Guida alle costellazioni/Cataloghi celesti

La costellazione di Orione
La costellazione di Orione

CopertinaGuida alle costellazioni/Copertina

Parte I - Stelle e oggetti
Parte II - Le 88 costellazioni
Parte III - Carte stagionali
Appendici

Il Catalogo di Messier modifica

 
Mappa che mostra la distribuzione dei 110 oggetti del Catalogo di Messier.

Il Catalogo di Messier è stato il primo catalogo astronomico di oggetti celesti diversi dalle stelle esplicitamente redatto con questo scopo. Fu compilato dall'astronomo francese Charles Messier, con il nome originale Catalogue des Nébuleuses et des Amas d'Étoiles, e pubblicato nel 1774. Essendo il frutto di osservazioni condotte in Francia, contiene unicamente oggetti del emisfero boreale e della parte più settentrionale di quello australe.

Oggi è il catalogo di oggetti del profondo cielo più famoso e seguito, non tanto per la sua completezza, ma perché contiene molti fra gli oggetti più luminosi visibili dall’emisfero boreale, per cui costituisce un approccio irrinunciabile specialmente per chi è alle prime armi con l’osservazione del profondo cielo. L’importanza culturale di questo catalogo è tale che anche gli appassionati di lunghissimo corso lo seguono tuttora, al punto che in primavera viene organizzata una “maratona” degli oggetti di Messier, in cui bisogna riuscire a osservarne quanti più possibile (possibilmente tutti) nell’arco di una sola notte. Messier era un cacciatore di comete, come molti degli astronomi dei suoi tempi; egli si occupò della compilazione del catalogo per riuscire a distinguere facilmente una nuova cometa, che si presenta al telescopio come un debole oggetto di natura nebulare, da quegli oggetti di aspetto simile che sono però fissi nel cielo, e non sono affatto comete.

La prima edizione del catalogo comprendeva 45 oggetti, numerati da M1 a M45. Gli ultimi 5 sono oggetti particolarmente luminosi e ben noti già all’epoca e quindi non confondibili con comete, ma che vennero inseriti per completezza: fra questi vi è la Nebulosa di Orione e gli ammassi aperti del Presepe e delle Pleiadi. La lista finale contiene invece 110 oggetti, numerati da M1 a M110. Il catalogo finale fu pubblicato nel 1781 e stampato su Connaissance des Temps nel 1784.

Nelle carte celesti un oggetto del catalogo di Messier si riconosce dal prefisso M davanti al suo numero.

Gli oggetti catalogati sono molto eterogenei: l'unico legame tra loro è di avere un aspetto diffuso e di essere relativamente brillanti. A questa descrizione corrispondono sia nebulose ed ammassi stellari molto vicini, sia grandi galassie, poste a distanze enormi.

Due oggetti inseriti da Messier nel suo catalogo si sarebbero tuttavia rivelati come di natura diversa. Uno è M40, riconosciuto dallo stesso Messier come una semplice stella doppia mentre cercava una nebulosa segnalata da Hevelius tempo prima; la sua posizione si trova nei pressi del Grande Carro. Il secondo oggetto è M73, indicato inizialmente come un piccolo ammasso aperto e in seguito riconosciuto come un asterismo, ossia un gruppetto di stelle non legate fra loro che appaiono vicine solo per effetto prospettico.

Un oggetto controverso è M102, ritenuto a lungo come un oggetto perduto (con coordinate errate) oppure una riosservazione accidentale di M101; oggi si tende a riconoscere M102 con la Galassia Fuso, nel Drago.

Il Catalogo Caldwell modifica

 
Mappa che mostra la distribuzione dei 109 oggetti del Catalogo Caldwell.

Il Catalogo Caldwell è un importante catalogo astronomico di 109 oggetti del profondo cielo molto appariscenti, come ammassi aperti e globulari, nebulose e galassie; è rivolto principalmente ad un pubblico di astronomi amatoriali. Questo catalogo fu compilato alla fine del XX secolo da Patrick Caldwell-Moore, come un ideale catalogo di completamento per il noto Catalogo di Messier.

Il Catalogo di Messier, come visto, è infatti usato frequentemente in astronomia amatoriale come una lista di importanti oggetti celesti per l'osservazione; l'idea di Moore nacque dal fatto che il Catalogo di Messier non comprendeva oggetti luminosi, come le Iadi e l'Ammasso Doppio di Perseo. Inoltre il Messier, trovandosi ad una latitudine molto settentrionale, aveva scarse conoscenze dell'emisfero australe celeste, né poté osservare direttamente quella parte di cielo che a lui era preclusa, così non elencò neppure un oggetto celeste posto a sud dei 35° di declinazione sud, come Omega Centauri, Centaurus A, la Nebulosa di Eta Carinae, le Pleiadi del Sud e 47 Tucanae. Moore compilò dunque un catalogo di 109 oggetti (per ricordare ulteriormente il numero di oggetti segnalati dal Messier) e lo pubblicò nel dicembre 1995.

Fin dalla sua pubblicazione, il catalogo ha avuto una sempre maggiore popolarità e uso tra gli astrofili. L'idea ricevette inizialmente anche alcune critiche, come quella di aver compiuto alcuni piccoli errori di compilazione (vedi più avanti) e potrebbe essere oggetto di critica il fatto che potrebbe aver avuto nella compilazione un approccio egocentrico, ponendo la lettera "C" del suo secondo cognome "Caldwell" come iniziale per rinominare gli oggetti.

Come detto sopra, la lista fu compilata includendo gli oggetti di più facile individuazione che furono omessi dal Catalogo di Messier. A differenza di questo, che elenca gli oggetti in base alla loro scoperta, il Catalogo Caldwell è ordinato per declinazione, infatti l'oggetto C1 è il più settentrionale, mentre C109 è il più meridionale; due oggetti tuttavia (NGC 4244 e le Iadi) sono elencati fuori sequenza. La lista originale identificava inoltre erroneamente l'ammasso di S Normae (NGC 6087) come NGC 6067 e chiamava per errore l'ammasso di λ Centauri (IC 2944) "Ammasso di γ Centauri".

A differenza del Catalogo di Messier, per il Catalogo Caldwell è sostanzialmente impossibile effettuare una “maratona” per osservarne tutti gli oggetti in una sola notte. Questo perché i suoi oggetti sono distribuiti in modo più omogeneo lungo l’ascensione retta, per cui vi sono sempre degli oggetti in prossimità del Sole; inoltre, questo catalogo include anche oggetti situati in vicinanza dei poli celesti, per cui è necessario trovarsi nei pressi dell’equatore per poterli avere tutti a portata di vista; questo quindi fa escludere la possibilità di avere oggetti circumpolari posti ad un ascensione retta “critica” per il periodo dell’anno scelto. Tendenzialmente i periodi migliori per poterne osservare di più sono metà giugno e fine dicembre.

New General Catalogue e Index Catalogues modifica

 
La galassia a spirale NGC 3982, nella costellazione dell’Orsa Maggiore.

Il New General Catalogue (Nuovo Catalogo Generale, in genere usato col suo nome originale inglese o con l'abbreviazione NGC) è il più famoso e usato catalogo di oggetti del profondo cielo nell'astronomia amatoriale e non solo. Contiene 7840 oggetti ed è uno dei cataloghi più completi di tipo generale, cioè contiene tutti i tipi di oggetti e non si specializza, per esempio, solo in galassie; questi oggetti sono universalmente noti come “oggetti NGC” e all’epoca della sua pubblicazione (1888) era di gran lunga il catalogo di oggetti celesti non stellari più completo che fosse stato mai compilato.

Gli oggetti del cielo australe sono meno rappresentati, ma molti furono inseriti sulla base delle osservazioni di John Herschel.

Il catalogo NGC originale venne compilato durante gli anni ottanta dell’Ottocento da John Louis Emil Dreyer attraverso i rapporti delle osservazioni di vari autori, fra i quali William Herschel e suo figlio John. Dreyer aveva già pubblicato tempo prima un supplemento al famoso catalogo di Herschel General Catalogue of Nebulae and Clusters (GC), aggiungendovi circa 1000 oggetti.

Nel 1886, Dreyer propose di compilare un secondo supplemento a questo catalogo, ma la Royal Astronomical Society gli chiese invece di compilare direttamente un nuovo catalogo: ciò portò alla lascita del New General Catalogue, pubblicato nelle Memoirs of the Royal Astronomical Society nel 1888.

La compilazione del nuovo catalogo rappresentò una vera sfida, dato che Dreyer si ritrovò a dover uniformare diverse segnalazioni contradditorie e non chiare, derivanti da osservazioni condotte con un’ampia varietà di telescopi che spaziavano dai 2” ai 72” di diametro. Sebbene sia stato in grado di verificarne alcune di persona, il grandissimo numero di oggetti portò Dreyer ad accettarne diverse così come gli vennero proposte da altri. Come risultato, il nuovo catalogo conteneva diversi errori, in gran parte legati alle coordinate e alla descrizione degli oggetti; Dreyer tuttavia citò le varie fonti delle segnalazioni ricevute, cosicché diversi astronomi in anni successivi poterono verificare direttamente le fonti originarie e pubblicare le loro correzioni al catalogo NGC originale.

Nei primi anni settanta del Novecento, Jack W. Sulentic e William G. Tifft compilarono una revisione del catalogo NGC, che chiamarono Revised New catalogue of Nonstellar Astronomical Objects (portante la sigla RNGC) e che pubblicarono nel 1973 come aggiornamento del catalogo originale. Questo lavoro non incluse tuttavia alcune correzioni già pubblicate da altri autori (fra i quali lo stesso Dreyer) e introdusse alcuni nuovi errori. Nel catalogo RNGC si indicano anche 800 oggetti presenti nella lista originale come “non esistenti”: fra questi vi sono oggetti duplicati, oggetti non individuati tramite osservazioni successive e diversi oggetti catalogati come ammassi stellari che sono stati riconosciuti in seguito come allineamenti casuali di stelle. Per quanto riguarda questi ultimi, una monografia del 1993 prende in esame 229 ammassi stellari indicati come “non esistenti” sul RNGC, i quanto identificati erroneamente oppure mai più localizzati dalla loro scoperta nei due secoli precedenti. In particolare, NGC 1498 non è proprio esistente neppure come asterismo, 5 altri oggetti si sono rivelati duplicati di altri oggetti, 99 esistevano “in un certo modo” e altri 124 richiedevano ulteriori ricerche. Un altro esempio è rappresentato dalla nebulosa a riflessione NGC 2163 in Orione, che fu classificata come non esistente a causa di un errore di trascrizione di Dreyer. Egli corresse il suo stesso errore negli aggiornamenti successivi, ma il RNGC ripristinò l’errore originario e inoltre invertì il segno della declinazione, portando a considerare NGC 2163 come non esistente.

Index catalogues modifica

 
Le nebulose IC 405 e IC 410 nella costellazione dell’Auriga.

L'Index Catalogue (conosciuto anche come Index Catalogue delle Nebulose, Index Catalogue delle Nebulose e degli Ammassi Stellari, o IC I e IC II) è un catalogo astronomico di vari oggetti come galassie, nebulose e ammassi stellari, i quali sono universalmente conosciuti come “oggetti IC”. Venne compilato da John Dreyer tra gli anni ottanta dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento e serve da supplemento al New General Catalogue. I suoi oggetti riportano il prefisso IC.

Il catalogo IC I venne pubblicato per la prima volta nel 1895 dopo un lavoro di 6 anni (dal 1888 al 1894) e raccoglie 1529 oggetti; esso venne espanso da un secondo volume (Second Index Catalogue o IC II) nel 1908, che elenca 3857 oggetti catalogati tra il 1895 e il 1907, fino a contenere un totale di ben 5386 oggetti. Tra loro ce ne sono 3 del catalogo Messier che non erano stati inclusi nel catalogo NGC: si tratta di M16 (catalogato come IC 4703), M24 (IC 4715) ed M25 (IC 4725).

Gran parte dei nuovi entrati sono oggetti dell’emisfero australe, andando così a colmare in parte il vuoto lasciato dal NGC in questa parte di cielo. Con questi nuovi oggetti, l'immenso lavoro di Dreyer (NGC ed IC) arrivò dunque a catalogare la bellezza di 13.226 oggetti non stellari di entrambi gli emisferi celesti.

Il lavoro di compilazione dell’Index Catalogue venne facilitato notevolmente dall’avvento dell’astrofotografia, che permise di evidenziare numerosi oggetti deboli e specialmente nebulose e galassie, che non risultavano visibili all’osservazione diretta. Nel corso del 1912 venne infine pubblicata una lista di correzioni per i due cataloghi IC.

Nel 1988 venne pubblicato il progetto NGC 2000.0, noto anche come Complete New General Catalog and Index Catalog of Nebulae and Star Clusters, ad opera di Roger W. Sinnott, che revisiona gli oggetti dei cataloghi NGC e IC utilizzando le coordinate dell’epoca J2000; quest’opera incorpora diverse correzioni fatte dagli astronomi nel corso del tempo.

Un altro progetto di riordino in ordine di tempo dei cataloghi NGC e IC è il NGC/IC Project, un progetto collaborativo avviato nel 1993 il cui scopo è quello di identificare univocamente tutti gli oggetti di questi cataloghi, allegando immagini di ciascun oggetto e incorporando tutti i loro dati disponibili.

Nel 2009 venne infine redatto ad opera di Wolfgang Steinicke il Revised New General Catalogue and Index Catalogue, abbreviato in RNGC/IC; questo progetto è considerato come una delle revisioni più complete e autoritarie degli oggetti NGC e IC.

Negli atlanti stellari moderni, l’identificativo NGC e IC viene utilizzato per tutti gli oggetti che non sono stati inclusi nel Catalogo di Messier ed è pertanto considerato come un catalogo prioritario, grazie al fatto di essere il più vecchio dei grandi cataloghi. È pratica comune, unicamente per gli oggetti NGC, omettere del tutto la sigla NGC e riportare direttamente il numero di questo catalogo a fianco al simbolo dell’oggetto; pertanto oggetti che nelle carte riportano solo un identificativo numerico (fino a 4 cifre) si riferiscono a oggetti NGC.

Questa pratica non è invece seguita per gli oggetti IC, che riportano sempre la sigla preceduta dal numero di catalogo.

Cataloghi di ammassi stellari modifica

 
L’Ammasso di Alfa Persei è un classico esempio di oggetto che riporta una sigla del Catalogo Melotte.

Cataloghi astronomici più recenti del New General Catalogue iniziarono ad essere dedicati a oggetti specifici, come gli ammassi aperti. Ciò avvenne in concomitanza con l’approfondimento degli studi sui diversi tipi di oggetti celesti e anche perché gli oggetti del profondo cielo conosciuti iniziavano ad essere decine di migliaia, per cui raggrupparli tutti in un unico catalogo generalista sarebbe stato molto dispersivo.

Il Catalogo Melotte modifica

Il Catalogo Melotte è il primo dei cataloghi specifici per ammassi stellari che sia ancora saltuariamente in uso. Esso conta 245 oggetti del profondo cielo, disposti su entrambi gli emisferi, e fu compilato nel 1915 dall'astronomo Philibert Jacques Melotte.

Sebbene la stragrande maggioranza degli oggetti catalogati da Melotte siano ammassi aperti, questo catalogo include anche diversi ammassi globulari, per la precisione 68, ossia circa la metà degli ammassi globulari che oggi si conoscono attorno alla Via Lattea.

Probabilmente per errore, Melotte incluse nel suo catalogo anche un paio di galassie, che forse scambiò per ammassi globulari, e un ammasso con nebulosità appartenente alla Piccola Nube di Magellano. Molti degli oggetti di Melotte erano già noti da decenni, tant’è vero che la maggior parte di questi era già stata inclusa nel New General Catalogue e nei suoi Index Catalogues.

Gli oggetti del Catalogo Melotte sono numerati seguendo l'ascensione retta e vengono indicati con la sigla Mel, seguita dal numero di catalogo dell'oggetto in questione; questo catalogo è stato il primo ad aver riportato alcune associazioni stellari che fino ad allora nessuno aveva mai catalogato. Per gli ammassi aperti, in moltissimi casi la sigla del Catalogo Melotte è stata sostituita, nelle carte celesti, con quella del più recente Catalogo Collinder.

Oggi è pertanto piuttosto raro trovare nelle carte celesti oggetti contrassegnati con la sigla Mel, sebbene non impossibile: l’esempio più famoso di oggetto che riporta la sigla di Melotte è probabilmente Mel 20, l’Ammasso di Alfa Persei; quest’ammasso venne infatti riconosciuto come ammasso stellare e catalogato per la prima volta proprio da Melotte. Un altro famoso esempio è Mel 111, sigla che indica l’Ammasso aperto della Chioma di Berenice, la cui vera natura di ammasso aperto per altro fu provata solo nel 1938.

Le Pleiadi vengono talvolta indicate con la sigla Mel 22, mentre le Iadi sono ancora conosciute anche con la sigla di catalogo Mel 25. Nell’emisfero australe, l’ammasso aperto più appariscente per cui è ancora usata la sigla di Melotte è Mel 101, situato nella costellazione della Carena.

Il Catalogo Collinder modifica

 
L’Attaccapanni è il classico esempio di oggetto che ancora è noto con la sigla del Catalogo Collinder.

Il primo catalogo esclusivamente dedicato agli ammassi aperti è il Catalogo Collinder, che conta 471 oggetti visibili appartenenti alla Via Lattea. Fra i cataloghi di ammassi aperti è stato per lungo tempo il più completo; fu compilato dall'astronomo svedese Per Collinder e pubblicato nel 1931, come appendice del suo lavoro On Structural Properties of Open Galactic Clusters and Their Spatial Distribution (Le proprietà strutturali degli ammassi galattici aperti e la loro distribuzione nello Spazio).

Gli oggetti di questo catalogo sono riportati sulle carte celesti con l'abbreviazione Cr più il numero di catalogo; il sistema di numerazione segue l'ascensione retta degli oggetti elencati. In questo catalogo non sono compresi gli ammassi più lontani scoperti in epoca recente, come quelli molto vicini al centro galattico; tuttavia, riporta quasi tutte le associazioni stellari note e include tutti gli ammassi aperti catalogati precedentemente da Melotte.

L’oggetto oggi più noto a portare la sigla di Collinder sugli atlanti celesti è Cr 399, il famoso Attaccapanni visibile nella costellazione della Volpetta. Alcuni ammassi noti con la sigla di Collinder si trovano nell’emisfero australe, come Cr 135 nella Poppa e Cr 140 nel Cane Maggiore. La sigla Cr 173 è utilizzata per indicare l’intera associazione stellare Vela OB2.

È da notare che, a causa di varie ragioni, ci siano alcune imprecisioni nella lista di Collinder o nei suoi riferimenti. Ad esempio, emerge che Cr 32 sia sostanzialmente coincidente a Cr 33; Cr 84 non può coincidere in realtà con NGC 2175, come spesso viene riportato, (quest'oggetto infatti è una nebulosa) ed è in effetti in dubbio cosa esattamente sia; la posizione di Cr 185 è riportato 1' ad ovest e 10' a nord delle reali coordinate; Cr 233 e Cr 234 sono di fatto lo stesso oggetto; Cr 249 è talvolta identificato come IC 2944, ma è in realtà solo l'ammasso associato a quest'oggetto, che invece è una regione H II; la posizione di Cr 275 è errata; Cr 371 non è NGC 6595; Cr 427 non è NGC 7023, trattandosi quest’ultima di una nebulosa, come pure il vicino Cr 429, che di fatto non esiste; Cr 470 infine non è IC 5146.

Il Catalogo Palomar modifica

Attraverso le lastre fotografiche dell’Osservatorio Palomar sono stati scoperti 15 ammassi globulari molto deboli appartenenti alla Via Lattea; questi oggetti vengono indicati sulle carte con la sigla Pal e sono stati catalogati fisicamente da George Abell, con la collaborazione di altri famosi astronomi come Edwin Hubble e Halton Arp. Gli ammassi globulari di Palomar spesso costituiscono oggetto di sfida per gli appassionati più esperti e dotati di grandi telescopi.

Altri cataloghi modifica

Le sigle di altri cataloghi meno noti possono apparire saltuariamente accanto ad ammassi aperti poco concentrati e poco noti; fra queste vi è la sigla Bo (Catalogo Bochum), Cz (Czernik), Do (Dolidze), DoDz (Dolidze-Dzimselejsvili), H (Harvard, talvolta riportato anche per esteso), Lund, Lynga, Pi (Pismis), Ro (Roslund), Ru (Ruprecht), Ste (Stephenson), St (Stock), Tom (Tombaugh), Up (Upgren) e soprattutto Tr (Trumpler, riferito a 37 giovani ammassi aperti e ancora di uso comune). Numerosi, ben 262, sono anche gli ammassi di van den Bergh-Hagen (vdB-Ha), situati nell’emisfero australe, ma in genere piuttosto deboli.

Fra i cataloghi minori di ammassi globulari vi sono Arp, gli 11 ammassi di Terzan (sigla Ter) e alcuni cataloghi di pochissimi oggetti, come HP (Haute Provence), che conta 5 oggetti. Nel catalogo vdB-Ha sono inclusi anche due ammassi globulari.

Cataloghi di nebulose modifica

 
Il grande complesso nebuloso di Ced 214, nella costellazione di Cefeo.

Catalogare le nebulose è molto più complesso: se infatti è relativamente semplice suddividere gli ammassi stellari in aperti e globulari, diventa più complesso distinguere nebulose diffuse composite che presentino aree a emissione e aree a riflessione.

Più facile appare distinguere le nebulose planetarie da quelle diffuse, anche se esistono casi di nebulose planetarie talmente disperse da poter essere confuse a prima vista. Le nebulose oscure sono infine un mondo a sé e spesso la loro catalogazione è stata trascurata, nonostante la loro grande importanza.

Il Catalogo Cederblad modifica

Il primo catalogo esclusivamente dedicato alle nebulose “diffuse”, escludendo quindi le planetarie, è il Catalogo Cederblad, compilato dall’astronomo Stefan Cederblad nel 1946; questo comprende 215 nebulose situate in entrambi gli emisferi, sia a emissione che a riflessione. La sigla utilizzata nelle carte celesti per gli oggetti di questo catalogo è Ced seguito dal numero dell'oggetto.

Un esempio di oggetto che riporta ancora la sigla Ced nelle carte celesti è Ced 122, un vasto sistema di nebulose nella costellazione del Centauro; altri esempi si trovano nell'Aquario (Ced 211) e soprattutto in Cefeo (Ced 214).

Fra gli oggetti di questo catalogo figurano anche alcune nebulose planetarie, probabilmente all’epoca non riconosciute come tali; altre sigle si riferiscono invece a più oggetti: ad esempio, sotto la sigla Ced 55 ricadono quasi tutte le principali nebulose diffuse visibili nella costellazione di Orione, elencate da Ced 55a a Ced 55v; Ced 19 è invece la sigla collettiva per indicare le nebulose a riflessione attorno alle stelle delle Pleiadi, da Ced 19a a Ced 19q. Altre sigle si riferiscono a oggetti di dubbia natura e forse non esistenti.

Gran parte degli oggetti di Cederblad erano comunque già noti da tempo ed erano stati inclusi nel New General Catalogue e nei suoi Index Catalogues.

Il Catalogo di Gum modifica

Un lavoro molto più complesso e dedicato esclusivamente al cielo australe venne condotto dal giovane astronomo australiano Colin Gum; egli si dedicò unicamente alle regioni H II studiando attentamente le lastre riprese in H-Alfa e pubblicò i suoi risultati (incluso il catalogo) nel 1955, in un lavoro intitolato A study of diffuse southern H-alpha nebulae.

Il Catalogo di Gum conta 85 nebulose, molte delle quali già note, altre scoperte dallo stesso Gum nel corso delle sue ricerche; fra queste ultime spicca l’immenso sistema nebuloso di Gum 12, oggi universalmente noto come “Nebulosa di Gum” in suo onore.

Il Catalogo Sharpless modifica

Il Catalogo Sharpless è un catalogo astronomico che conta 313 regioni H II nebulose ad emissione; intende essere un catalogo completo di tutte le nebulose della Via Lattea poste a nord di 27° di declinazione sud, sebbene includa comunque alcuni oggetti posti più a sud, anche se in numero esiguo. Questo catalogo va a colmare il divario col Catalogo di Gum nell’emisfero boreale, spingendosi anche oltre. La versione finale del Catalogo Sharpless fu pubblicata dall'astronomo americano Stewart Sharpless, nel 1959.

La sigla utilizzata nelle carte celesti per gli oggetti di questo catalogo è Sh2- seguita dal numero dell'oggetto; dato che il Catalogo Sharpless contiene numerose nebulose mai catalogate prima, è frequente imbattersi in questa sigla nelle carte celesti più dettagliate.

Uno degli oggetti più famosi che viene riportato nelle carte celesti con un numero del Catalogo Sharpless è Sh2-155, una nebulosa osservabile nella costellazione di Cefeo. In rari casi, il catalogo comprende delle nebulose planetarie: uno degli esempi più noti è quello di Abell 31, nel Cancro, che riporta anche la sigla Sh2-290.

Il Catalogo RCW modifica

 
La Nebulosa Farfalla è una nebulosa planetaria che però è stata inclusa nel Catalogo RCW, con la sigla RCW 124.

Il Catalogo RCW (dal nome dei loro compilatori, Rodgers, Campbell e Whiteoak) è un catalogo astronomico di 182 regioni H II ad emissioni Hα appartenenti alla Via Lattea nell'emisfero australe celeste. Fu compilato nel 1960. La sigla utilizzata per i suoi oggetti nelle carte celesti è RCW seguito da un numero crescente.

Si può intendere come un'espansione del Catalogo di Gum, risalente a pochi anni prima, dato che comprende gli stessi oggetti, a cui se ne aggiungono molti altri, andando idealmente a chiudere il nuovo divario creato dal Catalogo Sharpless per le nebulose dell’emisfero boreale; comprende inoltre alcuni oggetti riportati pure nello stesso Catalogo Sharpless, in particolare quelli situati nell’emisfero australe. Molte delle nebulose catalogate dal Catalogo RCW non sono osservabili direttamente, ma si rendono visibili solo nelle lastre fotografiche.

Poiché tuttavia l’area di cielo analizzata per la compilazione del Catalogo RCW si estende alle regioni galattiche comprese fra 190° e 12° di longitudine galattica e su un'escursione di 15° a nord e a sud dal piano galattico, non sono incluse quelle nebulose che si trovano nell’emisfero australe ma a latitudini galattiche più elevate. Si tratta di poche nebulose, ma pur sempre presenti.

Il Catalogo di Barnard modifica

Intanto, già dal 1919 vi era stato il primo tentativo di catalogare le nebulose oscure. Questi oggetti risultano particolarmente difficili da definire, per varie ragioni: innanzitutto, occorre definire dei limiti per escludere dal catalogo quelle nebulose oscure talmente poco contrastate da poter essere considerate semplicemente mezzo interstellare non illuminato che, sovrapponendosi lungo la linea di vista, tende ad affievolire il chiarore delle stelle retrostanti; inoltre, è molto difficile i confini delle nebulose oscure quando queste si sovrappongono parzialmente lungo la linea di vista.

Il primo catalogo in questo senso fu il Catalogo di Barnard, edito nel 1919 ad opera di Edward Emerson Barnard, che contiene 370 nebulose oscure catalogate fino alla declinazione -35°, lasciando perciò non catalogate tutte le nebulose oscure situate nel profondo emisfero australe; nelle carte celesti le nebulose di Barnard vengono indicate con la lettera B seguita dal numero con cui l'oggetto è stato catalogato. Fra gli oggetti più famosi di questo catalogo vi sono la Nebulosa Testa di Cavallo, nella costellazione di Orione, e la Nebulosa Pipa, nell'Ofiuco. Per parecchi anni non vi furono altri cataloghi completi di nebulose oscure.

Il Catalogo Sandqvist-Lindroos (SL) venne compilato nel 1976 per 42 nebulose oscure nell’emisfero australe, cui si aggiunge un’estensione edita solo da Sandqvist nel 1977, per un totale di ulteriori 95 oggetti catalogati da 101 a 195 (in totale sono quindi 137 oggetti).

I Cataloghi di Lynds modifica

Una serie di cataloghi estremamente completi vennero proposti nei primi anni sessanta dall’astronomo Beverly T. Lynds. Questi comprendono due classi di nebulose: le nebulose oscure e le nebulose diffuse. Le sigle utilizzate nelle carte celesti per gli oggetti di questi cataloghi sono rispettivamente LDN e LBN (talvolta abbreviate con la sola L) seguite dal numero dell'oggetto. Come molti altri cataloghi, anche questo tuttavia è limitato al cielo boreale e a parte di quello australe, lasciando non catalogati gli oggetti molto australi. La novità di questo sistema è che permette di catalogare assieme sistemi complessi dove parte del gas è illuminato e parte è invece oscuro.

Il catalogo LDN (Lynds Dark Nebulae) conta ben 1791 nebulose, per lo più oscure o agglomerati di nebulose oscure e brillanti, visibili in tutto l'emisfero boreale e in parte dell'emisfero australe, fino a una declinazione pari a -30°. Non sono indicati valori di magnitudine, non aventi significato nel caso delle nebulose oscure, ma sono riportate delle classi di opacità.

Il catalogo LBN (Lynds Bright Nebulae) conta 1255 nebulose brillanti, visibili in tutto l'emisfero boreale e in parte dell'emisfero australe, fino a una declinazione di -30°. La numerazione degli oggetti segue l'ordine imposto dal LDN, poiché di fatto è un suo derivato, che riunisce quelle che fra le nebulose catalogate dal LDN sono nebulose brillanti (a riflessione o a emissione).

I Cataloghi di van den Bergh modifica

Il Catalogo van den Bergh è il catalogo astronomico dedicato esclusivamente alle nebulose a riflessione; esso ne conta 158 ed è stato pubblicato nel 1966; secondo le intenzioni dell'autore, Sidney van den Bergh, questo catalogo indicizza tutte le stelle dei cataloghi BD e CD a nord dei 33° di declinazione sud circondate da nebulose a riflessione visibili sia nelle stampe in blu che in quelle in rosso del Palomar Sky Survey. La sigla utilizzata nelle carte celesti per gli oggetti di questo catalogo è vdB seguito dal numero dell'oggetto.

Le nebulose di questo catalogo più vicine a noi si trovano lungo la Cintura di Gould, mentre le più lontane si trovano sul piano galattico o in bracci di spirale adiacenti al nostro. Fra queste nebulose si osservano 13 associazioni stellari, alcune delle quali coincidono con alcune associazioni OB note; altre nebulose sono invece illuminate dalla luce diffusa della stessa Via Lattea. Interessante notare come la radiazione maggiore non si trovi esattamente sul piano galattico, ma subito sopra e sotto, questo a causa del fatto che sull'equatore galattico la luce viene maggiormente attenuata dalle nebulose oscure.

Per completare la catalogazione delle nebulose a riflessione dell’emisfero australe, nel 1974 venne redatto il Catalogo van den Bergh - Herbst, che conta 96 nebulose a riflessione, alcune delle quali composte da più sottoregioni, per un totale di 136 oggetti, coincidenti con altrettante stelle a contatto con o immerse in nebulosità. La sigla utilizzata nelle carte celesti per gli oggetti di questo catalogo è vdBH seguito dal numero dell'oggetto.

Anche in questo caso, le nebulose più vicine a noi si trovano lungo la Cintura di Gould, mentre le più lontane si trovano sul piano galattico o in bracci di spirale adiacenti al nostro. Per ogni nebulosa viene fornita una classificazione di colore, da vB (molto blu) fino a vR (molto rossa), con un valore I per intermedio; inoltre viene indicato se la stella responsabile dell'illuminazione dei gas si trova all'interno (classe I) o all'esterno (classe II) della massa gassosa che compone la nebulosa illuminata. È da notare comunque che questo catalogo esclude le nebulose situate ad alte latitudini galattiche.

Il Catalogo MCRN modifica

Il Merged catalogue of reflection nebulae è un catalogo astronomico edito nel 2003 che conta 913 nebulose a riflessione distribuite su tutta la volta celeste; esso intende essere un catalogo uniforme di tutte le nebulose a riflessione conosciute e racchiude in esso tutti i cataloghi precedentemente stilati, fra i quali il Catalogo van den Bergh, il Catalogo van den Bergh - Herbst e il meno noto Catalogo Bernes.

Nelle carte celesti, per gli oggetti di questo catalogo non viene utilizzata alcuna sigla, in quanto si tende a indicare il numero dei cataloghi precedenti. Nelle pubblicazioni, la sigla utilizzata per designare oggetti di questo catalogo è [M2003] o MCRN, seguita dal numero dell'oggetto preso in esame.

Le nebulose più vicine comprese in questo catalogo si trovano ad alcune decine di anni luce, mentre le più lontane si trovano sul piano galattico o in bracci di spirale più remoti; molte appaiono in associazione a nebulose oscure, di cui costituiscono una porzione illuminata da qualche stella vicina. Il catalogo riporta anche, dove presente, il numero della sorgente IRAS eventualmente associata alle singole nebulose.

Il Catalogo TGU modifica

Il lavoro più recente e completo per la catalogazione delle nebulose oscure è invece indubbiamente il Tokyo Gakugei University Catalogue, edito nel 2005. Questo catalogo è stato compilato utilizzando i dati del Digitized Sky Survey I (DSS I) e contiene ben 2448 nebulose oscure e 2841 bozzoli ad esse legati. Per indicarli nelle carte celesti viene utilizzata la sigla TGU.

Gli oggetti inclusi in questo catalogo si trovano lungo tutta la volta celeste senza esclusioni.

Il Catalogo Abell modifica

 
La nebulosa planetaria PK 164+31.1, nota anche come Jones-Emberson 1, nella costellazione della Lince.

Le nebulose planetarie hanno dei cataloghi ad esse dedicati fin dal 1966, quando George Abell pubblicò il suo studio Properties of some old Planetary Nebulae; questo catalogo include 86 oggetti e nelle carte si utilizza la sigla Abell. La denominazione di questi oggetti nelle carte celesti rimane tuttavia raro, in quanto si tende a utilizzare altri cataloghi anche più recenti.

Lo stesso Abell è anche autore di un altro catalogo omonimo, riferito però alle galassie.

Il Catalogo Perek-Kohoutek modifica

Il più completo lavoro di catalogazione delle nebulose planetarie è il Catalogo Perek-Kohoutek, ancora largamente in uso nonostante la sua numerazione complessa. Fu compilato nel 1967, dunque solo un anno dopo il Catalogo Abell, dai due astronomi cechi Luboš Perek e Luboš Kohoutek e comprende tutte le nebulose planetarie conosciute fino all'anno 1964. Una seconda versione è stata pubblicata da Luboš Perek nel 2000 e comprende tutte le nebulose scoperte fino a quell'anno, per un totale di 1510 oggetti.

Nelle carte celesti gli oggetti compresi in questo catalogo vengono indicati con la sigla PK e, a differenza della quasi totalità dei cataloghi più conosciuti e utilizzati, la progressione numerica è affidata alla stringa delle coordinate galattiche in cui questi oggetti si trovano; ciò può rendere inizialmente anti-intuitivo e di difficile memorizzazione la sigla di un oggetto PK.

Forse proprio per questa ragione, se una nebulosa planetaria è però compresa in altri cataloghi più vecchi, come il New General Catalogue, o anche più specifici anche se meno noti, si preferisce utilizzare i riferimenti di questi ultimi.

Altri cataloghi modifica

A questi si aggiungono numerosi cataloghi molto più specifici e in uso soprattutto presso la comunità scientifica. Fra questi vi è i Catalogo BFS (sigla BF), che conta 65 regioni H II situate prevalentemente nell'emisfero celeste boreale, compilato nel 1982 dagli astronomi Blitz, Fich e Stark.

Le regioni di formazione stellare della Via Lattea sono invece elencate nel Catalogo Avedisova del 2002, la cui autrice, un’astronoma russa di nome Veta Avedisova, vi inserì informazioni per 3235 regioni, tratte da osservazioni a differenti lunghezze d’onda.

I resti di supernova sono elencati dal Galactic Supernova Remnants (sigla G), edito nel 2000.

Cataloghi di galassie modifica

 
Le Galassie Antenne sono un celebre esempio di galassie interagenti incluse nel Catalogo di Arp.

Sebbene la gran parte dei cataloghi generalisti come il New General Catalogue siano costituiti da galassie, il loro enorme numero che aumentava anno dopo anno ha richiesto fin da subito la compilazione di cataloghi specifici per questo genere di oggetti.

All’epoca della compilazione del New General catalogue ancora non si conosceva la natura delle galassie, che venivano chiamate “nebulose”. Solo negli anni venti del Novecento, a seguito del Grande Dibattito, venne appurata la reale struttura delle galassie.

Il Catalogo MGC modifica

Il Morphological Catalogue of Galaxies è stato compilato fra il 1962 e il 1968 a Mosca in pieno periodo sovietico e rappresenta il primo catalogo contenente un numero cospicuo di galassie, circa 29.000. La sua sigla è MCG ed è oggi poco comune trovarla negli atlanti celesti, preferendo le denominazioni dei cataloghi più recenti o anche, nel caso, più vecchi.

Catalogo Arp modifica

Nel 1966, Halton Arp compilò il suo Atlas of Peculiar Galaxies, contenente 338 galassie in totale; la sua sigla nelle carte celesti è Arp.

Lo scopo principale del catalogo era quello di presentare fotograficamente esempi dei diversi tipi di strutture insolite che si trovano nelle galassie nelle nostre vicinanze. Arp si rendeva conto che la ragione per la quale le galassie si plasmavano in forme ellittiche e a spirale non era ancora ben compresa. Percepiva le galassie peculiari come una sorta di piccoli "esperimenti" che gli astronomi potevano usare per capire i processi fisici che formavano le galassie ellittiche e a spirale. Con questo catalogo gli astronomi avevano una sintesi delle galassie peculiari che potevano studiare nel dettaglio. L'atlante non contiene una completa panoramica delle galassie peculiari del cielo, ma fornisce solamente degli esempi di ciascun fenomeno osservato nelle galassie vicine.

La maggior parte delle galassie del catalogo sono maggiormente note con altre designazioni, solo alcune sono più note con il numero assegnatole da Arp.

Oggi i processi fisici che hanno portato alla formazione delle galassie nel catalogo sono ben compresi. Un gran numero di quegli oggetti sono Galassie interagenti, come ad esempio M51 (Arp 85), Arp 220 e le Galassie Antenne. Un piccolo numero sono semplici galassie nane che non hanno sufficiente massa per permettere la formazione di strutture coesive. Un altro esiguo numero di galassie sono radiogalassie. Questi oggetti contengono nuclei galattici attivi che producono potenti getti di gas chiamati getti relativistici. Nell'atlante sono contenute M87 (Arp 152) e Centaurus A (Arp 153).

Uppsala General Catalogue modifica

L’Uppsala General Catalogue of Galaxies venne pubblicato nel 1973 e contiene 12.921 galassie, tutte situate a nord della declinazione -02° 30', con un diametro apparente maggiore di 1,0 arcominuti e più luminose della magnitudine apparente 14,5. La principale fonte di dati utilizzata per la sua compilazione fu una copia delle lastre fotografiche in banda blu della Palomar Observatory Sky Survey (POSS), a cui furono aggiunte anche galassie più piccole di 1,0 arcominuti di diametro, ma più brillanti della magnitudine 14,5 prese dal Catalogue of Galaxies and of Clusters of Galaxies (CGCG) compilato da Fritz Zwicky. La sigla utilizzata nelle carte celesti per l’Uppsala è UGC.

Le informazioni contenute nel catalogo UGC comprendono la descrizione delle galassie e dei loro dintorni, la loro classificazione secondo lo schema di classificazione di Hubble e l'angolo di posizione per le galassie piatte o viste di taglio. Altre informazioni che sono state incluse sono il diametro apparente in banda blu e una descrizione delle galassie che tiene conto il più possibile del loro aspetto visibile sulle lastre fotografiche. Gli autori del catalogo svilupparono un complesso sistema di classificazione che comprendesse vari tipi di peculiarità come interazioni con altre galassie, distorsioni della loro forma, presenza di ponti di materia, getti o pennacchi. I diversi sistemi di classificazione sviluppati allo scopo furono utilizzati in modo complementare per poter registrare nel catalogo il maggior numero di informazioni che era possibile estrarre dalle immagini. La precisione delle coordinate del catalogo è sufficiente soltanto all'identificazione dell'oggetto.

Esiste un'aggiunta al catalogo UGC chiamata Uppsala General Catalogue Addendum e abbreviata UGCA, pubblicata nel 1974.

Principal Galaxies Catalogue modifica

Il più importante catalogo di riferimento alla fine del Novecento è diventato il Principal Galaxies Catalogue, la cui prima stesura risale al 1989 e contenente 73.197 galassie di entrambi gli emisferi; la sua sigla è PGC e servì da struttura di partenza per il database di sorgenti extragalattiche Lyon-Meudon extragalactic database (LEDA) e porta il numero di riferimento VII/119 nell'archivio dei cataloghi astronomici mantenuto dal Centre de données astronomiques de Strasbourg (CDS). Questo funge a sua volta da database internet rivolto agli astronomi di tutto il mondo, che se ne servono tramite l’uso dei servizi SIMBAD, VizieR e Aladin.

Il catalogo PGC originale del 1989 è diventato obsoleto dopo la pubblicazione nel 2003 del catalogo PGC2003, parte integrante del progetto HyperLeda, evoluzione di LEDA. PGC2003 raggruppa ben 983.261 galassie entro la magnitudine B inferiore a circa 18 e porta il numero di riferimento VII/237 nell'archivio dei cataloghi astronomici VizieR.

Numerose altre galassie ormai conosciute non sono comprese in cataloghi così facilmente leggibili.

Cataloghi di ammassi di galassie modifica

Anche gli ammassi di galassie sono stati progressivamente catalogati. Il catalogo più importante è il Catalogo Abell degli ammassi ricchi di galassie, compilato fra il 1958 e il 1983 e comprendente 4073 ammassi di galassie, di cui 2712 nell’emisfero boreale e 1361 nell’emisfero australe. I criteri di inclusione principale perché un ammasso di galassie comparisse nel catalogo erano di essere formato da almeno 30 galassie, essere sufficientemente compatto, non troppo vicino né lontano (z = 0,02 - 0,2) e non essere sul piano galattico, in quanto l'offuscamento interstellare rende problematico il rilevamento degli ammassi di galassie.