati e creando un senso di straniamento. Nella poesia, inoltre, Pagliarani ha cercato commistioni nuove tra i generi, prediligendo la forma della "lettera-recitativo". Questa ricerca di una poesia «recitata» è evidente nelle raccolte Lezione di fisica e Fecaloro (1968) e Rosso corpo lingua oro pope scienza. Doppio trittico di Nandi (1977, che contiene anche La ballata di Rudy).[5]

Edoardo Sanguineti

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Edoardo Sanguineti nel 2006

Edoardo Sanguineti (Genova, 9 dicembre 1930 – Genova, 18 maggio 2010) è forse il più rappresentativo autore della neoavanguardia. Docente di letteratura italiana all'università di Genova, ha sempre fatto riferimento a un orizzonte teorico ben preciso, che legava le avanguardie del Novecento al marxismo. Fin dagli esordi, negli anni cinquanta e sessanta, ha cercato di scardinare i piani del linguaggio borghese e di sottrarre l'arte al mercato, prendendo allo stesso tempo la strada dell'impegno etico e politico (negli anni settanta militerà nel Partito Comunista e sarà più volte deputato). Ha collaborato con le riviste Il Verri, Marcatré, Quindici, e ha partecipato attivamente ai lavori del Gruppo 63.

Il suo primo libro, Laborintus (1956), è un poema composto da versi atonali, un lungo monologo intellettuale in cui confluiscono diversi elementi (oggetti, dati eruditi, citazioni): l'io narrante si fa strada attraverso la palus putredinis («palude di putridume») e il labirinto della cultura, della psicologia e della storia. In questo labirinto ha un ruolo importante l'erotismo, visto come qualcosa di autentico in modo assoluto. A questo tema sono dedicate le poesie di Erotopaegnia (1956-1959), libro che, insieme a Laborintus e al Purgatorio de l'Inferno (1960-1963) confluirà nel volume Triperuno.[6]

In seguito Sanguineti ha lavorato a due opere che sono diventate tra gli esempi più importanti di romanzo d'avanguardia: Capriccio italiano (1968) e Il giuoco dell'oca (1971). All'inizio degli anni settanta è poi tornato alla poesia con la raccolta Wirrwarr (1971), in cui la struttura ritmica si fa più dimessa e vengono trattati argomenti quotidiani. Tutte le poesie successive sono confluite in Segnalibro. Poesie 1951-1981 (1982).[7]

Lo scopo di Sanguineti è distruggere il linguaggio della comunicazione letteraria, il quale è inteso come una espressione mercificata dell'ideologia borghese. La sua produzione mira a mettere a nudo le aberrazioni e le contraddizioni dell'ideologia, ricorrendo anche agli strumenti messi a disposizione dalla psicanalisi. Altro concetto su cui insiste è quello di mitopoiesi: la poesia è intesa anche come creatrice di miti. Il suo sperimentalismo si propone come una forma estrema di realismo, rappresentazione di un mondo sconvolto che pone il lettore di fronte alla perdita delle sue certezze.[8]

Giorgio Manganelli

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Giorgio Manganelli nasce a Milano il 15 novembre 1922 e muore a Roma il 28 maggio 1990. Studioso di letteratura inglese e in seguito giornalista per varie testate (l'Espresso, Corriere della Sera, La Stampa), si avvicina alla neoavanguardia e a al Gruppo 63 per la sua insofferenza verso il realismo e la serietà degli ambienti intellettuali. Nei saggi raccolti nel volume La letteratura come menzogna (1967) espone il suo punto di vista sulla letteratura, intesa come contraddizione permanente, artificio e alternativa alla realtà. Nelle sue opere narrative a parlare è una voce che si sottrae continuamente, mentre proliferano le finzioni e il rigore razionale si mescola con eccessi barocchi. I generi tradizionali vengono sconvolti, mentre viene fatto ricorso al plurilinguismo, erede dell'esperienza di Gadda. Rispetto allo scrittore lombardo, Manganelli risponde però a un freddo gioco intellettualistico, che punta allo humor nero e si sofferma sulle implicazioni psicanalitiche. Tra i suoi romanzi si ricordano Hilarotragoedia (1964), Nuovo commento (1969), Agli dèi ulteriori (1972), A e B (1975), Sconcluzione (1976), Pinocchio: un libro parallelo (1977), Centuria (1979), Amore (1981), Dall'inferno (1985).[9][10]

Alberto Arbasino

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Alberto Arbasino (a destra) con Giuseppe Pontiggia nel 1994, all'assegnazione del Premio Campiello

Alberto Arbasino (Voghera, 22 gennaio 1930 - 23 marzo 2020) è salito alla ribalta negli anni cinquanta come enfant prodige della neoavanguardia. Nelle sue opere si immerge completamente nella cultura contemporanea, ottenendone combinazioni inesauribili; la sua narrativa predilige in particolare il plurilinguismo e il pastiche.[11] Punto di riferimento per la sua opera è Gadda, con cui condivide la provenienza dall'ambiente culturale lombardo, il gusto per il gioco linguistico, il continuo ritorno sulle proprie opere, per rivederle e modificarle. Ma mentre Gadda propende per la costruzione romanzesca, Arbasino è più orientato all'affabulazione, che ingloba qualsiasi cosa.[12]

Si è affermato nel 1959 con L'anonimo lombardo, ma la sua opera più importante è Fratelli d'Italia, un romanzo vastissimo a cui ha lavorato per lunghi anni e che ha conosciuto diverse edizioni: compare infatti una prima volta nel 1963, quindi viene ripubblicato nel 1976 in una versione completamente riscritta, per comparire infine in una terza definitiva edizione, ulteriormente modificata e ampliata, nel 1993. La complessa trama ruota attorno a un gruppo di giovani, dei quali descrive il percorso di iniziazione intellettuale sullo sfondo dell'Italia borghese e benestante, in un caos di oggetti, incontri, mostre, esperienze (lo stesso autore lo definì un «romanzo millefoglie»). L'effetto dissacrante con cui si accosta alla realtà viene ottenuto attraverso un espediente tipico della neoavanguardia, la mimesi dei linguaggi, con la registrazione delle chiacchiere dei diversi personaggi attorno alla letteratura, all'attività culturale, alla musica, a tutto ciò che è à la page.[13]

Anche nelle sue opere successive ha proseguito con questo gusto per il pastiche: Super-Eliogabalo (1969), Il principe costante (1972), La Bella di Lodi (1972), Specchio delle mie brame (1974). Oltre a romanzi, Arbasino ha poi scritto anche saggi e volumi di viaggio.

Alfredo Giuliani

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Il curatore dell'antologia dei Novissimi, Alfredo Giuliani (Mombaroccio, 23 novembre 1924 – Roma, 20 agosto 2007), è stato anche un critico militante, aperto alle scelte più diverse ma animato da spirito polemico. Partito da una poetica degli oggetti, è passato a presentare nelle sue poesie un pensiero disarticolato, ricco di incongruenze. Le sue esperienze poetiche sono state poi raccolte in Versi e non versi (1986).[14]

Nanni Balestrini

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Nanni Balestrini (Milano, 2 luglio 1935 - 20 maggio 2019) ha affiancato alla sua attività di redattore editoriale un intenso impegno politico nelle file della sinistra: nel 1968 ha contribuito a fondare Potere Operaio, mentre nel 1976 ha sostenuto il Gruppo di Autonomia. Nel 1979 è stato incriminato per appartenenza a banda armata; ha quindi lasciato l'Italia per alcuni, fino all'assoluzione pronunciata nel 1985.[15]

La sua poesia si caratterizza per la negazione di qualsiasi linguaggio e per l'accumulo di elementi linguistici eterogenei, ripresi da vari ambiti della lingua corrente. Dopo la raccolta Come agisce (1963), un'opera dagli intenti programmatici, si è dedicato a testi in prosa che si basavano sull'accumulo elementi linguistici, attraverso il quale tentava di esprimere in modo diretto la realtà: Vogliamo tutto (1972), La violenza illustrata (1976), Gli invisibili (1987).[16]

Luigi Malerba

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Luigi Malerba, pseudonimo con cui si firmava Luigi Bonardi (Pietramogolana, 11 novembre 1927 – Roma, 8 maggio 2008), è stato autore di opere dalla spiccata sperimentazione, vicine alla neoavanguardia, della quale però non condivideva lo spirito programmatico. I protagonisti dei suoi romanzi sono personaggi folli e dall'identità malsicura, che riconoscono se stessi e il mondo attraverso la menzogna. In questo contesto, il comico a cui l'autore ricorre serve a svelare l'assurdità del mondo e del linguaggio: la molteplicità degli oggetti e dei linguaggi equivale di fatto al vuoto e al silenzio.[17]

Malerba esordisce nel 1963 con La scoperta dell'alfabeto, una serie racconti ambientati nella campagna padana. Nel successivo romanzo Il serpente (1966), il protagonista racconta una storia che si rivela completamente falsa: è come un serpente che si morde la coda, che ritorna su se stesso e sul mondo che ha inventato, ma di cui ormai ha perso coscienza. Sulla stessa linea, Salto mortale (1968) è il monologo di un personaggio ancora più sfuggente, in cui interferiscono le voci di altri personaggi: in questo modo si crea una moltiplicazione delle identità, attraverso le quali viene tracciato un cerchio che, ancora una volta, torna sempre su se stesso. L'io narrante descrive una realtà ben definita, la campagna romana tra i colli Albani, parlando di elementi ben precisi che appartenevano alla quotidianità degli anni sessanta. Come scrive Ferroni, l'opera si dirige ormai verso il postmoderno: apparizioni vuote che ruotano attorno a se stesse, in un ambiente disintegrato, e che usano una lingua quasi neutra basata sull'italiano medio diffuso dal cinema e dalla televisione, pieno di ripetizioni.[18]

Tra le opere successive di Malerba si ricordano ancora il romanzo Il protagonista (1973), che si colloca nello stesso solco del Serpente e di Salto mortale, e i racconti di Le rose imperiali (1974), Dopo il pescecane (1979), Testa d'argento (1988). Il romanzo Il pataffio (1978) gioca con linguaggi arcaici e maccheronici. Il pianeta azzurro (1986) è invece composto da un intreccio di piani narrativi, in cui voci diverse si identificano e si separano, sullo sfondo di un complotto mondiale. Nelle ultime opere, il mondo diventa una trappola in cui accadono eventi terribili, di cui i media restituiscono solo immagini false: nel romanzo Il fuoco greco (1989) l'impero bizantino diventa una metafora del mondo contemporaneo.[19]

  1. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La poesia, la saggistica e la letteratura drammatica del Novecento, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 101.
  2. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 1112-1113.
  3. Fonte dell'inclusione dei nomi citati: Il Gruppo 63 quarant'anni dopo: atti del Convegno di Bologna (8-11 maggio 2003), Bologna, Pendragon, 2005.
  4. Renato Barilli e Angelo Guglielmi (a cura di), Gruppo 63. Critica e teoria, Torino, Testo & immagine, 2003.
  5. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 1125-1126.
  6. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 1126-1127.
  7. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 1127-1128.
  8. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La poesia, la saggistica e la letteratura drammatica del Novecento, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 267.
  9. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 1129.
  10. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La poesia, la saggistica e la letteratura drammatica del Novecento, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, pp. 262-263.
  11. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 1129-1130.
  12. Alberto Asor Rosa, Storia europea della letteratura italiana, vol. 3: La letteratura della Nazione, Torino, Einaudi, 2009, p. 530.
  13. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La poesia, la saggistica e la letteratura drammatica del Novecento, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, pp. 258-259.
  14. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 1128.
  15. Balestrini, Nanni, in Dizionario della letteratura italiana del Novecento, diretto da Alberto Asor Rosa, Torino, Einaudi, 1992.
  16. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 1128-1129.
  17. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 1130.
  18. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 1130-1131.
  19. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 1131.