Introduzione allo Zohar/Capitolo VI

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Albero della vita cabalistico, coi nomi in ebraico delle sefirot e dei percorsi

Capitolo VI

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Lo Zohar, nella forma che il lettore contemporaneo incontra oggi, è un'opera in tre volumi, comprendente circa milleseicento pagine in-folio, ordinate nella maniera di commentario della Torah. Il primo volume comprende lo Zohar su Genesi, il secondo volume è lo Zohar su Esodo, e il terzo volume completa i rimanenti tre libri della Torah. Il testo è diviso in omelie sulle porzioni settimanali della Torah, che prendono la forma di un antico midrash. Nell'ambito di tale forma, tuttavia, sono incluse lunghe digressioni e sottosezioni dello Zohar, alcune delle quali non hanno relazioni con questa struttura midrashica e sembrano essere inserite alquanto arbitrariamente in una data porzione della Torah. Un'aggiunta ai tre volumi è lo Zohar Ḥadash ("Nuovo Zohar"), una raccolta di materiali che furono omessi dalle prime edizioni stampate dello Zohar ma furono selezionati da fonti manoscritte. Qui troviamo addenda alle porzioni di Torah ma anche commentari parziali a Rut, Lamentazioni, e Cantico dei Cantici. Un'altra opera di solito considerata parte della letteratura Zohar è Tiqqunei Zohar, un commentario cabalistico sul versetto d'apertura di Genesi che la spiega in settanta modi. L'opera – insieme a passi da Ra’aya Meheimna o "Pastore Fedele" pubblicati nell'ambito dello Zohar stesso, in gran parte in forma di commentario sui comandamenti – viene considerata da studiosi moderni quale frutto di un cabalista leggermente posteriore, che forse scrisse nei primi decenni del XIV secolo e si considerò come continuatore della tradizione zoharica.

Come già detto, il corpo principale dello Zohar prende la forma di midrash: una raccolta di spiegazioni omiletiche sul testo biblico. Lo Zohar assume completamente il genere midrashico, sebbene tale forma di scrittura fosse considerata antiquata nel periodo e luogo in cui fu composto lo Zohar. I suoi autori erano esperti specialmente in aggadah e la usavano ingegnosamente, spesso rappresentandosi in maniera convincente quali antichi maestri midrashici. Ma l'anacronismo del loro stile era intenzionale. Lo Zohar è un tentativo di ricreare una forma di discorso che fosse sembrato giusto per un'opera originatasi con il suo portavoce principale, Rabbi Shim’on figlio di Yoḥai e queli del suo circolo, che vissero in Terra d'Israele undici secoli prima. In effetti, questo midrash medievale si basa su una completa conoscenza di tutta la tradizione ebraica precedente, tra cui le opere rabbiniche, filosofiche e esoteriche. Il suo scopo, come verrà subito capito dal lettore, va ben oltre quello dell'antico modello midrashico. Lo Zohar non fa altro che porre la tradizione cabalistica, come si era sviluppata nei secoli precedenti, in bocca di questi riveriti saggi dell'antichità usandoli come portavoce per mostrare al lettore che l'intera Torah brulica di segreti cabalistici e riferimenti velati al "mistero della fede" come lo insegnavano i cabalisti stessi. In questo senso, lo Zohar può esser visto come tentativo di creare un nuovo midrash o, come ha affermato uno studioso,[1] un rinascimento dell'arte midrashica nel Medioevo.

Le antiche omelie midrashiche erano spesso precedute da una serie di "Aperture", proemi introduttivi in cui l'omelista dimostrava le sue abilità, esminando una serie di associazioni bibliche che alla fine portavano al soggetto considerato. Anche lo Zohar usa tali "Aperture", ma con uno scopo ben differente in mente. Qui il predicatore vuole "aprire" il versetto scritturale stesso, rimuovere il suo guscio esterno, e scoprire il suo significato segreto. In tal modo, il versetto stesso può servire da apertura o portale verso il mondo "superiore" per colui che legge. Ciò ci avvicina di più al vero scopo dell'esegesi zoharica. Lo Zohar vuole portare il lettore dentro la vita divina. Vuole sempre ripetere la storia del flusso delle sefirot, i loro desideri e la loro unione, l'eccitazione dell'amore nell'alto e il modo in cui quell'eccitazione fa fluire le benedizioni in tutti i mondi. Questa è la storia essenziale della Cabala, e lo Zohar la trova in versetto dopo versetto, porzione dopo porzione, in tutto il testo della Torah. Ma ogni ripetizione offre una nuova prospettiva, spesso sorprendentemente differente. Lo Zohar arricchisce di continuo la narrazione cabalistica, riproponendola da un punto di vantaggio eremenuticamente nuovo e originale. In ciascuna pagina viene aperto o "scoperto" un nuovo versetto, parola, o racconto della Torah che rivela nuove intuizioni nella grande storia dello Zohar, una storia che offre come verità della Torah, del cosmo, e dell'anima del lettore.

Nella serie di omelie di vari predicatori riguardo ad un particolare versetto o momento nel testo scritturale, lo Zohar porta i suoi lettori lungo strati multipli di comprensione, partendo dallo strato superficiale del significato "semplice" fino a rivelazioni sempre più profonde. In tale processo viene rivelato un grande amore per il linguaggio, giochi di parole e sottili tonalità di significato spesso servono come modi per una totale riconfigurazione della Scrittura esaminata. Per questa ragione, i migliori lettori dello Zohar, sia tradizionali che moderni, sono coloro che condividono il suo fascino interminabile col mistero delle parole, incluse le loro manifestazioni sia aurali sia grafiche (o "parlate" e "scritte").

Anche altri cabalisti contemporanei dello Zohar offrivano letture multilivello della Scrittura. Viene subito in mente Rabbi Baḥya ben Asher di Barcellona.[2] Il suo commentario della Torah, scritto negli anni 1290, offre il miglior esempio di un'interpretazione quadrupla della Scrittura nella sua forma ebraica: versetto dopo versetto viene prima letto nel suo significato semplice, poi secondo la "via del Midrash", seguito dalla "via dell'intelletto" o allegoria filosofica, e infine la "via della Cabala". L'opera di Rabbi Baḥya infatti è importante quale una delle prime fonti di citazioni dallo Zohar.

Lo Zohar non offre una tale netta classificazione. Approfondimenti offerti da un gruppo di "compagni" che discutono un testo può rimbalzare avanti e indietro da letture che possono esser trovate in precedenti opere midrashiche, a modi di lettura che appartengono del tutto al mondo della Cabala. Le interpretazioni cabalistiche sono a volte così ben insertite nel tessuto midrashico che il lettore si chiede se il riferimento cabalistico non sia veramente il significato "reale" di un dato versetto biblico o passo rabbinico. In un noto testo, lo Zohar si riferisce a interpretazioni mistiche come l'"anima" della Torah, distinte dalla narrazione che forma le "vesti" esteriori e le derivazioni legali che servono da "corpo" della Torah (giocando sulla frase gufei Torah [corpi di Torah], che nella parlata rabbinica significa "insegnamenti essenziali"). Quel testo suggerisce anche un ulteriore livello di letture, l'"anima più interna" della Torah che non sarà rivelata in pieno se non all'arrivo dei tempi messianici. Ma quando s'incontrano passi reali dello Zohar, non è facile determinare dove si trovi l'autore nel processo di "svestire" la sposa testuale. Qui, come quasi ovunque, la poiesis dello Zohar trabocca gli argini, contrastando qualsiasi tentativo di gradazione o definizione. È soprattutto nell'area dell'"anima" o delle letture cabalistiche che i saggi riuniti rivelano strato dopo strato, mostrando che questo livello di lettura è esso stesso uno che contiene ricchezze inesauribili di immaginazione. Non esiste singola interpretazione mistica di un versetto o passo che sia il segreto agli occhi dello Zohar. Il "segreto" (sod in ebraico; raza in aramaico) è piuttosto un metodo, un modo di lettura che contiene in sé infiniti segreti individuali.

Il linguaggio del simbolismo sefirotico offre allo Zohar innumerevoli opportunità di interpretazioni creative della Scrittura. Da un lato, i predicatori e gli autori dello Zohar esultano per la novità e originalità di questa esegesi. Rabbi Shim’on e i suoi discepoli parlano entusiasti delle ḥiddushei Torah, le novellae nell'interpretazione della Torah, e del loro grande valore. Dio e gli angeli si uniscono nella gioia di ogni nuova interpretazione. Ma lo Zohar cerca anche di negare la novità dell'interpretazione cabalistica. Non solo l'opera è presumibilmente antica, ma l'arte interpretativa dello Zohar va ad un livello testuale più alto, più profondo e quindi più "antico". Come il gradino più elevato nell'ambito della Divinità è a volte chiamato Attiqa, l'anziano o "quello antico", così un'interpretazione profonda porta la Torah "indietro alla sua antichità", al suo stato originale, incontaminato, superno.

Lo Zohar si colloca nell'ambito della lunga tradizione di dedizione ebraica allo studio sacro come atto religioso. Ai fedeli viene raccomandato di "meditarlo giorno e notte" (Giosuè 1:8, tradizionalmente inteso a significare che lo studio e l'elaborazione della Torah è idealmente un obbligo a tempo pieno dell'intera comunità di Israeliti maschi (le donne sono esenti dall'obbligo dello studio, e solo raramente veniva loro offerta un'educazione rudimentale). Questa comunità considerava la Torah un oggetto d'amore, e un eros di studio della Torah viene rapprsentato in molti brani dell’aggadah rabbinica. Basata su immagini bibliche di saggezza femminile, la Torah veniva descritta come figlia e delizia di Dio e quale sposa di Israele. Lo studio della Torah, specialmente l'elaborazione della sua legge, era descritto dai saggi come corteggiamento e a volte il timido ed erudito atto d'amore dello sposo, la consumazione di questo matrimonio sacro. Il midrash del Cantico dei Cantici, compilato nel sesto o settimo secolo, dedica gran parte della sua esegesi di tale testo erotico a discutere la rivelazione del Sinai e le delizie sia di Dio che dei saggi nello studio della Torah.

Lo Zohar è ben conscio di questi precedenti e li espande nella sua propria versione più ricca e ancor più audace di amor dei intellectualis. I rigogliosi e ben irrigati del Cantico dei Cantici sono la costante dimora dello Zohar, dove una frequente invocazione del Cantico è all'ordine del giorno. Nell'immaginazione letteraria dei cabalisti, il giardino di eros nel Cantico, il pardes[3] o "frutteto" di speculazione mistica, e il mistico Giardino dell'Eden – in cui Dio passeggia ogni notte "per deliziarsi nelle anime dei giusti" – sono state collegate tra loro continuamente. La descrizione in Genesi 2:10 del paradiso – "un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi" – e certi versetti chiave del Cantico – "fontana che irrora i giardini, pozzo d'acque vive e ruscelli sgorganti dal Libano" (4:15) e altri – sono citati interminabilmente per invocare il senso che dedicarsi a esegesi mistica è come sedersi all'ombra del giardino di Dio. Ancor di più: l'esegeta mistico arriva a comprendere che tutti questi giardini non sono altro che riflessi del vero giardino divino interiore, il mondo delle sefirot, che Sefer ha-Bahir aveva già descritto come rigoglioso d'alberi, sorgenti, e laghi.

Lo Zohar si rivolge a tutta la gamma di obblighi religiosi che la Torah impone sulla comunità di Israele. I misteri dei comandamenti e i ritmi dell'anno sacro occupano intensamente le sue pagine, anche se lasciamo da parte la sezione (leggermente più tardiva) di Ra’aya Meheimna (Pastore Fedele), che è quasi tutta dedicata al significato dei comandamenti. Sia alla preghiera sia al rituale antico del Tempio, forme classiche di devozione ebraica, vengono date interpretazioni cabalistiche, e la figura del sacerdote in particolare è molto centrale all'immaginazione zoharica. Tuttavia, è giusto dire che l'atto religioso centrale per lo Zohar è proprio quello in cui i suoi eroi sono occupati a fare quello che viene descritto in tutte le sue pagine, cioè l'atto dello studio e interpretazione della Torah. Di continuo Rabbi Shim’on si dilunga a lodare coloro che studiano la Torah, specialmente quelli che lo fanno dopo mezzanotte. In effetti essi prendono il posto dei sacerdoti e dei Leviti antichi, "che stanno nella casa del Signore di notte". Coloro che si svegliano di notte per studiare i segreti della Torah diventano gli attendenti terreni della sposa divina, facendoLa entrare nella camera in cui Ella si unirà all'alba col Suo sposo celeste. Questa alquanto modesta descrizione del ruolo del devoto mistico nello hieros gamos o rito del matrimonio sacro che sta al centro dell'immaginazione cabalistica non esclude un livello di realtà emotiva/mistica in cui il cabalista stesso è anche l'amante di quella sposa e un pieno partecipante, piuttosto che solo un attendente, all'atto d'unione.

La Torah nello Zohar non è concepita come testo, o come materiale, ma come una viva presenza divina, impegnata in una relazione reciproca con la persona che la studia. E per di più, nella coscienza zoharica la Torah è paragonata ad un'amata che svolge coi suoi amanti un corteggiamento mutuo e dinamico. Lo Zohar nella porzione Mishpatim contiene, all'interno dell'unità letteraria nota come Sava de-Mishpatim, una descrizione di una fanciulla in un palazzo. Qui il comportamento dell'amante della Torah viene paragonato al comportamento di un uomo con una fanciulla. Eccitazione con la Torah è come un interminabile corteggiamento dell'amata: un costante camminare ai cancelli del suo palazzo, una passione crescente di leggere le sue lettere, il desiderio di vedere il volto dell'amata, di rivelarla, di unirsi a lei. L'amata nel nesso di questa relazione è del tutto attiva. Ella invia segnali del suo interesse per il suo amante, intensifica il di lui appassionato desiderio di lei con giochi di rivelazione e nascondimento. Ella rivela segreti che stimolano la sua curiosità. Ella desidera d'essere amata. L'amata viene rivelata in una progressione erotica davanti al suo amante nel desiderio di manifestare segreti da sempre occultati in lei. Il rapporto tra Torah e il suo amante, come quello tra uomo e fanciulla in questa parabola, è dinamico, romantico, ed erotico. Questo assioma interpretativo dell'opera – secondo cui la relazione tra studente e studiato n on è quella di soggetto e oggetto ma di soggetto e soggetto, anche una relazione erotica di amante e amata – apre un gran numero di possibilità.[4]

Il considerare l'atto di studio della Torah come la forma più lodevole di attività devozionale pone lo Zohar esattamente dentro la tradizione talmudica e allo stesso tempo fornisce il contesto per andare ben oltre. Qui, a differenza delle fonti rabbiniche, il contenuto dell'esegesi come anche il processo è di carattere erotico. Precedentemente era l'intensa devozione dei rabbini al testo e al processo di studio della Torah che era stato così giustamente descritto con metafora erotica. Le leggi derivate da questa immersione appassionata nel testo erano poi celebrate quale risultato di questo abbraccio della Torah, anche quando trattavano di offerte elevate e decime o impurità rituali e abluzioni.[5] Tuttavia, gli autori dello Zohar desiderano ben più di ciò. Il contenuto e anche il processo devono rivelare il grande segreto dell'unità, e non solo i piccoli segreti di una legge o l'altra. Nello Zohar, l'oggetto che il cabalista rinviene in ogni versetto è il hieros gamos stesso, l'unione mistica del maschio e della femmina divini — l'eros che sottende e trasforma la Torah, rendendola un testo simbolico sulla vita erotica interiore di Dio.

  Per approfondire, vedi Messianismo Chabad e la redenzione del mondo.
I Cinque Mondi
nella Cabala
 
  1. Si veda Daniel C. Matt, Zohar: Annotated and Explained, SkyLights Paths Publishing, 2002.
  2. Bahye ben Asher ibn Halawa, noto anche come Rabbeinu Beḥaye in ebraico: רבינו בחיי (Saragozza, XIII secolo – 1340) fu un rabbino e religioso spagnolo, studioso dell'ebraismo, commentatore del Tanakh (Bibbia ebraica) e rinomato per aver introdotto la Cabala (misticismo ebraico) nello studio della Torah. Considerato dagli studiosi ebraici uno dei più importanti esegeti della Spagna, fu discepolo di Rabbi Shlomo ben Aderet (il Rashba). A differenza di quest'ultimo, Baḥya non si dedicò alla scienza talmudica, ma all'esegesi biblica, prendendo come esempio Rabbi Moses ben Nahman Girondi (Naḥmanide o Ramban), insegnante di Rabbi Solomon ben Adret, che fu il primo ad usare la Cabala come sistema per interpretare la Torah. Fu sempre ligio ai suoi doveri di darshan ("predicatore") nella città nativa di Saragozza, condividendo tale posizione con molte altre, ricevendo per queste un esiguo stipendio, scarsamente sufficiente a sostenere lui e famiglia; tuttavia né la sua difficoltà a guadagnarsi da vivere né le varie altre difficoltà che affrontò nel corso della vita (a cui si riferisce nell'introduzione al suo commentario della Torah) diminuì il suo interesse per lo studio della Torah in generale e l'esegesi biblica in particolare.
  3. Si vedano anche gli altri riferimenti a Pardes nella tradizione ebraica: nella fattispecie dell'ermeneutica ebraica, per esempio, Pardes si riferisce a metodologie ermeneutiche di esegesi biblica nell'ebraismo rabbinico, o anche all'interpretazione di altri testi religiosi nello studio della Torah. Il termine, a volte scritto anche PaRDeS, è un acronimo composto dalle iniziali dei seguenti quattro metodi:
    • Peshat (פְּשָׁט) — "superficie" ("diretto") o significato letterale (diretto).[1]
    • Remez (רֶמֶז‎) — "allusioni" o significato profondo (allegorico: nascosto o simbolico), oltre al solo senso letterale.
    • Derash (דְּרַשׁ‎) — dall'ebraico darash: "indagare" ("ricercare") — significato comparativo (midrashico), come apportato da casi paragonabili, simili.
    • Sod (סוֹד‎) (pronounciato con una O lunga come "mora") — "segreto" ("mistero") o significato esoterico/mistico, ottenuto tramite ispirazione o rivelazione.
    Ogni tipo di interpretazione Pardes esamina il significato esteso di un dato testo. Come regola generale, il significato esteso non contraddice mai il significato basilare. Con Peshat s'intende il significato semplice o contestuale del testo. Remez è il significato allegorico. Derash include il significato metaforico e Sod rappresenta il significato nascosto. Esiste spesso una notevole sovrapposizione, ad esempio quando le interpretazioni legali di un versetto sono influenzate da interpretazioni mistiche o quando una "allusione" è determinata confrontando una parola con altre istanze della stessa parola. Cfr. Modern Scholarship in the Study of Torah: Contributions and Limitations (The Orthodox Forum Series), curato da Shalom Carmy, Jason Aronson Publishers, 1996.
  4. Melila Hellner-Eshed, "The Language of Mystical Experience in the Zohar: The Zohar through Its Own Eyes" (He), 19.
  5. Il rabbino talmudico Akiva – grande eroe del romanticismo rabbinico del testo – fu ispirato dal suo perenne amore per la Torah a derivare "infiniti cumuli di leggi dalle corone di ciascuna delle lettere". Tale fu infatti il genio della scuola di pensiero di Rabbi Akiva: tutta la Torah, anche la più apparentemente mondana, apparteneva al grande momento mistico del Sinai, il giorno in cui Dio diede la Torah a Israele e proclamò il Suo amore per lei nel Cantico dei Cantici.