Storia della letteratura italiana/Ruzante

Indice del libro
Storia della letteratura italiana
  1. Dalle origini al XIV secolo
  2. Umanesimo e Rinascimento
  3. Controriforma e Barocco
  4. Arcadia e Illuminismo
  5. Età napoleonica e Romanticismo
  6. L'Italia post-unitaria
  7. Prima metà del Novecento
  8. Dal secondo dopoguerra a oggi
Bibliografia

Un'altra personalità chiave dell'anticlassicismo rinascimentale, insieme a Folengo, è Angelo Beolco, meglio noto come Ruzante (o Ruzzante), dal nome di un personaggio ricorrente nelle sue opere. È autore di commedie rusticane scritte in pavano, termine con cui a Venezia si indicavano i dialetti della terraferma, giudicati inferiori e utilizzati appunto per opere comiche. Ruzante non è però l'unico rappresentante di questa letteratura rusticana, che nella prima metà del Cinquecento conosceva ampia fortuna. Tra gli altri si possono ricordare Andrea Calmo, Maffeo Venier e gli anonimi autori dei mariazi (una forma di componimenti rusticani). Fuori dal Veneto, si può ricondurre a questa tendenza anche l'astigiano Giovanni Giorgio Alione.[1]

La vita modifica

 
Ritratto di Ruzante in Giacomo Filippo Tomasini, Illustrium virorum elogia, Padova, 1630

Figlio naturale del medico Giovan Francesco Beolco, professore presso la facoltà di medicina dell'università di Padova, Angelo Beolco detto Ruzante (o Ruzante) ha una lunga e proficua collaborazione con l'amico Alvise Cornaro, ricco proprietario terriero e letterato. Autore di numerosi trattati di architettura e di agraria, Cornaro rappresenta un'importante figura di intellettuale proprio per il carattere "laico" del suo operato. Con l'intento di rappresentare alla corte dei cugini Marco e Franco, entrambi cardinali, la realtà del contado, commissiona a Ruzante due orazioni. Sempre presso la villa di Cornaro verranno inoltre rappresentate le sue commedie.

Riguardo alla data di nascita sussistono ancora numerosi dubbi e non è stato ancora possibile rinvenire un documento attestante una data certa di nascita di Angelo Beolco. È vero, tuttavia, che, nel corso degli ultimi trent'anni circa, le ricerche archivistiche (specialmente per merito di due studiosi veneti, Menegazzo e Sambin) hanno permesso di retrodatare progressivamente la nascita di Angelo Beolco, che ora si ritiene possa essere stata intorno al 1496. Il Beolco, infatti, appare come teste in documenti notarili successivi di una ventina d'anni, tra cui l'atto notarile di delega da parte del padre quale curatore degli affari famiglia risale al 1521. Per farlo doveva, secondo la legge, avere già raggiunto la maggiore età, che all'epoca era di venticinque anni. È ignoto anche il luogo di nascita, che potrebbe essere un borgo contadino nei pressi di Padova.[2]

Morì a Padova in casa del Cornaro il 17 marzo 1542. Alvise Cornaro, in un suo scritto, attribuì la morte di Ruzante ai troppi "disordini" e alle "dissipatezze", accreditando così l'immagine di un commediografo sregolato, probabilmente non coincidente con il vero. In realtà, considerato il tono della lettera, sembra che il Cornaro stesse semplicemente affermando una regola generale, e cioè che gli uomini muoiono giovani solo a causa delle loro sregolatezze. Nel sostenere questo faceva probabilmente riferimento alle tesi esposte in un suo scritto, i Discorsi sulla vita sobria: stando ai rigidi criteri da lui stesso stabiliti, è ipotizzabile che considerasse "disordini" anche deviazioni minime.[2]

L'opera modifica

 

Nella critica, l'immagine di Ruzante è variata nel tempo. Creduto a lungo un autore irregolare e naïf, oggi Ruzante è unanimemente considerato autore "colto". Tra le altre prove di questa sua cultura ci sono le citazioni o i riferimenti interni alle sue opere, che spaziano dalla cultura classica a echi della cultura luterana d'Oltralpe. Anche la sua fortuna, nel corso dei secoli, è stata alterna.

A Ruzante si devono due orazioni, due lettere monologhi, tre dialoghi, cinque commedie in prosa e due commedie in versi. A questi si aggiungono alcune liriche.[3] La sua più antica opera che ci sia giunta è la Pastoral, risalente al 1518 circa.[4] Lo pseudonimo di Ruzante è ripreso dal nome di un personaggio delle sue commedie, un contadino veneto che è stato differentemente caratterizzato di opera in opera. Le varianti del personaggio corrispondono alla diversa prospettiva da cui l'autore ha voluto analizzarlo, in uno scavo progressivo che, nel complesso delle opere, porta a un ritratto "a tutto tondo" della realtà del contado pavano. Quello di Ruzante era il ruolo che Beolco stesso interpretava nella messa in scena delle sue commedie. Unica eccezione costituisce il Secondo Parlamento de Ruzante - Bilora in cui interpretò il ruolo dello zio Pitaro.

Fu un grande sperimentatore, mettendo a frutto proprio l'esperienza diretta di attore e regista. La sua frequentazione di diversi generi non fu mai arbitraria. Trovando un argomento, sceglieva, tra le strutture della tradizione, quella che riteneva più idonea a rappresentarlo, ed entrando in essa, la modificava dall'interno. Riuscì così a rinnovare il mariazzo, l'egloga, la commedia pastorale ecc. Insaziabile curioso, non mancò di polemizzare con i più illustri contemporanei, in particolare con Bembo, ampiamente schernito proprio nella Betia.

Gli studiosi hanno individuato, proprio intorno al 1530, un certo cambio di atteggiamento in Beolco: il mondo dei poveri, degli sfruttati, dei contadini, è presentato con l'amarezza di chi conosce la vita squallida e segnata dalle ingiustizie delle classi subalterne. Sono infatti successivi al 1529 tre atti unici: il Dialogo facetissimo, il Parlamento de Ruzante che iera vegnù de campo e il Bilora. Nelle ultime due in particolare, la vicenda ruota attorno a un uomo (un soldato nel Parlamento, un contadino nel Bilora) che cerca di recuperare la moglie, fuggita con un altro in grado di garantirle una vita più agiata. Entrambi i testi sono stati scritti durante la carestia che aveva colpito il contado pavano. Allo stesso anno risale anche la Moscheta, mentre sono più vicini ai modelli classici opere come la Fiorina, la Piovana e la Vaccaria. Il suo ultimo testo noto è la Lettera all'Alvarotto del 1536.[5]

Note modifica

  1. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 285.
  2. 2,0 2,1 Carlo Grabher, BEOLCO, Angelo, detto Ruzante, in Dizionario Biografico degli Italiani, 1966. URL consultato il 19 novembre 2017.
  3. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, L'Umanesimo, il Rinascimento e l'età della Controriforma, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 232.
  4. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 326.
  5. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 326-327.