Storia della filosofia/Filosofia presocratica

Indice del libro

La storia della filosofia occidentale si fa generalmente iniziare con i presocratici, un gruppo di filosofi vissuti in Grecia tra il VI e il V secolo a.C. Già alcuni autori antichi, per ricostruire i primi passi della filosofia antica, individuavano una fase precedente all'avvento di Socrate, nella quale i filosofi si erano interessati a temi come lo studio della natura (physis) e della sua origine (arché).[1]

Contesto storico modifica

La civiltà micenea modifica

 
La porta dei leoni, ingresso principale di Micene

Le origini del popolo greco affondano le loro radici in epoche molto antiche. Tra il 1850 e il 1600 a.C. le tribù indoeuropee di quelli che sarebbero stati conosciuti come gli Achei, gli Ioni e gli Eoli migrarono lentamente verso l'attuale Grecia, mescolandosi con le popolazioni locali. SU questa base fiorì la civiltà micenea, tra il 1600 e il 1150 a.C. L'antica società micenea aveva a capo la classe dei nobili (gli aristoi), guerrieri che potevano permettersi un carro da combattimento e che abitavano in monumentali palazzi fortificati. L'economia era prevalentemente agricola e artigiana. Durante il XV secolo questa civiltà si espanse verso l'Asia minore e verso Creta, di cui assimilò la raffinata cultura.

Attorno al 1150 si assiste però alla fine della civiltà micenea, in seguito allo spostamento degli Illiri verso il Mediterraneo. Ne seguì una nuova migrazione, detta migrazione dorica, che si può ricostruire studiando la diffusione dei principali gruppi linguistici greci: ionico (Attica, Eubea e Asia minore), acheo ed eolico (Lesbo, Eolia), dorico (Argolide, Laconia, Rodi, Asia minore sudoccidentale). Tra le innovazioni portate da queste popolazioni c'è l'uso di combattere a cavallo con armi di ferro (gli Achei combattevano sui carri con armi di bronzo) e di costruire templi.

La nascita della polis modifica

Gradualmente l'aristocrazia lasciò il posto a nuove forme politiche. Nacquero anzitutto le polis, città-stato sorte attorno a una fortezza rialzata (acropolis) per difendersi dalle scorrerie dei nemici. Lo stato, in questo caso, si identificava con il territorio della città. La monarchia perse progressivamente il suo potere assoluto per essere poi abbandonata. Altrove si svilupparono invece degli agglomerati urbani in cui si formò una nuova nobiltà fondata sul potere economico e il possesso di latifondi. Da qui si sviluppò l'oligarchia, cioè il governo di pochi su molti, che tra il VII e il VI secolo dovette lasciare il posto ai tiranni. Infine nei territori periferici, come l'Epiro e la Macedonia, sopravvisse la monarchia, seppure con poteri limitati rispetto al passato.

 
Solone

Significativa è l'evoluzione politica di Atene. Abbandonata la monarchia nel 683 a.C., passò al governo degli arconti, magistrati che rimanevano in carica un anno e a cui venivano affidate precise mansioni. Una crisi politica e sociale dovuta all'indebitamento dei contadini fu fronteggiata dalla legislazione di Dracone (624 a.C.), con cui agli arconti si affiancarono i tesmoteti. Intanto, la crescita del ceto medio mercantile, arricchitosi grazie agli scambi marittimi, portò a nuove fratture sociali. Nel 594 a.C. Solone, diventato arconte con pieni poteri, varò alcune riforme che limitarono il potere dell'aristocrazia e cancellarono i debiti fondiari dei contadini. In sintesi, il cittadino ateniese era riconosciuto a tutti gli effetti membro dello stato. Questo non bastò però a portare alla stabilità politica, e così nel 560 a.C. Pisistrato instaurò una tirannia, durante la quale Atene conobbe una fase di espansione economica e fioritura artistica. Nel 510 la tirannia, passata nel frattempo a Ippia e Ipparco, figli di Pisistrato, fu rovesciata da Clistene, che introdusse il principio dell'isonomía (tutti i cittadini godono degli stessi diritti) e riorganizzò la popolazione in dieci tribù.

La Grecia antica quindi era priva di una unità territoriale e politica, suddivisa com'era in diverse città-stato, spesso in competizione tra di loro, i cui rapporti erano regolati da trattati di pace o di alleanza. Tuttavia, alcuni caratteri accomunavano tutti i Greci (gli “Elleni”) e li distinguevano dai non-Greci, chiamati spregiativamente "barbari". Anzitutto, le popolazioni greche si riconoscevano in un mitico antenato comune, l'eroe Elleno. Inoltre, seppur parlassero dialetti differenti, tutti usavano un alfabeto derivato da quello fenicio, ma che a differenza di questo utilizzava dei segni per le vocali. Altri elementi unificanti erano i miti omerici (risalenti all'VIII secolo a.C.), che affondavano le loro radici nell'epoca micenea, e la religione, che riconosceva particolare importanza ad alcuni santuari, come Delfi.

Le colonie modifica

Un momento particolarmente importante nell'espansione della civiltà greca è la fondazione di nuove colonie. Queste godevano di una propria autonomia, e mantenevano solo un legame culturale con la madre patria. La fondazione di una colonia rispondeva a varie esigenze di carattere economico (espansione verso nuovi mercati, ricerca di nuove risorse) o sociale (emigrazione politica). Talvolta la decisione di fondare una colonia veniva presa dalla città madre dopo avere consultato un oracolo e avere individuato un fondatore; altre volte invece la colonia si costituiva attorno a un porto o a un insediamento preesistente.

Tra il 750 e il 550 a.C. i Greci si espansero verso il Mediterraneo occidentale. Le colonie più importanti sorsero in Campania, Sicilia e Italia meridionale. Un ulteriore colonizzazione verso ovest, in Sardegna, Iberia e Africa settentrionale, fu però fermata dalla presenza cartaginese, che controllova quell'area del Mediterraneo.

Le guerre persiane modifica

Una fase fondamentale si ebbe nei primi decenni del V secolo, quando le città greche dovettero fare fronte comune per fermare l'avanzata dell'impero persiano. La prima guerra persiana (490 a.C.) si concluse con la vittoria dell'esercito ateniese a Maratona, che costrinse i Persiani a ritirarsi in Asia minore. Questi tentarono un secondo assalto sotto la guida del re Serse, ma furono nuovamente sconfitti dai Greci nella seconda guerra persiana (480-479 a.C.). Le conseguenze per le polis furono molto importanti: i Persiani rinunciarono alla conquista della Grecia, che conobbe vent'anni di pace, mentre Atene e Sparta affermarono la loro importanza nella regione, un ruolo che avrebbero rafforzato negli decenni successivi.

I presocratici: classificazione e problematiche modifica

Questione di nomi modifica

Il gruppo dei primi filosofi greci, comunemente chiamati presocratici perché precedenti a Socrate e alla sua svolta filosofica, include:

  • i naturalisti della scuola di Mileto, cioè Talete, Anassimandro e Anassimene;
  • Eraclito di Efeso;
  • Pitagora di Samo, fondatore della scuola pitagorica, a cui appartennero tra gli altri Filolao di Crotone, Alcmeone di Crotone, Archita di Taranto e Timeo di Locri;
  • Senofane di Colofone;
  • Parmenide e i suoi allievi Zenone di Elea e Melisso di Samo (detti Eleati);
  • i pluralisti Empedocle, Anassagora e gli atomisti Leucippo e Democrito.

Bisogna però notare che il termine "pre-socratici", ampiamente utilizzato nella storiografica moderna, non compare quindi nelle opere dei filosofi antichi. Oggi alcuni studiosi propongono di abbandonare questa denominazione perché fuorviante: sia perché alcuni presocratici furono contemporanei di Socrate (come per esempio Democrito), sia perché per ricostruire l'evoluzione del pensiero greco tra VI e V secolo a.C. bisogna prendere in esame anche i cosmologi antici, i poeti come Esiodo, i politici come Solone, gli storici come Erodoto e Tucidide.[2]

Che la classificazione di questi filosofi sia problematica lo dimostra anche il fatto che tradizionalmente nel gruppo dei presocratici venivano inclusi anche i sofisti. Tuttavia, molti storici della filosofia hanno osservato come il passaggio dalla speculazione ontologica e cosmologica a quella antropologica ed etica sia avvenuto con i sofisti prima che con Socrate. Da qui deriva la proposta, sostenuta da alcuni studiosi, di adottare la denominazione di "presofisti" che denoterebbe meglio questo gruppo di pensatori.

Fasi della filosofia presocratica modifica

Già i filosofi antichi riconoscevano diversi momenti nella filosofia presocratica. In una prima fase, filosofi come Talete e gli altri esponenti della scuola di Mileto si erano occupati dell'origine dell'universo, cercando il principio primo in un elemento naturale. Una seconda fase è inauguarata da Parmenide e dai suoi allievi, che negavano il mutamento e il movimento sostenendo che tutto ciò che esiste è una cosa sola. In reazione a queste tesi, alcuni filosofi detti pluralisti cercano di spiegare la molteplicità che si può osservare nel mondo naturale accettando però alcuni dei vincoli previsti da Parmenide.[3]

Questa ricostruzione, derivata dalla lettura di Platone e Aristotele, ha tuttavia il limite di tralasciare altri ambiti di indagine che furono studiati dai presocratici, come la teologia, l'epistemologia e l'etica. I presocratici infatti non si dedicarono unicamente alla filosofia naturale, ma si occuparono anche di aspetti etici e politici. Allo stesso modo, anche Socrate e i sofisti si interessarono allo studio della physis, e la loro riflessione politica è per certi aspetti affine a quella degli ultimi presocratici.[4]

Le fonti per lo studio dei presocratici modifica

Un'altra difficoltà nello studio dei presocratici riguarda la ricostruzione del loro pensiero e delle argomentazioni che utilizzarono a sostegno delle loro teorie. Nella maggior parte dei casi, infatti, le opere di questi autori sono andate perse nel corso dei secoli. Ciò che rimane dei loro scritti sono per lo più le citazioni contenute in opere di altri filosofi e storici antichi, oltre a qualche raro frammento salvatosi dall'oblio. A questo si devono aggiungere le testimonianze di altri filosofi, che nei loro scritti ricostruiscono il pensiero dei predecessori dandone però un'interpretazione personale.

Il principale strumento per studiare la filosofia presocratica è la raccolta curata dal filologo tedesco Hermann Diels che fu pubblicata per la prima volta nel 1903, e che in seguito fu ampliata da Walter Kranz. A questa importante opera si fa riferimento come Diels-Kranz (sigla DK).

Concetti base della filosofia presocratica modifica

I filosofi presocratici rigettarono le tradizionali interpretazioni mitologiche dei fenomeni a favore di spiegazioni più razionali. Si ponevano domande come:

  • Quale è l'origine delle cose?
  • Quale è la sostanza di tutte le cose?
  • Come possiamo spiegare la molteplicità delle cose che esistono in natura?
  • Che rapporto c'è tra unità e molteplicità?

Benché quasi tutte le soluzioni cosmologiche dei primi pensatori greci siano state surclassate, in seguito, da riflessioni più complesse e soprattutto da conoscenze scientifiche più approfondite e metodiche, la filosofia non ha mai smesso di interrogarsi sulle questioni da essi sollevate. Vediamo ora più da vicino i concetti fondamentali della filosofia presocratica.

Centrale è il concetto di physis (φύσις). Questa parola, che viene tradotta in genere con "natura", ha la stessa radice del verbo phuein (φύειν), che significa "generare, crescere". Come scrive Giovanni Reale, «per i Presocratici la physis è la totalità del reale considerato nella sua struttura (ontologica), ossia nel suo ordine e nelle sue leggi con tutto ciò che queste implicano».[5] I primi filosofi si dedicarono inoltre alla ricerca dell'arché (ἀρχή), il principio e la causa prima di tutte le cose. È ciò che dà inizio alla realtà, che la regge e la governa, ciò da cui tutto proviene e a cui tutto ritorna.[6] La ricerca razionale di un principio per tutto ciò che esiste dà inizio alla filosofia occidentale.

Note modifica

  1. James Warren, I presocratici, Torino, Einaudi, 2009, pp. 5.
  2. James Warren, I presocratici, Torino, Einaudi, 2009, pp. 3-4.
  3. James Warren, I presocratici, Torino, Einaudi, 2009, p. 6.
  4. James Warren, I presocratici, Torino, Einaudi, 2009, p. 9.
  5. Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 5, Milano, Vita e Pensiero, 1988, p. 209.
  6. Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 5, Milano, Vita e Pensiero, 1988, p. 209.