Storia della letteratura italiana/Jacopo Sannazaro
Nel Trecento il regno di Napoli è stato un importante centro di cultura umanistica: nella città dell'Italia meridionale ha vissuto e lavorato Boccaccio, mentre Petrarca ha avuto stretti rapporti con i regnanti e alcuni intellettuali del luogo. La vita culturale del regno avrebbe però conosciuto una fase di crisi alla fine del secolo. Segni di ripresa si hanno con la dinastia aragonese, e in particolare durante il regno di Alfonso il Magnanimo (1416-1458). La vita intellettuale napoletana inizia a ruotare attorno all'Accademia Pontaniana, i cui maggiori rappresentanti sono stati Antonio Beccadelli, detto il Panormita (Palermo, 1394 – Napoli, 19 gennaio 1471), e Giovanni Pontano (Cerreto di Spoleto, 7 maggio 1429 – Napoli, 17 settembre 1503), entrambi autori di opere in latino.[1]
L'attività letteraria in volgare ha invece un importante esponente in Tommaso Guardati, meglio noto come Masuccio Salernitano (Salerno o Sorrento, 1410 circa – Salerno, 1475): a lui si deve un Novellino, una raccolta di cinquanta novelle sul modello di Boccaccio. Masuccio tenta di elevare il napoletano a lingua letteraria, mescolando nelle sue opere elementi provenienti dal latino e dal toscano.[2] Questo tentativo sarà proseguito, con risultati più alti, da Jacopo Sannazaro. Autore di opere in lingua latina e in volgare, è noto soprattutto come autore dell'Arcadia, un prosimetro pastorale (cioè un'opera in prosa e versi) particolarmente fortunato, tanto da diventare uno dei libri più letti nell'Europa del Cinque e del Seicento.[3]
La vita
modificaJacopo (talvolta trascritto Iacobo) nasce a Napoli da una nobile famiglia della Lomellina, i Sannazzaro, che si diceva derivasse il nome da una villa a San Nazaro, nei pressi di Pavia. Le storie letterarie riferiscono una data di nascita oscillante fra il 1456 e il 1458; l'epigrafe sepolcrale riporta tuttavia la data del 1457.[4]
Il padre muore durante gli anni dell'adolescenza di Jacopo, che cresce a Napoli, Nocera de' Pagani e San Cipriano Picentino, luoghi la cui atmosfera avrebbe ispirato, secondo le dichiarazioni del poeta,[5] la prima elaborazione dell'Arcadia. A Napoli è discepolo, nella seconda metà degli anni settanta, di Giuniano Maio e Lucio Crasso, docenti di poetica e di retorica. Aderisce all'Accademia Pontaniana, raccolta attorno all'umanista Giovanni Pontano, assumendo lo pseudonimo classicizzante di Actius Syncerus.
Vive a lungo ospite dei conti Cavaniglia, nel palazzo di corte di Montella, dove, sembra, scrive la sua Arcadia, ispirato dai Monti Picentini. Ottiene rapidamente la fama di poeta e quindi un posto come uomo di corte, ricevendo in dono come residenza di campagna Villa Mergellina, nei pressi di Napoli, da Federico d'Aragona. Quando il suo patrono Federico è costretto a rifugiarsi in Francia nel 1501, Sannazaro lo accompagna. Non ritornerà in Italia prima della morte del re (1504). Sembra che il poeta abbia trascorso gli anni successivi a Napoli. Muore nella città partenopea il 6 agosto 1530.[6]
Arcadia
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Arcadia è un prosimetro (componimento misto di prosa e di poesia), di ambientazione pastorale. Il poeta aveva scritto fin dal 1480 delle ecloghe in versi di ispirazione classica (Virgilio, Teocrito), e col tempo attorno a queste aggregò le altre ecloghe e le parti in prosa. Il testo è oggi costituito da 12 ecloghe e 12 prose, più un congedo intitolato Alla Sampogna.
L'opera circolò per lungo periodo in forma manoscritta, ebbe un'edizione scorretta e parziale finché non fu stampata a Napoli nel 1504. Narra le vicende del pastore Sincero, sotto le cui vesti si nasconde il poeta, nella terra greca dell'Arcadia tra i pastori che trascorrono le loro giornate tra riti e tenzoni di canto (secondo quanto tramandato dalla tradizione classica). L'opera, ricca di riferimenti classici e di complessità metriche, tuttavia, è continuamente pervasa da una ricorrente malinconia (tipica del poeta anche nelle Rime) e da presagi di morte, nel segno dei quali si conclude il testo, con la visione dell'arancio abbattuto (la discesa di Carlo VIII di Francia a Napoli) e la morte della donna amata e il doloroso ritorno alla realtà.
L'opera, che sostanzialmente inventava nel mondo moderno il mito di questa terra edenica del mondo classico, avrà un profondo impatto sulla letteratura di tutta Europa fino alla metà del XVII secolo, tanto da divenire un vero luogo comune.
Il mondo descritto nell'Arcadia è lo stesso della corte aragonese in cui viveva Sannazaro, ma trasposto su un piano mitico, di sogno, frutto di un artificio letterario. Lo stile è caratterizzato da una cadenza musicale, risultato che il poeta raggiunge dopo lunghe e complesse revisioni. Il suo scopo è infatti di superare i confini del regno di Napoli e aprirsi alle altre corti italiane, ricorrendo a una lingua modellata sui versi di Petrarca.[7]
Le Rime e le altre opere in volgare
modificaLe Rime sono dedicate a Cassandra Marchese e vengono pubblicate postume nel 1530, con il titolo Sonetti et canzoni di M. Jacopo Sannazaro. Scritte in toscano trecentesco e chiaramente ispirate a Petrarca, costituiscono un punto fermo nella storia della lirica italiana, e assieme alle Rime di Pietro Bembo, pubblicate quello stesso anno, costituiranno in testo base per il vasto fenomeno del petrarchismo europeo.
Sempre in volgare Sannazaro compone alcuni gliòmmeri (monologhi di tono buffonesco) e alcune farse di poco interesse.[8]
Opere in latino
modificaSannazaro scrive anche varie opere in latino. La più importante è senza dubbio il poema De partu Virginis, composto da tre libri di esametri virgiliani e dedicato a papa Clemente VII. Pubblicato nel 1526, quando ormai ferveva la diatriba sul luteranesimo, è un poema ardito nella sua commistione di classico e di pagano, poiché tenta di affrontare un tema cristiano, la nascita di Cristo, ricorrendo però a modelli letterari pagani, a cominciare dall'Eneide di Virgilio. Assieme al coevo Christias di Marco Gerolamo Vida (Cremona, 1485 – Alba, 27 settembre 1566), il De Partu costituirà il modello del poema religioso latino rinascimentale. A questi si aggiungono le Eglogae piscatoriae, su argomenti connessi alla baia di Napoli, e tre libri di Elegie latine.[8]
Note
modifica- ↑ Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, pp. 227-228.
- ↑ Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 228.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, L'Umanesimo, il Rinascimento e l'età della Controriforma, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 37.
- ↑ Maria Corti, Sannazaro, Iacobo, in Vittore Branca (a cura di), Dizionario critico della letteratura italiana, vol. 3, Torino, Utet, 1973, p. 299-305.
- ↑ Elegiae, III, 2.
- ↑ E. Carrara nella Enciclopedia Italiana, 1936, indica il 24 aprile come giorno di morte del Sannazaro.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 243.
- ↑ 8,0 8,1 Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 229.
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